
Affrontare il burnout professionale
In questo articolo imparerai a conoscere meglio cos’è il burnout professionale e otterrai degli strumenti pratici per migliorare il tuo benessere sul lavoro.
Bruciati dal lavoro: qualche dato bollente
Aumentano sempre di più in Italia le persone che dichiarano di avere sofferenze psicologiche correlate all’ambito lavorativo: secondo i dati raccolti da Inail, infatti, nel primo trimestre 2024 sono state oltre 22.000 le denunce di malattie professionali legate a disturbi psichici e comportamentali, con una crescita del 17,9% rispetto allo stesso periodo del 2023 (fonte dati: Inail.it).
Secondo invece il rapporto People at Work 2024 dell’ADP Research, il 64% dei lavoratori italiani segnala livelli elevati di stress, il dato più alto in Europa.
Questi dati rappresentano senza dubbio un campanello d’allarme che evidenzia la necessità di affrontare prontamente e con strumenti concreti, le sfide legate al benessere mentale dei lavoratori.
Infatti, le cause di disagio psicologico sul lavoro sono molteplici, e variano da persona a persona: il protrarsi nel tempo di situazioni di stress, può esitare talvolta nella cosiddetta sindrome da burnout.
Il Burnout: un fenomeno datato ma di recente riconoscimento
Una tipica reazione da stress che ha ricevuto particolare attenzione è il Burnout, una sindrome psicologica che il lavoratore può arrivare a
sperimentare come risultato di una esposizione prolungata a situazioni lavorative stressanti (Maslach, 1982).
Il Burnout però è stato ufficialmente riconosciuto nel 2019 come “fenomeno occupazionale” da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ed incluso nell’11 Edizione dell’ICD (International Classification of Diseases).
Questo fenomeno, che non viene classificato come una condizione medica, viene descritto all’interno dell’ICD, nel capitolo che tratta i “fattori che influenzano lo stato di salute o il contatto con i servizi sanitari) e viene concettualizzato come una sindrome derivante dallo stress cronico sul posto di lavoro, stress che non è stato gestito con successo.
La Sindrome da Burnout: come si svela
La sindrome da burnout professionale è definita prevalentemente da tre diverse dimensioni:
- Una sensazione di esaurimento, sia sul piano psicofisico che sul piano emotivo;
- Sentimenti di distacco, cinismo e disaffezione nei confronti dell’attività lavorativa;
- Sensazione di inefficacia professionale legata al sentirsi non in grado di contribuire efficacemente al lavoro.
Il Burnout è stato descritto per la prima volta agli inizi degli anni ’80, da parte di Maslach e Leiter, che lo associarono all’ambito delle professioni di aiuto.
Le cosiddette “helping professions”, ossia lavori che prevedono un rapporto a stretto contatto con l’utente/cliente, possono comportare un carico emotivo così elevato che può risultare difficile da gestire in
determinate circostanze e portare al graduale sviluppo di questa forma di esaurimento emotivo e psicofisico.
Ben presto però è stato chiaramente riconosciuto, come il Burnout possa essere l’esito di un processo di esaurimento delle condizioni di salute della persona, potenzialmente riscontrabile in ogni tipo di lavoro e non limitato alle professioni di aiuto (Demerouti et al, 2001).
Come intervenire su queste forme di stress estremo con la Terapia a Seduta Singola
La terapia a seduta singola (TSS) rappresenta senza dubbio un metodo elettivo, nell’ambito della consulenza psicologica o della psicoterapia, per intervenire efficacemente e in tempi brevi sulle diverse forme di stress correlate al lavoro.
Il primo vantaggio è quello di poter intervenire “al bisogno”, aiutando concretamente la persona ad affrontare efficacemente la situazione problematica, al fine di ripristinare, quanto prima, uno stato di benessere psicofisico.
Allo stesso tempo, la metodologia alla base della terapia a seduta singola, prevede la possibilità di poter lavorare su diversi obiettivi, nell’ambito di diverse sedute singole: questo potrebbe supportare la persona a cambiare il proprio modo di reagire alle situazioni stressanti sul lavoro, al fine di rimodulare le proprie risposte disfunzionali allo stress, riducendo con ciò la probabilità degli esiti negativi ad esse associati.
Quali i punti di forza della TSS nell’affrontare la sindrome da Burnout
1) Focus sul problema in termini operativi
Definire il problema in termini operativi, concreti e di funzionamento, è indispensabile per aiutare la persona prima di tutto a fare chiarezza sulla problematica presentata.
In caso di burnout, infatti, possono essere molteplici gli aspetti coinvolti nel funzionamento del problema, dal senso di esaurimento emotivo ed energetico, al negativismo, al sentimento di inefficacia.
2) Focus sull’obiettivo della seduta
Di fronte ad un pervasivo esaurimento emotivo e fisico, potrebbero essere diversi gli obiettivi su cui la persona potrebbe sentire il desiderio di lavorare.
Qualora emergano più obiettivi di lavoro un passaggio fondamentale nella TSS è quello di aiutare la persona a stabilire la priorità per ogni seduta. Questo rende efficace ed efficiente l’intervento in ogni seduta e concretizza la possibilità che la persona riesca a raggiungere l’obiettivo nell’ambito di quell’incontro.
La prioritizzazione è un intervento già di per sé estremamente ristrutturante perché consente alla persona di fare chiarezza e di lavorare su obiettivi specifici nell’ambito di ogni seduta singola.
3) Focus sulle risorse e sulle eccezioni
In situazioni di stress estremo, potrebbe essere molto difficile per la persona riuscire a rintracciare le proprie risorse personali e esterne.
La TSS aiuta la persona a focalizzarsi su situazioni in cui è riuscita a gestire efficacemente disagi e stress, anche al di fuori del contesto lavorativo, facendo emergere così le risorse.
Indagare la presenza di risorse esterne è altrettanto fondamentale al raggiungimento degli obiettivi di ripristino di una condizione di benessere psicofisico. Aiutare la persona ad intercettare la propria rete di sostegno, ovvero tutte quelle persone, quei collegamenti che potrebbero supportarla nella costruzione di strategie di superamento della situazione di stress.
Indagare la teoria del cambiamento del cliente aiuta la persona a focalizzare ciò di cui avrebbe bisogno in quel momento. E’ il punto da cui dovrebbe partire, per affrontare efficacemente il problema.
4) Focus sulle strategie disfunzionali di fronteggiamento della situazione di stress
Portare alla luce ed identificare le soluzioni e i tentativi che la persona ha già messo in atto per cercare di fronteggiare la situazione di stress è un altro passaggio fondamentale.
Aiutare la persona che vive una condizione di estremo esaurimento fisico ed emotivo a portare alla luce tutti quei comportamenti risolutivi solo in apparenza, ma in realtà estremamente disfunzionali.
Rappresenta un passaggio cruciale per l’interruzione o la riduzione di tutti quei che comportamenti che andrebbero interrotti, perché parte del problema o almeno, del suo mantenimento.
Considerando la crescita esponenziale dei fenomeni di stress sul lavoro, la terapia a seduta singola rappresenta un intervento senza dubbio efficace. Essa può aiutare a rispondere in maniera concreta e tempestiva al bisogno di benessere delle persone nei luoghi di lavoro.
Spesso un solo incontro si rivela risolutivo per aiutare la persona a fare chiarezza e ad acquisire quegli strumenti pratici di cui ha bisogno
per avviare il suo cambiamento: la porta, comunque, rimane sempre aperta.
Se senti il bisogno di un aiuto professionale, gli psicologi di OneSession.it ti offrono la possibilità di prenotare un primo colloquio gratuito. Per prenotare il tuo incontro, puoi inviare una e-mail a info@onesession.it oppure compilare il form (clicca qui)
Riferimenti bibliografici
Cannistrà F. & Piccirilli F. (2018). Terapia a seduta singola. Principi e pratiche. Firenze: Giunti Psychometrics S.r.l.
Demerouti, E., Bakker, A.B., Nachreiner, F. & Schaufeli, W.B. (2001). The job demands resources model of burnout, in Journal of Applied Psychology, 86, 3, pp 499-512
Fraccaroli, F. & Balducci, C. (2011). Stress e rischi psicosociali nelle organizzazioni. Bologna: Il Mulino
Maslach, C. (1982). Burnout: the cost of caring. New York: Prentice Hall

Psicologa- specializzanda in psicoterapie brevi sistemico-strategiche. Grazie alle terapie brevi e alla mia formazione nell’ambito dell’orientamento professionale e dello sviluppo delle soft skills, riesco ad aiutare le persone che si rivolgono a me a superare momenti di difficoltà e disagio, sia in ambito personale che lavorativo, riattivando le risorse e abilità personali e aiutandole a realizzare i propri obiettivi e riconquistare una percezione generale di benessere nel più breve tempo possibile

Il workaholism: la dipendenza da lavoro
Dipendenza da lavoro: il lavoro può diventare una malattia
Quando si parla di stress e in particolare di stress correlato al lavoro è necessario riferimento ad alcune caratteristiche individuali centrali nella genesi del processo di stress. I fattori di rischio psicosociale svolgono un ruolo principale e predominante nel favorire lo sviluppo di patologie stress lavoro-correlate. Tuttavia, la letteratura sta evidenziando sempre di più come anche alcune caratteristiche individuali giochino un ruolo non trascurabile.
Questi fattori individuali sono considerati centrali in quanto in grado di modificare la relazione tra gli stressors (le fonti di stress a cui siamo esposti) e le reazioni negative allo stress (definite in letteratura strain, cfr. Quillian-Wolever e Wolever, 2003).
Caratteristiche individuali e risposta allo stress
Tra i fattori di vulnerabilità di cui si trova maggior riscontro in letteratura, il primo ad essere stato studiato e descritto è il Comportamento di tipo A. Questo è stato attenzionato per la prima volta verso la fine degli anni 50 per opera di due cardiologi che avevano iniziato a condurre una serie di osservazioni su dei pazienti coronarici (Friedman & Rosenmann, 1974).
I due medici definirono il Comportamento di tipo A come un insieme di comportamenti e stati affettivi osservabili in tutte quelle persone impegnate incessantemente e senza sosta. Queste sono persone accomunate da caratteristiche come l’ambizione, la competitività, la spinta al successo, l’impazienza, l’aggressività, l’ostilità e il senso di urgenza del tempo.
Un altro fattore di vulnerabilità individuale che ha dei punti in comune con il Comportamento di tipo A è il Workaholism. Esso può essere definito come una sorta di “spinta interna irresistibile e irrefrenabile a lavorare in maniera eccessivamente intensa” (Schaufeli, Taris & Bakker, 2008).
L’interesse per questa caratteristica individuale è cresciuto sempre di più negli ultimi 20 anni circa, tanto nell’ambito clinico che in quello occupazionale.
Workaholism: conosciamolo meglio
Da un punto di vista clinico il Workaholism può essere considerato come una vera e propria dipendenza patologica, pur non essendo formalmente contemplata come tale nei principali manuali diagnostici e statistici dei disturbi mentali. L’interesse per questa caratteristica individuale è stato guidato soprattutto dall’obiettivo di mettere a punto degli strumenti di screening e intercettazione del fenomeno.
Un primo trattodistintivo delle persone dipendenti dal lavoro è che generalmente rimangono impegnate nelle attività lavorative molto più di quanto formalmente richiesto o necessario. Alcuni studi hanno evidenziato che in alcuni casi l’attività lavorativa può protrarsi anche per più di 60 ore settimanali (Brett e Stroh, 2003).
La diretta conseguenza di questo iper-coinvolgimento nell’attività lavorativa porta queste persone a trascurare massicciamente le altre sfere della loro vita.
Tuttavia, il lavoro eccessivo non è l’unica caratteristica che definisce il Workaholism. Ci sono persone, infatti, che possono lavorare molto pur non essendo dipendenti dal lavoro. Ad esempio, per momentanei problemi finanziari oppure per la possibilità di sviluppo della propria carriera.
Nel caso di dipendenza dal lavoro vi è una vera e propria ossessione irresistibile e irrefrenabile nei confronti del lavoro. Essa impedisce alla persona di riuscire a staccare e a fermarsi.
Altri studi hanno portato alla luce come le persone dipendenti dal lavoro tendano ad essere disordinate, estremamente rigide e con evidenti difficoltà a delegare i compiti. Questo spesso le porta a rendere le cose più complicate del necessario e ad avere anche frequenti difficoltà relazionali con i propri colleghi (Van Wijhe, Peeters & Schaufeli, 2010).
I rischi del workaholism
Il Workaholism, dunque, si configura come un vero e proprio fattore di rischio per la salute individuale. Esso predispone lo sviluppo di stress lavoro-correlato, burnout, problematiche psicosomatiche e disturbi d’ansia.
Altrettanto evidenti risultano essere le difficoltà nella vita familiare, personale e relazionale delle persone dipendenti dal lavoro. In casi estremi, possono avere una vita sociale estremamente ritirata se non optare per un vero e proprio isolamento.
La ricerca scientifica sul Workaholism è comunque ancora aperta e sarà necessario che i prossimi studi indaghino ancora più nel dettaglio le correlazioni tra la dipendenza dal lavoro e tutte le problematiche connesse allo stress.
Se senti di non essere in grado di trovare un equilibrio tra lavoro e vita privata, chiedi aiuto a One Session: puoi inviare una e-mail a info@onesession.it oppure compilare il form (clicca qui)
Riferimenti bibliografici
Fraccaroli, F., Balducci, C. (2011). Stress e rischi psicosociali nelle organizzazioni, Il Mulino: Bologna.

Psicologa- specializzanda in psicoterapie brevi sistemico-strategiche. Grazie alle terapie brevi e alla mia formazione nell’ambito dell’orientamento professionale e dello sviluppo delle soft skills, riesco ad aiutare le persone che si rivolgono a me a superare momenti di difficoltà e disagio, sia in ambito personale che lavorativo, riattivando le risorse e abilità personali e aiutandole a realizzare i propri obiettivi e riconquistare una percezione generale di benessere nel più breve tempo possibile

Come trovare il lavoro dei sogni
Esiste il lavoro dei sogni? Come fare a trovarlo?
I sogni sono degli obiettivi che hanno bisogno di essere concretizzati…
altrimenti rimangono sogni!
Alla ricerca del lavoro dei sogni
La ricerca di un lavoro, o meglio la ricerca del lavoro che risponde alle nostre aspirazioni, alle nostre passioni, è un obiettivo senza dubbio sfidante. Il suo raggiungimento necessita di un forte mix di motivazione, forza di volontà, autodeterminazione e, soprattutto, la capacità di gestire in maniera efficace un piano d’azione appositamente definito.
La strada per trovare il lavoro dei sogni è infatti un percorso lungo il quale possono incontrarsi ostacoli di vario genere e che potrebbero, in determinati momenti, far sprofondare la persona in uno stato di sconforto e di scarsa fiducia nelle proprie capacità di riuscita.
La ricerca del lavoro desiderato non è un percorso privo di ostacoli….
Pensiamo ai momenti inevitabili di stallo, a chiamate per colloqui che non arrivano o a colloqui che vanno in un modo diverso da quello che ci eravamo aspettati.
Tutto questo potrebbe facilmente portare la persona, che già sta vivendo un momento di vulnerabilità, a pensare che non ne valga la pena, che tanto le cose non cambieranno nonostante tutti gli sforzi possibili.
Il lavoro, oltre a garantirci una sicurezza economica, è anche e soprattutto una fonte di benessere e di equilibrio psicologico e sociale.
La sua mancanza, al contrario, incide profondamente sulla nostra autostima e sul senso di efficacia personale. Non riuscire a provvedere a sé stessi, o peggio ancora alla propria famiglia, possono alimentare l’insorgere di un senso di profonda inadeguatezza. Questo può alimentare credenze circa la propria incapacità, il fatto di essere dei buoni a nulla, degli/delle sfortunat/e o peggio ancora che non ci meritiamo nulla di buono.
Il tempo: una risorsa preziosa per trovare il proprio lavoro desiderato
Un aspetto che spesso si tende a sottovalutare è l’utilizzo della risorsa tempo. In realtà, la gestione efficace e produttiva della risorsa tempo diventa uno dei più importanti elementi di riuscita del proprio progetto professionale di ricerca del lavoro desiderato.
Come riuscire allora a rendere produttivo il proprio progetto professionale di ricerca del lavoro desiderato? Di seguito propongo alcune tips e approfondimenti utili per non lasciare nulla al caso, che ti aiuteranno a gestire efficacemente il tempo dedicato alla ricerca del lavoro desiderato.
Alcune tips utili per una ricerca efficiente ed efficace
- Chiarisci i tuoi valori professionali, il perché vuoi fare proprio quel lavoro, perché è importante per te.
- Definisci un obiettivo “ben formato”. Un obiettivo ben formato dovrebbe innanzitutto essere espresso in positivo (Voglio trovare il lavoro che desidero vs Non voglio più essere disoccupato), dovrebbe essere concreto (che lavoro voglio cercare? Quali caratteristiche deve avere?), essere realistico (in relazione alle mie possibilità e alle possibilità dell’ambiente di riferimento), essere ecologico (i costi non devono superare i benefici) ed infine, essere misurabile (ovvero è fondamentale stabilire una timeline di azione).
- Fai un’analisi delle tue competenze. Cosa hai fatto fino ad oggi, quali sono i tuoi punti di forza a livello di skills e quali sono invece le capacità che potresti migliorare per rendere più accattivante e più competitiva la tua presentazione.
- Stabilisci delle priorità. Quali sono per te, in questo momento, gli aspetti più importanti, quelli che per te sono un punto fermo nella ricerca di un lavoro (la retribuzione, l’area geografica, l’inquadramento professionale etc)?
- Lavora sul tuo atteggiamento che deve essere positivo, proattivo e orientato al risultato.
- Costruisci una strategia di comunicazione efficace e, in generale, allinea tutti gli strumenti di comunicazione (profili social, LinkedIn, Facebook…..lettera di presentazione)che devono essere coerenti, gradevoli, focalizzati e funzionali all’obiettivo.
- Definisci un piano d’azione e mettilo subito in pratica. La metodicità è un fattore molto importante che ha una forte influenza in percorsi come quello della ricerca del lavoro. Crea dei micro-obiettivi e cerca di perseguirli ogni giorno (questo ti aiuterà anche ad evitare la tendenza a procrastinare).
- Non buttarti a caso, la tua comunicazione deve essere sempre coerente e strategica rispetto al tuo obiettivo. Fai piuttosto un’analisi di mercato e seleziona i target che potrebbero essere potenzialmente in linea con il tuo profilo professionale.
- Lavora anche sul tuo network personale: vecchi amici e conoscenze (reali!) che possono contribuire con un utile apporto e con utili informazioni per la causa.
- Lavora sui momenti di tristezza e di scoramento: sono naturali ed inevitabili ma potrebbero essere la vera chiave del tuo cambiamento.
- Sii curioso/a di sperimentarti anche in qualcosa di alternativo/diverso dalle tue competenze: potresti riscoprirti appassionato/a e particolarmente bravo/a in qualcosa che mai avresti immaginato.
Hai bisogno di un aiuto in più?
In caso di necessità, puoi far riferimento anche ad un professionista del settore dell’orientamento professionale. Potrà supportarti con gli strumenti giusti, nella definizione del tuo obiettivo professionale e nella preparazione di un piano d’azione.
Bibliografia di riferimento
Tucciarelli, M. (2014), Coaching e sviluppo delle soft skills, Editrice La Scuola

Psicologa- specializzanda in psicoterapie brevi sistemico-strategiche. Grazie alle terapie brevi e alla mia formazione nell’ambito dell’orientamento professionale e dello sviluppo delle soft skills, riesco ad aiutare le persone che si rivolgono a me a superare momenti di difficoltà e disagio, sia in ambito personale che lavorativo, riattivando le risorse e abilità personali e aiutandole a realizzare i propri obiettivi e riconquistare una percezione generale di benessere nel più breve tempo possibile

Concedersi una pausa
Hai mai ragionato sull’importanza di concedersi una pausa, o tendi a farti trascinare solo dal flusso dei doveri? In questo articolo analizzeremo perché è fondamentale concedersi una pausa, e una strategia utile per riuscire a farlo!
Organizzando la giornata in blocchi di pensiero focalizzato, intervallati con pause di «spegnimento» del cervello, si permette alla mente di operare in modo più efficiente.
(Jenny Brockis)
Cultura del non stop vs salute mentale
E’ mattina, suona la sveglia, apri gli occhi e già pensi a tutto quello che dovrai fare durante la giornata. Andare a lavoro, sbrigare faccende di ordine quotidiano, appuntamenti, spese, gestione della casa, della famiglia. E’ mattina, suona la sveglia, apri gli occhi e sei già stanco/a.
La società moderna ci ha abituato a correre, a destra ed a sinistra, avanti e indietro. Un criceto che non si arresta mai sulla sua ruota. La cultura del “non-stop”: il tempo è denaro e chi non fa attivamente qualcosa sta “sprecando” il denaro o non lo sta generando bene.
Il lavoro, a volte, può essere impegnativo e se vi affannate ora dopo ora, è probabile che questa fatica vi costi più della produttività; così ciò prima sembrava produttivo, a lungo andare potrebbe rivelarsi distruttivo.
Quando si spendono tantissime energie sul lavoro e sugli impegni quotidiani, si può essere assaliti dalla sensazione di avere troppe cose da fare, ed è facile convincersi di non avere il tempo di potersi concedere delle pause.
In realtà, bisognerebbe trovare il tempo per tutto. Del resto, anche la vita insegna che esistono tempi per seminare e altri per raccogliere. Così è necessario sapersi concedere una pausa, fermarsi, riflettere, ritagliarsi del tempo anche per se stessi.
Trovare momenti lontani dallo stress è fondamentale per la salute del nostro cervello “Mens sana in corpore sano”. Negando al cervello delle pause diminuiamo la capacità di pensare in modo creativo e strategico nella gestione di problemi complessi. La nostra mente pensa più chiaramente quando si ferma per qualche istante, quando si concede di lasciare scendere quel criceto dalla sua ruota.
I benefici del concedersi una pausa
Diversi studi scientifici hanno dimostrato che un cervello, se costantemente stimolato e se non riesce a rilassarsi, finirà per sovraccaricarsi, iniziando a commettere degli errori. La produttività nello svolgere un determinato compito, è direttamente correlata al livello di concentrazione che riusciamo a mantenere mentre lo svolgiamo.
Per dare il meglio di sé, è necessario avere del tempo libero, e non solo per le vacanze. Chi riesce a concedersi un momento di riflessione o di meditazione, e lo fa quotidianamente, è più rilassato e più produttivo nel corso della giornata.
In uno studio (Bennett, et al. 2020) è stata valutata l’utilità di prendersi o meno delle pause durante le attività utilizzando un disegno sperimentale in un ambiente di lavoro simulato. I loro risultati hanno mostrato come tutte le condizioni di pausa hanno giovato non solo a ricaricare l’energia, ma anche a migliorare l’ attenzione, aiutando le persone a riprendersi completamente.
Concedersi delle pause ha un effetto benefico sul nostro stato d’animo, sul benessere generale e sulla capacità di rendimento “Mens sana in corpore sano”. Staccarsi regolarmente dalle attività lavorative, sia durante la giornata lavorativa che nelle ore libere, può aiutare a recuperare le energie a breve termine, e a prevenire il burnout a lungo termine. Concentrare l’attenzione per troppo tempo, saltare i pasti, pranzare mentre si lavora, può a lungo termine logorare.
Una strategia per gestire al meglio le pause: la tecnica del pomodoro!
Può essere che tu ne abbia già sentito parlare della tecnica del pomodoro, ma vediamo insieme come funziona e quali sono i passaggi per far si che questa funzioni e aiuti a gestire al meglio il tempo da dedicare al lavoro… e soprattutto alle pause!
Ti servirà solo un timer e un block notes!
Il timer avrà il compito di suddividere il tempo tra lavoro e pausa, il block notes servirà per riportare le attività della giornata in ordine di priorità.
5 semplici passaggi:
- Seleziona l’attività da svolgere secondo le priorità decise (stima il tempo di durata massimo trascrivendolo sul taccuino)
- Imposta il tuo timer a 25 minuti (evitando sia quello del telefono).
- Comincia a lavorare sull’attività scelta.
- Quando suona il timer inserisci una spunta sul block notes e concediti la pausa di circa 5 minuti.
- Dopo quattro blocchi da 25 minuti ciascuno si potrà effettuare una pausa più lunga (tra i 15 e i 20 minuti prima di ritornare al punto 1).
Regola fondamentale della pausa è evitare qualunque attività che richieda un qualsiasi sforzo mentale. Evitare anche di utilizzare la pausa per connettersi al cellulare. Piuttosto è consigliabile ascoltare musica, fare due passi, cambiare ambiente, fare stretching.
Hai solo l’imbarazzo della scelta sulle attività da poter fare, concedi alla tua mente di prendersi una pausa!
Se pensi di aver bisogno di un aiuto professionale, puoi rivolgerti a un professionista del One Session Center.
Ogni Martedì dalle 18:00 alle 20:00 gli psicologi del team “One session” sono a tua disposizione per una sessione gratuita di consulenza psicologica a seduta singola di 30 minuti.
Per maggiori informazioni, puoi inviare una email a info@onesession.it o visitare le nostre pagine Facebook e Instagram
Riferimenti bibliografici
Bennett, A. A., Gabriel, A. S., & Calderwood, C. (2020). Examining the interplay of micro-break durations and activities for employee recovery: A mixed-methods investigation. Journal of Occupational Health Psychology.
Fritz, C., et al. (2013). Embracing Work Breaks: Recovering From Work Stress. Organizational Dynamics.
Cirillo, F. (2019). La tecnica del pomodoro: Il celebre metodo per gestire al meglio il proprio tempo e diventare più efficienti e organizzati. Tre60.


Conflitti a lavoro? Collaborazione come strategia vincente.
Pensando al conflitto, l’immagine che ho avuto è stata il fungo atomico ad Hiroshima e Nagasaki.
Il mondo del lavoro può essere un campo di battaglia, con un effetto distruttivo, causato da un bombardamento, in questo caso emotivo, di rabbia e frustrazione.
Emozioni che montano sempre più nelle persone, che tra l’altro non si sono scelte e debbono convivere sotto lo stesso tetto lavorativo.
Una condivisione psicofisica che richiede energie non indifferenti, in uno spazio in cui regna spesso la competizione più che la collaborazione.
Affrontare discussioni
Affrontare una discussione genera molta tensione, ansia e paura di trovarsi di fronte a divergenze di opinioni.
Inoltre la conflittualità è valutata in modo negativo (non solo in ambito lavorativo), tanto da danneggiare spesso chi la attiva.
Per questi motivi difficilmente ci si espone nel manifestare conflitti e intavolare discussioni.
“La nostra mente evita di confrontarsi con ciò che ci minaccia. Il problema è che, facendo gli struzzi e non affrontando i problemi, si rischia di ingigantirli a dismisura dentro la nostra testa” (Rampin M. 2018).
In sostanza, tranne in pochi casi di pura ingiustizia o particolari patologie mentali, un conflitto nasce principalmente quando sorgono differenze e si ha difficoltà ad accordarsi. La mancanza di flessibilità e collaborazione diventa una delle cause dei conflitti relazionali e interiori.
A scapito della professionalità, si procrastina un confronto maturo, che offre possibili risoluzioni dei problemi e la prevenzione delle conseguenze del disaccordo.
Eppure i conflitti sono parte della vita, ed imparare ad affrontarli è necessario.
I conflitti sul lavoro
Quando il luogo di lavoro diventa costellato di conflittualità, si trasforma in un ambiente scomodo e disagiato. Uno spazio sociale in cui i conflitti interpersonali possono essere vissuti attaccando in modo evidente, o subdolamente, oppure in silenzio, sopportando e covando.
Entrambi i casi sono accompagnati da diffidenza, sguardi inaspriti od evitanti, pensieri frustranti, rimuginii, ansia e insoddisfazione, che spesso rimangono ancoràti nelle maglie emotive delle persone, tanto da essere portati anche a casa e permanere a lungo come effetti indesiderati.
Le conseguenze più comuni sono la riduzione della produttività, della qualità del lavoro e del benessere personale, con un aumento dello stress e del barn out.
Le manifestazioni psicofisiche e comportamentali che ne derivano, sono diverse e a vari livelli. Ad esempio:
- minore attenzione e concentrazione
- aumento del sospetto e di emozioni negative
- impazienza e inquietudine
- somatizzazioni: emicrania, mal di schiena, alterazione del sistema digestivo e del ritmo sonno-veglia
- isolamento, rottura dei rapporti ostili, abuso di ansiolitici e sostanze (cibo, alcol …)
Superare i conflitti
È possibile prevenire e trasformare un conflitto, in una condizione funzionale e utile?
Si, attivando la collaborazione e strategie per favorirla.
La Oxford Languages descrive il conflitto così: “contesa rimessa alla sorte delle armi, guerra; urto, contrasto, opposizione”.
Se il concetto di guerra lo abbiamo visto, è importante soffermarci un momento sulla parola opposizione, la quale non implica necessariamente incompatibilità.
Basti pensare alla capacità dei poli + e – di attrarsi e condividere spazi in equilibrio.
Ebbene, anche da differenti personalità, possono nascere condivisione e sinergia, dando vita a confronti ed opportunità, anche piccoli ma significativi.
Il “con-fronto” per definizione implica che ci si ponga uno difronte all’altro, in posizione opposta. Si può scegliere se attaccarsi o se cercare la risorsa per poter lavorare assieme, in un ambiente più favorevole per tutti.
Come si può agire la Collaborazione?
Alcuni suggerimenti.
- Focalizzate l’attenzione sulla persona e non sul problema relazionale.
Anche l’altro vive il conflitto e probabilmente è stanco quanto voi di questa situazione, ma forse non sa da dove partire per migliorarla. Ascoltatelo, potrebbe dire cose interessanti.
Nel confronto rimanete ancorati all’obiettivo di lavoro/argomento di cui vi state occupando, senza andare sul personale.
L’attacco alla persona genera solo muri di difesa, tensioni e rigidità sulle proprie convinzioni. E se l’altro lo fa con voi, allora in modo assertivo, fatelo presente.
- Abbiate perciò chiaro l’obiettivo.
Voglio “con-frontarmi” o prevalere sull’altro? Per risolvere un problema, è essenziale ascoltare l’altro e il suo punto di vista.
L’ascolto permette di focalizzarsi su ciò che dice, non dice e come lo dice. Se le emozioni sono “hot”, fermatevi. Prendetevi un momento.
- Dunque usate una comunicazione efficace ed empatica, e create un clima positivo.
Lasciate andare le provocazioni. Usate parole ben pesate, un tono di voce e un ritmo pacato, perché favoriscono il clima sereno, senza mai alzare l’indice come una spada da sguainare.
Partite con dei commenti positivi e con ciò che vi accomuna, per poi confrontarvi su ciò che vi differenzia. A volte l’autoironia spegne dardi infuocati, ma è bene evitare il cinismo.
Non lamentatevi e non parlate male di altri, rimanete sui fatti.
Abbiate un sincero interesse nella sua opinione, e fiducia che dal confronto potreste raggiungere un accordo comune, tale da favorire la collaborazione ed entrare in sinergia di idee e risorse.
Proponete una soluzione da rivedere assieme, ma non scegliete mai per l’altro.
- Valorizzate abilità e talenti di ognuno.
- Fate autocritica, per riconoscere cosa ostacola in voi la cooperazione.
In conclusione
Ricordate che essere differenti non significa essere per forza oppositivi e incompatibili, ma che si può scegliere di essere collaborativi.
Essere collaborativi, per creare un ambiente professionale più vivibile, aumentare e mantenere il proprio benessere e raggiungere obiettivi, non significa diventare amici.
È naturale che non ci piacciano tutti.
Ma certamente crescere nella capacità di collaborare, di gestire i conflitti e affrontare una discussione, significa fare un salto di qualità personale che si rifletterà in tutte le relazioni.
Se stai vivendo una situazione di conflittualità a lavoro, e vuoi ottenere un aiuto immediato, concreto e duraturo, chiedi aiuto a One Session!
Ti forniremo strumenti pratici e utilizzabili fin da subito per uscire da questa difficile situazione con le tue stesse risorse!
Ci trovi ogni martedì dalle 18.00 alle 20.00. Prendi appuntamento scrivendo a info@onesession.it o contattandoci sulle nostre pagine Facebook e Instagram
Riferimenti bibliografici
Funes C. (2014), Come gestire i conflitti. Risolvere i contrasti al lavoro per migliorare la produttività. Ed. De Vecchi, Milano
Rampin M., Mattiolo G. (2018), Con occhi di tigre, Ed. Sperling & Kupfer, Milano
Hollweck I. (2016), Conflict coaching: Allenarsi ad affrontare i conflitti di tutti i giorni con maggiore fiducia, Ed. Franco Angeli, Milano

Sindrome da corridoio: 3 consigli per uscirne
Con “Sindrome da corridoio” ci riferiamo a quella condizione in cui le persone non riescono a tenere distinte situazione lavorativa e vita privata. Questo genera elevato stress in entrambi gli ambienti.
Perché il nome “Sindrome da corridoio”?
Il corridoio è la parte della casa dove le varie stanze si affacciano, dove avvengono gli scambi tra un ambiente e l’altro.
Metaforicamente, può accadere che si crei un corridoio tra vita privata e lavoro.
In questo corridoio, non vi sono argini o confini che mantengono separati i vari ambiti.
Il corridoio può crearsi a livello mentale, quando i problemi lavorativi ci accompagnano anche a casa e viceversa, autoalimentandosi.
Può essere anche un problema di spazi fisici. Abbiamo visto come con l’arrivo della pandemia da Covid-19 tanti lavoratori abbiamo intrapreso la strada dello smartworking, e stiano ancora continuando così.
Questo ha portato ad avere fisicamente l’ufficio in casa, facendosi spazio nelle proprie aree relax, o sul tavolo della cucina, quando non in camera da letto.
Il rimanere fisicamente nello stesso ambiente per tutte le attività che dobbiamo svolgere durante la giornata, alimenta la fatica a distinguere quando una problematica o un evento stressogeno appartiene alla categoria “vita personale” o alla categoria “lavoro”.
Quali sono le conseguenze della sindrome da corridoio?
La sindrome da corridoio ha diverse conseguenze, a livello fisico, familiare e lavorativo.
A livello lavorativo produce un calo della produttività. Il fatto di non sapersi concentrare sulla mansione da portare a termine in quel momento perché preoccupato per problematiche domestiche incide indubbiamente sulla qualità del lavoro. Lavoro che, se non verrà svolto in un certo modo, sarà causa di malumori che sicuramente verranno riportati all’interno della famiglia, andando ad alimentare un circolo vizioso.
A livello familiare si inaspriranno le discussioni e le incomprensioni. Aumenteranno i vissuti di rabbia e frustrazione. Trovandoci in un corridoio, questi vissuti incideranno senza dubbio anche sul lavoro, aggiungendo altra legna al fuoco rispetto alla frustrazione lavorativa.
Infine, non sono da sottovalutare le conseguenze fisiche. La forte tensione creata dal bagaglio emotivo che non si riesce più a gestire può infatti rendere più vulnerabili ad incidenti ed infortuni.
Prevenire la sindrome da corridoio
La sindrome da corridoio non è quindi una problematica da sottovalutare.
Oggi vogliamo fornirti 3 consigli per riuscire a prevenirla.
1. Metti dei paletti tra vita privata e lavoro.
Questa è la forma di prevenzione più efficace che puoi attuare. Ottimizza ambienti e orari lavorativi. Chiudi quindi le porte che si affacciano sul corridoio. Per esempio, una volta terminato l’orario di lavoro, spegni il telefono aziendale, non controllare le mail.
2. Dedicati quotidianamente del tempo.
Individua delle attività che ti piacciono e ti rilassano e assicurati di dedicarvi un po’ di tempo giornalmente. Ti può essere utile metterle in agenda, per obbligarti a farle e non farti soffocare dal lavoro. Ne trarrai vantaggio in tutte le sfere della tua vita.
3. Tieni un diario.
La scrittura ha un grande potere terapeutico e, soprattutto nelle situazioni di stress, è una valida alleata per abbassare i livelli di frustrazione. Prenditi una decina di minuti al giorno per scrivere i tuoi pensieri, le tue sensazioni, il tuo stato fisico.
Se senti che non riesci a distinguere sfera privata e lavorativa e che questa cosa non ti permette di vivere la tua vita in modo soddisfacente, chiedi aiuto a One Session.
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Il mio lavoro è orientato al futuro e alla valorizzazione delle risorse delle persone che si rivolgono a me, in ottica di totale collaborazione.