Il lavoro ti stressa? Piccoli consigli pratici
Cosa conta di più?
Lavoro, relazioni sociali, hobby, famiglia: sono tutte dimensioni che fanno parte dalla nostra persona. In ognuna di queste aree ci esprimiamo e relazioniamo in modo differente.
Tutte hanno, però, un obiettivo comune: il raggiungimento del nostro benessere. In ognuna di queste dimensioni ci prefiggiamo degli obiettivi da raggiungere per star bene.
Ogni persona può dare importanza e priorità differenti ad ognuna di esse.
C’è chi predilige l’aspetto familiare rispetto a quello sociale o quello lavorativo rispetto a quello relazionale. Questo è normale, ma l’importante è avere chiaro che per quanto possiamo prediligere una dimensione rispetto alle altre, esse fanno tutte parte della stessa totalità e devono mantenere un equilibrio per farci star bene.
È un anno che viviamo una quotidianità in continuo mutamento.
Mantenere un equilibrio tra lavoro, famiglia, relazioni sociali e passioni è una vera sfida. Si pensi ai cambiamenti avvenuti nel nostro modo di lavorare: lavoro a distanza, smart working, lavoro sul campo, lavoro al 50 %.
Modalità lavorative, a cui non eravamo abituati e che ci sono state imposte dalla situazione emergenziale.
Esse non hanno inciso esclusivamente sulla nostra dimensione lavorativa, ma hanno prodotto effetti in tutti i sistemi in cui ognuno di noi è inserito.
Riflettiamo.
Con lo smart working, spesso, viene a mancare il confine fisico fra ambiente di lavoro e di vita familiare. Per chi è impegnato in prima linea, il rientro a casa è spesso accompagnato oltre che dalla fatica fisica anche da pensieri ricorrenti e preoccupazioni.
Chi lavora al 50% in presenza e 50% a distanza è costantemente portato a ridefinire spazi fisici e mentali.
Tutte queste condizioni stanno portando all’aumento del numero di persone che vive il lavoro in modo stressante.
Si arriva a percepire la pausa da lavoro come mancanza.
Ad avere pensieri correlati al lavoro anche quando si sta dedicando del tempo ad altro.
Quali sono gli effetti che si possono generare?
Tutto ciò non fa altro che allontanarci dall’obiettivo che ognuno di noi dovrebbe perseguire: il benessere.
Spesso non ci si accorge dello “sconfinamento” dell’area lavorativa.
Ricerche hanno dimostrato che molti lavoratori durante quest’anno abbiano iniziato a lavorare un’ora prima o terminato un’ora dopo.
Siano stati reperibili oltre l’orario d’ufficio. Abbiano avuto difficoltà a “staccare la spina” e stiano vivendo livelli di ansia superiori agli standard.
Tutto ciò avviene in modo graduale fino a sembrarci normalità.
È come un’abitudine.
Lavoro ogni giorno un po’ di più fino ad arrivare all’eccesso, fino a quando il non lavorare mi fa sentire in colpa o il pensiero del lavoro diviene costante.
Per questa ragione bisogna stare attenti.
In psicologia sono state definite differenti condizioni correlate al lavoro che minano il benessere della persona.
Tra queste si parla di stress lavoro correlato che è una situazione limite che, se non affrontata nel modo giusto può causare fenomeni di burnout.
L’incremento del ritmo e del carico di lavoro, pressioni emotive, precarietà e mancanza di equilibrio tra vita lavorativa e vita personale possono creare vissuti stressanti.
Lo stress lavoro correlato, così come ogni altra condizione stressante, varia da individuo a individuo. Si arriva a vivere il lavoro come stressante quando ci troviamo in una situazione difficoltosa e le usuali strategie messe in atto non si rivelano funzionali.
Laddove questa situazione di difficoltà si protrae nel tempo può sfociare in burnout che letteralmente significa crollo, esaurimento.
Cosa fare per migliorare il proprio benessere?
Se arrivi a sentirti in colpa perché non stai lavorando. Se mentre fai altro pensi al lavoro, qui ci sono piccoli suggerimenti pratici per migliorare la qualità delle tue giornate.
- Prima di iniziare la giornata lavorativa fai qualcosa che ti gratifichi. Qualcosa che ti dia la carica e ti faccia iniziare la giornata con il piede giusto. Concediti una colazione più lunga, fai esercizio, leggi il giornale. L’importante è dedicare del tempo a te.
- Lavora in uno spazio definito. Se sei in smart working è importante che tu riesca a definire fisicamente lo spazio del lavoro. Cerca di evitare gli spazi comuni e se non è possibile delimita in modo creativo lo spazio del lavoro dallo spazio di vita.
- Inizia la giornata scrivendoti una lista di cose da fare. Puoi provare a scrivere in sezioni diverse in modo da sapere “cosa farai oggi” per te, per il lavoro e per la famiglia.
- Definisci con precisione i tuoi orari di lavoro. Questo ti permetterà di compilare in modo più dettagliato la lista di “cose da fare oggi”
- Datti un tempo per “rigenerarti”. Piccole pause in cui sgranchirti le gambe e distogliere l’attenzione ti possono permettere di ripartire più efficace ed efficiente di prima.
Questi sono solo cinque piccoli accorgimenti che possono migliorare la tua giornata ed il rapporto con la dimensione lavorativa.
Se ti accorgi che non basta, che hai bisogno di piccoli aiuti per apportare anche piccole modifiche alla tua routine, o hai voglia di avere un confronto con un professionista per comprendere se le tue strategie per migliorare il benessere e ritrovare il tuo equilibrio sono efficaci, ti ricordo che ogni martedì, per un periodo limitato, dalle 18:00 alle 20:00 i terapeuti del nostro team One Session si rendono disponibili per degli incontri aperti a tutti utilizzando la terapia a seduta singola.
Contattaci per maggiori informazioni inviando una e-mail a info@onesession.it oppure visita la nostra pagina Fb OneSession.it.
Bibliografia
Campanini, P. (2019). Stress lavoro-correlato e la sua valutazione. Giornale Italiano di psicologia, 79-86.
GLINT (2020). How employees are feeling right now. GLINT.
Kotera,Y., Vione, K. C. (2020). Psychological impacts of the New Ways of Working (NWW): A Systematic Review. International Journal of Enviromental Research and Public Health.
Psicologa e picoterapeuta in formazione. Utilizzo la terapia a seduta singola per permettere alla persone di raggiungere i propri obiettivi e massimizzare l’efficacia di ogni singolo incontro.
Ricevo a Caserta e On-line (Skype).
Come superare la fobia sociale con la Terapia a Seduta Singola
Magari sei una persona estroversa, amichevole e che non fa fatica a conoscere nuove persone.
O magari sei una di quelle spaventate a morte all’idea di interfacciarsi con gente nuova, esibirsi di fronte a un pubblico o semplicemente aprire il proprio cuore a qualcuno.
Non sto parlando di semplice introversione ma di una vera e propria fobia sociale!
Che cos’è la Fobia Sociale?
Ci sono persone che sono timide per loro natura e che sono incapaci di sottostare alle situazioni sociali per paura di un giudizio negativo ; ci sono poi persone introverse che, a differenza dei timidi, preferiscono in percentuale maggiore la solitudine rispetto alla socialità.
Chi soffre di Fobia sociale, invece, vive una condizione di disagio significativa per tutte le situazioni sociali.
Il DMS 5, il Manuale Statistico e Diagnostico dei Disturbi Mentali descrive la fobia sociale come la persistente paura di venire giudicato negativamente dagli altri.
Il che vuol dire che nelle occasioni sociali, la persona ha il timore di essere rifiutata o derisa dagli altri.
Ciò che temono di più sono:
- Occasioni di performance: tutti quegli eventi in cui la persona verrò esaminata o sottoposta a valutazione.
- Situazioni “egocentriche”: tutti i momenti in cui si esprime la propria opinione o posizione. P
- Le occasioni in cui si è al centro dell’attenzione, sotto il focus degli altri.
- Situazioni intime: tutte le volte in cui si parla di se stessi, dei propri fatti personali e si fanno rivelazioni private agli altri.
Cosa fai per combattere la Fobia sociale?
Ci sono una serie di comportamenti che sicuramente metti in atto per tentare di combattere la Fobia Sociale ma anziché risolvere il problema, lo peggiorano o lo mantengono così com’è.
Le tentate soluzioni sono:
- Ti sforzi di essere spontaneo o diverso da ciò che sei e questo ti porta a commettere più gaffe del solito.
- Eviti tutte le situazioni sociali e questo aumenta la tua ansia ogni volta che sei obbligato ad andarci.
- Eviti di mostrare le tue emozioni per no creare rapporti intimi con gli altri
- Chiedi aiuto, hai bisogno di una spalla che ti sostenga ma questo ti porta a sentirti più ansioso di quanto in realtà tu non sia.
- Usi farmaci per tranquillizzarti.
- Hai bisogno di alcool che ti distenda i nervi durante gli incontri sociali.
Tutto questo purtroppo non sta funzionando!
Cosa puoi fare invece?
Prendi la paura per le corna! La paura si sconfigge affrontandola, passo dopo passo.
- Evita…di evitare: ogni volta che confermi da un lato la pericolosità della situazione, dal’altro confermi a te stesso di non essere in grado di affrontare la situazione. Inizia a smettere di evitare ciò che ti spaventa e ad affrontare giorno per giorno la tua più piccola paura.
- Rivela il tuo imbarazzo: è lo stratagemma che usano i public speaking quando si trovano di fronte alla platea; per evitare che l’ansia prenda il sopravvento, dichiarano ad alta voce ciò che li turba. In questo caso puoi anticipare che ti senti in imbarazzo “premetto che sono in imbarazzo, però vorrei dire che…”
- Come se: cosa faresti di diverso se non sofrissi di fobia sociale? Se fossi sicuro di te, se gli altri non ti spaventassero e non ti sentissi in imbarazzo, cosa faresti di diverso rispetto ad adesso? Pensaci e l’azione più semplice che ti viene in mente, la metti in atto.
- Sottoponiti a piccole interazioni quotidiane: provaci, buttati, sperimentati…ma ricordati a piccoli passi. Non devi gettarti giù dal burrone ma semplice iniziare gradualmente co piccole interazioni che ti mettono a tuo agio per sperimentarti e acquisire sicurezza.
Se pensi di aver bisogno di un supporto in più, puoi rivolgerti a un professionista.
La Terapia a Seduta Singola può aiutarti anche in un solo incontro con lo psicologo perché ti permette di eliminare i comportamenti che mantengono in vita il problema e ottenere concreti benefici.
Sei interessato alla Terapia a Seduta Singola? Puoi rivolgerti ai nostri psicologi e psicoterapeuti, disponibili ogni martedì dalle 18.00 alle 20.00, per una consulenza gratuita online.
Scrivici sulla pagina Facebook One Session.it
Riferimenti Bibliografici
Nardone G. (1993), Paura, panico fobie. La terapia in tempi brevi. Firenze: Ponte delle Grazie.
Nardone G.(2007), Non c’è notte che non veda il giorno. La terapia in tempi brevi per gli attacchi di panico, Milano: TEA Pratica.
Sono una psicologa che si occupa di consulenze brevi e di TSS: il mio obiettivo è ridurre i tempi della terapia e massimizzare l’efficacia della seduta, offrendo un sostegno focalizzato e concreto per affrontare sia le piccole che le grandi difficoltà della vita
Insonnia: quando addormentarsi diventa un incubo
Se hai provato a contare le pecore e sei arrivato ad una cifra astronomica. Se hai provato con la camomilla e poi sei passato alle tisane dai gusti più improponibili. Se hai provato con la musica rilassante e per disperazione hai messo in pausa alla melodia che riproduceva il suono degli uccellini del bosco.
Se hai provato con tutti i prodotti che il tuo farmacista ti ha consigliato, ma invano.
Forse ciò che ti crea malessere è un disturbo del sonno e si chiama insonnia.
L’insonnia può essere occasionale, persistente o associata a concomitanti condizioni mediche o ad abuso di sostanze o alla presenza di disturbi mentali.
Le cause dell’insonnia occasionale, di cui ci occuperemo in questo articolo, possono essere legate ad un momento di stress, di preoccupazione o crisi che stiamo attraversando o anche ad un cambio di stagione o al jetleg.
Può dunque trattarsi di una fase transitoria che scompare all’improvviso così come è comparsa ma che comunque può creare dei fastidi a livello sia funzionale che emotivo.
A tutti noi sarà certamente capitata una notte insonne magari precedente ad un evento importante della nostra vita familiare, lavorativa o di studio che provocava eccitazione o ansia.
L’insonnia può interessare:
- difficoltà ad addormentarsi;
- risvegli frequenti con difficoltà a riaddormentarsi;
- risveglio precoce al mattino con problema a riaddormentarsi.
Quali conseguenze?
L’insonnia è di certo un disturbo le cui conseguenze e difficoltà hanno ripercussioni non solo nella fase notturna ma anche in quella diurna.
La mancanza di riposo e di sonno che ristora comportano conseguenze sul corpo e sulla mente.
Il non dormire in modo soddisfacente non consente la messa in carica e la messa in movimento delle energie necessarie ad affrontare le numerose ore di veglia.
Ore fatte di studio, lavoro, impegni e attività che richiedono un’attivazione corpo/mente profonda.
A prevalere saranno il senso di sonnolenza, la mancanza di concentrazione, l’irritabilità, il calo del tono dell’umore, la difficoltà di rendimento in ambito sociale, professionale, relazionale.
Differenti saranno poi anche i disagi fisici, quali emicrania, disturbi gastrointestinali, stati di tensione e agitazione motoria, senso di spossatezza, mancanza di forze.
Questi disturbi, seppure transitori, creano nella persona un disagio che condiziona in modo significativo le relazioni.
Come uscirne?
L’operatività e l’efficacia della terapia breve possono essere di grande aiuto per questo problema ma necessitano di un’attenta valutazione operativa.
Alcuni comportamenti e fattori possono mantenere l’insonnia, provocandola addirittura (a che ora si va a dormire, uso di caffeina o farmaci prima di andare a dormire etc.) .
Solitamente l’ansia di voler dormire e l’angoscia provocata dalla incapacità di farlo, già sperimentate nelle notti precedenti, creano uno stato di profonda frustrazione che va ad alimentare una sequenza di azioni e pensieri.
Sequenza che rafforza e mantiene il nostro problema.
Una profezia autoavverantesi, insomma. Non vi è dubbio infatti che negli esseri umani è presente una tendenza a cercare di confermare le proprie ipotesi. Questo fa si che la credenza crei la realtà.
Saresti pronto a rompere il meccanismo che ti porta a rimuginare su come e quando dovrai addormentarti?
La tua profezia può cambiare in positivo.
Potresti provare questa semplice tecnica che consiste nel trascrivere, prima di addormentarti o durante il risveglio, su un taccuino che accuratamente avrai scelto prima (forma, colore…) tutti quei pensieri che si presentano nella tua mente e che si inseguono senza fermarsi.
Scriverli per liberartene e alleggerire così la tua mente, trasformando la tua profezia in un rilassante “se vuoi, puoi”!
Riferimenti bibliografici
Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi mentali, quinta edizione (DSM-5°) –Milano: Raffaello Cortina Editore
Attili G. (2002) – Introduzione alla psicologia sociale – Roma: Edizioni Seam
Psicologa, Mediatrice Familiare, Esperta in Scienze Forensi
Abuso Sessuale: come superarlo?
Che cosa si intende con “abuso sessuale”?
Per abuso sessuale si intende nello specifico “il coinvolgimento di soggetti immaturi in attività sessuali, in assenza di consapevolezza e possibilità di scelta, in violazione dei tabù sociali o delle differenze generazionali. Le attività sessuali possono includere sia rapporti sessuali veri e propri, sia forme di contatto erotico, sia atti che non prevedono un contatto diretto” (Montecchi, 1994).
Il termine abuso sessuale viene usato in modo più generico nel linguaggio quotidiano, per descrivere ogni tipo di contatto sessuale non consensuale, inclusi ad esempio
- l’uso di parole dispregiative da parte del partner o di una persona intima,
- il rifiuto di utilizzare metodi contraccettivi,
- il provocare deliberatamente dolore fisico al partner durante i rapporti sessuali,
- contagiare deliberatamente il partner con malattie infettive o infezioni di tipo sessuale,
- utilizzare oggetti, giochi o altre cose che causano dolore o umiliazione senza il consenso del partner.
Si parla di abuso sessuale anche nei casi in cui la persona non viene fisicamente toccata, ma viene esposta alla visione o all’ascolto di vicende a contenuto sessuale non pertinenti all’età o alla relazione con l’abusante
La forma di abuso sessuale può variare fortemente a seconda del grado di invasività, della relazione che intercorre tra vittima e autore dell’abuso, della presenza di consapevolezza della vittima rispetto a quanto accade, dalla frequenza con cui l’abuso si verifica.
L’aspetto fondamentale, invece, è quello che riguarda la condizione della vittima: impossibilitata a scegliere o a comprendere correttamente quello che sta accadendo o che viene proposto.
Abuso sessuale e Disturbo da Stress Post-Traumatico
L’abuso sessuale rappresenta una esperienza traumatica a tutti gli effetti: i sintomi presentati dalla persona abusata possono essere collocati all’interno del Disturbo Post-Traumatico da Stress.
L’esperienza subita può tornare frequentemente alla mente sotto forma di immagini, emozioni, sensazioni fisiche, parole, suoni, odori, sapori, incubi notturni.
Nei bambini i ricordi tendono a ripresentarsi sotto forma di incubi popolati da mostri e nel ripetere attraverso il gioco o il disegno qualche elemento significativo dei fatti accaduti.
L’abuso sessuale può produrre inoltre diversi problemi psicologici e per tale ragione rappresenta un “fattore di rischio non specifico” nello sviluppare altri disturbi.
Fra le vittime di abusi sessuali sono relativamente frequenti problemi psicosomatici, disturbi del comportamento alimentare, abuso di alcool, farmaci e di sostanze stupefacenti.
La sfiducia, le difficoltà sessuali, insieme a difficoltà nella gestione della rabbia e delle distanza fra le persone comportano frequentemente problemi nella gestione delle relazioni interpersonali.
Abuso sessuale e psicoterapia
La risposta soggettiva all’evento varia a seconda dell’età al momento dell’abuso, della durata dell’evento, se è avvenuta o meno penetrazione, la possibilità di condividere con qualcuno l’accaduto, il sostegno emotivo ricevuto in seguito.
Tipicamente la persona che ha subito un abuso sessuale cerca di mantenere a distanza i ricordi traumatici. In alcuni casi, addirittura, è possibile che, almeno in determinati periodi della vita, la persona abusata abbia amnesie più o meno parziali per gli eventi accaduti o ricordi estremamente confusi.
In una quantità rilevante di casi i ricordi dell’abuso progressivamente perdono in parte l’aspetto drammatico che li contraddistingue, divenendo più facilmente gestibili da parte dell’individuo.
Se questo è certamente un vantaggio, d’altra parte può anche comportare un pericolo potenziale, in quanto la persona si può abituare a convivere con i problemi generati dall’abuso, a non condividerli con nessuno e, in generale, a non affrontarli adeguatamente.
La psicoterapia per le persone che hanno subito abuso sessuale è dunque fortemente consigliata.
Sono relativamente frequenti, infatti, le situazioni in cui il trauma non viene realmente superato, ma più semplicemente la persona abusata impara a convivere con esso, a costo di grandi sofferenze e di limitazioni nella propria possibilità di vivere la vita pienamente.
Il terapeuta aiuterà a trovare le strategie più efficaci per far fronte all’evento traumatico subito e i sintomi psicologici ad esso associati.
Se sei interessato alla Terapia a Seduta Singola e vuoi chiedere una consulenza, ricordati che ogni martedì, per un periodo limitato, dalle ore 18 alle ore 20, gli psicologi e gli psicoterapeuti del nostro team One Session sono disponibili per degli incontri gratuiti aperti a tutti.
Contattaci per maggiori informazioni inviando una email a info@onesession.it oppure visita la nostra pagina Facebook OneSession.it.
Bibliografia
Cartei, F. Grosso, (2016), Come elaborare e superare il trauma dell’abuso sessuale subito nell’infanzia, Franco Angeli.
Montecchi, Gli abusi all’infanzia, (1994), La Nuova Italia Scientifica.
Psicologa, laureata all’Università “La Sapienza” di Roma, mi sto formando come psicoterapeuta ad approccio Breve Sistemico-Strategico.
Lavoro da anni in Servizi rivolti a persone con disabilità e con disturbi psichiatrici, occupandomi di sostegno psicologico individuale, di coppia e alle famiglie, favorendo processi di crescita personale e la costruzione di percorsi volti a migliorare la qualità di vita.
Terapia a Seduta Singola e fobia sociale
Ci sono persone molto disinvolte quando si trovano in mezzo ad altra gente, quando devono esporsi o parlare in pubblico, quando fanno nuove conoscenze; altre invece sono più riservate, meno espansive.
C’è chi poi ha il vero e proprio terrore di ogni situazione sociale, e al solo pensiero entra nel panico.
Se ti riconosci in quest’ultima descrizione, forse soffri della cosiddetta fobia sociale.
Fobia sociale: caratteristiche
Il DSM 5, il Manuale Statistico e Diagnostico dei Disturbi Mentali, descrive la fobia sociale come una “marcata e persistente paura di affrontare situazioni o performance sociali in cui si può essere esposti al giudizio altrui”.
Chi soffre di fobia sociale teme (anzi, è certo) di venir giudicato negativamente dagli altri, di essere deriso, rifiutato, per ogni suo comportamento o parola.
Le situazioni temute non sono solo quelle di grande esposizione, come il tenere un discorso davanti ad un pubblico, ma riguardano ogni minima interazione con altre persone: mangiare con altri, camminare dove c’è altra gente, intervenire in una riunione, sostenere una semplice conversazione o anche solo chiedere delle indicazioni.
Questo tipo di fobia è quindi molto invalidante. Ogni situazione temuta è in grado di innescare sensazioni di ansia e paura molto intense, sproporzionate rispetto alla situazione e persistenti.
Le tentate soluzioni disfunzionali della fobia sociale
Per ripararsi da queste terribili sensazioni, chi soffre di fobia sociale mette in atto dei comportamenti che, in realtà, non fanno che mantenere o peggiorare il problema. Vediamo quali sono:
- È la soluzione più semplice da mettere in atto e la più praticata. Il pensiero di chi evita è “se quella situazione mi fa paura, non esponendomici non avrò paura”.
In realtà il meccanismo tenuto in piedi da questa soluzione è più complicato. Se da una parte protegge la persona da quelle forti e terribili sensazioni, dall’altra le conferma il fatto che effettivamente le circostanze che si stanno evitando sono pericolose, e che non si hanno le capacità di affrontarle.
- Comportarsi con diffidenza. Il fatto che chi soffre di fobia sociale sia certo del giudizio negativo che gli altri gli riservano, lo porta a comportarsi in maniera diffidente e circospetta. Se costretto ad avere a che fare con altre persone, il fobico sociale si comporta in modo guardingo, mantenendo le distanze.
Conseguenza di questo tipo di comportamento è che gli altri lo guardino con sospetto a sua volta. Questo andrà ad alimentare le convinzioni di partenza. “Mi guardano male, mi stanno giudicando; lo sapevo!”
Superare la fobia sociale
Superare la fobia sociale è possibile, e qui di seguito puoi trovare due piccoli stratagemmi se vuoi iniziare a metterti in gioco autonomamente:
- Anticipa il tuo imbarazzo. Questa è un’arma potentissima che può aiutarti ad evitare…di evitare!
Invece che privarti di esperienze in compagnia altrui, ammetti agli altri il tuo disagio! Puoi usare frasi come “Quello che sto per dirti potrà sembrare sciocco, ma…” oppure “Mi imbarazza dire questa cosa, ma io penso che…”. Se hai manifestazioni fisiche di imbarazzo, come l’arrossamento delle guance, fallo presente! - Comportati “come se”. Cosa faresti di diverso, se fossi sicuro che gli altri non ti giudicassero e fossi una persona molto capace nelle relazioni sociali? Prova a prenderti ogni mattina qualche minuto per pensarci e, quotidianamente, scegli la più piccola azione che ti è venuta in mente, quella che ti comporta uno sforzo minimo, e prova a metterla in atto durante la giornata. Sperimenta cosa succede di diverso!
Come può aiutarti la terapia a seduta singola?
La Terapia a Seduta Singola ti garantisce il supporto di un professionista, che saprà darti un aiuto “sartoriale”, cucito su misura per te!
Insieme andrete ad individuare quali tentate soluzioni stanno mantenendo in vita il problema e quali strategie funzionali adottare al loro posto, basandosi sulle tue risorse.
Se sei interessato alla Terapia a Seduta Singola, puoi rivolgerti ai nostri psicologi e psicoterapeuti, disponibili ogni martedì dalle 18.00 alle 20.00, per una consulenza gratuita online.
Scrivici sulla pagina Facebook OneSession.it.
Bibliografia
Nardone G. (1993), Paura, panico, fobie. La terapia in tempi brevi, Firenze: Ponte delle Grazie
Nardone G. (2007), Non c’è notte che non veda il giorno. La terapia in tempi brevi per gli attacchi di panico, Milano: TEA Pratica
Il mio lavoro è orientato al futuro e alla valorizzazione delle risorse delle persone che si rivolgono a me, in ottica di totale collaborazione.
Onicofagia: mangiarsi le unghie tra piacere e dolore
Le parole hanno una forma e una struttura, occupano uno spazio linguistico e culturale e rivestono un ruolo sociale. Ma le parole hanno anche e soprattutto un valore.
Possiamo leggere attraverso il linguaggio, il movimento e il pensiero di un’intera comunità.
L’etimologia, ha la straordinaria capacità di entrare nell’intimo delle parole in modo trasversale, percorrendone a fondo il significato.
Il termine onicofagia viene dal greco “òniks–ònykhos”, unghia e “phagia”, mangiare ed è il classico esempio di quando i suoni di una parola descrivono o suggeriscono l’oggetto o l’azione che significano.
Mangiare le unghie è un’abitudine molto diffusa tra le diverse fasce d’età e le diverse culture.
Tormento e piacere che possono andare avanti in maniera transitoria e senza conseguenze oppure per anni anche senza accorgersene, come riflesso incondizionato oppure ancora che possono minare la serenità e la socialità di un individuo totalmente dipendente da questo vizio-passione.
L’unghia, con la pellicina e la cuticola circostante, diventa l’oggetto di una violenza cronica che può essere attuata in momenti di stress o di eccitazione, oppure, nei momenti di noia o d’inattività.
È discutibile se l’onicofagia sia solo un’abitudine o ci sia qualche dinamica psicologica sottostante.
Cosa dice il DSM?
Nel Manuale Diagnostico dei Disturbi Mentali (DSM 5), l’onicofagia è classificata tra i disturbi ossessivo-compulsivi, che vedono la contemporaneità di ossessioni, vale a dire pensieri indesiderati e continui e di compulsioni, cioè comportamenti dettati dalla necessità di compiere una particolare azione.
Dal punto di vista medico, l’onicofagia ha delle manifestazioni fisiche particolarmente rilevanti; può causare dolore, sanguinamento, arrossamento.
È responsabile di infezioni batteriche o virali, di patologie dentali e può portare a lesioni gengivali, oltre a facilitare la diffusione d’infezioni alla bocca.
Dal punto di vista sociale ed estetico, vedere una mano con le unghie consumate o osservare una persona intenta a mangiucchiare, tirare, sputare o ingoiare unghie e cuticole, può dare fastidio e far pensare, nell’immaginario collettivo, ad un individuo che trova nella pratica del vizio un modo di gestire i propri stati emotivi.
L’onicofagia può avere cause di origine ambientale e\o biologica, come appunto stress, ansia, rabbia, noia o imitazione di altri membri della famiglia (es. genitori, fratelli etc.)
Come smettere?
Perché si può desiderare di smettere?
Potrebbe esserci la paura di sviluppare infezioni o la volontà, ad esempio, di avere un aspetto più curato e sano.
L’onicofagia può manifestarsi in forma lieve, media o grave.
Il trattamento più comune e ampiamente disponibile, prevede l’applicazione di uno smalto di sapore amaro, che scoraggia l’abitudine di mangiarsi le unghie; l’odore e il gusto sgradevoli ricorderanno all’onicofago di fermarsi ogni volta che porta le mani alla bocca.
Altri rimedi semplici ed immediati possono riguardare la cosmesi cioè il prendersi cura delle proprie mani, tenendo le unghie corte o ricostruendole.
Questi rimedi possono rivelarsi efficaci quando la manifestazione del problema avviene in forma lieve o media e può quindi essere gestita attraverso piccoli accorgimenti distraenti dall’azione.
Quando il problema si manifesta in forma grave sarà necessario concentrarsi sul cambiamento dei comportamenti, tenendo conto dei fattori emotivi che inducono l’abitudine (ansia, stress, rabbia, noia, tristezza).
Potrebbe essere necessario individuare un modo per scaricare il cumulo di stress e tensione repressi, per trarne un effetto positivo sul fisico e sulla mente.
Praticare una sana attività fisica è un buon modo per sfogarsi perché l’impegno fisico libera la mente ed allenta le tensioni (lunghe passeggiate, corsa, bicicletta, palestra…).
Lo sport potrebbe rivelarsi utile anche per combattere la noia e la tristezza.
Nei casi più gravi, l’onicofagia può assumere la connotazione di un atteggiamento autolesionistico, cioè un’espressione di aggressività rivolta verso se stessi e questo potrebbe richiedere l’aiuto di uno psicoterapeuta .
Come smettere utilizzando la Terapia Breve?
Mangiarsi le unghie è un vero e proprio rituale inevitabile e irrefrenabile che viene eseguito per prevenire la propria realtà, oppure porre rimedio alle conseguenze negative di una propria azione o pensiero.
Si cerca dunque di controllare la realtà e si diviene schiavi di questo controllo.
Una vera e propria sequenza di pensiero e azione che consoliderà il disturbo nel tempo e che il terapeuta cercherà di interrompere utilizzando stratagemmi terapeutici che mirano a creare esperienze emozionali correttive capaci di agire sul sistema percettivo dell’individuo e di conseguenza sulla capacità di gestire un comportamento.
Le esperienze emozionali correttive sono le chiavi che il terapeuta aiuta il paziente a trovare per aprire nuove porte, dietro cui troverà nuove esperienze e nuove emozioni.
Obiettivo primario di questi stratagemmi terapeutici è quello di far divenire il comportamento volontario e non più compulsivo, in modo da:
- rendere la persona capace di controllare il disturbo ossessivo;
- far si che la persona possa decidere di rimandare la messa in atto del rituale;
- interrompere la sequenza percettivo-reattiva che consolida il disturbo nel tempo;
- privare il rituale del suo piacere evidenziandone la sgradevolezza attraverso il controllo su di esso e attraverso il doverlo mettere in atto obbligatoriamente.
Hai letto questo articolo tutto d’un fiato?
Hai tormentato le tue unghie facendolo?
Se ritieni di non riuscire da solo attraverso semplici e immediati rimedi a gestire questo vizio, non esitare a rivolgerti ad un professionista capace di guidarti verso nuovi scenari.
Bibliografia
Dettore D., Giaquinta N., Pozza A. (2019) – I disturbi da comportamenti focalizzati sul corpo – Firenze: Giunti Editore
Nardone G. (1993) – Paura, panico, fobie. La terapia in tempi brevi – Firenze: Ponte delle grazie
Psicologa, Mediatrice Familiare, Esperta in Scienze Forensi
L’ipocondria: dalla paura delle malattie ai “falsi” rimedi
Ipocondria è un termine che, negli ultimi tempi, è sempre più inflazionato.
Del resto, è più che naturale.
Durante questi mesi è cresciuta molto la paura delle malattie: il continuo richiamo a mantenere comportamenti prudenti e la condizione di sostanziale incertezza in cui viviamo hanno reso sempre più labile il confine tra ciò che ci sembra il giusto comportamento e l’eccessiva preoccupazione.
Fino a qualche tempo fa si definiva l’ipocondriaco un malato immaginario e come tale se ne sottovalutava la sofferenza.
In realtà l’ipocondriaco vive una sofferenza reale poiché è da lui percepita e vissuta come tale.
Per parlare di ipocondria, però, non bisogna far riferimento ad un generico timore: la preoccupazione verso la propria salute, la paura di contrarre una malattia o di presentare dei sintomi devono essere costanti e pervasive.
Cos’è dunque l’ipocondria?
Nel panorama scientifico il termine ipocondria è solo un retaggio, questo perché nel nuovo manuale diagnostico, DSM 5, corrisponde alla dicitura di disturbo da ansia da malattia ed è affiancato dal disturbo da sintomi somatici.
In quest’ultimo, i soggetti hanno livelli molto elevati di preoccupazione verso la malattia. Valutano in maniera sproporzionata i sintomi fisici, realmente presenti, percependoli come “minacciosi” per la propria salute. In questi casi, dunque, il bersaglio della paura è il sintomo che porta ad amplificare la preoccupazione per il proprio stato di salute.
Quando si parla di ansia di malattia, invece, la preoccupazione della persona è quella di avere o poter contrarre una grave malattia, anche in assenza di sintomi somatici o con presenza di sintomi molto lievi. In questi casi, il malessere della persona non proviene dal sintomo ma dal costante stato di ansia e paura.
Le “false” soluzioni
L’ipocondriaco vive una costante preoccupazione per la propria salute ed è quindi iperattento ai “segnali” corporei che vengono percepiti in modo amplificato. Per liberarsi dall’ansia e dalla paura che questa propensione genera, e per razionalizzare l’aspetto emotivo, spesso attua soluzioni non sempre funzionali. Eccone alcune:
1. Il Dott. Google
Quasi tutti nella vita siamo andati a cercare su Google le spiegazioni di un sintomo o quali potrebbero essere i sintomi per diagnosticare una malattia.
Non sempre questa si rivela una buona strategia, anzi spesso conduce ad aumentare il livello di confusione e ad amplificare l’ansia e la paura per la propria condizione di salute.
Questo perché le informazioni sono utili quando si possiedono le conoscenze per interpretarle. Quando invece tali conoscenze mancano, troppe informazioni piuttosto che chiarire i dubbi, finiscono con l’alimentarli.
2. L’Ipercontrollo
La persona tende a monitorare costantemente il proprio stato di salute (es. battiti cardiaci, pressione, ecc.). Ciò altro non fa che amplificare le paure, poiché prestare attenzione in modo costante al sintomo ne amplifica la percezione sia a livello di intensità che di frequenza di comparsa.
3. La lamentela
Si avverte il bisogno di condividere la propria paura, le preoccupazioni che rimbalzano nella mente e allora si asseconda questo bisogno parlandone con la convinzione di “liberarsi”. Questo è ciò che accade in un primo momento, ma poi le paure si risvegliano e si innesca un vero e proprio circolo vizioso che condiziona la quotidianità della persona e di chi l’ascolta.
Se stai vivendo un momento di preoccupazione per la tua salute e senti l’esigenza di avere un confronto con un professionista sappi che ogni martedì, per un periodo limitato, dalle 18:00 alle 20:00 i terapeuti del nostro team One Session si rendono disponibili per degli incontri aperti a tutti utilizzando la Terapia a Seduta Singola.
Contattaci per maggiori informazioni inviando una email a info@onesession.it oppure visita la nostra pagina Fb OneSession.it
Bibliografia
Nardone, G.;Bartoletti, A. (2018). La paura delle malattie. Psicoterapia breve strategica dell’ipocondria. Ponte alle grazie.
American Psychiatric Association (2013). Diagnostic and statistical manual of mental disorders. Washington, DC.
Psicologa e picoterapeuta in formazione. Utilizzo la terapia a seduta singola per permettere alla persone di raggiungere i propri obiettivi e massimizzare l’efficacia di ogni singolo incontro.
Ricevo a Caserta e On-line (Skype).
STOP al lavoro: GODITI le vacanze!
“Basta, quest’anno voglio riposarmi in vacanza”
“Spengo il telefono e non voglio sentire nessuno”
“Se la caveranno anche senza di me”
Quane volte ti sarà capitato di dire queste parole, sperando di poter finalmente passare una vacanza senza portarti dietro l’ansia lavorativa?
E ogni volta puntualmente non sei riuscito nell’intento per il messaggino che è arrivato nel momento sbagliato, la chiamata a cui hai dovuto assolutamente rispondere o un email che ti sei scordato di inviare.
Succede! La vita è imprevedibile e non è facile tenere tutto sotto controllo, anzi: a volte è veramente impossibile. Più cerchi di mantenere il controllo e più lo perdi.
Inoltre, stabilire un periodo nel quale dovrai a tutti costi rilassarti, smettere di pensare al lavoro e stare meglio, renderà quel bisogno un imposizione a cui dovrai sottostare; quelle giornate dovranno essere “migliori delle altre”, proprio perché tu dovrai rilassarti.
Non trovi che sia stressante?
Lo stress di fine anno!
La vacanza è una pausa dalla solita routine: è uno spazio dedicato a “fare altro”, a spezzare i soliti schemi della tua giornata tipo, a uscire fuori dal contesto giornaliero per respirare un aria nuova e diversa.
La vacanza estiva giunge alla fine di un anno lavorativo con i suoi pro e i suoi contro ed è facile che ti porti a fare il bilancio annuale, valutando l’operato, gli errori, i miglioramenti, i cambiamenti, creando così uno stress mentale.
“Ho deciso, a settembre cambio vita”
“A settembre inizio la dieta”
“Appena torno dalle vacanze, giuro che mi organizzo le giornate e smetto di fare le cose di corsa”
Potrei continuare all’infinito con i buoni propositi.
Le opzioni sono tante, ma a stressarti è il ventaglio di scelte che hai davanti, l’ansia di doverle iniziare e non sapere da dove partire.
Sei un pesce che annaspa tentando di restare a galla e che, via via che si avvicina la fine delle vacanze, anneghi lentamente nel tuo mare di paure.
Stop!
Fermati e riorganizzati, affinché tu possa godere appieno dei benefici dell’estate e delle vacanze, ripartendo a settembre con più energia.
I consigli per l’estate!
Ci sono delle strategie che puoi adottare per ridurre lo stress, pensiero costante rispetto agli impegni, l’ansia del “mi devo riposare a tutti i costi” e la paura del ritorno imminente.
- Blocca i pensieri
Quando sopraggiunge il rimugino, il pensare al problema costantemente, tu non rispondere, non dargli adito ma bloccalo schioccando le dita, dicendo il tuo nome e tornando al momento presente. Ogni volta che arriva il pensiero ansioso, puoi schioccare le dita e dire: “Mario! Torna qui!”. Richiami la tua attenzione, rimproverandoti di assecondare l’ arrivo di quel pensiero ansioso.
Rimuginare è ormai un’ abitudine per te; la cosa più semplice che puoi fare è disinnescare questa abitudine. Visto che non puoi interrompere il rimuginare sul problema che ti assilla, perchè quando arriva arriva, puoi agire proprio sul rimuginare, interrompendolo con lo schiocco delle dita.
- Organizza il tuo tempo prima della vacanza
Puoi ricorrere a una semplice to do list, che ti aiuti a sfoltire le incombenze prima di partire per le vacanze:
- Scegli uno strumento che ti aiuti a pianificare le attività, come una agenda.
- Compila la tua to-do list.
- Fai una lista di 6 punti massimo.
- Definisci il tempo che vuoi dedicare ad ogni attività.
- Differenzia le attività importanti da quelle urgenti.
- Svolta un’attività, cancellala.
- Definisci i tuoi obiettivi alla fine della vacanza.
Quando sei di ritorno dalle vacanze, prendi un foglio di carta e scrivi gli obiettivi che vuoi raggiungere e che ti sei prefissato per il nuovo anno lavorativo, senza esagerare.
Per ogni area della tua vita (professionale, personale, economica e lavorativa) individua un solo obbiettivo. Non strafare.
L’obiettivo deve essere:
- Specifico: “Voglio allenarmi 3 volte a settimana “
- Misurabile: deve essere possibile valutare i miglioramenti. “Voglio allenarmi 3 volte a settimana ” è misurabile perche ti permette di valutare i risultati che raggiungi.
- Raggiungibile: il tuo obiettivo deve essere fattibile. Dire ” voglio allenarmi 3 volte a settimana ” e poi essere consapevoli di non avere il tempo, i soldi, la voglia etc, non è un obiettivo raggiungibile. Devi tenere conto delle tue reali possibilità e ridimensionare l’ obiettivo in base a queste.
- Realistico: stabilisci un obiettivo che sia reale. “Voglio diventare campionessa olimpionica di salto con l’ asta ” non è realistico nel momento in cui non hai intrapreso quella carriera o “Voglio viaggiare nello spazio ” non è possibile, se non sei un astronauta.
- Temporalizzabile: stabilisci il giusto tempo per il tuo obiettivo. Considera il tempo che ti serve per realizzarlo in ogni suo aspetto e definisci un tempo di scadenza. Non lasciare che cada in prescrizione.
Se pensi di stressarti troppo in vacanza e di pensare al lavoro, puoi mettere in atto queste strategie.
Se hai bisogno di un aiuto più concreto, puoi contattare uno psicologo formato in terapia a Seduta Singola che può aiutarti anche con un singolo incontro.
Vai sul sito https://www.onesession.it/, cerca il terapeuta più vicino a te ( scegliendolo anche online).
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Bibliografia:
https://www.riza.it/psicologia/ansia/4320/ansia-in-ferie-cosi-te-ne-liberi.html
Sono una psicologa che si occupa di consulenze brevi e di TSS: il mio obiettivo è ridurre i tempi della terapia e massimizzare l’efficacia della seduta, offrendo un sostegno focalizzato e concreto per affrontare sia le piccole che le grandi difficoltà della vita
Superare la paura di parlare in pubblico con la Terapia a Seduta Singola
Come ti fa sentire l’idea di parlare in pubblico?
E’ una performance che riesci ad affrontare con tranquillità oppure alla sola idea cominci a sudare?
Quando ti devi esporre davanti ad altra gente, cosa provi?
La paura di parlare in pubblico è piuttosto frequente e fa parte della più grande categoria dell’ansia sociale.
Generalmente chi ha paura di parlare in pubblico ha una sedie di preoccupazioni: teme di fare una brutta figura, di dimenticare ciò che deve dire o di bloccarsi, di arrossire, di balbettare o ancora di rovinarsi la reputazione.
Ansia: eterna nemica?
L’ansia che possiamo provare quando ci troviamo in una situazione come quella che ci richiede di esporci di fronte ad altre persone, non deve essere vissuta solo come sensazione spiacevole e quindi per forza negativa.
L’ansia è energia, e nelle giuste dosi ci permette di canalizzare le nostre forze fisiche e mentali per intraprendere al meglio la prova che dobbiamo affrontare.
Atteggiamenti che mantengono il problema
Si possono riscontrare nelle persone che hanno paura di parlare in pubblico alcuni comportamenti tipici che, in chi li mette in atto, sembrano risolvere il problema, ma che in realtà non fanno che mantenerlo o esacerbarlo.
Questi comportamenti sono detti anche “tentate soluzioni disfunzionali”, e, per questo tipo di difficoltà, generalmente includono:
– evitamento: quale strategia migliore per chi teme il confronto con un pubblico, se non quella di evitare totalmente tale confronto? Sbagliato.
Questo comportamento per quanto possa sembrare una soluzione efficacissima, “mettendo in salvo” la persona dall’affrontare una situazione insopportabile, non fa altro che confermare la convinzione di essere degli incapaci, finendo per aumentarne il disagio.
– controllo delle proprie reazioni. Un altro comportamento diffuso è quello di cercare di tenere a bada le proprie reazioni fisiche tipiche dell’ansia: la persona cerca quindi di controllare il proprio rossore in viso, di rallentare il battito cardiaco, di placare la propria agitazione.
Tutto ciò causa un effetto paradossale, per cui più si cerca di prendere il controllo più lo si perde.
Strategie per riuscire a parlare in pubblico
Dopo aver analizzato cosa è meglio smettere di fare per vincere questa paura, di seguito puoi trovare alcuni suggerimenti utili per affrontare la tua platea:
– usa l’ansia a tuo vantaggio: abbiamo visto poco sopra che l’ansia non è solo negativa, ma è una fonte di energia. Prova ad usarla per migliorare la tua performance, per usare un tono di voce più deciso, per enfatizzare ciò che dici accompagnandolo con la gestualità;
– prendi confidenza con ciò che devi dire senza memorizzare: memorizzare può farti sentire più sicuro ma può anche essere un’arma a doppio taglio. Se nel recitare il discorso dimentichi una parola, è più difficile riprendere il filo. Se invece avrai confidenza con ciò che dovrai dire, anche se dovesse esserci un momento di esitazione, sarai poi in grado di tornare con facilità nel discorso.
– confessa la tua paura: puoi cominciare il tuo discorso premettendo che sei particolarmente agitato o emozionato, e scusandoti se dovesse capitare di perdere il filo. In questo modo stai togliendo dai tuoi pensieri la preoccupazione “Si accorgeranno che sono agitato?” e provocherai empatia nel tuo pubblico.
Se questi suggerimenti non dovessero bastare, puoi prendere in considerazione l’opportunità di rivolgerti ad un professionista.
Sul sito www.onesession.it puoi trovare un elenco di professionisti formati in Terapia a Seduta Singola.
A volte un solo incontro può bastare! Attraverso l’aiuto del professionista potrai individuare delle strategie “sartoriali”, su misura per te.
Bibliografia
Cannistrà F., Piccirilli F., (2018), Terapia a seduta singola. Principi e pratiche
Nardone G. (2013), Psicotrappole
Nardone G. (1998), Psicosoluzioni
Il mio lavoro è orientato al futuro e alla valorizzazione delle risorse delle persone che si rivolgono a me, in ottica di totale collaborazione.
Il disturbo Ossessivo Compulsivo: muovere i primi passi verso la soluzione!
Ti capita di lavarti le mani molto frequentemente?
Di controllare e ricontrollare più volte durante la giornata se hai chiuso la porta di casa, spento i fornelli e chiuso il gas?
Oppure hai pensieri ricorrenti, rimugini continui, costanti, invasivi?
Ecco, è probabile che tu abbia un DOC, un Disturbo ossessivo compulsivo!
Che cos’è Il DOC?
Il disturbo ossessivo compulsivo è un disturbo caratterizzato “dall’irrefrenabile bisogno di mettere in atto comportamenti o pensieri in modo ripetitivo e ritualizzato, sovrastando ogni altra attività” (Nardone, 2013)
Si caratterizza per le:
- Ossessioni: pensieri costanti, ripetuti o immagini che invadono la mente e che percepisci come intrusive, fastidiose ma cui non sei in grado di resistere. Ci pensi sempre, occupando la maggior parte del tuo con un rimugino continuo (paura dello sporco, fare del male agli altri, l’ordine)
- Compulsioni: sono i comportamenti che metti in atto. Le azioni che fai, ripetute e ritualizzate che, una volta eseguite, ti fanno provare piacere e soddisfazione e a cui non sai dire di no (pulirsi le mani; controllare e ricontrollare; accumulare oggetti)
E’ l’ossessione a scatenare la compulsione.
Bada bene che non mi riferisco a qualche pensiero intrusivo o azione ripetuta nel corso della giornata che scapita a qualsiasi persona: può accadere infatti di avere dei propri rituali (come la penna più fortunata da portare all’esame) essere ordinati e puliti o avere paura di germi e virus e per questo praticare una sana igienizzazione. Cosi come può accadere di avere “brutti pensieri “ nei confronti di noi stessi o degli altri a cui poi non diamo seguito.
La differenza nel Disturbo Ossessivo compulsivo sta nell’intrusività di queste immagini mentali ricorrenti e continue che occupano letteralmente la tua mente e di comportamenti per mettere in atto i quali perdi, sottrai tempo a tutto il resto.
Inoltre più metti in atto i comportamenti, più ne hai bisogno: l’ansia e l’angoscia che provi vengono alleviate dall’agire che comporta una reiterazione del comportamento che ti dona piacere.
Tenti si risolvere il problema ma non funziona!
- Eviti ciò che ti spaventa: evitare per paura è un toccasana momentaneo, ma se ti chiedessi come stai dopo aver evitato, cosa mi risponderesti? Il problema si è risolto? La tua ansia è sparita?Probabilmente stai pensando che non è cosi e che anzi, dopo aver evitato, hai ancora più paura ad affrontare quella determinata situazione.
- Cerchi rassicurazioni: chiedi aiuto a chi ti sta vicino perché pensi che da solo non ce la fai. Al contempo ti lamenti del problema con i tuoi amici o i tuoi cari, in cerca di consigli utili e rassicurazioni. Eppure anche in questo caso, sono sicura che il chiedere aiuto e rassicurazione non ha funzionato. Sbaglio?
- Rituali, rituali, rituali: per placare la tua ansia hai ritualizzato dei comportamenti che se all’inizio erano sporadici, sono piano piano aumentati fino a occupare del tutto il tuo tempo. Ti senti vittima di queste azioni ma al contempo non ne puoi fare a meno.
Cosa puoi iniziare a fare?
- Stop alle richieste di aiuto!
Ogni volta che chiedi aiuto confermi a te stesso da un lato che sei circondato da persone che ti vogliono bene, dall’altro di non essere in grado di farcela, che non sei capace e il tuo senso di efficacia diminuisce.
Pensa che ogni volta che chiedi aiuto ricevi questo duplice messaggio.
- Parlare, parlare, parlare: Il parlare agisce sulla paura come l’acqua agisce sulle piante: più innaffi, più la pianta cresce, allo stesso modo più ne parli e più la paura cresce.
Smetti immediatamente!
- Evita…di evitare: più eviti e più confermi a te stesso la pericolosità della situazione e di non essere in grado di affrontarla.
So che smettere da un giorno all’altro di evitare certe cose sembra impossibile, ma il consiglio è questo: comincia dalla cosa più piccola, facendo il primo piccolo passo.
- Prova a rimandare: ogni volta che senti il bisogno di mettere in atto il comportamento (che sia controllare o pulire o lavarti le mani e cosi via), rimandalo di 15 minuti più tardi. Al termine dei 15 minuti, puoi fare tutto come al solito. Semplicemente puoi provare a posticipare il bisogno per poi agire come fai sempre. Provaci!
Pensi di non farcela?
Puoi rivolgerti a uno specialista in questi casi.
La terapia a seduta singola è utile per ottenere vantaggi anche in una sola seduta con lo psicologo per aiutare a risolvere problemi come il DOC in tempi brevi, attraverso la definizione di un obiettivo da raggiungere e l’individuazione delle tue risorse.
Beatrice Pavoni
Bibliografia:
Bartoletti, A (2019) Pensieri Brutti e Cattivi. Ossessioni tabù: come superarli. Francoangeli.
Nardone, G. Portelli, C. (2013) Ossessioni, Compulsioni, Mani. Capirle e sconfiggerle in tempi brevi. Ponte delle grazie.
Sono una psicologa che si occupa di consulenze brevi e di TSS: il mio obiettivo è ridurre i tempi della terapia e massimizzare l’efficacia della seduta, offrendo un sostegno focalizzato e concreto per affrontare sia le piccole che le grandi difficoltà della vita
L’attacco di panico: Fuggi o combatti?
Che cos’è l’attacco di panico?
L’ansia è il problema più diffuso e più comune al giorno d’oggi: stando alle ricerche, almeno 2 persone su 3 dichiarano di vivere uno stato ansioso e di esserne condizionati.
Tipicamente l’ansia è caratterizzata da una serie di sintomi fisici che possono acuirsi nel tempo o in alcune situazioni specifiche, fino a sfociare in attacchi d’ansia o, nel peggiore dei casi, in attacchi di panico.
Ti è mai capitato di avere un attacco di panico?
Immagino che sia stata un’esperienza terribile, che ti ha colto alla sprovvista, almeno la prima volta.
Il primo attacco di panico ti coglie impreparato, ti spaventa ed sviluppa in te la paura che se ne verifichi un secondo.
Il disturbo da attacchi di panico nasce nel momento in cui gli episodi diventano ricorrenti e si verificano in determinate circostanze o rispetto a singoli eventi.
Per esempio l’attacco di panico ti è venuto la prima volta quando eri fuori casa, da solo, in un posto che non conoscevi. Hai avuto paura e da quel momento hai deciso, per paura di subire ancora quelle sensazioni, di non andare più in posti che non conosci da solo.
Ecco. La “paura della paura” ti ha frenato e ha creato un circolo vizioso in cui sei invischiato e che non riesci a disinnescare. Sei costretto a evitare tutto ciò che ti spaventa, luoghi, situazioni, mezzi pubblici etc, fino a compromettere la tua quotidianità.
Non solo. Trovi un escamotage per non precluderti completamente la possibilità di uscire e allora chiedi aiuto – agli amici, ai familiari –perché da solo non ce la fai.
Se soffri o hai sofferto di un disturbo da attacchi di panico, riconoscerai alcuni di questi sintomi:
- palpitazioni o tachicardia (il cuore batte a mille)
- tremori (fini e diffusi, oppure a grandi scosse)
- sudorazione intensa
- sensazione di rimanere senz’aria o di avere difficoltà a respirare
- dolore o fastidio al petto (a volte come fosse un infarto)
- nausea, conati di vomito o disturbi addominali
- vertigini, sbandamenti o sensazione di svenimento
- sensazione di irrealtà (derealizzazione) o di essere distaccato da te stesso (depersonalizzazione)
- paura di perdere il controllo o di “impazzire”
- paura di morire
Fuggi o combatti?
La prima reazione ed anche la più comune è quella di ricorrere ai farmaci. Del resto se hai l’ influenza, un dolore allo stomaco o un piede dolorante, ricorri al medico e ai suoi consigli, perchè non farlo anche nel caso dell’attacco di panico, se si manifesta per lo più a livello fisico?
Il farmaco può essere utile in alcuni casi, ma è possibile scegliere di intraprendere –in concomitanza- anche un percorso terapeutico.
Quando farlo?
Quando gli attacchi di panico non sono cosi invalidanti da chiuderti dentro casa;
Se sei motivato ad affrontarli;
Perchè combatti invece di fuggire.
Gli antichi sumeri affermavano: “La paura evitata diventa timor panico, la paura guardata in faccia diventa coraggio.”
Evitare, evitare, evitare!
Forse penserai che non è possibile ma ci sono alcune cose che potresti evitare di fare e che potrebbero rivelarsi utili per far fronte all’attacco di panico:
- Chiedere aiuto: ogni volta che chiedi aiuto confermi a te stesso di non essere in grado. Ci sono tante persone pronte a tenderti la mano ogni volta che ne hai bisogno e questo è bello, ti dice che sei circondati da persone che ti vogliono bene; ogni volta, però, che chiedi a aiuto stai dicendo a te stesso che non sei in grado di affrontare la situazione da solo, che non sei capace e il suo senso di efficacia diminuisce.
- Parlare: ogni volta che ti sfoghi in merito alle tue paure, ti senti meglio. Sul momento, il fatto di parlarne ti scarica, ti rilassa e sembra andare tutto bene. Poi? Dopo averne parlato, sul lungo periodo ti è utile ? Il parlare agisce sulla paura come il concime sulle piante: più parli e più la paura cresce.
- Evitare: sei ormai un esperto nell’evitare quello che ti fa paura e allora ti chiedo di evitare di evitare: più eviti e più confermi la pericolosità della situazione; più eviti e più confermi a te stesso di non essere in grado di affrontarla.
Non è facile superare da soli l’attacco di panico ed è per questo che ti invito a rivolgerti a un professionista, uno psicologo qualificato.
Sul sito www.onesession.it, per esempio, è presente un elenco di professionisti formati in Terapia a Seduta Singola che potranno aiutarti a raggiungere i risultati sperati, anche in un singolo incontro; ebbene si, anche una sola seduta con il terapeuta potrebbe apportare benefici, individuare le tue risorse e aiutarti a priorizzare l’obiettivo da raggiungere.
Bibliografia:
www.riza.it
Cannistrà F., Piccirilli F. (2018), Terapia a seduta singola. Principi e pratiche. Giunti Psychometrics
Nardone, G. (2016) La terapia degli attacchi di panico. Ponte alle Grazie
Nardone, G. (2016) Paura, panico, fobie. La terapia in tempi brevi. TEA
Sono una psicologa che si occupa di consulenze brevi e di TSS: il mio obiettivo è ridurre i tempi della terapia e massimizzare l’efficacia della seduta, offrendo un sostegno focalizzato e concreto per affrontare sia le piccole che le grandi difficoltà della vita
La paura dell’aereo e la Terapia a Seduta Singola.
Sai che cose’è l’aereofobia? E’ il termine che definisce la paura di volare in aereo (fear of flying) a causa di uno stato di ansia significativo.
Si configura o come una fobia – una paura irrazionale e persistente, verso una situazione specifica che in questo caso è la condizione di dover prendere l’aereo- o potrebbe manifestarsi come una paura piuttosto intensa ma comunque gestibile.
Hai paura di volare?
Non ti preoccupare, non sei il solo a sperimentare questo disagio, ma tanti soffrono di questo problema.
Perché si ha paura dell’aereo?
Non c’è una risposta univoca.
Sicuramente volare è una condizione estranea all’essere umano e di per sé, spaventosa.
Bisogna considera che l’aereo, per quanto sicuro, è un mezzo dal quale una volta saliti non si può più scendere, se non al termine del viaggio.
- C’è chi soffre di claustrofobia e di conseguenza ha paura di volare perché si trova in un mezzo chiuso.
- Un esperienza traumatica vissuta sull’aereo ha cristallizzato la paura per il mezzo.
Le cause possono essere tante ma rimane il problema che chi ha paura dell’aereo ha difficoltà nel programmare un viaggio o a farlo fino a raggiungere i casi estremi di fobia dove l’aereo viene evitato del tutto.
Paura e fobia: sono la stessa cosa?
No. La paura è un emozione fondamentale, utile all’essere umano come campanello di allarme per i pericoli esterni. Tuttavia da una semplice paura fisiologica può trasformarsi in una paura persistente e pervasiva, che invalida il normale svolgimento di vita della persona: in questo caso diventa fobia, una paura specifica e irrazionale.
C’è chi, nonostante la paura, prende comunque l’aereo, chi ricorre a tentate soluzioni come: rituali propiziatori prima del viaggio, distrattori (musica, libri, pc..), la compagnia delle persone (non partono mai da soli), viaggi brevi e dilazionati nel tempo, e nei casi più resistenti l’uso dei farmaci.
Chi invece prende l’aereo solo quando strettamente necessario – per lavoro- e chi lo evita del tutto perché sa che potrebbe avere un attacco di panico se costretto a prenderlo.
Non prendere più l’aereo o prenderlo con grandi difficoltà e disagi pervasivi, significa rinunciare a una vacanza, a rendersi disponibile per un viaggio di lavoro, ad andare a trovare dei parenti, a un trasferimento, a vedere il mondo e essere costretti a usare mezzi più scomodi, meno sicuri e che impiegano molto più tempo.
Insomma, tutta una serie di svantaggi che sono sicura non sei fino in fondo felice di accettare.
Lo sai che è possibile risolvere il problema in tempi brevi?
Come superare la paura dell’aereo?
Chi vola, lo sa, che l’aereo è considerato da sempre –secondo le statistiche- come il mezzo più sicuro; sono più frequenti gli incidenti in macchina, in treno o in nave rispetto a quelli in aereo.
Eppure immagino che tu è proprio dell’aereo che hai più paura mentre i restanti mezzi, come la macchina, che usi tutti i giorni, non ti spaventano.
Chissà, forse in macchina hai la sensazione di avere il pieno controllo in quanto conducente – per quanto illusoria sia- mente l’aereo è un mezzo su cui sei passeggero.
Se hai paura dell’aereo la per prima cosa cerchi rassicurazione:
- chiedi aiuto alle persone intorno a te, ne parli, ti sfoghi e ti lamenti. La rassicurazione non funziona però. Quando ne parli, immagino che sul momento ti senti meglio, ma dopo? Funziona? Questo perché in realtà la rassicurazione alimenta l’ansia, rendendo la paura più reale e confermando il fatto che fai ad avere paura.
- La seconda cosa che fai è cercare spiegazioni razionali e logiche: sai che è più facile morire in macchina che in aereo, che è il mezzo più sicuro su cui viaggiare, che è attrezzato per affrontare lunghi viaggi e turbolenze. La razionalità tuttavia non risolve il problema ma colma solo una lacuna e aumenta la consapevolezza personale: agisce infatti su una paura irrazionale e di conseguenza il suo effetto è limitato.
- Infine, decidi di evitare di prendere l’aereo: Inizialmente questa tentata soluzione sembra funzionare poi, evitando costantemente, peggiori la situazione. Questo accade perché evitando confermi che la situazione è realmente pericolosa e perdi fiducia nelle tue capacità personali.
Nardone afferma “La paura evitata diventa panico, la paura guardata in faccia diventa coraggio”.
Pensi di non farcela?
Puoi rivolgerti a uno specialista in questi casi.
La terapia a seduta singola è utile per ottenere vantaggi anche in una sola seduta con lo psicologo, soprattutto per questo tipo di paure che si risolvo in tempi brevi attraverso l’individuazione dell’obiettivo da raggiungere e l’individuazione delle tue risorse.
Sul sito di www.onesession.it, è presente un elenco di professionisti formati in Terapia a Seduta Singola che potranno aiutarti a raggiungere i risultati sperati.
Beatrice Pavoni
Bibliografia:
Evangelisti, L. (2014). Mai più paura di volare. Come vincere per sempre la fobia dell’aereo. Milano: Feltrinelli.
Nardone G.,1993 “Paura, panico, fobie”, Ponte alle Grazie, Milano
Nardone G., 2000 “Oltre i limiti della paura”, Ponte alle Grazie, Milano Nardone G., 2003
Cannistrà F, Piccirilli F. (2018) terapia a seduta singola. Principi e pratiche. Giunti Psycometrics
Sono una psicologa che si occupa di consulenze brevi e di TSS: il mio obiettivo è ridurre i tempi della terapia e massimizzare l’efficacia della seduta, offrendo un sostegno focalizzato e concreto per affrontare sia le piccole che le grandi difficoltà della vita
Saper usare l’ansia a proprio vantaggio: cosa fare e cosa non fare per convivere e gestire con lo stato ansioso
Che cos’è l’ansia?
Le ricerche riportano che due italiani su tre dichiarano di vivere in uno stato ansioso e di esserne condizionati. L’ansia è diventata infatti una compagna leale nella vita di molte persone che ammettono con naturalezza di convivere con questa inquietudine.
Quando parliamo di ansia, condizione ansiosa o sensazione d’ansia, facciamo riferimento a una condizione psico-fisica che è caratterizzata da:
– sensazione di costrizione
– affanno e angoscia
– irrequietezza e tensione.
A queste sensazioni si associano spesso dei sintomi fisici: l’ansia è infatti il disagio che, più fra tutti, costringe il corpo a reagire con una serie di comportamenti e dolori fisici –come cefalee, mal di stomaco, tremori- fino a creare, in alcuni individui, delle vere e proprie patologie croniche.
Bisogna fare attenzione e distinguere l’ansia dalla paura: la prima è la reazione emotiva e fisica causata dall’anticipazione di eventi futuri, mentre la seconda è la risposta un pericolo immediato. Ulteriormente, si è soliti distinguere un’ ansia di stato da una di tratto.
L’ansia di stato emerge nel momento in cui la persona presenta preoccupazioni legate a una specifica situazione. L’ansia di tratto, invece, delinea un atteggiamento ansioso generale da parte della persona, senza il riferimento a un contesto più preciso.
L’ansia è positiva o negativa?
Le ricerche sostengono che l’ansia affondi le sue radici più profonde nel cervello, nell’ottica in cui lo stato ansioso agisce sulla materia cerebrale, modificandola e alterandone gli equilibri interni.
La cronicizzazione dello stato ansioso dipende dal fatto che la nostra mente incamera strutture ansiose continuamente attive a reattive agli stimoli esterni. Sembra che addirittura i neuroni diventino ansiosi.
Questa condizione comporta tutta una serie di conseguenze che diminuiscono le nostre capacità mentali:
– annebbiamento delle emozioni
– alterazioni del processo percettivo
– diminuisce l’apprendimento
– riduce la concentrazione.
Tuttavia l’ansia ha una funzione adattiva nell’essere umano. In realtà, può costituire una fonte preziosa per la persona che è in grado di gestirne gli aspetti negativi. Se ci riflettiamo, l’ansia consente di individuare i pericoli esterni, attraverso la preoccupazione e lo stato di allarme; in questo modo ci ha garantito la sopravvivenza.
Eppure ad oggi rischia di diventare il più grande disagio che affligge la popolazione.
Perché?
Perché non la sappiamo usare. E’ un segnale che ci indica che stiamo sbagliando qualcosa, che ci stiamo allontanando dall’obiettivo, che ci stiamo trasformando. Bisogna essere in grado di saperla ascoltare.
E’ quindi possibile vincere l’ansia?
Non sei il solo a soffrire d’ansia, a sentirti immobilizzato dalla condizione ansiosa, ad avere rimuginii continui o costanti preoccupazioni.
E’ possibile disinnescare questa spirale mentale e fisica e ascoltare l’ansia come fosse una guida che ti indica la giusta direzione; puoi usarla a tuo vantaggio per migliorarti, scoprire risorse e comprendere cosa ti fa stare veramente bene.
Ecco una piccola guida su cosa fare riguardo a questa condizione:
1. Disinnesca l’allarme:
Il costante pensiero sul domani non ti lascia in pace? Spegni l’allarme e concentrati su cosa NON sta succedendo in quel preciso momento, sull’ambiente sicuro in cui sei. Lascia il condizionale da parte, e pensa all’indicativo: ciò che c’è e non ciò che potrebbe essere.
2. Riconosci quando è mascherata:
Non sempre l’ansia si manifesta. A volte sono piccoli i segnali che dovrebbero aiutarti a riconoscerla: mangiare anche quando si è sazi, non portare a termini obiettivi prefissati, stancarsi spesso e senza aver fatto nulla… Facci caso.
3. Blocca il meccanismo che fa rimuginare
Ruminare non è pensare. La ruminazione è sterile, non fornisce alcuna soluzione, non evolve e crea solo difficoltà. Fai attenzione ai pensieri ruminanti e scegli di bloccarli.
4. Crea un rifugio che senti tuo
Fight o flight. Scappa o combatti. Solitamente la reazione istintiva all’ansia è la fuga. E se invece di scappare restassi ad affrontarla, chiudendo gli occhi e creando un luogo in cui ti senti al sicuro? Provaci.
5. Scarica la tensione in modo naturale
L’ansia è in grado di stancare perché costringe a un continuo movimento afinalizzato. E se invece ti dedicassi a un attiva sportiva che ti consenta di concentrarti, tralasciando tutto il resto?
Potrebbe accadere che questi consigli non sortiscano l’effetto sperato e non siano completamente utili a risolvere il problema.
Ci sono situazioni in cui è opportuno pensare di rivolgersi a uno psicologo professionista.
Lo sapevi che anche un singolo incontro può essere sufficiente per capire qual’è il primo piccolo passo da compiere nella direzione del tuo obiettivo? Grazie alla Terapia a Seduta Singola potresti raggiungere risultati in tempi brevi, individuare le tue risorse e risolvere situazioni che non avevi pensato avessero una soluzione.
BIBLIOGRAFIA:
Cannistrà F., Piccirilli F. (2018), Terapia a seduta singola. Principi e pratiche. Giunti Psychometrics
Sono una Psicologa, specializzata in Dipendenze da sostanze, comportamentali (gioco d’azzardo, shopping, ecc) e relazionali (dipendenza affettiva). Sono formata all’utilizzo della Terapia a Seduta Singola (TSS) e della Terapia Centrata sulla Soluzione, per aiutare le persone a risolvere i loro problemi e tornare al benessere nel più breve tempo possibile, imparando a scoprire e sfruttare al meglio tutte le loro risorse.
Disturbo da accumulo: non butto via mai niente
Quante volte ti sarà capitato di comprare delle cose inutili, di cui magari ti sei liberato poco tempo dopo, perché hai capito che in fondo non ti servivano. Souvenir, gadget, pupazzi, portachiavi: quanti acquisti si possono fare! Nella normalità, tuttavia, ci si mette poco a rendersi conto se un oggetto è inutile o meno. E prima di accumularne in casa centinaia e centinaia, si cerca di trovare ad essi un nuovo impiego: il più delle volte, per “liberare spazio”, gli oggetti vengono buttati o regalati.
Tutto ciò non accade in chi soffre di un disturbo da accumulo. Queste persone, infatti, non solo si procurano innumerevoli oggetti, spesso inutili, ma il più delle volte non riescono a separarsene. Il disturbo da accumulo, pertanto, detto anche disposofobia, porta ad accumulare di tutto, al punto da ingombrare ogni spazio di vita quotidiano.
Caro oggetto, non riesco a separarmi da te
Il disturbo di accumulo è una patologia che si caratterizza per la tendenza ad accumulare oggetti in maniera patologica. Secondo i principali manuali diagnostici è definito come l’impossibilità di liberarsi di un gran numero di beni, apparentemente inutili, che finiscono per ingombrare gli spazi vitali, tanto da precludere le attività di vita quotidiana. Tale comportamento, per essere definito patologico, deve però comportare un disagio clinicamente significativo.
L’accumulo può essere limitato ad alcuni oggetti o, indistintamente, essere rivolto a tutto ciò che passa sotto tiro. Nel primo caso la persona è portata a “collezionare” solo un certo tipo di cose, come giornali, vestiti o addirittura animali. Nel secondo, invece, si accumula di tutto: carte, coperte, riviste, bollette scadute, portapenne. Proprio di tutto. Tra la persona e ogni singolo oggetto, comunque, si creerà un legame talmente forte, che sarà impossibile da interrompere.
L’impossibilità di separarsi da ciò che si è accumulato, secondo Steketee, sussiste per tre principali motivi. Il primo attiene a ragioni di tipo affettivo. Hai presente l’amore che tiene legate due persone? E’ proprio quello che prova l’accumulatore nei confronti di ogni oggetto: come potrebbe mai liberarsene?
Il secondo, invece, fa riferimento a motivazioni strumentali. L’oggetto, ovvero, potrebbe tornare sempre utile, anche quando non ha nessuna utilità. L’accumulatore riesce a trovare un’utilità anche a un fermaglio per capelli rotto! Perché buttarlo, quindi?
Infine, il terzo motivo rimanda a ragioni estetiche o intrinseche. Qualsiasi oggetto di cui l’accumulatore è entrato in suo possesso è bello, utile e dunque vale la pena conservarlo perché “non si sa mai”.
Perché si accumula in maniera patologica
Alla base di un disturbo da accumulo vi è in genere una pregressa storia traumatica. La persona, ovvero, ha sviluppato il comportamento di accumulo come reazione disfunzionale a qualcosa che in passato ha vissuto come negativo. Negli oggetti, pertanto, ritrova paradossalmente quel conforto o quella serenità affettiva che in passato è mancata.
Per spiegarmi meglio, voglio richiamarti alla mente quei pantaloni che, a livello delle ginocchia hanno delle toppe, perché col passare del tempo, si sono usurati. Ora immagina che anziché una toppa, nel pantalone siano presenti un’innumerevole quantità di strappi e buchi. Se paragoniamo il pantalone alla vita di una persona e gli strappi ai traumi vissuti, gli oggetti di chi soffre di disposofobia sono proprio le toppe che servono per nascondere quei buchi/traumi. Ma quei buchi sono talmente numerosi, che gli oggetti necessari per poterli nascondere saranno infiniti! Ed è qui che nasce il bisogno di accumulare.
In un certo senso, e a ragione, il disturbo di accumulo ricorda il disturbo ossessivo compulsivo, in quanto il gesto di accumulare è paragonabile proprio a una compulsione. Probabilmente, dietro quel gesto, vi è il desiderio di placare un’ansia sottostante piuttosto viva che, nel tempo, si è, anch’essa, andata accumulandosi.
Conseguenze: è possibile uscirne?
E’ facile immaginare a che tipo di conseguenze possa portare un disturbo da accumulo, anche se queste ultime dipendono certamente dal livello di gravità della patologia. Tra le principali conseguenze vi è sicuramente un isolamento sociale più intenso e la rottura della maggior parte delle relazioni.
Alle relazioni, d’altronde, l’accumulatore preferisce i propri oggetti: senza di essi, in fondo, si vedrebbero tutti i buchi del proprio pantalone! Piuttosto che separarsi dalle proprie collezioni, quindi, l’accumulatore preferisce separarsi dalle persone.
Potranno emergere anche importanti problemi di salute o finanziari, in quanto l’accumulare diverrà col tempo un’attività che invaderà ogni spazio di vita dell’individuo. Persino le attività più semplici, come lo spostarsi da casa, potranno divenire complesse. Qualsiasi spostamento, infatti, sarà sempre difficoltoso, poiché la persona sarà tentata di fermarsi più volte per raccogliere qualsiasi tipo oggetto.
Da un punto di vista psicoterapeutico è possibile fare qualcosa, almeno per ridurre l’incidenza che il disturbo può avere nella vita di tutti i giorni. Molte terapie hanno sviluppato, in questa direzione, protocolli di successo. L’obiettivo, in genere, è quello di ridurre il comportamento di accumulo a un più semplice atteggiamento “collezionista”, ridando alla vita il significato che merita e dislocando gli affetti dagli oggetti alle persone.
Nell’ambito della terapia breve, ad esempio, si inizierebbe il processo di cura invitando il paziente a distaccarsi, gradualmente, dall’oggetto emotivamente più piccolo, ovvero quello affettivamente meno significativo. Successivamente si arriverà a tutti gli altri, elaborando a poco a poco i possibili traumi che gli oggetti accumulati nascondono.
Tale processo, in casi meno gravi, potrebbe essere avviato e risolto anche all’interno di una terapia a seduta singola: in questo caso, però, l’intervento sarà più incisivo, e cercherà di modificare sia il comportamento di accumulo, sia il significato che si nasconde dietro quest’ultimo.
Bibliografia
Mancini, F., Perdighe, C. (2015). Il disturbo da accumulo, Raffaello Cortina, Milano.
Steketee, G. (2010). A brief interview for assessing compulsive hoarding: The Hoarding Rating Scale-Interview, Psychiatry Research, 178, 147-152.
9 suggerimenti per superare la paura di volare
Finalmente è arrivata l’estate, avrai sicuramente voglia di staccare la spina da tutto e partire per un posto esotico o comunque lontano, magari con gli amici oppure con la tua dolce metà, vero?
Ti ritrovi a immaginare quanto ti piacerebbe andare in posti incantati, tra natura, spiagge bianche e mare cristallino. Solo a pensarci ti sembra gia di goderti il relax di quei posti meravigliosi che solitamente vedi solo sulle riviste.
All’ improvviso però, non appena pensi che per andare cosi lontano devi prendere l’aereo, ti torna in mente quella brutta esperienza che hai vissuto tempo fa durante un volo, e questo scenario da sogno si trasforma improvvisamente in un incubo.
Ricordi benissimo come ti sei sentito in quel momento!
Forse sarai stato sopraffatto dall’ansia, dall’angoscia, la frequenza cardiaca avrà cominciato ad aumentare, avrai avuto l’impressione di non riuscire a respirare, di svenire, i muscoli ti si saranno irrigiditi, avrai provato un senso di oppressione, paura di morire o impazzire.
Risultato?
Queste sensazioni terribili, ormai da diverso tempo, ti portano a rinunciare ai viaggi che tanto desideri per evitare così l’esperienza di andare in aereo. Sicuramente, sai benissimo che la tua paura di volare viene definita “aerofobia” o “aviofobia”, ma quello che forse non sai, è che a volte non è sufficiente evitare l’aereo, poiché il disagio può cominciare a presentarsi in altri contestilimitando sempre di più la tua vita.
Probabilmente più volte ti sarai chiesto: “Ma perché ho così paura di volare e non riesco a superarla?”. Be, a questa domanda potrei dare molte risposte se ti conoscessi, ma non essendo così, l’unica cosa che posso fare, è darti qualche consiglio per provare ad affrontare la paura di volare già da solo e magari farti quel viaggio che desideri da tanto.
Eccoti 9 suggerimenti che puoi utilizzare prima e durante il volo, per gestire il più possibile la tua paura:
- approfondisci le tue competenze sugli aerei informandoti di come funzionano e sul loro maggiore livello di sicurezza rispetto gli altri mezzi;
- evita di ossessionarti con le notizie sugli incidenti aerei, riportate da giornali e notiziari;
- gran parte dell’essere spaventati dipende dal fatto di non sapere cosa sta per accadere, quindi, preparati ai movimenti e alle sensazioni che sperimenterai durante il volo come per esempio le turbolenze;
- se ci riesci, prenota un posto nella parte anteriore dell’aereo. Questa zona è meno esposta alle turbolenze e puoi rilassarti più facilmente;
- se invece provi fastidio per il fatto che sull’aereo ti senti un pò prigioniero, scegli un posto che si trovi nel lato del corridoio o vicino all’uscita di emergenza;
- pratica degli esercizi di rilassamento capaci di ridurre l’ansia sia nella tua vita quotidiana che durante il volo;
- cerca di non volare solo, ma con qualcuno di fiducia che può aiutarti a distrarti e a sentirti più tranquillo;
- spiega alle hostess la tua paura, la calma e la professionalità con cui hostess e steward affrontano il viaggio potrà esserti sicuramente di aiuto;
- durante il volo prova a distrarti leggendo un libro, guardando un film o ascoltando della musica rilassante. Tutto ciò ti permetterà di distoglierà la mente da ciò che ti preoccupa.
Di suggerimenti c’è ne sono diversi ma intanto prova ad iniziare con questi, e se ti accorgi che il tuo problema non è ancora risolto, allora rivolgiti ad un terapeuta che scoprendo insieme a te cosa nasconde veramente la tua paura, può aiutarti a gestirla senza dover continuare a rinunciare ai viaggetti che da tanto sogni.
Non servono terapie interminabili, in molti casi si è osservato che anche dopo una singola seduta di terapia, è possibile ottenere degli ottimi risultati.
Non aspettare ancora per contattare uno dei terapeuti formati in Terapia a Seduta Singola cercando sul nostro sito www.onesession.it, il terapeuta più vicino a te e più adatto alle tue esigenze.
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Fobia specifica: ho terrore di quella cosa lì, ma non so perché
“Aiuto, aiuto c’è un ragno!”…“Che paura, che paura c’è un gatto!”…“O caspita, un cane…oddio un cane…mi sale l’ansia!”.
E si potrebbe continuare all’infinito. Se sproporzionate rispetto alla realtà, le paure per i ragni, gatti, temporali, cani, insetti, uccelli, aghi o altro tipo di oggetti, sono definite col termine di fobie specifiche. In fondo, ti sei mai chiesto che motivo c’è di aver paura di un ago o di un piccolo ragnetto? Eppure, c’è chi prova un profondo terrore al solo pensiero.
Se penso a quella cosa là, mi viene il panico
Per parlare di fobia specifica, dobbiamo riferirci a una paura illogica, irrazionale ed eccessivamente elevata nei confronti di un determinato oggetto, animale o situazione. Se si trova di fronte allo stimolo ansiogeno, la persona non resiste, vuole scappare, prova un terrore vero e proprio, anche quando non c’è motivo. Oltre ad essere sproporzionata e irrazionale, nella fobia specifica la paura è anche incontrollabile, porta all’evitamento sistematico della situazione e influenza negativamente la vita quotidiana della persona.
La questione centrale, però, rimane il fatto che, per parlare di fobia, la paura deve essere provata nei confronti di uno stimolo innocuo. In altre parole, non siamo in presenza di una fobia se il terrore è vissuto di fronte a uno stimolo realmente pericoloso. Chi non ha paura di un leone? Quasi nessuno. Ma se quel leone lo vedi in un ragno, un ago, un oggetto o una situazione particolare, e hai una reazione simile a quella che avresti di fronte a un leone vero e proprio…bè, allora soffri sicuramente di una qualche forma di fobia specifica.
Il terrore che si prova in queste situazioni di eccessiva ansia, si esprime anche attraverso sintomi fisiologici ben circoscritti, come tachicardia, vertigini, diarrea, sensazione di soffocamento, tremore o sudorazione eccessiva. Nel momento acuto della fobia, inoltre, il primo istinto è sempre scappare e fuggire altrove. Torna a pensare per un attimo al leone: se te ne ritrovi uno davanti all’improvviso, d’istinto cosa fai? Fuggi! E senza perdere nemmeno troppo tempo! Ecco, chi soffre di una qualsiasi forma di fobia, fugge (ed evita) qualsiasi cosa gli ricordi lo stimolo ansiogeno.
Sì ma…che tipo di fobia?
Devi innanzitutto differenziare le fobie specifiche da quelle generalizzate (agorafobia e fobia sociale). Queste ultime, infatti, riguardano un ampio spettro di situazioni, mentre la fobia specifica si ha solo in un determinato tipo di circostanza.
Un primo gruppo di fobie specifiche fa riferimento agli animali (ragni, uccelli, piccioni, insetti, cani, gatti…). Un altro gruppo, invece, racchiude quelle provate verso gli ambienti naturali, come la paura per i temporali, per le altezze, del buio o dell’acqua. Un altro gruppo ancora racchiude le fobie del sangue, delle iniezioni e delle ferite: pensa a quanto può essere invalidante questo tipo di fobia per un infermiere o un medico! Infine abbiamo quelle “situazionali”, dove è una specifica circostanza a causarle: ad esempio un tunnel, un ponte, un ascensore, guidare o volare.
E’ chiaro però che i tipi di fobie non si esauriscono soltanto a queste tipologie: pensa che c’è chi ha paura persino del proprio corpo, o di una parte di esso, o addirittura dei medicinali, o della polvere! Qualunque cosa può dare origine a una forma di fobia.
Cosa c’è dietro a una fobia specifica
Chi soffre di una fobia, spesso si chiede: perché? Il ché vuol dire, ad esempio: perché ho questa maledetta paura dei ragni? Rispondere a questa domanda non è facile. C’è chi sostiene che il tipo di fobia nasca da un significato inconscio errato che è stato dato, nel corso della vita, a quel particolare tipo di animale o di oggetto. C’è chi invece sostiene, al contrario, che l’inconscio non c’entra nulla, ma che è questione di condizionamento. Durante l’esistenza, ovvero, la mente ha appreso involontariamente che un oggetto o una situazione è eccessivamente pericolosa, quando in realtà non lo è. Tale condizionamento viene mantenuto inalterato nel tempo fino a dare origine alla fobia. La genesi è comunque sempre la stessa: un’errata interpretazione di qualcosa.
Ti invito a tirare fuori ancora il leone di prima. Hai presente quell’immagine, piuttosto famosa, in cui c’è un gatto che si guarda allo specchio e nello specchio, anziché vedere se stesso, vede un leone? Bé è un po’ quello che succede a chi sviluppa una fobia: vedere, a un certo punto della vita, qualcosa che va oltre la realtà, che sia all’interno di un ragno, di un cane, della pioggia che cade o della polvere che si annida. Da quel momento in poi esisterà solo il leone!
La scorciatoia per vincere le fobie
La paura è un’emozione adattiva: avere paura di un cane feroce, di un serpente o di un forte temporale mentre siamo in bici, è assolutamente normale. Ma se tale paura si estende anche a un cucciolo di cane, a un ragno piccolo e indifeso o ti condiziona nel prendere un semplice autobus, allora è evidente che c’è qualcosa che non va.
Se la tua fobia ha un’incidenza sulla tua vita e ti condiziona, c’è una via per superarla. Se, ad esempio, sei un infermiere e hai paura del sangue, oppure sei un autista e hai paura del trasporto pubblico, o sei un pilota e all’improvviso ti prende la fobia di volare: non demordere, c’è sempre una soluzione.
Rispetto ad altri problemi, in psicoterapia il trattamento della fobia, se non ci sono altri disturbi psicologici sottostanti, è relativamente facile. A volte può bastare una semplice sequenza di sedute, altre volte una sola sessione di terapia a seduta singola. L’obiettivo è comprendere da cosa è stata scatenata la fobia e come è possibile porvi rimedio. Portare, ovvero, quella paura che si prova di fronte allo stimolo ansiogeno dall’essere “eccessiva e irrazionale”, all’essere “normale e adattiva”. Immagina, ad esempio, quanto sarà bello ricominciare a indossare le ali, una volta che la fobia di volare sarà andata via!
Bibliografia
Cannistrà, F., Piccirilli, F. (2018). Terapia a seduta singola. Principi e pratiche, Giunti, Milano.
Nardone, G. (2012). Oltre i limiti della paura, Bur, Milano.
4 consigli pratici per superare la tua paura di guidare
Ormai sono diversi mesi che esci solo per andare a lavoro perché fortunatamente ci puoi arrivare a piedi, poi il resto del tuo tempo lo trascorri tra le mura di casa o al massimo fai delle brevi uscite per il paese. Ti limiti a uscire per fare la spesa al supermercato vicino casa tua o per recarti ogni tanto in qualche altro negozio vicino.
Insomma, fondamentalmente vai, dove puoi arrivare a piedi!
Ti allontani dalla tua zona solo se qualche tuo amico ti viene a prendere per uscire o per scarrozzarti da qualche parte, perché tanto tu la macchina proprio non la prendi, nonostante hai la patente.
Preferisci scomodare gli altri per farti portare in giro, piuttosto che cercare di superare la tua paura di guidare o anche l’ansia e l’agitazione che sorgono in te al solo pensiero di provarci.
Quasi quasi sembra che non ti interessi poter diventare un peso per gli altri!
La tua paura ormai è decisamente invalidante e condiziona la tua esistenza da almeno sei mesi. Pur avendo conseguito la patente di guida, non riesci proprio a guidare.
Non riesci a gestire quella persistente sensazione di ansia che si presenta ogni volta che tenti di metterti alla guida. Il tuo battito cardiaco aumenta, come anche la sudorazione delle mani, la tua respirazione diventa più affannosa e a volte forse provi addirittura una sensazione di nausea e vertigini.
Senti di non potercela fare, non ci riesci!
L’ansia e le aspettative negative ti frenano, ti bloccano non appena sali in macchina e provi a guidare. Più volte forse hai provato, fallendo e la domanda che ti sarà passata per la testa sarà stata: “Ma ci sarà qualche rimedio per superare questa mia paura?”.
Sicuramente saprai già benissimo che la tua paura ha un nome, si chiama amaxofobia o più raramente anche motorfobia, e consiste nella paura persistente e anormale di trovarsi in un veicolo o condurlo.
In alcuni casi colpisce solo per brevi periodi, mentre in altri può durare per tantissimo tempo. Comunque sia è una fobia checolpisce molte persone.
Tu sei una di quelle?
Se soffri di questa fobia sicuramente proverai sentimenti di disagio, ansia e nervosismo che a volte, spero non ancora nel tuo caso, possono addirittura causare dei veri e propri attacchi di panico.
Forse ti sarai chiesto: “Ma perché ho paura di guidare?”.
Be, le cause per cui può presentarsi l’amaxofobia possono essere diverse.
Per esempio può presentarsi in periodi della tua vita in cui sei più vulnerabile e più soggetto a stati d’ansia, può essere quindi la manifestazione di insicurezze e disagi inconsci. Oppure può verificarsi in risposta a esperienze pericolose vissute in prima persona o a persone a noi molto vicine.
Qualunque sia la causa della tua paura di guidare, ti suggerisco 4 consigli pratici che puoi mettere in pratica da solo e iniziare così a superare questa tua paura.
- Pulisci e “cura” la tua macchina. Portala dal meccanico e accertati che sia tutto a posto. Rendere, infatti, la tua auto un ambiente profumato e sicuro, e quindi prendere confidenza e curare gli oggetti delle nostre paure, aiuta ad affrontarle più facilmente.
- Cerca una zona sicura per riprendere a guidare, come un grande parcheggio, magari negli orari in cui è più vuoto. In questo modo eviterai traffico e situazioni di tensione che potrebbero presentarsi in strada.
- La prima volta che vai nel parcheggio, se non te la senti, non serve che guidi. Stai semplicemente seduto in auto, prendi confidenza con le sensazioni che ti arrivano, prova a metterla in moto e poi a spegnerla.
- Inizia a guidare solo quando te la senti. Inizialmente solo per 15 minuti, poi progressivamente aumenti a 30 minuti, fino poi a guidare per un’ora o quanto vuoi tu. Questo ovviamente vorrà dire fare tantissimi giri nel parcheggio vuoto, e sicuramente ti annoierai un po, ma non preoccuparti, più ti annoierai meglio sarà. Vedrai!
Devi assolutamente “evitare di non guidare”. Ciò rafforza solo la tua paura e la tua ansia. Lo sforzo che devi fare per metterti in macchina è grande, ma è anche fondamentale per superare il tuo problema e riconquistare la tua libertà.
Se nonostante i consigli che ti ho dato, il tuo problema non è ancora risolto, prova ad affidarti ad un terapeuta che può consigliarti cos’altro è più opportuno fare per la tua specifica situazione. In molti casi, si è osservato che anche dopo una singola seduta di terapia, è possibile riprendere a guidare.
Non aspettare a contattare uno dei terapeuti formati in Terapia a Seduta Singola cercando sul nostro sito www.onesession.it, il terapeuta più vicino a te e più adatto alle tue esigenze.
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Paura del fallimento: ciò che non mi uccide, mi fortifica?
E’ tutto pronto per la partenza. Sei in prima fila e potrebbe essere la gara della tua vita: qualora riuscissi a vincerla, ti consacreresti campione del mondo. I semafori si accendono, manca poco al via, ma all’improvviso sei assalito dai dubbi: “E se non riuscissi a portare a termine la gara? e se non arrivassi primo? quale tremenda delusione sarà! No, no, meglio rinunciare e non partire, piuttosto che correre il rischio di perdere!”. E così, alla fine rimani fermo sulla griglia di partenza, senza nemmeno partecipare a quella che poteva essere davvero la gara della tua vita.
Quello che ti ho appena descritto ha un nome: paura del fallimento. E’ un tipo di paura che attanaglia la mente, la blocca e la immobilizza di fronte a qualsiasi prova dell’esistenza.
So già che non raggiungerò l’obiettivo
La paura del fallimento è quel pensiero debilitante e ricorrente che subentra in tutti coloro che hanno paura di non riuscire a realizzare qualcosa. La persona interessata, per il solo timore di fallire, interrompe qualsiasi azione sia destinata al raggiungimento dei propri obiettivi. La paura di non riuscire è così tanta, che alcune volte finisce persino per non provarci nemmeno!
La paura di fallire implica importanti stravolgimenti dal punto di vista psicologico. Oltre all’immobilizzazione nei confronti della vita e delle scelte che si operano, crea dentro la persona un profondo senso di sfiducia. Quest’ultimo, a lungo andare, determinerà una considerevole disistima nelle proprie capacità, un giudizio negativo di sé e una profonda sensazione di disfatta di fronte a qualsiasi scelta ci sarà da compiere.
Ci sono alcuni precisi sintomi della paura del fallimento tra cui, oltre la bassa autostima e fiducia (“Non sarò mai capace di superare questo esame”), il rifiuto categorico a provare esperienze nuove, il procrastinare e la tendenza al perfezionismo (“Non riuscirò mai a fare quella cosa come vorrei, per cui non ci provo nemmeno”).
Con queste caratteristiche, il circolo vizioso della paura di fallire inibirà la persona in ogni campo della vita, da quello lavorativo a quello sociale. Piuttosto che dare adito a nuovi progetti, ci si accontenterà di quel che si ha, perché un eventuale fallimento della novità sarebbe una delusione troppo grande da dover digerire.
Le possibili cause: mancanza di fiducia
E’ difficile conoscere con esattezza quali possano essere, in generale, le cause della paura di fallire.
Dall’esperienza clinica se ne possono ricavare alcune più frequenti. Partendo dall’esperienza più precoce, una delle possibili è l’aver avuto genitori critici e poco supportivi.
I genitori critici non supportano né incoraggiano il proprio figlio nel raggiungimento degli obiettivi (qualunque essi siano, dal più semplice al più complesso). Ciò vuol dire che, spesso, si sostituiscono a lui nelle scelte, lo umiliano in pubblico (anche solo verbalmente) e non riconoscono né apprezzano i traguardi da lui raggiunti. Questo comportamento genitoriale, messo in atto spesso in modo inconsapevole, crea nel bambino un sentimento negativo, di sfiducia e di scarsa autostima nelle proprie capacità. Sensazioni che lui si porterà dietro anche da adulto, il ché, nel migliore dei casi, alimenterà la vera e propria paura del fallimento.
Un’altra possibile causa del timore di fallire è l’aver vissuto un evento traumatico.
Con evento traumatico si intende un’esperienza particolarmente dolorosa o umiliante che ha segnato la nostra vita. Un’esperienza traumatica, nell’ambito del fallimento, potrebbe essere, ad esempio, l’aver fatto una pessima figura in pubblico, durante una presentazione, oppure l’aver ricevuto un’importante umiliazione durante una prestazione sportiva.
La persona, scottata dalle emozioni negative vissute, sarà portata a evitare qualsiasi situazione che le ricorderà quella originaria, pur di non rischiare di riprovare le stesse sensazioni negative.
Fallimento: ciò che non mi uccide, mi fortifica!
Qualunque sia la tua storia personale, a tutto c’è un rimedio! Devi solo provare a vedere il fallimento in maniera non del tutto negativa, ma come un’occasione di crescita e di apprendimento. Vedendolo sotto questa prospettiva, esso potrà farti meno timore.
La paura di fallire, infatti, fa parte della vita di tutti: chiunque si è confrontato con una qualche forma di fallimento, prima di arrivare alla vita adulta. Vuoi per un amore non corrisposto, vuoi per un lavoro andato male o per una semplice amicizia interrotta. Il fallimento è, in fin dei conti, un modo per imparare dall’esperienza, per fortificarci e diventare adulti più sani e coraggiosi. Rinunciare a priori è, invece, indice di malessere.
Per alleviare la tua paura di fallire, quando hai di fronte un obiettivo che vuoi raggiungere, prima di rinunciare del tutto ai tuoi propositi, prova a seguire questi semplici consigli.
Innanzitutto, cambia il tuo punto di vista sul fallimento, come sopra ti ho suggerito di fare. In seguito, analizza tutte le conseguenze possibili che la tua azione potrà avere (a volte è la paura dell’ignoto che fa più timore, piuttosto che il fallimento in sé). Impara quindi a pensare positivo e datti fiducia, magari prefigurandoti lo scenario peggiore di quello che potrà succedere (ti aiuterà ad essere più ottimista!). E infine, fai e impegnati in quello che volevi fare!
Ricorda che la paura del fallimento viene meno solo con l’esperienza. Se reputi, invece, che, nel tuo caso, il timore di fallire sia ben più radicato, affidati a un terapeuta a sessione singola: in una sola seduta potrà cambiare il tuo modo di vedere le cose, nonché sbloccare e inibire molte delle tue paure, per iniziare, così, a non aver più paura!
Bibliografia
Morschitzky, H. (2013). Vincere la paura del fallimento. Superare ansie, timori e sconfitte per tornare a guardare al futuro, Apogeo, Adria.
Fobia sociale: sto bene anche da solo ma ho bisogno di te
Sarà capitato anche a te di fare un discorso in pubblico, di affrontare un colloquio di lavoro o di vivere qualsiasi altra situazione sociale. Spesso magari con la paura di “fare brutta figura”. E se l’ansia, di fronte a situazioni di questo tipo, diventasse intensa e invalidante? In questo caso, parleremo di fobia sociale, detta anche ansia sociale.
La paura del giudizio: che penseranno di me?
La fobia sociale fa parte dei disturbi d’ansia e comporta il provare un’immotivata ansia generalizzata, nonché una paura intensa e pervasiva, di fronte a svariati contesti sociali, per paura del giudizio altrui o di mettere in atto comportamenti imbarazzanti (come tossire, starnutire, perdere il controllo…).
Le occasioni in cui si presenta possono essere varie, come il parlare in pubblico, o semplicemente il fare la spesa al supermercato. Sono tutte situazioni in cui, in un modo o nell’altro, il soggetto si sente al centro dell’attenzione. Non credere però che si tratti di una patologia che ha un’unica modalità di espressione: tutt’altro!
Come in ogni altro disturbo psicologico, anche qui alcuni ne soffrono in maniera più lieve, altri in forma più grave. Alcune persone mostrano la propria ansia attraverso semplici manifestazioni fisiche, come sudorazione, palpitazioni, tremori o addirittura veri e propri attacchi di panico. Altri ancora, invece, vivono pure una sorta di angoscia e inquietudine perenne, che preclude loro di fare qualsiasi cosa presupponga un contatto con gli altri.
Bagnarsi ancor prima che piova: l’evitamento
L’elemento fondamentale che dunque caratterizza la fobia sociale è che la persona viene sopraffatta da un’ansia eccessiva di fronte a un determinato evento sociale. L’esporsi in pubblico, però, genera un disagio persistente che non si presenterà soltanto durante l’esperienza, ma anche molto tempo prima rispetto alla data in cui tale esposizione avverrà: si chiama ansia anticipatoria.
Tale ansia influenzerà negativamente qualsiasi tipo di comportamento il soggetto deciderà di compiere in futuro, specialmente riguardo quello specifico evento. In un certo senso, chi soffre di fobia sociale si bagnerà ancor prima che inizi a piovere!
Supponi, per esempio, di dover affrontare un colloquio di lavoro con l’equipe di un’azienda. Normalmente, prima di un colloquio di lavoro, può subentrare in chiunque un po’ d’ansia. Nel caso della fobia sociale, però, quest’ansia incomincerà già parecchi giorni prima. Il solo pensiero del colloquio, causerà una persistente paura del giudizio, intenso disagio, agitazione, il timore di mettere in atto comportamenti umilianti. E quale sarà la conseguenza di queste paure ansiose? Naturalmente, evitare di andare al colloquio, pur di non provare più quel fastidioso disagio interno.
Le conseguenze: “Sto bene anche da solo, ma ho bisogno di te”
Il disagio che prova chi soffre di fobia sociale è talmente elevato che condurrà quest’ultimo all’evitamento di qualsiasi situazione presupponga un contatto con gli altri. La fobia sociale predilige la solitudine, piuttosto che la relazione. Il soggetto metterà in atto una serie di atteggiamenti e stratagemmi in grado di consentirgli di evitare le relazioni, ma perseguire ugualmente le proprie attività quotidiane.
E’ una modalità di vivere l’esistenza altamente invalidante: qualsiasi persona è, infatti, immersa in un contesto sociale dal quale non può prescindere. Anche il semplice andare a fare la spesa o prendere un autobus, presuppone un contatto con qualcuno. Riusciresti a fare qualsiasi delle tue attività quotidiane, senza entrare in relazione con altri? Impossibile. Eppure è quello che illusoriamente vorrebbe chi soffre di fobia sociale: l’ansia sperimentata è talmente elevata che induce, talvolta, a non uscire nemmeno di casa, specie nelle forme più invalidanti.
Per questo motivo, chi soffre di ansia sociale, ha spesso poche amicizie, fa un lavoro in cui le relazioni col pubblico sono pari a zero e soffre anche di bassa autostima. L’evitamento delle situazioni sociali, tuttavia, non farà altro che aumentare la fobia, anziché diminuirla. Ridurrà, ovvero, il livello di autostima, mantenendo al contempo alti i sentimenti di inferiorità e inadeguatezza. Non è raro, d’altronde, che, assieme alla fobia sociale, sono presenti anche altri disturbi, specie di tipo ansioso-depressivo.
La via breve per superare la fobia sociale
L’uomo è un essere sociale: se al contatto con gli altri prova intenso disagio, allora c’è qualcosa che non va. Non sto parlando di chi è introverso, perché il problema principale non è provare ansia durante alcune relazioni sociali (capita di continuo a tutti), ma di esperire un disagio che conduce a mettere in atto comportamenti di evitamento per la paura del giudizio altrui.
Dayhoff, per l’ansia sociale di lieve entità, suggerisce alcuni piccoli stratagemmi, come fare telefonate, prendere parte a eventi sociali (per aumentare le interazioni con gli altri), oppure anticipare l’imbarazzo alle persone con cui ci si relaziona (“Ti avverto, diventerò rosso: non farci caso”). Stratagemmi che servono per normalizzare l’ansia e non essere del tutto ingabbiati dentro comportamenti evitanti.
Se con questi piccoli metodi non riuscirai a risolvere la tua situazione, allora è probabile che la fobia di cui soffri è più radicata. Prendi coraggio, e prova a parlarne con uno psicoterapeuta. So che anche questo presuppone un contatto con un’altra persona, ma in quel caso sei nel posto giusto: lui non aspetta altro che cercare di capire insieme te, qual’è la soluzione più adatta al tuo caso.
La soluzione c’è, e si può ottenere anche in poche sedute, se non che in un’unica seduta. Si tratta di trovare la chiave per “sbloccare” ciò che è rimasto “bloccato”. E la strada per farlo è, manco a dirlo, riprendere, gradualmente, a stare con gli altri!
Bibliografia consigliata
Dayhoff, S.A. (2008). Come vincere l’ansia sociale, Erickson, Trento.
Nardone G. (2014), Paura, panico, fobie, Tea, Milano.
Alzi la mano chi non conosce gli attacchi di panico!
Cosa sono gli Attacchi di Panico?
Lo so, forse non devo neanche spiegartelo dato che se ne parla e scrive tantissimo, d’altronde questo disturbo pare che interessi circa 2 milioni di italiani, quasi quasi potresti spiegarmelo meglio tu, soprattutto se l’hai vissuto.
Se anche solo una volta ti è capitato di avere un attacco di panico conoscerai bene le terribili sensazioni che si provano in quei momenti.
Ti sei sentito morire, sembrava che avessi sul petto il peso del mondo intero tanto da non riuscire a respirare, la testa girava all’impazzata e avevi difficoltà a rimanere in piedi, il cuore batteva così forte che hai pensato ti stesse venendo un infarto.
Eri totalmente in balia degli eventi!
In un attimo ti sarà forse sembrato che tutta la tua vita ti passava davanti e hai pensato che era arrivata veramente la tua ora, senza capire cosa ti accadeva e avere modo di combattere.
Ti sei sentito completamente impotente!
Sai però che gli Attacchi di Panico sono una delle problematiche più facilmente curabili con poche sedute di terapia e soprattutto senza l’ausilio degli psicofarmaci?
Sia chiaro! Non sono contro i farmaci, ma fondamentalmente essi permettono solo di far smettere di suonare il campanello ma non di risolvere il problema.
Quale campanello?
Ma l’attacco di panico ovvio. Se ci pensi bene, l’attacco di panico altro non è che un campanello d’allarme che ci dice: “Ehi! Nella tua vita c’è qualcosa che non va. Che ne dici di sbrigarci a capire cosa?”.
Come possiamo fare? Be, la Terapia permette proprio di fare questo. Pensa, non solo spesso non servono molte sedute, ma alcune ricerche sugli attacchi di panico, come quella di Nuthall e Townend (2007) hanno dimostrato che già con una Singola Seduta puoi ottenere dei risultati inaspettati.
La Terapia a Seduta Singola, ha uno scopo ben preciso: aiutarti a identificare e utilizzare le tue risorse e i tuoi punti di forza. Potrai così cominciare ad affrontare gli attacchi di panico usando le armi migliori che hai: le tue, e quindi affrontare il tuo problema su un campo di gioco che già conosci.
Inoltre, la Terapia a Seduta Singola focalizzandosi sul problema in questione, ti potrà fornire delle tecniche che potrai utilizzare immediatamente per dominare la paura dell’attacco di panico e non che sia lui a dominare te, diventando così ancora più forte di prima perché sarai armato di una nuova arma: la tua forza.
Mi raccomando, prima intervieni meglio è!
Quindi, cosa aspetti a liberarti dall’attacco di panico? Prova a contattare uno dei terapeuti formati in Terapia a Seduta Singola, cercando sul sito OneSession.it il terapeuta più adatto alle tue esigenze e più vicino alla tua zona.
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