Esperienze traumatiche: primi passi per uscirne
Le esperienze traumatiche possono avere un impatto devastante sulla vita di una persona, lasciandola vulnerabile e talvolta incapace di vedere una via d’uscita. Che si tratti di incidenti, disastri naturali o episodi di violenza, il trauma può mettere in discussione le nostre convinzioni, i nostri sentimenti di sicurezza e la nostra fiducia nelle relazioni, cambiando radicalmente il modo in cui vediamo noi stessi e il mondo attorno a noi. Le ferite invisibili lasciate da eventi traumatici possono manifestarsi in una vasta gamma di sintomi, e ogni persona reagisce in modo diverso, influenzata da fattori come il supporto ricevuto e le risorse personali.
Tuttavia, uscire dal tunnel del trauma è possibile. In questo articolo, esploreremo i primi passi fondamentali per iniziare il percorso di guarigione.
Riconoscere il dolore
Il riconoscimento del dolore è il primo passo fondamentale per uscire da esperienze traumatiche. Troppo spesso ci troviamo a negare, minimizzare o addirittura a cercare di cancellare quello che abbiamo vissuto, sperando che possa semplicemente svanire nel nulla.
Il trauma, tuttavia, lascia un’impronta profonda in noi, continuando a condizionare i nostri pensieri, emozioni e comportamenti anche quando cerchiamo di ignorarlo. Fingere che non sia mai accaduto, rischia solo di farci sentire ancora più soli e disconnessi dagli altri.
Accettare la realtà dell’esperienza traumatica, significa guardare in faccia ciò che abbiamo vissuto, senza cercare di nascondere o sminuire le nostre esperienze. Significa riconoscere il dolore e la sofferenza che abbiamo provato, senza giudizio o vergogna. È un processo doloroso e spaventoso, poiché ci chiede di confrontarci con eventi che abbiamo cercato di evitare, reprimere, dimenticare.
Ma solo accettando la verità di ciò che ci è successo possiamo cominciare a superarlo. Il riconoscimento del dolore è il primo passo verso la guarigione, perché ci permette di dare valore alle nostre esperienze e iniziare a elaborarle in modo sano e costruttivo.
Routine e cura di sé
Prendersi cura di sé stessi è fondamentale durante il percorso di guarigione da un’esperienza traumatica. Concedersi dei momenti di piacere e relax ci permette di rigenerare le energie, lenire le ferite e riprendere gradualmente fiducia in sé stessi.
Ci sono molte possibilità: ci si può rilassare leggendo un libro, fare una camminata nella natura o semplicemente godersi una tazza di tè caldo. L’auto-cura non è un lusso ma una necessità, soprattutto per chi è stato travolto da un’esperienza traumatica.
È inoltre importante stabilire delle routine nella propria vita quotidiana, che possono essere un faro di sicurezza e stabilità in mezzo alla tempesta del trauma. Sapere cosa ci si aspetta durante il giorno e avere dei moment fissi per svolgere determinate attività può ridurre l’ansia dell’incertezza e fornire un senso di controllo della propria vita. Le routine possono diventare una roccia preziosa, dando una struttura alla giornata e ricostruendo un senso d normalità.
La riscoperta e il potenziamento delle proprie risorse
Il terzo, fondamentale, passo per iniziare il processo di guarigione da un’esperienza traumatica è la riscoperta e il potenziamento delle proprie risorse interne. È come fare un viaggio dentro noi stessi per individuare le forze che possono guidarci verso la guarigione.
Spesso, dopo un’esperienza traumatica, ci si sente sopraffatti, distrutti, incapaci d far fronte alle sfide che la vita quotidiana ci presenta. Tuttavia, anche nei momenti più bui, ci sono risorse dentro di noi alle quali possiamo attingere e che possono aiutarci ad affrontare le difficoltà e la nostra sofferenza.
Riscoprire queste risorse, significa guardare dentro di noi con onestà, gentilezza e compassione, accettando ed onorando le nostre esperienze passate. E significa anche riconoscere che siamo stati in grado di affrontare situazioni difficili in passato e che abbiamo la capacità di farlo ancora una volta.
Una volta identificate, queste risorse possono essere potenziate e rafforzate. Questo ci darà la forza necessaria per affrontare le sfide che incontriamo lungo il percorso di guarigione. Ci permette di vedere oltre al trauma e di costruire una vita significativa e appagante, nella quale possiamo crescere e prosperare nonostante le nostre esperienze passate.
Affrontare un’esperienza traumatica richiede una grande dose di coraggio. Accettare il dolore, concedersi del tempo per sé stessi e riscoprire le proprie risorse sono passaggi cruciali verso la guarigione.
Anche se può sembrare un viaggio difficile, è possibile superare il trauma e ritrovare il proprio equilibrio.
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Riferienti bibliografici
Cagnoni F., Milanese R., (2009). Cambiare il passato. Superare le esperienze traumatiche con la terapia strategica. Ponte delle Grazie.
Calogero I. (Curatore) (2016). Dall’emergenza alla normalità. Strategie e modelli di intervento nella psicologia dell’emergenza. Franco Angeli.
Calogero I. (Curatore) (2018). Il trauma psicologico. Nuove frontiere di ricerca. Franco Angeli.
Ciao! Sono una Psicologa e Psicoterapeuta in formazione presso l’istituto ICNOS, sono iscritta all’Albo delle Psicologhe e degli Psicologi del Veneto (n.12680) e coordino una comunità per persone disabili.
Terapia a Seduta Singola per affrontare la timidezza
La timidezza può essere un ostacolo.
Ti è mai capitato di sentirti a disagio in situazioni sociali? O nell’incontrare altre persone?
Di avere paura del giudizio negativo degli altri?
Ti senti inadeguat* nelle situazioni sociali e questo ti genera sofferenza?
Hai mai avuto difficltà ad avviare una conversazione?
O a creare amicizie, ad innamorarti?
Se è così sappi che sei semplicemente una persona timida, come il 60% degli Italiani, del resto.
La timidezza è definita come l’incapacità di rispondere in modo adeguato alle situazioni sociali. Come ben saprai, se sei una perosna timida, la timidezza è caratterizzata da componenti affettive, cognitive e comportamentali.
Ma…Allarme spoiler! La timidezza non è né un disturbo, né un tratto di personalità, è semplicemente “un’incompetenza” nell’affrontare situazioni sociali.
C’è quindi un’ottima notizia per te!
Se infatti la timidezza è solamente una questione di mancanza di esperienza o di strategie efficaci allora basterà semplicemente apprendere nuove strategie e diventare un’esperto/a di situazioni sociali per cambiare le cose!
Ovviamente stiamo parlando del caso in cui la tua timidezza tenda a renderti la vita difficile: a crearti barriere personali, sociali, professionali e quindi a portarti un disagio significativo tanto da spingerti a voler affrontare la questione.
È sempre molto importante ascoltare i propri bisogni e migliorarsi per stare meglio. Quindi, in questo caso, può essere importante per te cercare nuove e diverse strategie per vivere in modo più sereno le situazioni sociali.
Infatti, in misura lieve, la timidezza è molto diffusa, dipende solo da te e da quanto essa impatta nella tua vita e da quanto vuoi concederti di stare meglio. In altre parole: come già detto, essa non è una patologia o una problematica di per sè, ma puo’ diventare un’ostacolo a livello soggettivo per la singola persona e le nostre necessità non vanno mai messe in secondo piano.
Cosa fai e sarebbe meglio non fare?
Se stai leggendo questo articolo, molto probabilmente, sei una persona timida. Può darsi che tu tenda spesso a focalizzare l’attenzione sul tuo mondo interiore: sui tuoi pensieri, emozioni e comportamenti. Questa è una delle Tentate Soluzioni che molto spesso infatti i/le timidi/e mettono in atto.
Mi spiego meglio. Se ti trovi ad una festa, da brava persona timida, ti concentrerai molto sui tuoi comportamenti e cercherai di pensare come essi possano essere considerati dagli altri, temendo fortemente il loro giudizio. Spenderai molte energie nel concentrarti sul disagio che provi, nel pensare a come potresti provarne meno. Ti farai domande come: “Sono nel posto giusto?”, “Sono giust* per questo posto?”, “Sono all’altezza?”, “Ho fatto bene a venire?”, “Penseranno che sto malissimo vestit* così?”. Queste ed altre domande simili sono focalizzate sul disagio emotivo che stai provando, sul tuo imbarazzo, sulla paura del giudizio degli altri e sulla tua sensazione di inadeguatezza. Tutte queste domande generano un circolo vizioso alimentando la tua ansia e la tua sensazione di disagio. Infatti più tenterai di sforzarti a risolvere tali interrogativi più te ne verranno inevitabilmente di nuovi : “Sono all’altezza? Beh se mi hanno invitata forse lo sono, ma allora perché mi sento a disagio? Non sono capace a gestire queste situazioni, ma cosa sbeglio?Sicuramente potrei vivermi la festa con più leggerezza, ma perché non ci rieco?…”.
Le Tentate Soluzioni Disfunzionali sono infatti quelle che attuiamo provando a risolvere le nostre difficoltà, ma quello che facciamo risulta inefficace o addirittura peggiora il problema.
In questo caso il cercare di controllare la situazione e il giudizio altrui ponendo molta attenzione ai prorpi comportamenti e ragionando sulle prorpie insicurezze porta solamente ad aumentare la timidezza e a non vivere con serenità la situazione sociale della festa.
Seduta singola: diverse strategie
Sicuramente non basterà importi di non pensare al tuo imbarazzo, alla paura del giudizio ed alla tua timidezza. Infatti più cercherai di sforzarti a non pensarci più ci penserai (paradosso del controllo che fa perdere il controllo).
Puoi però provare ad utilizzare la Tecnica della Distrazione. Quando ti accorgi, in una situazione sociale, di concentrarti troppo sul tuo mondo interiore prova a dedicati ad altro, ad attività che portino la tua mente altrove. Queste distrazioni possono essere diverse per ciascuno a seconda delle risorse che la persona ha in se stessa.
Se ti rendi conto di aver bisogno di un aiuto in più, puoi rivolgerti ad uno/a psicologo/a per una consulenza psicologiga sulla timidezza. Ciò ti permetterà di risparmiare tempo prezioso e cominciare ad attuare da subito un cambiamento funzionale e durevole nel tempo.
La metodologia a Seduta Singola può essere una delle metodologie efficaci per la tua timidezza. Infatti insieme allo/alla psicologo/a potrai evidenziare le tue risorse e lavorare fin dalla prima consulenza sulla tua timidezza e su delle strategie efficaci che potrai utilizzare nelle situazioni sociali, subito dopo la seduta, non permettendo più alla timidezza di averla vinta.
Infatti, la metodologia a Seduta Singola è caratterizzata da un agire concreto e focalizzato (a volte una singola seduta è sufficiente) ed ha dimostrato una notevole efficacia di intervento, sia nel breve che nel lungo periodo. Puoi anche pensare di ricercare una consulenza psicologica online che ha la stessa efficacia di quella dal vivo.
Pront* per la prossima festa?!
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Riferimenti bibliografici
Cannistrà, F., & Piccirilli, F. (2018). Terapia a seduta singola. Principi e pratiche. Giunti
Coles, M. E., & Horng, B. (2006). Social anxiety disorder. Comprehensive handbook of personality and psychopathology, 138.
Henderson, L., Zimbardo, P., & Carducci, B. (2010). Shyness. The Corsini encyclopedia of psychology, 1-3.
Nardone, G. (1993). Paura, Panico, Fobie. La terapia in tempi brevi. Milano: Ponte alle Grazie.
Watzlawick, P., Weakland, J., Fisch, R. (1974). Change. La formazione e la soluzione dei problemi. Roma: Astrolabio, 1975.
Terapia a Seduta Singola per la paura della macchina
Hai paura della macchina?
Non sei il/la sol* è una paura molto più diffusa di quello che si crede.
Il 33% della popolazione ha questa paura!
Si chiama Amaxofobia (da amaxos, in greco: carro) e consiste nel provare ansia quando si è in un veicolo. Sia che si debba guidare o no quest’ultimo.
È molto variabile di intensità a seconda della persona. Può infatti non riguardare solamente la macchina, ma anche l’autobus, il treno o l’aereo.
Si manifesta con i sintomi tipici dell’asia, come tremore, sudorazione, fino ad arrivare a volte ad attacchi di panico.
È quindi spesso limitante per la vita, rendendo alle volte difficile o addirittura impossibile non solo guidare ma anche stare in una macchina.
Potrebbe derivare da esperienze che tu o qualcuno che conosci ha vissuto in auto e che ti hanno colpito molto. Infatti è normale e utile evitare pericoli di cui siamo a conoscenza direttamente o indirettamente. La paura è una grande alleata dell’uomo! Diviene però una spiacevole compagna quando “esagera” e come un’amica troppo premurosa, si attiva e ti attiva anche quando non sarebbe necessario. È in quel caso che la chiamiamo fobia o ansia.
Molte persone oltre alla paura della macchina hanno altre forme di ansia come l’agorafobia o gli attacchi di panico.
L’agorafobia è un’intensa paura di alcune situazioni come utilizzare i mezzi pubblici, stare in spazi aperti, o in spazi chiusi, come l’auto stessa.
Gli attacchi di panico sono caratterizzati da improvvisa paura intensa, senza un apparente pericolo, che raggiunge il culmine in breve tempo. Si manifestano con sintomi somatici come sudorazione, palpitazioni, tremori, sensazione di soffocamento, dolore al petto, vertigini, nausea, brividi, formicolii e sintomi psicologici come paura di perdere il controllo e/o di morire. Tali sintomi sono molto vari e differenti da persona a persona.
Cosa fai e sarebbe meglio non fare?
A volte proviamo a risolvere le nostre difficoltà, ma quello che facciamo è inefficace o addirittura peggiora il problema (in gerco tecnico si chiamano Tentate Soluzioni Disfunzionali).
La tentata soluzione che spesso chi ha paura di guidare o di salire in macchina utilizza è l’evitamento, cioè evitare ciò che fa loro paura. Questo a seconda dell’Amaxofobia può essere differente, c’è chi non sale in un veicolo o usa altri mezzi di trasporto, ma non la macchina, c’è chi non riesce a guidare da solo, chi non riesce a guidare in autostrada, ma solo in caso di tragitti brevi e conosciuti…
Questa strategia però ha come conseguenza a lungo termine di aumentare sempre di più le situazoni temute e quindi evitate, limitando sempre di più la vita. Quindi, ad esempio, potrebbe accadere che chi prima evitava solamente di guidare la macchina in autostrada, poi tenderà ad evitare di guidare anche nelle statali e via dicendo. Portando così a un circolo vizioso. Infatti più si evita più diventa difficlie affrontare la nostra paura e più questa paura tenderà a diventare più grande ed estesa a più ambiti. Pensate ad esempio ad un bambino che per la prima volta bagna i piedini nel mare, ha paura e si allontana, probabilmente la volta successiva il bambino non arriverebbe neppure a riva per il timore. Se invece nella stessa situazione il bimbo restasse a bagnarsi questo si accorgerebbe che non gli è successo nulla, che è in grado di farlo e non ne avrebbe più paura.
Altra tentata soluzione tipica è la ricerca di supporto degli altri, come appunto chi guida solamente in compagnia, per sentirsi protetto, rassicurato, meno sol*. Questo comportamento, però, può diventare limitante, poiché la persona si affida completamente ad altri e non sviluppa le proprie capacità di autoaiuto.
Cosa puoi fare di diverso?
La metodologia a Seduta Singola può essere una delle metodologie efficaci per evidenziare le proprie risorse e creare, insieme all* psicolog* delle strategie efficaci ed autonome per gestire/risolvere l’Amaxofobia.
Infatti, la metodologia a Seduta Singola è caratterizzata da un agire concreto e focalizzato ed ha dimostrato una notevole efficacia di intervento, sia nel breve che nel lungo periodo.
La Consulenza a Seduta Singola permette, fin dal primo incontro, di affrontare il problema dell’Amaxofobia.
Si lavora su come la paura della macchina funziona per te nello specifico, cercando di identificare in quali circostanze specifiche e con quali modalità si presenta per te. Insieme all* psicolog* si indaga cosa hai provato a fare finora per affrontarlo, quando ha funzionato e quando no. In questo modo sarà possibile provare da subito a fare qualcosa di diverso per cambiare le cose. Ad esempio nell’approccio strategico è utilizzata la ristrutturazione strategica tramite la quale ci si serve proprio della paura per cambiare un effetto che la paura stessa ha prodotto.
Chiedere da subito un aiuto ad uno specialista per l’Amaxofobia permetterà di risparmiare tempo prezioso e cominciare ad attuare un cambiamento funzionale e durevole nel tempo.
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Riferimenti bibliografici
American Psychiatric Association (2013), Manuale diagnostico e statistico dei disturbi Mentali, Quinta edizione (DSM-5), trad. it. Raffaello Cortina, Milano 2014.
Cannistrà, F., & Piccirilli, F. (2018). Terapia a seduta singola. Principi e pratiche. Giunti
Nardone, G. (2000). Oltre i limiti della paura. Milano: BUR
Nardone, G. (2007). Paura, panico, fobie. Il trattamento in tempi brevi. Milano: TEA – Tascabili degli Editori Associati
https://www.auxologico.it/vincere-paura-guidare-amaxofobia-laiuto-psicologo
Affrontare il rimuginio con uno schiocco di dita
Chi di noi non ha mai sperimentato il tormento del rimuginio, quel vortice di pensieri che si ingarbugliano tra di loro, alimentando preoccupazioni che sembrano non voler dare tregua?
Il rimuginio è un fenomeno comune che coinvolge la ripetizione ossessiva di pensieri negativi o preoccupazioni, spesso legate a esperienze passate o preoccupazioni future.
Questi pensieri possono riguardare esperienze passate, in cui ci colpevolizziamo o rimpiangiamo scelte fatte, oppure preoccupazioni future, in cui ci concentriamo sulle peggiori ipotesi e temiamo il peggio.
Il rimuginio può avere un impatto significativo sulla nostra salute mentale e sul benessere generale.
Effetti del rimuginio sulla nostra salute mentale
Il rimuginio eccessivo può avere una serie di impatti negativi sulla nostra salute mentale e fisica. Ecco alcuni di essi:
- Dissociazione: Essere costantemente immersi nella nostra mente ci allontana dalla realtà. Questo può portare a fenomeni di depersonalizzazione o derealizzazione.
- Depressione: persi nei nostri pensieri, non ci accorgiamo della vita lì fuori. Se non interrotto per tempo, il rimuginio ci porterà a perderci i bei momenti della nostra vita, e a ritirarci da tutte le esperienze che potremmo fare.
- Difficoltà nel Concentrarsi: essere immersi nei pensieri può interferire con la nostra capacità di concentrarci sul presente, riducendo la nostra produttività e la qualità del lavoro svolto.
Risolvere il rimuginio con uno schiocco di dita
Esiste una tecnica semplice, ma non facile, per risolvere il rimuginio.
Si tratta di schioccare le dita.
Lo scopo principale per stoppare i continui pensieri sarà quello di imparare a distogliere l’attenzione dai pensieri assorbenti, e riportarla nel qui ed ora.
Ogni volta che ti rendi conto di essere immerso nei tuoi pensieri, quindi, schiocca le dita, invita la tua attenzione a “tornare qui” e focalizzala su quello che di concreto ti circonda.
Poco dopo sei nuovamente immerso nei pensieri? Schiocca di nuovo le dita, commentando con un “Torna qui!”.
Hai abituato la tua mente ad agganciarsi ai pensieri, il lavoro sta nell’allenarla a sganciarsi.
E l’allenamento richiede impegno costante.
Se stai vivendo un problema di rimuginio persistente, puoi chiedere aiuto a One Session! Puoi inviare una e-mail a info@onesession.it oppure compilare il form (clicca qui)
Riferimenti bibliografici
www.lostudiodellopsicologo.it/disturbi/un-martello-pneumatico-come-fermare-il-rimuginio-ossessivo/
Bartoletti, A. (2019). Pensieri Brutti e Cattivi: Ossessioni tabù: Come Liberarsene. Angeli.
Il mio lavoro è orientato al futuro e alla valorizzazione delle risorse delle persone che si rivolgono a me, in ottica di totale collaborazione.
Come superare la tricotillomania
La tricotillomania consiste nello strapparsi peli e capelli nelle diverse parti del corpo.
È un disturbo altamente invalidante, che incide in maniera evidente sull’immagine della persona e, di conseguenza, sulla sua socialità.
In questo articolo cercheremo di descrivere in breve in cosa consiste questo disturbo e come la terapia breve può aiutarti a superarlo.
Un Disturbo Ossessivo-Compulsivo
La tricotillomania è un disturbo caratterizzato dal bisogno irrefrenabile ed incontrollabile di strapparsi peli e capelli dalle diverse parti del nostro corpo.
Nonostante possa colpire a qualunque età è maggiormente frequente nei bambini e negli adolescenti.
Per queste sue caratteristiche specifiche, in aggiunta alla ritualità ed alla ripetitività del comportamento tricotillomanico, nel DSM-5 è stato inserito tra i “disturbi ossessivo-compulsivi”, invece che nei “disturbi del controllo degli impulsi” come nel DSM-IV-TR.
La tricotillomania può interessare qualsiasi parte del corpo dove siano presenti peli o capelli, anche se generalmente le zone più colpite sono cuoio capelluto e viso, per la presenza di capelli, ciglia e sopracciglia.
Il comportamento è messo in atto generalmente da soli, anche mentre si compiono azioni semplici come guardare la televisione o leggere un libro, ma generalmente è preceduto da un alto livello di tensione interna.
A volte la persona è consapevole di cosa sta facendo ma, il più delle volte, è un comportamento inconsapevole e messo in atto in modo automatico.
Cause, insorgenza e conseguenze della tricotillomania
Non sono state chiarite le cause del disturbo, ma sono stati identificati alcuni fattori di rischio:
- fattori genetici,
- ansia e stress prolungati
- eventi stressanti acuti
- Comorbidità psichiatriche
Nonostante questo disturbo possa colpire a qualunque età, alcuni studi hanno evidenziato come l’insorgenza avvenga generalmente nell’infanzia e il picco d’incidenza nei bambini si collochi tra i 2 ed i 6 anni, anche se in questa fase i sintomi possono essere transitori.
Quando invece i sintomi compaiono in adolescenza o pre-adolescenza il disturbo tende ad emergere in concomitanza con i passaggi critici dell’età ed essere più pervasivo e duraturo nel tempo.
Le conseguenze di questo disturbo possono essere diverse e di diversa entità.
Riguardano in generale la perdita di capelli, infiammazioni e dermatiti e, in presenza di tricofagia, ovvero di ingestione dei peli dopo averli strappati, può portare alla creazione di bezoari che possono bloccare le funzioni gastrointestinali.
Tuttavia le conseguenze più d’impatto di questo disturbo si evidenziano a livello sociale. La persona arriva spesso a vergognarsi del proprio aspetto fisico, soprattutto se i danni riguardano i capelli e l’alopecia in particolare, e questo porta a limitare le uscite sociali e all’autoisolamento.
Le terapie brevi per la tricotillomania
Il percorso terapeutico ha il duplice intento di bloccare il comportamento autolesivo e di portare la persona a gestire in maniera più efficace lo stress.
Bloccare il comportamento tipico di questo disturbo è difficile. Soprattutto perché lo strapparsi peli e capelli può trasformarsi da un qualcosa di doloroso in qualcosa di piacevole.
Questo è un meccanismo tipico di tutti i comportamenti di automutilazione: metterli in atto può portare ad avere un piacevole sollievo da sensazioni dolorose e distrae da situazioni stressanti o pensieri ossessivi. Bloccare comportamenti che, anche procurando un danno, hanno l’effetto di farci stare bene è difficile e impegnativo.
Tra le strategie più efficaci in questi casi ci sono le tecniche paradossali, ossia delle tecniche, tipiche della psicologia strategica, nelle quali è il sintomo stesso che viene utilizzato per mandare in cortocircuito il disturbo.
In particolare nei casi tricotillomania si usa la “ritualizzazione del rituale”: si chiede alla persona di mettersi di fronte ad uno specchio tutti i giorni, ad un orario stabilito e di strapparsi peli o capelli per quindici minuti.
Anche se sembra una richiesta illogica risulta efficace perché:
- permette alla persona di riprendere il controllo sull’irrefrenabilità della compulsione,
- dà un contenitore di spazio-tempo nel quale concentrare il comportamento, liberando il resto del tempo e creando spazio per azioni positive,
- crea avversione verso il comportamento di piacere perché è legato alla costrizione di doverlo fare seguendo delle regole esterne.
Generalmente questa strategia permette di ridurre il sintomo fino ad eliminarlo in breve tempo.
In alcuni casi può bastare anche una sola seduta per modificare drasticamente in positivo la situazione.
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Ogni Martedì dalle 18:00 alle 20:00 gli psicologi del team “One session” sono a tua disposizione per una sessione gratuita di consulenza psicologica a seduta singola di 30 minuti.
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Riferimenti bibliografici
Nardone G. (1993), Paura panico fobie. Ponte alle Grazie.
Nardone G. (2004), Il dialogo strategico. Ponte alle Grazie.
Nardone G., Portelli C., (2013), Ossessioni compulsioni manie. Ponte alle Grazie.
www.lostudiodellopsicologo.it/strapparsi-i-peli
La Terapia a Seduta Singola per il Disturbo Ossessivo Compulsivo
Il Disturbo Ossessivo Compulsivo
Seguendo i manuali di Psicologia il Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC) è definito come:
«un disturbo caratterizzato da ossessioni e/o compulsioni.» (Giorgio Nardone)
In particolare nel DSM-5 ossessioni le compulsioni vengono così specificate:
Le ossessioni sono pensieri, impulsi o immagini ricorrenti e persistenti, vissuti spesso come intrusivi e indesiderati, e che possono causare ansia o disagio. Spesso la persona tenta di ignorarli o scacciarli, e a volte lo fa con altri pensieri, formule mentali o azioni: in questo caso si parla di “compulsioni”.
Le compulsioni sono dei comportamenti ripetitivi di qualunque genere (lavarsi, riordinare, controllare ecc.) oppure delle azioni mentali (pregare, contare, ripetere parole mentalmente) che la persona si sente obbligata a mettere in atto in determinate circostanze.
Questi rituali tipici del Disturbo Ossessivo Compulsivo sono involontari, inevitabili e irrefrenabili e possono avere tre scopi principali:
- Preventivi, per evitare un evento negativo.
- Propiziatori, per far avverare un evento desiderato.
- Riparatori, per sistemare una situazione problematica.
Così la mente viene racchiusa in una trappola sulla base di presupposti logici insindacabili che “non puoi smettere di mettere in pratica perché ti senti obbligato a farlo”.
Le ossessioni e le compulsioni tipiche del Disturbo Ossessivo Compulsivo sono estremizzate e ripetute nel tempo e portano alla messa in atto di comportamenti stereotipati.
Come possono aiutarti le Terapie Brevi
Le Terapie Brevi hanno sviluppato delle strategie molto efficaci per combattere il Disturbo Ossessivo Compulsivo.
Il nucleo centrale del problema consiste nel fatto che si cerca di bloccare in maniera razionale un qualcosa che è invece del tutto irrazionale.
Questi comportamenti danno un iniziale senso di sollievo alla persona, senza tuttavia soddisfarla completamente e si vengono così a classificare come tentate soluzioni disfunzionali, ossia come soluzioni che, dopo un iniziale effetto positivo, hanno un definitivo e sostanziale effetto negativo.
Il risultato è che i rituali che vengono messi in atto e che avrebbero il compito di gestire e fermare i pensieri intrusivi e ossessivi, hanno in realtà l’effetto di sostenere il problema stesso e spesso peggiorarlo.
Le terapie brevi, attraverso delle strategie concrete, puntano a creare dei contro-rituali basati sulle stesse logiche che sorreggono il problema, rendendole nulle.
La persona è così in grado di superare i normali percorsi razionali arrivando alla risoluzione del Disturbo Ossessivo Compulsivo.
Come risolvere il Disturbo Ossessivo Compulsivo con la Terapia a Seduta Singola
Così come esistono diversi tipi di terapie brevi, esistono diversi tipi di intervento per il Disturbo Ossessivo Compulsivo.
In particolar modo la Terapia a Seduta Singola, con il suo agire concreto e focalizzato, ha dimostrato una notevole efficacia di intervento sia nel breve che nel lungo periodo.
Le strategie messe in atto hanno il duplice scopo da un lato di bloccare le Tentate Soluzioni Disfunzionali e, dall’altro, di massimizzare l’efficacia di ogni azione.
Evitare di parlare continuamente del problema, smettere di evitare le situazioni che mettono a disagio, identificare le risorse personali in grado di posticipare la compulsione. Sono solo alcune delle possibili strategie che possono aiutare la persona a limitare inizialmente e poi estinguere le proprie compulsioni.
Iniziare dalla cosa più semplice, fare la più piccola azione possibile, identificare il proprio obiettivo concreto e stabilire i passi necessari per raggiungerlo. Sono invece alcune delle strategie in grado di aumentare l’efficacia dell’agire della persona.
Conclusioni
Il Disturbo Ossessivo Compulsivo è considerato uno dei disturbi più ostici, tuttavia anni di esperienza ci dicono che le terapie brevi hanno dimostrato una notevole efficacia nel suo trattamento anche in poche sedute.
In particolar modo la Terapia a Seduta Singola può essere uno strumento molto efficace per ridimensionare il disturbo in maniera netta e duratura.
Ovviamente ogni disturbo ha la sua peculiarità e la sua complessità, ma è proprio la duttilità di questo modello il suo punto di forza. Uno psicologo formato in Terapia a Seduta Singola può aiutarti ad identificare i tuoi obiettivi e, nel contempo, utilizzare le tue risorse per valutare le strategie pratiche più adatte alla tua situazione.
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Riferimenti bibliografici
Gingerich, W.T. & Peterson, L.T. (2013). Effectiveness of solution-focused brief therapy: a systematic qualitative review of controlled outcome studies. Research on Social Work Practice, 23(3), 266-283.
Frankl, V. (1975). Paradoxical intention and dereflection. Psychotherapy: Theory, Research & Practice, Vol 12(3), 226-237.
Nardone, G. & Portelli, C. (2011). Ossessioni, Compulsioni, Manie. Milano: Ponte alle Grazie.
Mancini F. (a cura di) (2016). La mente ossessiva. Curare il Disturbo Ossessivo-Compulsivo. Milano: Raffaello Cortina Editore
https://www.lostudiodellopsicologo.it/disturbi/terapia-disturbo-ossessivo-compulsivo/ (Consultato in data 14/07/2022)
https://www.lostudiodellopsicologo.it/ossessioni/le-3-forme-di-disturbo-ossessivo-compulsivo/ (Consultato in data 14/07/2022)
Come risolvere gli attacchi di panico
E’ possibile risolvere gli attacchi di panico? In questo articolo vedremo cosa si intende per attacco di panico, quali sono le sue conseguenze e cosa si può fare per poterli risolvere.
La paura evitata diventa timor panico, la paura guardata in faccia diventa coraggio.
(Antico detto sumero)
Che cosa si intende per “attacco di panico”?
Per “attacco di panico” si intende un episodio di forte ansia, paura e angoscia che invade improvvisamente una persona, senza un pericolo apparente.
Può manifestarsi con sintomi anche molto diversi tra loro: sensazioni fisiche (es. palpitazioni, sudorazione, dolori all’addome, nausea, vertigini e capogiri, senso di soffocamento o svenimento…), stati emotivi (ansia, preoccupazione, paura) e cognitivi (pensieri, dubbi e domande martellanti). In alcuni casi si può sperimentare anche senso di irrealtà (derealizzazione) come se il mondo ci apparisse diverso e non “messo a fuoco”.
Talvolta ci si potrebbe anche sentire “distaccati dal proprio corpo”, senza averne più il controllo (depersonalizzazione). L’attacco di panico per via della sua imprevedibilità diviene un evento significativo nella vita di una persona, capace di far crollare le proprie certezze e trasmettere un forte senso di insicurezza.
Se l’esperienza si ripete nel tempo, la persona potrebbe sviluppare il cosiddetto “disturbo da attacchi di panico”, che consiste nella paura di poter avere nuovamente altri episodi di questo tipo, con tutte le sue conseguenze.
Cosa si prova durante un attacco di panico?
Per chi non ha mai avuto un attacco di panico è spesso difficile capire che cosa succeda in quel momento.
L’idea più comune è che l’attacco di panico sia qualcosa di visibile a occhio nudo, ad esempio una crisi fatta di urla e gesti inconsulti.
L’esperienza dell’attacco di panico invece è estremamente soggettiva: è importante quindi cercare di capire che cosa significhi averli per ciascuna persona e come si manifestano concretamente i suoi sintomi.
Alcune persone durante gli attacchi di panico rimangono impassibili e dall’esterno può essere impossibile capire che cosa stiano provando e di conseguenza fare qualcosa per aiutarle.
L’emozione prevalente dell’attacco di panico ad esempio potrebbe essere la paura, che può manifestarsi in diverse modalità: la paura di perdere il controllo oppure la paura di morire.
Nel primo caso la persona potrebbe avere pensieri di forte angoscia e non riuscire a sopportare la condizione in cui si trova. Potrebbe iniziare a convincersi di essere sul punto di impazzire e iniziare a immaginare di fare gesti folli pur di fuggire dal proprio malessere (come lanciarsi da un treno in corsa).
In questa situazione è probabile che la sofferenza venga tenuta per se stessi per vergogna o timore di non essere capiti dagli altri. Quando predomina invece la paura di morire, la persona potrebbe sperimentare una serie di sintomi così gravi da essere associati all’infarto: battito cardiaco accelerato, fame d’aria, dolori lancinanti al petto e dolori all’addome.
Quello che potrebbe lasciare l’attacco di panico è un profondo senso di solitudine, impotenza e insicurezza. La persona si ritrova così di punto in bianco in una spirale di sofferenza che può solo peggiorare.
Quali conseguenze può avere un attacco di panico?
Purtroppo nella maggior parte dei casi, dopo aver sperimentato il primo attacco di panico, si ha l’impressione che niente sia più come prima.
Quello che si desidera maggiormente è cercare di non provare più questa brutta esperienza.
La persona quindi potrebbe cercare di fronteggiare da sola il problema con diverse strategie, rischiando di peggiorare ulteriormente la propria condizione senza volerlo.
Ad esempio, si potrebbe iniziare a “scappare” dalla propria paura, evitando tutti i luoghi e le situazioni in cui si è già verificato o potrebbe verificarsi un nuovo attacco di panico.
Si potrebbe smettere di prendere i mezzi pubblici o la propria auto, oppure scegliere di non frequentare più quei posti specifici dove ci si è sentiti male.
In questo modo si potrebbe pensare di essere al sicuro ma a lungo andare ci si ritroverà isolati e limitati nelle proprie attività quotidiane, con la propria vita fortemente compromessa.
Chiudendo sempre più le proprie vie di uscita infatti, ci si infilerà in un tunnel ancora peggiore senza neanche rendersene conto.
Un altro modo per provare a fronteggiare il problema potrebbe essere chiedere aiuto alle persone care, parlando continuamente degli episodi vissuti e della propria paura.
Anche questo inizialmente potrebbe farci sentire meglio ma alla lunga non farà che incastrarci ancora di più nel problema. Inoltre rischieremmo di renderci insopportabili agli occhi degli altri!
Più si alimenta il problema infatti, più crescerà fino a divenire un gigante nella nostra vita.
Quando la parola non basta, si potrebbe chiedere ai propri cari di accompagnarci nelle nostre attività quotidiane. In questo modo non rischieremmo di trovarci da soli ad affrontare un nuovo attacco.
Questo supporto dall’esterno senz’altro potrebbe farci sentire molto amati da chi tiene a noi, ma alla lunga la presenza degli altri ci dirà una sola cosa. Ovvero che da soli non possiamo farcela, che abbiamo perso la nostra autonomia.
Come risolvere gli attacchi di panico?
La parola re-solvere ha già in sé la soluzione: si tratta di provare a “sciogliere” il problema, trovando nuove soluzioni rispetto a quelle che finora non sono risultate utili.
Chiedere da subito un aiuto ad uno specialista permetterà di risparmiare tempo prezioso e cominciare ad attuare un cambiamento funzionale e durevole nel tempo.
La Consulenza a Seduta Singola permette fin dal primo incontro di affrontare il problema definendolo in tutti i suoi aspetti peculiari. Si lavora su come il problema funziona per ciascuna persona e su cosa si è provato a fare finora per affrontarlo. In questo modo sarà possibile provare da subito a fare qualcosa di diverso per provare a cambiare le cose.
Se non sai da dove cominciare, potresti intanto chiedere un incontro agli psicologi di “One session”.
Ogni Martedì dalle 18:00 alle 20:00 gli psicologi del team “One session” sono a tua disposizione per una sessione gratuita di consulenza psicologica a seduta singola di 30 minuti.
Per maggiori informazioni, puoi inviare una email a info@onesession.it o visitare le nostre pagine Facebook e Instagram
Se pensi che questo articolo possa essere utile, condividilo con chi potrebbe averne bisogno e lasciaci un commento sulla tua esperienza. Sentirsi meno soli potrebbe essere già un primo passo per uscire dal problema.
Riferimenti Bibliografici
Nardone, G. (2015). La terapia degli attacchi di panico. Liberi per sempre dalla paura patologica. Ponte alle Grazie.
Nardone, G., Watzlawick, P. (1990). L’arte del cambiamento. La soluzione dei problemi psicologici personali e interpersonali in tempi brevi. Ponte alle Grazie.
Sono una Psicologa iscritta all’Albo A degli Psicologi del Lazio e all’Istituto ICNOS: Scuola di Psicoterapie Brevi Sistemico-Strategiche.
Nel mio lavoro integro le mie competenze multidisciplinari per offrire ai miei clienti soluzioni personalizzate ed aiutarli a raggiungere i propri obiettivi in tempi brevi. Utilizzo la TSS per ottenere il massimo da ogni singolo incontro.
Perfezionismo: è una risorsa o una trappola?
Il perfezionismo è una risorsa o una trappola? Essere persone precise, può rivelarsi sicuramente una risorsa. Ma l’eccesso di controllo, come vedremo in questo articolo, porta a perdere il controllo, rivelandosi una trappola.
Precisione e perfezione
Essere precisi, cercare di non lasciare le cose al caso, è sicuramente un atteggiamento apprezzabile. Permette di eseguire i compiti della nostra quotidianità con un certo impegno. Fa sì che non ci accontentiamo della mediocrità. Ci fa anche risparmiare energie, perché la precisione ci permette di vivere in maniera più ordinata, permettendoci di gestire il nostro spazio e il nostro tempo in maniera agile.
C’è chi però non si accontenta della precisione. Vuole la perfezione.
La perfezione è l’eccesso della precisione. E, lasciatemelo dire, è una condizione irrealistica.
Perfezionismo patologico
Questa ricerca assidua di perfezione può diventare causa di molta ansia: a mano a mano ci si renderà conto che esiste una perfezione ancora più perfetta e ci si andrà alla ricerca, senza mai porvi una fine.
I compiti portati a termine non saranno più fonte di gratificazione, ma pretesto per rimproverarsi. Farà capolino la paura di sbagliare, di fallire. La quotidianità diventerà fonte di forte stress.
Uno degli esiti è lo sviluppo del disturbo ossessivo – compulsivo.
Mantenere la precisione grazie all’imperfezione
Per poter mantenere il bello della precisione e non cadere nello stress dell’imperfezione, la cosa migliore da fare è “immunizzarsi” all’imperfezione. Creare, attraverso un allenamento graduale, una sorta di abituazione al fatto che la vita è imperfetta e non tutto può essere sempre sotto il nostro controllo.
Come fare?
Prenditi l’impegno quotidiano di mantenere una piccola imperfezione nelle tue attività. Imperfezione che, paradossalmente, sarà totalmente sotto il tuo controllo!
Sei abituato a pretendere il 100% in quello che fai? Lascia volontariamente incompleto il tuo compito del 10% e sperimenta quello che succede.
L’allenamento costante ti permetterà di rimanere una persona precisa, pur nell’imperfezione di questo mondo!
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Riferimenti bibliografici
Cannistrà, F., Piccirilli, (2018), Terapia a seduta singola. Principi e pratiche. Giunti Psychometrics
Nardone G. (2013), Psicotrappole. Firenze: Ponte alle Grazie
Il mio lavoro è orientato al futuro e alla valorizzazione delle risorse delle persone che si rivolgono a me, in ottica di totale collaborazione.
Paura dei cambiamenti: piccoli passi per superarla.
I cambiamenti fanno paura.
Talvolta fanno così paura da convincerci che tutto dovrebbe rimanere costantemente uguale a se stesso.
Chi teme il cambiamento prova forte disagio e stress di fronte alle novità, arrivando a bloccare ogni istinto di trasformazione.
L’unica costante della vita è il cambiamento
Così recita un famoso detto.
Il cambiamento interessa tutti, costantemente. Cambiare significa crescere, adattarsi a nuove esigenze, acquisire nuovi saperi e nuove conoscenze.
Tutti nella nostra vita affrontiamo costantemente dei cambiamenti, piccoli o grandi che siano. Talvolta senza accorgercene.
Ci sono tuttavia dei momenti in cui il cambiamento può diventare qualcosa percepito come troppo grande e pericoloso.
Come mai?
Quali aspetti del cambiamento fanno paura?
Ci sono tanti aspetti del cambiamento che possono fare paura.
In primis, il cambiamento porta con sé una sensazione di perdita. Perdita di quello che è stato finora e che conoscevamo molto bene, a favore dell’ignoto. “E se fosse peggio?”, “e se mi accorgessi di aver sbagliato?” sono alcune delle domande che possono accompagnare la fase di cambiamento.
Un secondo aspetto che può favorire l’immobilismo all’evoluzione è la paura di non essere all’altezza. Il fantasma del fallimento, pronto a puntarci il dito contro e a dirci che non siamo abbastanza, ci immobilizza. Finiamo per preferire la situazione spiacevole in cui ci troviamo, piuttosto che rischiare di sbagliare.
Affrontare la paura dei cambiamenti
La paura del cambiamento è normale. Ma la soluzione non può essere l’immobilismo.
In casi come questi può venirti utile la tecnica dei piccoli passi. In cosa consiste?
Invece che proiettare le tue fantasie e il tuo immaginario a cambiamento avvenuto, rischiando di spaventarti, cerca di vedere dove andrà messo il primo passo per cominciare a cambiare. Fatto il primo, penserai al secondo, e poi al terzo, e così via.
Tieni presente la meta, ma ancora di più chiediti qual è il più piccolo passo che ti muova in quella direzione, senza allontanarti troppo da dove sei ora, in modo da metabolizzare di volta in volta piccoli cambiamenti, quasi impercettibili.
Ogni passo aggiungerà qualcosa di nuovo rispetto a dove sei ora, ma non sarà troppo spaventoso da farti desistere e desiderare di non cambiare.
Se pensi di aver bisogno di un supporto in più, puoi rivolgerti a un professionista.
I nostri psicologi e psicoterapeuti sono disponibili ogni martedì dalle 18.00 alle 20.00, per una consulenza gratuita online.
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Riferimenti bibliografici
Nardone, G. (2009) Problem solving strategico da tasca. Firenze: Ponte alle Grazie
Il mio lavoro è orientato al futuro e alla valorizzazione delle risorse delle persone che si rivolgono a me, in ottica di totale collaborazione.
La Terapia a Seduta Singola per la paura di arrossire
“Arrossire è il colore della virtù” (Diogene)
Che cos’è la paura di arrossire?
L’“ereutofobia o eritrofobia” deriva dal greco éruthros cioè “rossore”. Consiste nel provare ansia e paura anticipatoria rispetto alla possibilità di diventare rossi in situazioni di socialità (ad esempio quando ci si trova a dover parlare in pubblico, a chiedere informazioni, ad affrontare un appuntamento importante…).
La paura di arrossire rientra tra le fobie specifiche sociali, che nel DSM V indicano una paura marcata o ansia provata da una persona rispetto ad una o più situazioni sociali in cui si è esposti al giudizio degli altri, con timore di essere valutati negativamente per questo.
Il problema causa disagio significativo dal punto di vista clinico nel funzionamento sociale e lavorativo della persona e persiste per almeno 6 mesi.
Come si manifesta l’ereutofobia?
Arrossire è una reazione naturale guidata dal nostro sistema nervoso simpatico.
Esso aumenta il flusso di sangue e la temperatura della pelle del viso, del collo e della parte superiore del corpo causando un cambiamento evidente del nostro colorito, che appare più rosso del solito.
Può manifestarsi quando ci sentiamo al centro dell’attenzione e proviamo emozioni positive oppure quando sperimentiamo emozioni negative come la vergogna, il senso di colpa o l’imbarazzo.
Sarà capitato a tutti di fare una “figuraccia” e di sentirsi avvampare improvvisamente.
Arrossire può farci sentire molto esposti al giudizio degli altri, che possono accorgersi di come ci sentiamo semplicemente guardandoci in viso.
A quel punto, ci sentiamo letteralmente “allo scoperto”, soprattutto se qualcuno ce lo fa notare, magari prendendoci in giro.
La paura di essere “sorpresi” ad arrossire in altre situazioni sociali può quindi diventare una costante preoccupazione e una vera e propria paura.
Oltre alle fastidiose sensazioni fisiche dovute all’ansia, infatti, si possono provare anche pensieri negativi di auto-svalutazione. Questi pensieri possono essere: “arrossirò e quindi penseranno tutti che sono stupido/a, che non valgo niente, che sono debole e incapace, nessuna persona mi vorrà come partner…”.
Abbiamo già parlato in altri articoli precedenti della definizione di “paura” (clicca qui se vuoi approfondire) e di come questa nostra emozione primaria possa essere protettiva da un lato, quando ci difende da un imminente e reale pericolo, oppure possa risultare limitante per noi e dannosa se invece finisce per bloccarci ed impedirci lo svolgimento delle nostre attività quotidiane.
Come viene gestita la paura di arrossire?
Molte persone prima di rivolgersi ad uno psicologo provano a fare qualcosa per gestire da soli il problema.
Una delle azioni che inizialmente può sembrare efficace per provare a gestire l’ereutofobia è quella di evitare tutte le occasioni sociali in cui si potrebbe rischiare di arrossire.
Questa scelta, che inizialmente può farci sentire al sicuro e protetti, alla lunga rischia di isolarci e di rendere difficile se non impossibile lo svolgimento delle nostre attività quotidiane.
Si evita quindi di andare a scuola o al lavoro, di uscire con gli amici, di esporsi nel parlare di fronte agli altri. Un’altra soluzione di solito adottata è quella di provare a nascondere il viso con sciarpe, occhiali grandi o alterarne il colore con trucco pesante e lampade solari.
Purtroppo, spesso questi tentativi di gestire il problema paradossalmente finiscono per peggiorarlo!
L’evitamento sociale ci chiude in una solitudine opprimente che ci impedisce di vivere normalmente e ci fa sentire ancora peggio.
Rinunciare inoltre a mostrare liberamente il nostro volto può farci sentire limitati, inadeguati e insicuri (oltre a rischiare di rovinare la pelle!).
Come liberarsi della paura di arrossire con la Terapia a Seduta Singola?
La paura di arrossire si può affrontare fin dalla prima seduta con uno dei nostri psicologi innanzitutto definendo insieme fin nei minimi dettagli il tuo modo soggettivo ed unico di vivere questo problema.
Si potrà quindi ragionare insieme su tutto quello che hai provato a fare per fronteggiare la paura di arrossire e sui risultati ottenuti: le cose sono effettivamente migliorate oppure sono peggiorate?
Infine, si potranno sperimentare già in seduta alcune nuove soluzioni da poter metter in pratica quotidianamente.
Una strategia utilizzabile fin da subito è provare a rivelare al proprio interlocutore che durante la conversazione si potrebbe arrossire, magari stemperando con una battuta.
Oppure cercare di spostare l’attenzione al di fuori di noi stessi quando parliamo con qualcuno.
Come? Prova a tornare all’inizio di questo articolo e a rileggere l’aforisma di Diogene che ho citato: hai mai pensato che a volte gli altri potrebbero non accorgersi del tuo rossore o addirittura pensare che sia una virtù e non un segno di debolezza?
E se invece di concentrarti su te stesso provassi a vedere se il tuo interlocutore inizia ad arrossire prima di te mentre parlate?
Ricordati che se invece vuoi provare ad affrontare la tua paura di arrossire con uno specialista, quest’anno il nostro team di “One session” ti offre la possibilità di una sessione gratuita di consulenza psicologica a seduta singola della durata di 30 minuti, ogni Martedì dalle 18:00 alle 20:00.
Per prendere appuntamento, scrivi a info@onesession.it o alle nostre pagine Facebook e Instagram.
Lasciaci un commento se ti va di farci sapere come stai provando a gestire la tua eritrofobia!
Riferimenti bibliografici
American Psychiatric Association. (2013). Diagnostic and statistical manual of mental disorders (5th ed.)
Drummond, P. D., Shapiro, G. B., Nikolić, M., & Bögels, S. M. (2020). Treatment Options for Fear of Blushing. Current psychiatry reports, 22(6), [28]. https://doi.org/10.1007/s11920-020- 01152-5
Nardone, G. (2000). Oltre i limiti della paura. Bur, Rizzoli.
Veale, D. (2003). Treatment of social phobia. Advances in Psychiatric Treatment, 9(4), 258-264. doi:10.1192/apt.9.4.258
Sono una Psicologa iscritta all’Albo A degli Psicologi del Lazio e all’Istituto ICNOS: Scuola di Psicoterapie Brevi Sistemico-Strategiche.
Nel mio lavoro integro le mie competenze multidisciplinari per offrire ai miei clienti soluzioni personalizzate ed aiutarli a raggiungere i propri obiettivi in tempi brevi. Utilizzo la TSS per ottenere il massimo da ogni singolo incontro.
Come superare un trauma
Come superare un trauma? Quando possiamo definire un’esperienza come traumatica? Cosa ci mantiene incastrati in quel limbo tra ciò che era prima e ciò che è stato dopo il trauma?
Cos’è un trauma?
Se consultiamo un vocabolario, la parola trauma verrà definita come lesione improvvisa e violenta. A livello psichico ci si riferisce ad un turbamento determinato da un episodio dotato di una notevole carica emotiva.
Il trauma apre una profonda ferita a livello psichico, e fa da spartiacque a quello che per la persona che lo ha vissuto sarà il “prima” e il “dopo”.
Il trauma è causato da un evento con una grande carica emotiva, dicevamo. Si è soliti pensare che vi siano degli eventi oggettivamente traumatici, ed eventi invece che non possano causare alcun trauma.
Non è così. Un’esperienza viene definita traumatica in base agli effetti che produce nella persona.
Il disturbo post traumatico da stress
Secondo il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali DSM-5, il disturbo post traumatico da stress può insorgere in seguito ad eventi stressanti tali da comportare una gravità oggettiva estrema, con minaccia per la vita o l’integrità fisica propria o di altri (Cagnoni e Milanese, 2009).
Il disturbo post traumatico da stress può insorgere sia che questi eventi siano vissuti direttamente, sia che siano vissuti come testimoni, ma può anche bastare il semplice venire a conoscenza di eventi accaduti a terzi.
Le caratteristiche del disturbo post traumatico da stress includono i seguenti vissuti:
- Ricordi intrusivi dell’evento traumatico
- Ricorrenti incubi riguardanti l’evento traumatico o le emozioni ad esso collegate
- Episodi di flashback, in cui la persona sente o agisce come se l’evento traumatico si stesse ripresentando
- Intensa sofferenza psicologica in presenza di eventi o fattori che possono ricordare l’evento traumatico
- Reazioni fisiologiche intense a seguito di fattori scatenanti che possono ricordare l’evento traumatico
Vivere nel trauma
È chiaro come tutti i sintomi tipici del disturbo post traumatico da stress siano estremamente spiacevoli ed invalidanti.
Per questo i tentativi delle persone che si trovano in una condizione simile sono tutti volti ad evitare di dover avere a che fare con pensieri, situazioni e sensazioni che hanno a che fare col trauma vissuto.
Spesso però, sono proprio questi tentativi di liberarsi dal problema che lo mantengono vivo, o addirittura lo esacerbano.
Comportamenti che ti tengono incastrato nel trauma
- Cercare controllare i propri pensieri. La persona che ha vissuto l’esperienza traumatica cerca in tutti i modi di dimenticare il trauma vissuto cercando di non pensare. Ma “pensare di non pensare è pensare ancora di più”: cercando di scacciare pensieri e immagini legate al trauma, la persona si vincola ad un circolo vizioso paradossale, finendo per intensificare proprio ciò che si vuole estinguere.
- Evitare tutte le situazioni potenzialmente collegare all’evento traumatico. Si comincerà ad evitare il luogo in cui è avvenuto il trauma, le persone ad esso collegate, fino ad evitare situazioni ed eventi che in un qualche modo possono essere ad esso associate. Quale effetto si otterrà? Questi evitamenti arriveranno a confermare la pericolosità di situazioni che non sono in alcun modo collegate al trauma. La paura incrementerà e la persona finirà per non credere più nelle proprie risorse, aumentando le proprie paure e rendendo il disturbo sempre più invalidante.
- Richiesta di aiuto e rassicurazioni. La persona sente il bisogno di essere sempre accompagnata, in modo da avere con sé qualcuno che possa intervenire in caso di pericolo o di crisi. Il fatto di affidarsi ad altri non farà però che confermare la propria incapacità di affrontare in autonomia le situazioni temute, rendendo la persona dipendente dagli altri.
La scrittura per superare il trauma
Uno strumento molto potente per riuscire a superare le conseguenze psicologiche di un’esperienza traumatica è la scrittura.
Narrare ogni giorno per iscritto, come se fosse la prima volta, l’evento traumatico, andando nei dettagli di ricordi, sensazioni ed emozioni che l’episodio ha scatenato va esattamente contro quello che chi ha vissuto un trauma cerca di fare: eliminare i ricordi dolorosi.
Abbiamo visto però che il tentativo di eliminarli non fa altro che incrementarli. Dovremo quindi agire seguendo una logica diversa, cioè passandoci in mezzo volontariamente.
Rivivere quotidianamente per iscritto l’esperienza traumatica (senza rileggere) farà in modo che la persona possa esternalizzare i ricordi e le sensazioni che quotidianamente la affliggono, permettendole di prenderne le distanze, mettendo fuori di sé ciò che di solito è dentro.
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Riferimenti Bibliografici
Cagnoni F., Milanese R. (2009). Cambiare il passato. Superare le esperienze traumatiche con la terapia strategica. Firenze: Ponte alle Grazie.
Il mio lavoro è orientato al futuro e alla valorizzazione delle risorse delle persone che si rivolgono a me, in ottica di totale collaborazione.
La Terapia a Seduta Singola per la paura della morte
E’ possibile superare la paura della morte con una Terapia a Seduta Singola? Scopriamolo nell’articolo di oggi.
Il significato della morte
Ciascuna società si è occupata, nel suo tempo, della morte con riti e tradizioni diversi da una cultura all’altra.
Il concetto di morte è parte integrante del concetto di vita. È il riflesso stesso del culto della vita.
Eros e Thanatos hanno ispirato poeti, artisti, pensatori. Amore e morte.
“Forte come la morte è l’amore, tenace come gli inferi è la passione” recita il Cantico dei Cantici nella tradizione biblica.
La paura della morte accompagna l’uomo da sempre.
Ha provato a spiegarcelo Aristotele: “La cosa più paurosa è la morte. Essa è infatti il nostro termine”.
Hanno provato a spiegarlo le religioni. Da qui l’idea della vita dopo la morte, della reincarnazione e di tante altre credenze affascinanti e mistiche.
Hanno provato a spiegarlo la filosofia e la scienza attraverso miti e teorie.
La paura della morte riguarda molti individui in momenti particolari della loro esistenza.
La pre-adolescenza in cui si inizia a prendere coscienza del fatto che la morte è parte del percorso di vita di ciascuno.
La gravidanza, momento in cui si teme per la propria vita e quella del bambino.
La vecchiaia in cui si avverte che il tempo di lasciare andare è vicino.
La perdita traumatica di persone amate.
La morte richiama l’ignoto, l’ineluttabilità, la mancanza di controllo. Possiamo temere per la nostra vita o quella di chi amiamo.
I balsami che hanno addolcito la paura di morire sono stati nel tempo la religione, il culto dei morti, il pensiero filosofico, l’arte, la cultura, la poesia.
La paura della morte viene esorcizzata e addomesticata dall’uomo attraverso il potere, la guerra, il decidere della vita e della morte stessa.
La paura della morte in psicologia
Molte persone hanno paura di morire. Di certo non sempre questa paura assume una connotazione patologica.
In psicologia, la paura della morte è un disturbo spesso associato alla depressione, ai disturbi di ansia, ai disturbi da ansia di malattia, agli attacchi di panico.
Chi soffre di ansia o di panico, infatti, spesso ha sperimentato questa sensazione.
La paura di morire diventa patologica quando crea ansia e/o pensieri ossessivi. Quando limita, in parte o del tutto, la vita e le abitudini delle persone.
L’irrazionalità e la mancanza di controllo, associate a questa paura, ne rappresentano gli elementi caratteristici ed esasperanti. La perdita dei legami, di ciò che abbiamo costruito nel tempo, è un pensiero che crea angoscia.
Il momento storico, sociale e sanitario che stiamo vivendo ha visto e vede questa paura protagonista nel vissuto di molti.
Chi di noi nel periodo acuto della pandemia non ha pensato almeno una volta alla morte?
Abbiamo visto stare male persone care. Siamo stati bombardati da immagini di malattia e morte. Morti senza corpi, senza riti che ne celebravano il trapasso. Morti senza la condivisione degli affetti e della famiglia.
Un tema dunque molto attuale in questo periodo di incertezza ed emergenza.
La paura della morte nasce con la nascita dell’uomo. È un tema esistenziale. L’uomo, da un certo momento in poi (dai 4 – 5 anni di vita), inizia a fare i conti con la perdita di persone vicine e care e dunque a riflettere e ragionare su di essa.
Il percorso di accettazione della morte, come condizione inevitabile, contribuisce al percorso di crescita. Tuttavia fattori ambientali, fisiologici e psicologici possono anche contribuire ad alimentare questa paura e molto spesso a costruire fobie ben strutturate.
Quando la paura diventa invalidante e condizionante, sarà possibile scontrarsi con un disturbo di personalità.
Terapia a seduta singola e la paura della morte
La Terapia a Seduta Singola si focalizza sui bisogni urgenti della persona.
Manovre e interventi che possono, anche in un solo incontro, rendere utile e concreto l’intervento del professionista.
Soluzioni su misura, capaci di rendere possibile il cambiamento anche in una sola seduta.
Sarà poi la persona a valutare se pensa di poter affrontare da sola la difficoltà che lo ha portato in terapia oppure scegliere di varcare nuovamente quella “porta” che resterà sempre aperta.
La paura spinge la persona a mettere in atto comportamenti che altro non fanno che alimentare il problema. Il disturbo diventa così più strutturato e il cambiamento più difficile da realizzare.
“Guardare in faccia” la paura può aiutare a ridimensionare l’angoscia e l’ansia che essa provoca.
Quali sono le tue paure? Di cosa potresti morire o di cosa potrebbero morire le persone che ami?
Bene. Potresti appuntarlo su un diario, la mattina appena sveglio e la sera, finita la giornata, spuntare quale di quelle paure si è realizzata.
Metterai quella spunta o l’avrai “spuntata”?
Le paure possono essere superate anche da soli. Molto spesso però questo può essere molto difficile e allora non bisogna esitare a chiedere l’aiuto di un professionista. Varcare la porta per ritrovare la propria strada.
Ogni Martedì dalle 18:00 alle 20:00 gli psicologi del team “One session” sono a tua disposizione per una sessione gratuita di consulenza psicologica a seduta singola di 30 Minuti.
Per maggiori informazioni, puoi inviare una email a info@onesession.it o visitare le nostre pagine Facebook o Instagram.
Bibliografia e sitografia:
Cannistrà F., Piccirilli F. (2021). Terapia Breve Centrata sulla Soluzione. Roma: EPC Editore https://www.lostudiodellopsicologo.it/disturbi/paura-di-morire-scardinarla-con-la-terapia-breve/
Psicologa, Mediatrice Familiare, Esperta in Scienze Forensi
Pensieri ossessivi: come liberarsene?
I pensieri ossessivi sono pensieri ricorrenti, rimuginii continui, frequenti ed invasivi.
Hai presente quando ti dicono: smettila di pensarci, rischi di farla diventare un’ossessione?
Ecco. Non siamo molto lontani dalla realtà di chi, come te, si è accorto di avere pensieri costanti che invadono la mente e la occupano per un tempo decisamente eccessivo.
Si tratta di pensieri ossessivi e se accompagnati anche da compulsioni, potrebbero far parte di un quadro più ampio di DOC, un Disturbo ossessivo compulsivo!
Di che stiamo parlando esattamente?
Ti spiego un po’ meglio quello a cui mi sto riferendo, senza che i spaventi e inizia a pensare che il tuo rimuginare continuo sia a tutti gli effetti un’ossessione.
Ce ne essa di acqua sotto di ponti, però è bene conoscere la differenza.
Il pensiero ossessivo viene definito come “l’irrefrenabile bisogno di mettere in atto pensieri in modo ripetitivo e ritualizzato, sovrastando ogni altra attività” (Nardone, 2013)
Le ossessioni sono pensieri o immagini ripetuti e costanti che invadono la mente e che percepisci come intrusive e fastidiose ma cui non sei in grado di resistere. Ci pensi costantemente, occupando la maggior parte del tuo tempo (paura dello sporco, fare del male agli altri, l’ordine, paura della morte…)
Ciò a cui devi fare attenzione è che ciò che distingue un semplice rimugino da un pensiero ossessivo è il fatto che invalida il tuo funzionamento negli ambiti di vita, occupando tutto il tuo tempo. Sono immagini intrusive e cicliche a cui se rispondi non riesci a sottrarti.
Cosa fai per risolvere il problema?
- Eviti ciò che ti spaventa: evitare la paura non la risolverà; al contrario incrementerà la tua convinzione di non essere in grado di superare quell’ostacolo. Più eviti e più eviterai.
- Cerchi rassicurazioni: chiedi aiuto a chi ti sta vicino perché da solo non pensi di farcela oppure ti lamenti di ciò che non va con chi ti sta intorno. Eppure anche in questo caso, sono sicura che il chiedere aiuto e rassicurazione non ha funzionato. Sbaglio?
- Rispondi al pensiero: rispondi a pensieri che non hanno risposta, ma un infinità di risposte possibili. Scateni così un circolo vizioso in cui rimani intrappolato.
Cosa puoi fare di diverso?
- Frena le richieste di aiuto!
Ogni volta che chiedi aiuto confermi a te stesso da un lato che sei circondato da persone che ti vogliono bene, dall’altro di non essere in grado di farcela, che non sei capace e il tuo senso di efficacia diminuisce.
Pensa che ogni volta che chiedi aiuto ricevi questo duplice messaggio.
- Basta evitare: più eviti e più confermi a te stesso la pericolosità della situazione e di non essere in grado di affrontarla.
So che smettere da un giorno all’altro di evitare certe cose sembra impossibile, ma il consiglio è questo: comincia dalla cosa più piccola, facendo il primo piccolo passo.
- Schiocca le dita: ogni volta che senti arrivare il pensiero, anziché dargli corda, schiocca le dita e grida a gran voce il tuo nome accompagnato dal “torna qui” – Beatrice, torna qui- Riporta la tua mente al qui e ora, lasciando andare il pensiero intrusivo.
Ci vorrà un po’ affinché tu abbia successo perché rimuginare per te è diventata un abitudine.
Non puoi smettere di pensare, ma puoi smettere di rimuginare, schioccando le dita.
Ti faranno male le dita all’inizio e soprattutto lo farai più volte del necessario perché il pensiero sarà li pronto a tormentarti. Inoltre spesso capiterà che te lo dimentichi; non importa, fallo appena riesci.
Pensi di non farcela?
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Riferimenti bibliografici
Bartoletti, A (2019). Pensieri Brutti e Cattivi. Ossessioni tabù: come superarli. Francoangeli.
Nardone, G. Portelli, C. (2013). Ossessioni, Compulsioni, Mani. Capirle e sconfiggerle in tempi brevi. Ponte delle grazie.
Sono una psicologa che si occupa di consulenze brevi e di TSS: il mio obiettivo è ridurre i tempi della terapia e massimizzare l’efficacia della seduta, offrendo un sostegno focalizzato e concreto per affrontare sia le piccole che le grandi difficoltà della vita
Come prendere una decisione?
Ti sei mai chiesto come prendere una decisione?
Prendere decisioni è qualcosa che tutti fanno e hanno fatto nella vita, eppure questo non lo rende più facile.
C’è chi ha paura delle conseguenze.
Chi si trova a dover scegliere tra opzioni ugualmente positive o, peggio, ugualmente negative.
E infine c’è chi, dovendo prendere una decisione, si trova in una situazione talmente complessa da non riuscire a capire che cosa vuole davvero.
Le possibilità sono pressoché infinite.
Ma allora cosa possiamo fare? Come si può prendere una decisione?
Facciamo un po’ di chiarezza
La prima cosa da fare è distinguere tra decisioni difficili, decisioni critiche e decisioni complesse.
Le decisioni difficili sono quelle che, oltre ai ricercati risultati positivi, comportano anche delle conseguenze negative.
La difficoltà della scelta, in questo caso, è data proprio dalle emozioni suscitate da queste conseguenze indirette.
Le decisioni critiche sono, invece, quelle in cui ci si trova di fronte a diverse possibilità, tutte positive o negative, e la difficoltà consiste proprio nel capire quale sia la scelta più vantaggiosa, o, nel secondo caso, la meno svantaggiosa!
Infine le decisioni complesse sono quelle che comportano molteplici ragionamenti logici ed organizzativi.
In questi casi è proprio l’intricato processo del ragionamento che rischia di intrappolare la persona in un labirinto d’interrogativi, in cui ogni risposta porta una nuova domanda.
Quindi, cosa fare?
La prima cosa da fare è identificare ed evitare tutti quei comportamenti che, se in un primo momento sembrano aiutarci nel decidere, in realtà poi ci rinchiudono in un labirinto di dubbi e continue domande.
Per esempio, come abbiamo detto, quando ci si trova di fronte ad una decisione difficile, la difficoltà è data dalle conseguenze indirette della scelta e, in particolare, dalle emozioni che queste fanno emergere.
Uno degli errori più comuni, in questi casi, è il tentativo di controllare il processo decisionale, che porterà la persona a cercare di controllare anche gli eventi e le persone coinvolte, spesso in modo ossessivo.
Un tentativo che risulterà fallimentare perché si scontrerà, inevitabilmente, con l’oggettiva difficoltà di poter controllare tutto e tutti, portando la persona a cadere preda dei dubbi e dell’incertezza.
Diversamente, invece, di fronte ad una decisione critica, la difficoltà è quella di capire quale azione sia la più vantaggiosa tra i vari scenari positivi possibili.
In questi casi l’errore comune porta la persona a ripercorrere ripetutamente tutte le fasi del processo decisionale con il rischio innescare un circolo vizioso, in cui si ricontrolla compulsivamente ogni passaggio, senza mai arrivare a prendere una decisione.
Nell’ultimo caso, infine, di fronte ad una decisione complessa la difficoltà è data proprio dal districarsi nei ragionamenti logici.
In queste situazioni il soggetto è portato a ricercare continue spiegazioni e valutazioni oggettive, con il rischio di ritrovarsi invischiati in una compulsione mentale che genera continui dubbi sulla validità della decisione presa.
Il tentativo di controllo ossessivo, la revisione compulsiva ed il rimuginio continuo sono i tre comportamenti disfunzionali che rischiano di intrappolarci in un labirinto di domande e dubbi dal quale può essere difficile uscire.
Conclusioni
Identificare il tipo di decisione da prendere e le tentate soluzioni disfunzionali ti permetterà di gestire il processo decisionale in maniera più serena e ti eviterà di cadere nei tranelli tipici di queste situazioni.
Qualunque sia la tua scelta, infine, ricorda che nessuna è definitiva e che ci sarà sempre modo di modificare il tuo percorso di vita.
Ovviamente, se pensi di aver bisogno di un aiuto maggiore, puoi rivolgerti ad uno specialista o accedere al servizio del One Session Center, ogni martedì sera dalle 18:00 alle 20:00, contattandoci alla pagina facebook OneSession.it
Riferimenti bibliografici
Bohart, A. C. & Tallman, K. (1999). How Clients Make Therapy Work: The Process of Active Self-Healing. Washington, DC: American Psychological Association.
Nardone, G. (2014). La paura delle decisioni. Come costruire il coraggio di scegliere per sé e per gli altri. Milano: Ponte alle Grazie.
Nardone, G., De Santis, C. (2011). Cogito ergo soffro. Quando pensare troppo fa male. Milano: Ponte alle Grazie
Nardone G.(2014). La paura di decidere. Milano. Ponte alle Grazie
https://www.lostudiodellopsicologo.it/ossessioni/come-smettere-di-pensare-e-prendere-una-decisione/ (Consultato in data 09/09/2021)
https://www.lostudiodellopsicologo.it/ossessioni/quando-laltro-ha-gia-deciso-prendere-decisioni-importanti-a-fronte-delle-decisioni-altrui/ (Consultato in data 09/09/2021)
La Terapia a Seduta Singola per la paura degli aghi
Che cosa si intende per “belonefobia” o “paura degli aghi”?
La “paura” rappresenta di per sé un’emozione fondamentale per il nostro adattamento al contesto circostante.
Essa ci mette in allarme di fronte a un pericolo imminente ed aumenta la nostra capacità di farvi fronte.
Quando tuttavia una persona entra in uno stato di allarme nei confronti di una situazione reale o immaginata in modo limitante per la propria vita, la paura rischia di diventare una gabbia in cui si rimane intrappolati.
Non amare particolarmente la vista o la sensazione di venir trafitti da un ago è piuttosto comune.
Ciò non rappresenta di per sé un problema, se ci consente comunque di condurre la nostra vita senza limitazioni.
Se però questa paura diviene sproporzionata rispetto al rischio reale, al punto da non riuscire più a controllare questa emozione e a rimanerne bloccati, potremmo trovarci di fronte ad una fobia specifica.
La “belonefobia” ( dal greco “ago” e “paura”), per poter essere ritenuta tale deve essere sperimentata dalla persona in modo marcato e persistente per almeno 6 mesi di fronte ad una specifica situazione o oggetto e scatenare una reazione immediata di ansia e paura, che compromette la propria vita (DSM-5).
Questa fobia può riguardare ad esempio la vista degli aghi, la sensazione di esserne trafitti o anche l’avvicinarsi a contesti dove si possono trovare (ad es. studi medici, ospedali, negozi di tatuaggi…).
Quali sono le conseguenze?
Ogni persona vive la belonefobia in modo del tutto soggettivo.
Tra i sintomi fisici più frequenti, si possono riscontrare aumento del battito cardiaco, sudorazione improvvisa fino ad arrivare a nausea e svenimento di fronte agli aghi.
Altre persone sperimentano pensieri pervasivi di preoccupazione intensa, angoscia e reazioni di fuga.
Di fronte a questo limitante problema, ciascuno può quindi trovare il suo modo per poter ridurre al minimo questo disagio.
La soluzione maggiormente adottata per la belonefobia è l’evitamento di tutte quelle situazioni che possono mettere a rischio di entrare a contatto con gli aghi.
Questo si può esprimere ad esempio con la scelta di non sottoporsi a indagini, controlli e terapie mediche (come le analisi del sangue o andare dal dentista) arrivando anche a rifiutare interventi e ricoveri necessari per la propria salute.
Uno studio recente nel Regno Unito ha riscontrato ad esempio che nella popolazione adulta oggetto dello studio, la belonefobia potrebbe spiegare circa il 10% dei casi di esitazione al vaccino COVID-19 (Freeman D. et al (2021).
Un’altra modalità adottata per provare a gestire da soli la belonefobia è condividere con amici e parenti i propri vissuti.
Paradossalmente, parlare in continuazione del problema non fa che ingigantirlo ed amplificarne le conseguenze negative.
Anche pensare ripetutamente all’evento stressante in solitudine rischia di farci affondare nelle sabbie mobili della paura ancora di più.
Come può aiutarti la Terapia a Seduta Singola ad affrontare la paura degli aghi?
Se leggendo questo articolo hai pensato “ehi, ma anche a me succede! Sono proprio io!” sappi che la Terapia a Seduta Singola può risultare efficace nella risoluzione della belonefobia.
Fin dalla prima seduta lo psicologo esplorerà con te il tuo problema, cercando di identificare in quali circostanze specifiche e con quali modalità peculiari si presenta.
Lo psicologo potrà poi aiutarti ad individuare e sperimentare delle strategie alternative per fronteggiarlo.
A diverse persone può risultare funzionale iniziare ad esporsi in maniera graduale alla propria paura.
L’uso di immagini, video o prove sul campo può aiutare ad abbassare il livello di ansia e ad aumentare la propria capacità di sentirsi a proprio agio nel contesto inizialmente evitato.
Se hai trovato un modo efficace per vincere la tua belonefobia e hai voglia di condividerla con noi, raccontaci la tua esperienza nei commenti.
Ricordati inoltre che se preferisci affrontare la tua paura degli aghi con uno specialista, il team di psicologi di “One session” ti offre la possibilità di una sessione gratuita di consulenza psicologica a seduta singola della durata di 30 minuti, ogni Martedì dalle 18:00 alle 20:00.
Per prenotare, puoi inviare una email a info@onesession.it o contattarci sulla nostra pagina FB OneSession.it
Riferimenti bibliografici
Freeman D. et al (2021). Injection fears and COVID-19 vaccine hesitancy. Psychological Medicine 1–11.
McLenon J., Rogers M. (2019). The fear of needles: A systematic review and meta-analysis. Journal of Advanced Nursing 2019, 75 (1): 30-42. 301
Nardone, G. (2000). Oltre i limiti della paura. Milano: BUR Rizzoli.
Sono una Psicologa iscritta all’Albo A degli Psicologi del Lazio e all’Istituto ICNOS: Scuola di Psicoterapie Brevi Sistemico-Strategiche.
Nel mio lavoro integro le mie competenze multidisciplinari per offrire ai miei clienti soluzioni personalizzate ed aiutarli a raggiungere i propri obiettivi in tempi brevi. Utilizzo la TSS per ottenere il massimo da ogni singolo incontro.
La terapia a seduta singola per l’acrofobia
Immagina di essere sul piano più alto di un grattacielo di New York e guardare la distesa attorno a te: le macchine sono così lontane da sembrare formiche, i pedoni si vedono a stento.
Chi soffre di acrofobia può sentirsi molto a disagio e provarne i sintomi tipici anche solo immaginando una situazione del genere.
Acrofobia: cos’è
L’acrofobia, o paura delle altezze, si manifesta con paura e ansia marcate nelle situazioni in cui si è lontani dal contatto col suolo.
Queste situazioni possono essere l’ultimo piano di un grattacielo, appunto, o un trekking in montagna, o ancora salire su una scala a pioli.
Nel momento in cui perde il contatto con il suolo, chi soffre di acrofobia sviluppa una serie di sintomi tipici: sudorazione eccessiva, battito cardiaco accelerato, sensazione di nausea e vertigini e voglia di fuggire.
Il timore di chi soffre di acrofobia è quello di poter cadere, di essere risucchiato nel vuoto o anche di avere l’impulso a buttarsi giù autonomamente.
Questo tipo di fobia non va confusa con le vertigini.
Sebbene molti sintomi possano essere simili, come i giramenti di testa o il disorientamento, le vertigini hanno origine organica. L’acrofobia ha un’origine tutta psicologica.
Le soluzioni che complicano il problema
Se “le hai provate tutte” per superare l’acrofobia senza successo, molto probabilmente è proprio perché tutto ciò che hai provato è ciò che ha mantenuto in vita il problema finora!
Si possono infatti individuare alcuni comportamenti tipici in chi soffre di acrofobia (e di fobia in generale) che pur sembrando utili, non fanno che mantenere il problema.
Elenchiamoli brevemente, in modo che tu possa riconoscerli.
- Evitare tutte le situazioni dove non hai “i piedi per terra”.
L’evitamento è una forma di prevenzione che ci preserva dalle situazioni spiacevoli e spaventose.
Purtroppo l’evitamento si rivela una trappola perché se effettivamente siamo rassicurati dal fatto di tenerci lontani dalle situazioni temute, così facendo stiamo solo validando la pericolosità della situazione evitata, e la nostra incapacità di fronteggiarla.
- Controllare le proprie reazioni ed imporsi di non aver paura.
Così facendo si cerca di mettere sotto un controllo volontario delle manifestazioni che sono totalmente spontanee, finendo per ottenere l’effetto totalmente opposto.
La terapia a seduta singola per l’acrofobia
Anche un solo colloquio può rivelarsi molto utile per iniziare a superare l’acrofobia. Attraverso un’attenta descrizione del problema, il terapeuta ti aiuterà ad individuare i comportamenti che lo stanno mantenendo.
Il lavoro sarà focalizzato a rintracciare, amplificare e utilizzare le tue risorse indirizzandole verso il miglioramento e la risoluzione della situazione.
Sei interessato alla Terapia a Seduta Singola? Puoi rivolgerti ai nostri psicologi e psicoterapeuti, disponibili ogni martedì dalle 18.00 alle 20.00, per una consulenza gratuita online. Scrivi sulla pagina Facebook One Session.it
Riferimenti bibliografici
Nardone, G. (2000). Oltre i limiti della paura. BUR Biblioteca Univ. Rizzoli
https://www.treccani.it/enciclopedia/acrofobia_%28Enciclopedia-Italiana%29/
Il mio lavoro è orientato al futuro e alla valorizzazione delle risorse delle persone che si rivolgono a me, in ottica di totale collaborazione.
Sono omosessuale? Il dubbio ossessivo di essere gay
Oggi sappiamo che l’omosessualità è semplicemente una variante non patologica della sessualità umana.
Ma sappiamo anche che non esiste un modo univoco di essere gay o lesbica.
I confini si fanno ancora più complessi se si pensa alle tendenze bisessuali o asessuali.
In una situazione così variegata, come capire qual è il proprio orientamento?
Orientamento e identità sessuale
Iniziamo con il dire che l’orientamento sessuale è una caratteristica tendenzialmente stabile che indica verso chi è diretta l’attrazione sessuale.
- Verso le persone dell’altro sesso (eterosessualità)
- Verso le persone dello stesso sesso (omosessualità)
- Verso le persone di entrambi i sessi (bisessualità)
- Verso nessuno (asessualità)
Diversamente, l’identità sessuale è l’ esperienza psicologica del proprio orientamento sessuale vissuta come componente della propria identità.
Se l’identità definisce chi siamo e ci consente di rispondere alla domanda “ Chi sono io?”, l’identità sessuale ci permette di rispondere alla domanda “Chi mi piace? Da chi sono attratto?” e definirci in base a questo.
Quando orientamento ed identità sessuale sono riconosciuti ed accettati, la persona vive, in maniera più o meno serena, la propria sessualità.
Quando questi due aspetti non sono “allineati” la persona può sentirsi confusa e disorientata, fino ad avere dei dubbi profondi sulla propria identità.
Il pensiero ossessivo
Nonostante gli enormi progressi fatti dalla società, spesso l’eterosessualità è considerata ancora come l’unico orientamento “normale”.
L’omosessualità è ritenuta una condizione negativa, spesso soggetta a pregiudizi e discriminazioni.
Questa immagine sociale può essere interiorizzata dalla persona e condizionare, in modo più o meno evidente e consapevole, pensieri e atteggiamenti.
Così, magari partendo da un evento da nulla, uno sguardo o un pensiero avuto in passato, il dubbio s’insinua. Inizia a girarti in testa lo stesso pensiero ossessivo: sono gay?
Scopri che la domanda “Come capire se sono gay?” è una delle più digitate sul motore di ricerca Google.
C’è addirittura una guida di Wikihow su come capire se sei gay o, ancora peggio, come capire se lo è un tuo amico.
Consigli, suggerimenti e osservazioni che, più che chiarirti le idee, ti confondono e rendono le tue certezze sempre più insicure e vacillanti.
Quella che era una semplice domanda fatta per conoscerti e capirti, diventa un pensiero ossessivo che mette in dubbio la tua stessa identità!
Ma allora qual è il problema e come faccio ad uscirne?
Nel momento in cui ti domandi ripetutamente “Come faccio ad essere sicuro di non essere gay?” potresti essere finito in una dinamica di pensiero ossessivo.
Dinamica molto lontana dalla fase di scoperta della tua identità sessuale.
Questo non vuol dire che i tuoi dubbi non vadano ascoltati. Spesso il problema non è se sei gay o meno, ma il pensiero ossessivo legato all’idea che hai della sessualità stessa.
La prima cosa da fare in questi casi è smettere di metterti alla prova: basta ricerche su internet, video informativi o articoli che propongono le soluzioni più disparate.
Tutto questo non fa altro che alimentare il pensiero ossessivo, rinforzando i dubbi e confondendoti la mente.
La sessualità non è una questione di bianco e nero e il logorio del pensiero ossessivo ci fa costruire un labirinto mentale nel quale possiamo solo perderci.
Inizia a dar pace ai tuoi pensieri e smetti di cercare forzatamente delle risposte che spesso servono solo ad accrescere dubbi ed incertezze, senza fare alcuna chiarezza.
Se sentissi il bisogno di parlare con uno specialista, non esitare a chiedere aiuto.
Ogni Martedì dalle 18:00 alle 20:00 gli psicologi del team “One session” sono a tua disposizione per una sessione gratuita di consulenza psicologica a seduta singola di 30 Minuti.
Per maggiori informazioni, puoi inviare una email a info@onesession.it o visitare la nostra pagina FB OneSession.it
Riferimenti Bibliografici
https://nicolanardelli.it/psicologo/identita-e-orientamento-sessuale (consultato in data 02/06/2021)
https://www.lostudiodellopsicologo.it/ossessioni/come-capire-se-sono-gay/ (consultato in data 02/06/2021)
Nardone G. (2011), Cogito ergo soffro. Firenze: Ponte alle Grazie.
Ansia da esami? Ecco gli errori tipici che probabilmente compi!
È maggio, l’estate si sta avvicinando, si comincia a respirare aria di vacanza.
Ma c’è una categoria di persone che vive questo mese con ansia e tensione.
Parliamo degli studenti che a breve dovranno affrontare la sessione estiva, o l’esame di maturità.
Questi vedono il tempo scorrere velocemente mentre sono ancora sommersi di argomenti da ripassare o iniziare a studiare.
Nell’articolo di oggi andremo ad analizzare alcuni degli errori più comuni che uno studente in ansia per gli esami commette, e forniremo delle indicazioni per affrontare questo periodo al meglio.
Intrappolarsi nel perfezionismo
L’ansia per gli esami può essere accompagnata, ed esacerbata, dall’esigenza di dover studiare tutto perfettamente.
Se dedizione ed impegno sono caratteristiche auspicabili in uno studente, portate all’estremo diventano fonte di problemi.
Il tempo dedicato all’organizzazione, programmazione ed esecuzione dei compiti impegna lo studente perfezionista per la maggior parte del tempo.
Egli finirà per intrappolarsi in questa ragnatela del perfezionismo sempre più fitta. Ci sarà sempre, infatti, un compito successivo per cui doversi preparare al meglio.
L’esito sarà quello di una costante ansia, che porterà a mano a mano alla rinuncia di attività ricreative e ludiche.
Questo tipo di ansia potrà arrivare ad esprimersi anche con attacchi di panico, crisi di pianto e somatizzazioni.
Come affrontare l’ansia da perfezionismo?
Allenati a sbagliare! Inserisci nella tua routine quotidiana un momento in cui, volontariamente, inserire degli errori in quello che stai studiando. Così facendo imparerai a regolare le tue reazioni di fronte agli sbagli e acquisirai un controllo maggiore su eventuali errori che ti capiterà di commettere in futuro.
Evitare (e confermare di essere impreparati)
Che si sia spinti dal perfezionismo o dall’ansia per l’eventualità di fare brutta figura e bloccarsi durante l’esame, il “salto dell’appello” è uno sport frequentemente praticato dagli studenti universitari.
L’idea che tanto ci possa essere un’ulteriore possibilità tranquillizza apparentemente gli studenti che potranno così placare la propria ansia e paura di essere impreparati, convincendosi che arriveranno all’appello successivo con maggiore sicurezza.
Ma funziona?
Niente affatto.
L’evitamento è una dei tentativi di liberarsi dell’ansia più messi in atto in assoluto. I suoi effetti sono però controproducenti.
Più evitiamo, infatti, e più ci stiamo confermando di non essere in grado di affrontare la situazione che ci crea ansia. Questo farà sì che all’appello successivo non ci sentiremo affatto più pronti.
Che fare quindi?
Evita di evitare!
Anche se non ti senti sufficientemente pronto per l’appello imminente, mettiti alla prova. Piuttosto, rifiuta il voto. Non vedere il brutto voto come un fallimento, ma come l’occasione di imparare dove e cosa puoi migliorare.
Se invece eviti per paura di bloccarti, arrossire, balbettare, quello che puoi fare è “dichiarare il tuo perturbante segreto”.
Cosa significa?
Se sei una persona che, in situazioni di ansia, tende ad arrossire o balbettare quando interrogata, fallo presente al tuo esaminatore! Negare le proprie fragilità le rende ingestibili, mentre dichiararle farà in modo di annullare i loro effetti negativi.
Parlare sempre e solo della tua ansia
Se stai cercando di placare la tua ansia da esami sfogandoti costantemente con chi ti circonda, sappi che ti stai dando la zappa sui piedi da solo!
Sfogarsi fa sentire la persona in ansia apparentemente svuotata dalla tensione. In realtà, prova a farci caso, l’effetto è opposto.
Lo sfogo funziona con l’ansia come un fertilizzante per una pianta infestante: la fa crescere e prendere più spazio di quanto meriterebbe!
Se ti sei reso conto che effettivamente ami parlare di quanto sei in ansia, ecco l’indicazione giusta per te: la congiura del silenzio.
D’ora in poi parla di qualsiasi argomento con chiunque tu voglia, tranne che della tua ansia per gli esami!
Buttando la tua ansia fuori di te stai delegando agli altri la gestione della stessa. È invece di imparare a gestirla, e non a subirla.
Se ritieni di avere bisogno di un aiuto in più, prendi in considerazione l’idea di chiedere aiuto ad un professionista!
Ogni martedì dalle 18.00 alle 20.00, i terapeuti del nostro team One Session si rendono disponibili per degli incontri online gratuiti utilizzando la Terapia a Seduta Singola. Contattaci per maggiori inviando una email a info@onesession.it oppure visita la nostra pagina Fb OneSession.it.
Riferimenti bibliografici
Alessandro Bartoletti (2013). Lo studente strategico. Come risolvere rapidamente i problemi di studio. Firenze: Ponte delle Grazie.
Il mio lavoro è orientato al futuro e alla valorizzazione delle risorse delle persone che si rivolgono a me, in ottica di totale collaborazione.
Superare la paura di guidare con la Terapia a Seduta Singola
Che cos’è e come si manifesta la paura di guidare?
La paura di guidare l’automobile è una problematica molto più comune di quanto si potrebbe pensare. Definita in gergo tecnico amaxofobia, dal greco amaxos (“carro”), fa riferimento alla forte ansia al pensiero di mettersi alla guida.
L’amaxofobia colpisce sia uomini che donne, anche se sembrerebbe essere più frequente in queste ultime.
La paura di guidare, oltre ad essere fastidiosa, può diventare invalidante per chi ne soffre, causando disagio e rinunce.
A causa della forte ansia, infatti, alcune persone finiscono per rinunciare a partecipare ad eventi sociali o limitare le proprie possibilità lavorative.
Non esiste un solo tipo di amaxofobia.
Al contrario, la paura di guidare può presentarsi in svariati modi. Alcune persone possono sperimentare solo una lieve ansia prima di mettersi al volante, altre invece possono essere colpite da un’ansia così forte da sfociare in attacchi di panico.
Chi presenta amaxofobia può sperimentare reazioni sia psicologiche sia fisiche, che da un fastidio sporadico possono diventare sempre più invalidanti. Inoltre, la paura di guidare potrebbe manifestarsi sempre, oppure solo in alcune circostanze.
Guidare in autostrada, guidare di notte o con particolari condizioni metereologiche, attraversare gallerie, sono alcune delle situazioni che possono provocare l’amaxofobia.
Può anche capitare, se la problematica viene sottovalutata, che possa generalizzarsi, passando da una situazione specifica ad altre sempre più numerose.
Cosa facciamo solitamente per combatterla e perché questo non aiuta realmente?
Spesso, quando qualcosa ci spaventa, la prima cosa che facciamo per controllare e far diminuire l’ansia è evitarla.
Nel caso della paura di guidare, evitare di salire in macchina e girare la chiave potrebbe sembrare la soluzione.
Magari dicendo a sé stessi che non è così importante raggiungere quel luogo, e che andrà meglio la prossima volta.
Ma è davvero una strategia efficace?
La risposta, purtroppo, è no.
Evitare di mettersi alla guida, oltre ad esporre al rischio reale dell’isolamento sociale, non fa altro che ritardare l’ansia e farla tornare più forte la volta successiva.
Un’altra strategia spesso usata per controllare l’ansia della guida è chiedere a qualcuno di fare da accompagnatore durante i tragitti.
L’accompagnatore può essere una persona specifica, che ispiri sicurezza, oppure un accompagnatore generico.
L’importante, in questa logica, è non avventurarsi da soli ed avere qualcuno che aiuti a gestire la paura.
Anche in questo caso, purtroppo, questa strategia non è realmente utile ad affrontare efficacemente la paura.
Infatti, chiedendo costantemente ad un’altra persona di accompagnarci, non facciamo altro che rimandare il momento in cui poter dimostrare a noi stessi di essere capaci di viaggiare da soli.
Come può aiutare la Terapia a Seduta Singola?
La Terapia a Seduta Singola può rappresentare un valido aiuto per affrontare efficacemente la paura di guidare.
In che modo?
Un primo motivo per scegliere la Terapia a Seduta Singola è che sarai tu a scegliere il tuo obiettivo.
Nessun terapeuta cercherà di proporti la sua visione sulla risoluzione della problematica.
Dopo averti attentamente ascoltato, tu e il terapeuta deciderete quali obiettivo porvi e come cercare di raggiungerli.
Inoltre, durante l’incontro, avrai modo di riflettere sulle tue risorse e farne emergere di nuove.
Utilizzando il terapeuta come uno strumento a tua disposizione, potrai scoprire risorse inaspettate e valutare come poterle utilizzarle.
La Terapia a Seduta Singola potrà anche aiutarti nel cercare momenti in cui il problema non si è manifestato nel passato.
In questo modo, potrai esaminare la situazione da un punto di vista più ampio.
A questo punto, con nuova consapevolezza, potrai trovare e sperimentare nuovi modi per affrontare efficacemente la paura di guidare.
Sei curioso di provare?
Ogni martedì dalle 18.00 alle 20.00, i terapeuti del nostro team One Session si rendono disponibili per degli incontri online gratuiti utilizzando la Terapia a Seduta Singola. Contattaci per maggiori inviando una email a info@onesession.it oppure visita la nostra pagina Fb OneSession.it
Riferimenti bibliografici
Cannistrà F., Piccirilli F. (2018), Terapia a Seduta Singola. Principi e pratiche. Giunti Psychometrics
Nardone G. (2007), Non c’è notte che non veda il giorno. La terapia in tempi brevi per gli attacchi di panico. Milano: TEA Pratica
Nardone G. (1993), Paura, panico, fobie. La terapia in tempi brevi. Firenze: Ponte delle Grazie
Sono una psicologa, mi occupo di sostegno psicologico attraverso l’uso della Terapia a Seduta Singola per poter aiutare le persone a risolvere i propri problemi in tempi brevi. Ricevo a Cosenza e On Line (Skype).
Rimuginare: Come smettere di avere pensieri fissi e invadenti?
Rimuginare: che cosa significa?
Rimuginare significa pensare in modo ciclico e ripetitivo agli stessi pensieri. Spesso il contenuto di questi pensieri è triste e focalizzato sui problemi.
La nostra mente funziona come un risolutore di problemi quando si trova ad affrontare problemi logici.
Se ad esempio mi si rompe la macchina e rischio di arrivare in ritardo a lavoro la mia mente elaborerà la situazione. Dopo di che cercherà di individuare l’alternativa che mi permetterà di arrivare a lavoro nel minor tempo possibile.
Purtroppo non tutti i problemi hanno una soluzione logica, spesso ci troviamo ad affrontare disagi legati al mondo emotivo che non possono essere risolti con del semplice problem solving.
In questi casi la convinzione che rimuginare possa esserci utile in qualche modo per risolvere il problema può farci restare focalizzati su di esso. Inoltre con il passare del tempo questo processo potrebbe diventare un’abitudine che ci porterà ad avere sempre i soliti pensieri fissi che monopolizzano la nostra quotidianità.
Eventi di vita particolarmente stressanti possono aumentare la possibilità di innescare pensieri fissi e ricorrenti negativi.
La rimuginazione è anche molto frequente nelle persone che hanno tratti di personalità come il nevroticismo e il perfezionismo.
Le conseguenze della rimuginazione
La rimuginazione può essere pericolosa per il nostro benessere psicologico e può aumentare il rischio di sviluppare problematiche psicopatologiche.
Le ricerche ci suggeriscono che rimuginare ossessivamente è associato a sintomi depressivi e ansiosi. Più il nostro benessere diminuisce, più la tendenza a rimuginare aumenta. Si genererà perciò una sorta di circolo vizioso che alimenta il problema e rende sempre più difficile interromperlo.
Molte persone per placare il disagio crescente scaturito da pensieri fissi e invadenti finiscono per cercare di “automedicarsi,” utilizzando strategie disfunzionali come il consumo eccessivo di alcool e droghe.
I pensieri fissi rendono anche più difficile avere un sonno regolare. Infatti è piuttosto difficile dormire e spegnere il cervello quando continua ad essere focalizzato sull’attività di rimuginazione.
Come smettere di rimuginare
Dopo esserci soffermati sulle conseguenze negative della rimuginazione, cerchiamo di capire come possiamo fare per non alimentare questo meccanismo.
Esistono molti modi per affrontare questo problema e la Terapia a Seduta Singola può essere molto utile nell’aiutarti a individuare delle strategie efficaci.
Vediamo insieme alcuni consigli che puoi provare a mettere in atto fin da subito.
1. Impara a distinguere tra rimuginazione e problem solving
Molte persone hanno la convinzione che ripensare continuamente a una situazione problematica possa essere utile per risolverla. In realtà rimuginazione e problem solving sono processi diversi.
A differenza del problem solving, quando rimuginiamo continuiamo semplicemente a ripensare alla situazione senza cercare di elaborare un piano per risolverla.
Perciò se ti rendi conto che i tuoi pensieri fissi non ti stanno portando da nessuna parte, chiediti se effettivamente continuare a rimuginare possa essere utile in qualche modo a risolvere il problema.
Spesso ti renderai conto che continuare a ripensare non ti porta a nessuna soluzione. In questi casi anche semplicemente prendere atto del fatto che stai rimuginando, può essere un passo utile per ridurre questo processo.
2. Crea un kit di distrazione
Le ricerche suggeriscono che in molti casi anche semplicemente distrarsi per pochi minuti può aiutare a ridurre la tendenza a rimuginare. Perciò individua 2 o 3 attività da mettere in atto ogni volta che ti rendi conto di iniziare a rimuginare.
Scegli attività semplici che puoi eseguire in qualsiasi momento e luogo: scrivere, leggere, ascoltare musica, o qualsiasi altra cosa possa funzionare per te.
Una volta che avrai individuato 2 o 3 attività avrai il tuo kit di distrazione pronto all’uso ogni volta che ne hai bisogno.
3. Ritagliati del tempo per rimuginare
Ogni giorno prenditi 20 minuti per chiuderti in una stanza, possibilmente dove puoi essere comodo e nessuno ti disturberà. Imposta il timer della sveglia a 20 minuti.
In questi 20 minuti sforzati il più possibile di portare alla mente tutti quei pensieri invadenti che arrivano durante il giorno. In questi 20 minuti qualsiasi cosa succeda non interrompere l’esercizio fino al suono della sveglia.
Questo esercizio potrebbe sembrare controintuitivo, ma in realtà se eseguito correttamente è molto efficace.
4. Chiedi un supporto psicologico
In alcuni casi i pensieri fissi possono diventare un’importante fonte di malessere e chiedere un supporto psicologico potrebbe essere la scelta migliore.
Per questo, ogni martedì dalle 18:00 alle 20:00, gli psicologi del nostro team One Session si rendono disponibili per degli incontri online gratuiti utilizzando la Terapia a Seduta Singola. Per avere maggiori informazioni e prenotare il tuo incontro, puoi contattarci inviando una e-mail a info@onesession.it oppure visitala nostra pagina Fb OneSession.it.
Bibliografia
Dorthe K. T. et al. (2003). Rumination—relationship with negative mood and sleep quality.
Personality and Individual Differences, 34(7), 1293-1301. https://doi.org/10.1016/S0191-8869(02)00120-4.
Law, B. M. (2005). Probing the depression-rumination cycle. Monitor on Psychology, 36(10). http://www.apa.org/monitor/nov05/cycle (consultato in data 08/04/2021).
Michl, L. C. et al. (2013). Rumination as a mechanism linking stressful life events to symptoms of depression and anxiety: longitudinal evidence in early adolescents and adults. Journal of abnormal psychology, 122(2), 339–352. https://doi.org/10.1037/a0031994.
Sono uno psicologo e mi occupo soprattutto di consulenze brevi e di psicologia del benessere. Utilizzo la Terapia a Seduta Singola per diverse problematiche, in particolare per aiutare le persone ad affrontare ansia e momenti particolarmente stressanti.