La drunkoressia: bere di più per mangiare di meno
La Drunkoressia è un termine coniato per la prima volta dal “New York Times” nel 2008. Esso descrive un’eccessiva restrizione alimentare aumentando l’assunzione di alcool senza aumentare di peso (CBS News, 2008; Kershaw, 2008; Smith, 2008; Stoppler, 2008).
Attrae molto gli adolescenti e i giovani adulti. La Drunkoressia permette di consumare e/o continuare a consumare grandi quantità di alcool, pur mantenendo, o a volte diminuire, il peso corporeo.
La drunkoressia viene inserita nel DSM-5 tra i disturbi del comportamento alimentare non altrimenti specificato (NAS). L’età di insorgenza è la più varia.
Drunkoressia: l’importanza del contesto sociale
Nella società odierna, in cui forma fisica perfetta e controllo del cibo sono due pilastri fondanti delle abitudini ed attenzioni degli adolescenti, la Drunkoressia ha una grande influenza.
Tale comportamento influenza in particolar modo il sesso femminile, in quanto sempre più spesso vi è un ricorso eccessivo all’attività sportiva (Mond et al. 2008), in modo tale da poter bruciare drasticamente quantità eccessive di calorie, agendo cosi sulla riduzione di peso e la percentuale di grasso corporeo (Johnstone and Rickard 2006).
Nel momento in cui l’esercizio fisico viene in qualche modo cancellato o posticipato, la persona è pervasa da forti sensi di colpa (Mond et al. 2008).
Tra criteri diagnostici e sintomi
La Drunkoressia viene considerata nel DSM-5 come un disturbo del comportamento alimentare non altrimenti specificato (NAS).
I criteri diagnostici sono molto simili a quelli dell’anoressia nervosa: alimentazione selettiva, digiuno, ossessività per la magrezza.
Tale disturbo può insorgere a qualunque età, come nella maggior parte dei disturbi del comportamento alimentare. L’età della prima diagnosi negli ultimi anni si è abbassata da 15 a 9 anni.
I sintomi tipici riscontrati sono simili ad a quelli di un’intossicazione da alcool: Cefalea, sonnolenza, nausea, calo dell’attenzione, vomito e nei casi più gravi coma etilico.
Segnali d’allarme: Come riconoscere i comportamenti specifici
Diversi sono i comportamenti che possono destare allarme verso tale patologia:
- saltare i pasti, evitando così di assumere troppe calorie compensando l’apporto calorico dovuto dal consumo di bevande alcoliche,
- un eccessivo esercizio fisico, comportamento atto a compensare le calorie assunte dal bere
- assumere una quantità eccessiva di alcol al fine di avere la nausea e vomitare (Chambers 2008).
Il concetto di drunkoressia si compone quindi di tre dimensioni distinte: l’uso o abuso di alcol, disturbi alimentari e attività fisica.
Conseguenze fisiche tra comorbilità e patologie associate
La drunkoressia si accompagna molto spesso con la bulimia o anoressia. La persona arriva ad indursi il vomito per potersi disfare delle calorie in eccesso.
Altre volte non è presente nessun altro disturbo alimentare associato.
Diverse le patologie mediche associate alla drunkoressia a carico di vari organi: dall’apparato cardiovascolare, al sistema nervoso centrale, al fegato e l’apparato gastrointestinale. Denutrizione e anemia sono i sintomi fisici più frequenti. Carenza di vitamine e minerali creano reazioni fisiche come il collasso dell’organismo.
L’abuso di alcool può causare cirrosi epatica. La persona con drunkoressia considera le bevande alcoliche come un sostituto della dieta sana ed equilibrata. La gran quantità di alcool ingerita porta ad anestetizzare la fame.
Dalle cause ai fattori di rischio
L’insorgenza della drunkoressia è causa di un’adesione a modelli sociali e stereotipati di magrezza, difficoltà familiari o predisposizione individuale. All’origine della drunkoressia vi sono fattori biologici, psicologici, ambientali e culturali.
La drunkoressia se non trattata precocemente ed in modo adeguato tende a cronicizzarsi. Il suo decorso può essere caratterizzato da miglioramenti e successive ricadute. Molteplici fattori portano all’aggravarsi della sintomalogia come le complicanze mediche, il sottopeso e la scarsa motivazione al cambiamento.
Drunkoressia: Prevenzione e trattamento
Importante per una buona prevenzione è l’educare gli adolescenti al contrasto della cultura dello “sballo”. È fondamentale che i genitori o persone vicine ne possano individuare i primi segnali di allarme. Non è facile il lavoro con chi è affetto da drunkoressia, come d’altronde per qualsiasi altro disturbo del comportamento alimentare. Si rimanda per la buona riuscita del trattamento ad interventi di psicoterapia individuale e/o di gruppo. (Larimer, M. E., & Cronce, J. M. 2002)
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Riferimenti Bibliografici
CBS News (2008). Drunkorexia: Health dangers for women. Retrieved on May 25, 2009
Chambers, R. (2008) Drunkorexia. Journal Of Dual Diagnosis 4, 414-416.
Johnstone, J.R. and K.M. Rickard (2006) Perceptions of college women with disordered eating and exercise patterns. Social Behavior & Personality: An International Journal 34, 1035-1050.
Kershaw, S. (2008, March 2). Starving themselves, cocktail in hand. New York Times.
Larimer, M. E., & Cronce, J. M. (2002). Identification, prevention, and treatment: A review of individual-focused strategies to reduce problematic alcohol consumption by college students. Journal of Studies on Alcohol, 63(Suppl.14), 148-163.
Mond, J., T. Meyers, R. Crosby, P. Hay and J. Mitchell (2008) Excessive exercise and eating-disordered behaviour in young adult women: further evidence from a primary care sample. European Eating Disorders Review 16, 215-221.
Smith, R. (2008). Drunkorexia slimmers skip means for alcohol. Daily Telegraph. Retrieved on May 25, 2009
Stoppler, M.C. (2008). Drunkorexia, manorexia, diabulimia: New eating disorders? MedicineNet. Retrieved on May 25, 2009.
Psicologa clinica e della riabilitazione, psicoterapeuta in formazione. Ho conseguito un Master in psicodiagnostica clinica e forense. Lavoro come libera professionista e collaboro con un centro di psicologia( Alternativamente) nella provincia di Roma. Sono mamma di tre bambini.
Come gestire le abbuffate? 3 consigli utili
Come gestire le abbuffate?
“Il miglior modo per resistere a una tentazione, è cedervi”
Oscar Wilde dà voce a una verità sempreverde nel campo dell’alimentazione.
Ti è mai capitato di mangiare più del necessario?
Oppure di sentire quell’impulso irrefrenabile verso qualcosa di dolce e una volta addentato non sapere come fermarti?
Ok, nella maggior parte dei casi succede e basta. Hai bisogno di concederti degli “eccessi”, dei piaceri alimentari altrimenti privandotene rischi di aumentarne il desiderio.
Tuttavia, ci sono casi in cui questo impulso diventa incontrollabile al punto che gli eccessi si trasformano in abbuffate vere e proprie.
In questo articolo andremo a capire come gestire le abbuffate.
Che cosa sono le “abbuffate”?
Non sto parlando semplicemente di concedersi la pizza o mangiare di più perché è Natale, ma sto parlando di episodi ben precisi che si manifestano nell’arco di una settimana, senza una causa apparente:
- mangi rapidamente
- mangi grandi quantità di cibo anche se non hai fame;
- mani da solo, lontano da occhi indiscreti e spesso compir il cibo appositamente per mangiarlo, perché sei imbarazzato nel permettere agli altri di vederti mangiare con così tanta foga;
- dopo aver mangiato fino a sentirti male, ti senti in colpa per averlo fatto.
Ripeto non si tratta di una tantum, ma di episodi ricorrenti che si presentano sempre con le stesse caratteristiche.
Questo comportamento non è salutare perché ti impedisce di conquistare un equilibrio alimentare; non sto parlando di stare a dieta, ma di avere uno stile di vita sano e funzionale all’età, allo tipo di vita che conduci e a quanta attività fisica fai.
L’obiettivo è stare bene e in salute, mangiando tutto nelle giuste quantità.
Cosa ti impedisce di farlo?
Spesso utilizzi delle scorciatoie che pensi saranno risolutive alle tue abbuffate:
- Digiunare
- Vomitare
- Fare attività fisica esagerata
- Usare condotte compensative come i lassativi
Devo dissuaderti: sono tutti comportamenti che mantengono in vita il tuo rapporto complicato con il cibo senza farti raggiungere i risultati sperati.
Per esempio, se vomiti, pensi di aver trovato la strategia giusta per mangiare e al contempo non prendere peso; in realtà stai creando un circolo vizioso dal quale sarà difficile uscire e che comprometterà la tua salute.
Cosa puoi fare?
Ecco tre consigli per imparare a gestire le abbuffate, che abbiamo compreso non essere funzionali al tuo benessere.
- Ritagliati del tempo:
La vita di tutti i giorni lascia poco tempo per dedicarti a te stesso.
Ritagliati dei momenti tutti i giorni in cui decidi di compiere un gesto d’amore nei tuoi confronti, una piccola coccola per te stesso, che sia un buon libro, una passeggiata o una maschera per il viso.
- Lasciati andare alla fantasia:
Soffermati volontariamente sul piacere che deriva dal cibo, accarezzandolo prima con la mente e poi con il corpo. L’immaginazione è un mezzo potentissimo da cui spesso dimentichiamo di attingere.
Per cinque lunghi minuti ogni mattina, immergiti nella tua fantasia culinaria e immagina cosa vorresti mangiare in quella giornata.
- Impara a controllarti, lasciandoti andare:
«Niente è piu’ irresistibile di un divieto da trasgredire» O. Wilde
Spesso ci imponiamo divieti assoluti verso alcuni cibi. Più ce li vietiamo però, più in realtà li desideriamo. Finiamo per cedere alla tentazione, eccedendo.
Concediti ciò che vuoi mangiare, senza pretendere alcuna forma di controllo sul cibo. Impara a concedertelo, MA solo e soltanto all’interno dei tre pasti principali.
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Per prendere appuntamento, scrivi a info@onesession.it o alle nostre pagine Facebook e Instagram.
Riferimenti bibliografici:
Nardone, G (2007). La Dieta Paradossale: sciogliere i blocchi psicologici che impediscono di dimagrire e mantenersi in forma, Ponte delle Grazie
Sono una psicologa che si occupa di consulenze brevi e di TSS: il mio obiettivo è ridurre i tempi della terapia e massimizzare l’efficacia della seduta, offrendo un sostegno focalizzato e concreto per affrontare sia le piccole che le grandi difficoltà della vita
Come far funzionare una dieta
Ok, lo ammetto. Ho scelto questo titolo perché sto cercando la risposta a questa domanda da tutta una vita. E non si tratta di disturbi alimentari patologici che tanto ci spaventano, ma di quella capacità costante di prendersi cura di noi stessi, alla ricerca di un equilibrio tra immagine sociale e immagine interiore che ci soddisfi.
Viviamo in un contesto sociale esigente. Uomini e donne sono chiamati a conformarsi alle attese collettive alimentate da riviste di moda, fashion blog, modelli e modelle perfetti come statue. Non greche però…perché quelle spesso avevano la pancetta.
D’altro canto, nell’epoca dell’abbondanza (di cibo) e della scarsità (di tempo) è fin troppo facile ripiegare su alimenti rapidi, subito pronti, carichi di zuccheri non necessari.
Alla velocità si aggiunge la convivialità. Gli italiani spesso, se non sempre, si ritrovano festosamente attorno ad una tavola fin troppo ricca.
Così la trappola è completa ed è un attimo vedere il girovita crescere e i pantaloni andare stretti.
Come far funzionare una dieta?
C’è chi parte in quarta. “Da lunedì dieta, e poi corsa 5 volte a settimana, esercizi al risveglio e sfida plank!”. Peccato che dopo una o due settimane, alla prima pioggia, al primo problema lavorativo o familiare, ci ritroviamo senza energie e i buoni propositi periscono miseramente.
C’è chi sceglie il fai da te, ci sono fantastiche App che aiutano a tenere traccia di cosa si mangia e fanno il conto delle calorie ingerite.
Anche qui il problema è portare avanti l’inserimento costante. Succede che siamo costretti ad andare ad una cena di lavoro, poi c’è il week end… ci diciamo “lasciamo stare il fine settimana, ricomincio la prossima…”
Mia nonna diceva sempre che “la strada dell’inferno è lastricata di buone intenzioni”. Nel mio caso, su questo tema, spesso è andata così.
Qual è la dieta giusta?
Se si digita su internet la parola dieta si trova ogni tipologia di proposta: paleo, zona, chetogenica, dissociata, mediterranea. Difficile capire qual è quella giusta e in effetti una risposta univoca non c’è.
Confesso: le ho provate quasi tutte e ho visitato valenti professionisti, biologi nutrizionisti e coach alimentari. In alcuni casi ho avuto qualche risultato, ma il punto non è questo.
Perché la parola dieta ha un significato preciso che non è privazione. Bensì significa “modo di vivere” e riguarda l’alimentazione l’esercizio fisico, il riposo. Si tratta quindi di un approccio che solo in parte coincide con l’alimentazione e che al contrario riguarda la persona nel suo complesso.
Ed eccoci dunque a come far funzionare una dieta intesa come modo di vivere.
Scomponiamo la parola DIETA
- D come Determinazione – il desiderio di stare bene deve essere forgiato nella fucina della volontà, reso acciaio nella tensione verso l’obiettivo che ci siamo prefissati. Determinazione ed Esercizio vanno a braccetto e si alimentano vicendevolmente
- I come Immaginazione – l’immaginazione serve per definire il nostro obiettivo. Una cosa che ho imparato bene è che un obiettivo ha mille sfaccettature e bisogna considerarle tutte. Qual è il significato di star bene? Cosa comprende? Tra le cose identificate quali sono quelle prioritarie? Come mi sentirò una volta raggiunto questo obiettivo?
- E come Esercizio – la pratica è maestra. Ci insegna che tutto può essere appreso e che i grandi cambiamenti sono composti da piccole, talvolta piccolissime, azioni, reiterate e ripetute nel tempo. Coltiviamo quindi la pratica sfidandoci in piccole cose come bere il caffè senza zucchero, fare il saluto al sole, dedicarci 10 minuti per una camminata ad alta intensità.
- T come Talento – siamo sicuri di conoscere i nostri punti di forza? Ci riconosciamo quali abilità, capacità e risorse abbiamo? Quali tra i nostri tanti talenti possiamo mettere al servizio dello star bene? Ad esempio siamo molto ben organizzati nel lavoro eppure non applichiamo questa abilità nel momento in cui facciamo la spesa.
- A come Accettazione – quanto siamo tolleranti verso noi stessi? Non sempre riconosciamo i nostri sforzi e finiamo per essere i peggiori giudici di noi stessi. Un modo di vivere sano passa soprattutto attraverso l’amore verso noi stessi, accogliendoci in tutte le sfaccettature. Magari siamo stati bravi tutta la settimana e poi una sera ci sale un incredibile voglia di dolce e non c’è niente da fare, affondiamo il cucchiaino nella nutella di nostro figlio… piuttosto che biasimarci per questo chiediamoci come possiamo coccolarci in modo diverso, di cosa esattamente sentiamo la mancanza. Magari non si tratta di dolce.
In definitiva dovrei sostituire il titolo di questo articolo da “come far funzionare una dieta” a “come riequilibrare il mio modo di vivere”. Perché non si tratta di cibo, ma di volerci bene. E talvolta essere affiancati da uno psicologo aiuta ad accelerare questo processo.
Se senti il bisogno di un aiuto in più, ogni martedì dalle 18.00 alle 20.00, i terapeuti del nostro team One Session si rendono disponibili per degli incontri online gratuiti utilizzando la Terapia a Seduta Singola. Contattaci per maggiori inviando una email a info@onesession.it oppure visita la nostra pagina Fb OneSession.it.
Monica Grassi, Psicologa della prestazione umana con esperienza di lavoro su singoli e gruppi a livello privato e aziendale. Utilizzo le tecniche della Terapia Breve per sostenere e accompagnare i processi di cambiamento personali e professionali. Ai principi della Terapia a Seduta Singola affianco tecniche di contatto del sé attraverso il corpo e la respirazione che aiutano a lavorare ad un livello emotivo profondo.
La fame nervosa: un rifugio dal quale uscire
Può capitare che vi troviate a sbirciare dentro al frigorifero, o ad aprire ogni singolo sportello di dispensa che contiene cibo, sentendo il desiderio di dover smangiucchiare senza in realtà non avere neanche troppa fame, magari avendo consumato il normale pasto neanche troppo tempo prima.
Perché succede questo?
Una breve definizione
In psicologia la fame nervosa è definita come il desiderio incontrollabile, tale per cui presi da un raptus, si sente di dover mangiare anche senza fame, quindi senza un bisogno fisiologico vero e proprio.
Può questa, piuttosto, subentrare a causa di uno stato emotivo (solitamente negativo) caratterizzato da noia, ansia, tristezza, ecc.
La fame nervosa ci porta a sostituire il bisogno di fare qualcosa, di gestire l’ansia e di colmare la tristezza attraverso il cibo.
Quando la fame parte da questo presupposto il cibo scelto, solitamente, è un alimento che ha il potere psicologico di creare uno stato di benessere momentaneo in chi lo mangia.
Quindi è possibile, già da queste poche righe, notare come la voglia di cibo sia un’esperienza multidimensionale che comprende aspetti cognitivi (il pensiero verso di esso), emotivi (il desiderio), comportamentali (la ricerca) e fisiologici.
Il cibo come rifugio: da protettivo a problematico
Una forma di comunicazione
Il cibo è una forma di comunicazione con noi stessi e con gli altri, un modo per sentirsi in relazione e per vivere gli incontri.
Ma quando la relazione perde il suo equilibrio, si può rischiare di utilizzare il cibo come rifugio, cadendo in comportamenti poco sani per la salute.
Di fatti, il cibo potrebbe diventare un pensiero persistente e costante, in cui la parte gradevole e piacevole associata alla sua assunzione viene soppiantata da connotazioni negative.
L’improvviso attacco di fame, dettato dal cervello e non dallo stomaco, serve a riempire un vuoto, a sfogare dispiaceri, a colmare dolori ed a gestire le situazioni di preoccupazione e stress.
Una disperata fame d’amore che vede nel cibo un mezzo, un segnale per comunicare uno stato di disagio, una carenza d’affetto devastante.
Le esperienze di fame nervosa sono comuni, e non riflettono un comportamento alimentare anomalo di per sé.
Quando può diventare un problema?
Quando il comportamento alimentare è spinto ripetutamente da fame nervosa, raggiungendo un’intensità ed una frequenza tale da causare disagio o compromissione significativa della qualità di vita.
Inoltre, quando provoca una vera perdita di controllo nel rapporto con il cibo (per esempio vi è la sensazione di non essere in grado di riuscire a smettere di mangiare o a controllare quanto si stia mangiando), con conseguenze sulla salute.
Questo tipo di comportamento può sfociare in un disturbo da alimentazione incontrollata (Binge Eating Disorder), caratterizzato da pasti consumati in modo più rapido e in maggiori quantità rispetto al normale, fino a sentirsi spiacevolmente pieni, e invasi, subito dopo l’episodio, da sentimenti di colpa verso se stessi.
Le emozioni collegate alla fame nervosa non dipendono necessariamente da una condizione psicopatologica o da situazioni particolarmente ingravescenti, ma possono scaturire da numerose circostanze della vita quotidiana che generano uno squilibrio emotivo.
Così, anche quando non raggiunge livelli patologici, la fame nervosa può procurare un certo tipo di disagio, poiché dopo l’iniziale ed illusoria sensazione di benessere ottenuta mangiando, si ricade in quelle emozioni negative da cui si cercava di fuggire.
Questa re-invasione di emozioni negative, aggiunte al senso di colpa, innescano nuovamente lo stimolo nel desiderio di cibo “consolatorio”, inducendo alla possibile creazione di un circolo vizioso, caratterizzato da comportamenti automatici inerenti al mangiare, all’interno dei quali non si riesce a scorgere via di fuga.
Cosa fare per placare la fame nervosa
“Magari potessi placare la fame, stropicciandomi il ventre.” (Diogene di Sinope)
Esiste un modo per placare la fame nervosa?
Ecco alcuni suggerimenti utili che possono aiutare nel placare il desiderio e la ricerca di cibo “consolatorio” ed uscire da quel rifugio creato:
1. Evitare di comprare cibi consolatori
Il primo suggerimento, per quanto scontato possa sembrare, è quello di evitare di comprare cibi “consolatori” (o ridurne la quantità) che possono stimolare maggiormente il desiderio di spuntini extra. Qualcuno direbbe: “lontano dagli occhi, lontano dal cuore”…o in questo caso lontano dalla bocca!
2. Impegna il tempo in attività che ti facciano star bene
Chiacchierare con persone a te care, uscire, fare passeggiate, attività fisica, scrivere, e tutto quello che ti viene in mente. Non esistono attività ideali da fare, ma impiega il tuo tempo in quelle che ti più ti piacciono e ti consentono di rifugiarti in luoghi più salutari rispetto ad un frigorifero!
3. Dividi i pasti durante la giornata
Idealmente bisogna fare 5 pasti (3 principali e 2 spuntini) durante tutto il giorno. Organizzali scadenzandone tempo e preferenze di alimenti. Concediti, però, qualche tentazione sulle scelte, purché rimangano all’interno dei pasti consentiti! Qualcuno suggerirebbe che: “l’unico modo di liberarsi di una tentazione è cedervi”.
Se vedi che questi piccoli suggerimenti non ti aiutano a ridurre la fame nervosa e pensi di aver bisogno di un supporto in più, rivolgiti ad un professionista.
La Terapia a Seduta Singola può aiutarti anche in un solo incontro eliminando i comportamenti che mantengono in vita il problema e ottenendo concreti benefici.
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Bibliografia
Nardone G. (2015). La dieta paradossale. Firenze: Ponte alle grazie
Nardone G. (2013). Al di là dell’amore e dell’odio per il cibo. Bur psicologia
Biondi M (2014). DSM-5. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Raffaello Cortina Editore
Terapia a Seduta Singola e Binge Eating Disorder
Il rapporto tra l’uomo è il cibo è un rapporto complicato.
Sappiamo quanto sia importante fisicamente e psicologicamente avere una corretta alimentazione e al contempo sappiamo quanto sia difficile mantenerla.
Il rapporto con il cibo è spesso controverso: alcuni si concedono gli eccessi, altri se ne privano del tutto; c’è chi non svolge attività fisica e chi al contrario ne abusa.
Mangiare è un piacere e al contempo una maledizione, soprattutto se consideriamo che non mangiamo solo “per fame” ma anche per socializzare; sono tanti i momenti in cui il cibo può trasformarsi in un premio o in una punizione e per alcuni strutturarsi come un problema.
Che cos’è il Binge Eating Disorder (BED)?
Quando parliamo di Disturbo Alimentare, ci riferiamo a un alterazione delle abitudini alimentari che comportano conseguenze sia fisiche che psicologiche, a causa dell’eccessiva preoccupazione rispetto al peso o alla forma del proprio corpo.
Il BED insorge tardi, tra i 25 e i 35 anni.
Il Binge Eating Disorder è stato inserito tardi nei Disturbi della nutrizione e della alimentazione; solo con il sopraggiungere del DSM-5.
Ciò che caratterizza questo disturbo è l’abbuffata: si presenta almeno 1 o 2 volte a settimana, senza che la persona ricorra in seguito a condotte di eliminazione.
L’abbuffata si alterna poi a periodi di digiuno e di restrizione alimentare piuttosto rigida che conducono ad abbuffarsi nuovamente.
Il comportamento cardine è la difficoltà nel controllare l’impulso a mangiar, motivo che spesso porta le persone che soffrono di BED all’obesità.
Ma cosa significa abbuffarsi?
L’abbuffata deve soddisfare alcuni parametri per essere ritenuta valida: non sto descrivendo infatti un momento di “sgarro” o cui la concessione di un alimento in più del necessario; al contrario l’abbuffata è riconoscibile per:
- Una quantità di cibo ingerita in un tempo limitato che è decisamente superiore al quantitativo normale che si ingerirebbe in quello stesso arco di tempo
- Una sensazione di totale perdita di controllo nei confronti del cibo.
L’abbuffata compulsiva presenterà almeno tre di questi tratti:
- Mangiare molto più rapidamente del normale;
- Mangiare fino ad avere una sensazione dolorosa;
- Mangiare grandi quantità di cibo pur non sentendo fame;
- Mangiare in solitudine a causa dell’imbarazzo per le quantità di cibo ingerite;
- Provare disgusto di sé, intensa colpa o disagio dopo aver mangiato troppo.
Ricapitolando, chi soffre di BED avrà difficoltà a controllare l’impulso a mangiare e 1 o 2 volte a settimana sarà vittima di un abbuffata compulsiva, alternata a periodi di rigido controllo alimentare.
Il controllo che fa perdere il controllo.
Il problema fondamentale è l’impossibilità di trovare un equilibrio tra il controllo e la perdita dello stesso; questo circolo vizioso infatti mantiene in vita il problema stesso.
«Niente è piu’ irresistibile di un divieto da trasgredire» O. Wilde
Pensaci! Più tenti di controllarti e più hai difficoltà nel farlo. Se hai deciso di vietare rigorosamente la cioccolata, incontrerai forti difficoltà a resisterle –quando avrai la possibilità di mangiarla- a causa di un crescente desiderio scatenato dall’auto imposizione.
Finirai per mangiarne più del necessario.
Come diceva Oscar Wilde: “ il miglior modo per resistere a una tentazione, è cedervi”
Cosa puoi fare?
Il primo passo è riprendere il controllo sul cibo e modificare le convinzioni errate che sono alla base dei tuoi divieti e delle tue paure rispetto a particolari cibi.
In secondo luogo, ridurre le abbuffate, costruendo un equilibrio alimentare.
- Controlla il cibo concedendotelo:
Ho appena spiegato come i divieti accrescono il desiderio. Anziché avere un controllo eccessivo e restrittivo del cibo, è importante che impari a concedertelo ed evitare di assumere un atteggiamento di totale e rigido rifiuto.
- Restringere senza restrizioni:
Prova a mangiare quanto vuoi e quello che vuoi ma all’interno dei tre pasti principali. Circoscrivi l’atto del mangiare in un tempo ben definito, concedendoti però tutto quello che vuoi.
- Fai una lista:Ogni mattina ti alzi e puoi scrivere una rapida lista pensando: “se oggi volessi peggiorare le mie abitudini alimentari, cosa dovrei fare?”
Fai una lista con tutti i comportamenti che ti vengono in mente come “mangiare schifezze”, “mangiare più del solito” e cosi via.
A fine giornata riprendi la lista e sbarri i comportamenti che hai messo in atto.
Come può esserti d’aiuto la Terapia a Seduta Singola?
In primo luogo se pensi di aver bisogno di un supporto in più, puoi rivolgerti a uno specialista in questi casi, uno psicologo e un nutrizionista.
La Terapia a Seduta Singola è utile perché consente individuare le tue tentate soluzioni, ovvero i comportamenti che mantengono in vita il problema, e di bloccarli.
Si lavora partendo dalle risorse della persona, per capire quale sarebbe il primo passo per modificare in meglio il rapporto con il cibo e decidere che obiettivo si intende raggiungere.
Dopodichè si concorda una strategia insieme e come procedere.
Smettere di abbuffarsi è possibile e anche in un solo incontro con lo psicologo è possibile ottenere concreti benefici.
Sei interessato alla Terapia a Seduta Singola? Puoi rivolgerti ai nostri psicologi e psicoterapeuti, disponibili ogni martedì dalle 18.00 alle 20.00, per una consulenza gratuita online.
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Beatrice Pavoni
Bibliografia:
Nardone, G (2007) La Dieta Paradossale: sciogliere i blocchi psicologici che impediscono di dimagrire e mantenersi in forma, Ponte delle Grazie
Nardone, G. Verbitz, T. Milanese, R. (1980). Le prigioni del cibo. Vomiting, anoressia, bulimia. La terapia in tempi brevi.Tea
Sono una psicologa che si occupa di consulenze brevi e di TSS: il mio obiettivo è ridurre i tempi della terapia e massimizzare l’efficacia della seduta, offrendo un sostegno focalizzato e concreto per affrontare sia le piccole che le grandi difficoltà della vita