Come superare la tricotillomania
La tricotillomania consiste nello strapparsi peli e capelli nelle diverse parti del corpo.
È un disturbo altamente invalidante, che incide in maniera evidente sull’immagine della persona e, di conseguenza, sulla sua socialità.
In questo articolo cercheremo di descrivere in breve in cosa consiste questo disturbo e come la terapia breve può aiutarti a superarlo.
Un Disturbo Ossessivo-Compulsivo
La tricotillomania è un disturbo caratterizzato dal bisogno irrefrenabile ed incontrollabile di strapparsi peli e capelli dalle diverse parti del nostro corpo.
Nonostante possa colpire a qualunque età è maggiormente frequente nei bambini e negli adolescenti.
Per queste sue caratteristiche specifiche, in aggiunta alla ritualità ed alla ripetitività del comportamento tricotillomanico, nel DSM-5 è stato inserito tra i “disturbi ossessivo-compulsivi”, invece che nei “disturbi del controllo degli impulsi” come nel DSM-IV-TR.
La tricotillomania può interessare qualsiasi parte del corpo dove siano presenti peli o capelli, anche se generalmente le zone più colpite sono cuoio capelluto e viso, per la presenza di capelli, ciglia e sopracciglia.
Il comportamento è messo in atto generalmente da soli, anche mentre si compiono azioni semplici come guardare la televisione o leggere un libro, ma generalmente è preceduto da un alto livello di tensione interna.
A volte la persona è consapevole di cosa sta facendo ma, il più delle volte, è un comportamento inconsapevole e messo in atto in modo automatico.
Cause, insorgenza e conseguenze della tricotillomania
Non sono state chiarite le cause del disturbo, ma sono stati identificati alcuni fattori di rischio:
- fattori genetici,
- ansia e stress prolungati
- eventi stressanti acuti
- Comorbidità psichiatriche
Nonostante questo disturbo possa colpire a qualunque età, alcuni studi hanno evidenziato come l’insorgenza avvenga generalmente nell’infanzia e il picco d’incidenza nei bambini si collochi tra i 2 ed i 6 anni, anche se in questa fase i sintomi possono essere transitori.
Quando invece i sintomi compaiono in adolescenza o pre-adolescenza il disturbo tende ad emergere in concomitanza con i passaggi critici dell’età ed essere più pervasivo e duraturo nel tempo.
Le conseguenze di questo disturbo possono essere diverse e di diversa entità.
Riguardano in generale la perdita di capelli, infiammazioni e dermatiti e, in presenza di tricofagia, ovvero di ingestione dei peli dopo averli strappati, può portare alla creazione di bezoari che possono bloccare le funzioni gastrointestinali.
Tuttavia le conseguenze più d’impatto di questo disturbo si evidenziano a livello sociale. La persona arriva spesso a vergognarsi del proprio aspetto fisico, soprattutto se i danni riguardano i capelli e l’alopecia in particolare, e questo porta a limitare le uscite sociali e all’autoisolamento.
Le terapie brevi per la tricotillomania
Il percorso terapeutico ha il duplice intento di bloccare il comportamento autolesivo e di portare la persona a gestire in maniera più efficace lo stress.
Bloccare il comportamento tipico di questo disturbo è difficile. Soprattutto perché lo strapparsi peli e capelli può trasformarsi da un qualcosa di doloroso in qualcosa di piacevole.
Questo è un meccanismo tipico di tutti i comportamenti di automutilazione: metterli in atto può portare ad avere un piacevole sollievo da sensazioni dolorose e distrae da situazioni stressanti o pensieri ossessivi. Bloccare comportamenti che, anche procurando un danno, hanno l’effetto di farci stare bene è difficile e impegnativo.
Tra le strategie più efficaci in questi casi ci sono le tecniche paradossali, ossia delle tecniche, tipiche della psicologia strategica, nelle quali è il sintomo stesso che viene utilizzato per mandare in cortocircuito il disturbo.
In particolare nei casi tricotillomania si usa la “ritualizzazione del rituale”: si chiede alla persona di mettersi di fronte ad uno specchio tutti i giorni, ad un orario stabilito e di strapparsi peli o capelli per quindici minuti.
Anche se sembra una richiesta illogica risulta efficace perché:
- permette alla persona di riprendere il controllo sull’irrefrenabilità della compulsione,
- dà un contenitore di spazio-tempo nel quale concentrare il comportamento, liberando il resto del tempo e creando spazio per azioni positive,
- crea avversione verso il comportamento di piacere perché è legato alla costrizione di doverlo fare seguendo delle regole esterne.
Generalmente questa strategia permette di ridurre il sintomo fino ad eliminarlo in breve tempo.
In alcuni casi può bastare anche una sola seduta per modificare drasticamente in positivo la situazione.
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Ogni Martedì dalle 18:00 alle 20:00 gli psicologi del team “One session” sono a tua disposizione per una sessione gratuita di consulenza psicologica a seduta singola di 30 minuti.
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Riferimenti bibliografici
Nardone G. (1993), Paura panico fobie. Ponte alle Grazie.
Nardone G. (2004), Il dialogo strategico. Ponte alle Grazie.
Nardone G., Portelli C., (2013), Ossessioni compulsioni manie. Ponte alle Grazie.
www.lostudiodellopsicologo.it/strapparsi-i-peli
La Terapia a Seduta Singola per il Disturbo Ossessivo Compulsivo
Il Disturbo Ossessivo Compulsivo
Seguendo i manuali di Psicologia il Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC) è definito come:
«un disturbo caratterizzato da ossessioni e/o compulsioni.» (Giorgio Nardone)
In particolare nel DSM-5 ossessioni le compulsioni vengono così specificate:
Le ossessioni sono pensieri, impulsi o immagini ricorrenti e persistenti, vissuti spesso come intrusivi e indesiderati, e che possono causare ansia o disagio. Spesso la persona tenta di ignorarli o scacciarli, e a volte lo fa con altri pensieri, formule mentali o azioni: in questo caso si parla di “compulsioni”.
Le compulsioni sono dei comportamenti ripetitivi di qualunque genere (lavarsi, riordinare, controllare ecc.) oppure delle azioni mentali (pregare, contare, ripetere parole mentalmente) che la persona si sente obbligata a mettere in atto in determinate circostanze.
Questi rituali tipici del Disturbo Ossessivo Compulsivo sono involontari, inevitabili e irrefrenabili e possono avere tre scopi principali:
- Preventivi, per evitare un evento negativo.
- Propiziatori, per far avverare un evento desiderato.
- Riparatori, per sistemare una situazione problematica.
Così la mente viene racchiusa in una trappola sulla base di presupposti logici insindacabili che “non puoi smettere di mettere in pratica perché ti senti obbligato a farlo”.
Le ossessioni e le compulsioni tipiche del Disturbo Ossessivo Compulsivo sono estremizzate e ripetute nel tempo e portano alla messa in atto di comportamenti stereotipati.
Come possono aiutarti le Terapie Brevi
Le Terapie Brevi hanno sviluppato delle strategie molto efficaci per combattere il Disturbo Ossessivo Compulsivo.
Il nucleo centrale del problema consiste nel fatto che si cerca di bloccare in maniera razionale un qualcosa che è invece del tutto irrazionale.
Questi comportamenti danno un iniziale senso di sollievo alla persona, senza tuttavia soddisfarla completamente e si vengono così a classificare come tentate soluzioni disfunzionali, ossia come soluzioni che, dopo un iniziale effetto positivo, hanno un definitivo e sostanziale effetto negativo.
Il risultato è che i rituali che vengono messi in atto e che avrebbero il compito di gestire e fermare i pensieri intrusivi e ossessivi, hanno in realtà l’effetto di sostenere il problema stesso e spesso peggiorarlo.
Le terapie brevi, attraverso delle strategie concrete, puntano a creare dei contro-rituali basati sulle stesse logiche che sorreggono il problema, rendendole nulle.
La persona è così in grado di superare i normali percorsi razionali arrivando alla risoluzione del Disturbo Ossessivo Compulsivo.
Come risolvere il Disturbo Ossessivo Compulsivo con la Terapia a Seduta Singola
Così come esistono diversi tipi di terapie brevi, esistono diversi tipi di intervento per il Disturbo Ossessivo Compulsivo.
In particolar modo la Terapia a Seduta Singola, con il suo agire concreto e focalizzato, ha dimostrato una notevole efficacia di intervento sia nel breve che nel lungo periodo.
Le strategie messe in atto hanno il duplice scopo da un lato di bloccare le Tentate Soluzioni Disfunzionali e, dall’altro, di massimizzare l’efficacia di ogni azione.
Evitare di parlare continuamente del problema, smettere di evitare le situazioni che mettono a disagio, identificare le risorse personali in grado di posticipare la compulsione. Sono solo alcune delle possibili strategie che possono aiutare la persona a limitare inizialmente e poi estinguere le proprie compulsioni.
Iniziare dalla cosa più semplice, fare la più piccola azione possibile, identificare il proprio obiettivo concreto e stabilire i passi necessari per raggiungerlo. Sono invece alcune delle strategie in grado di aumentare l’efficacia dell’agire della persona.
Conclusioni
Il Disturbo Ossessivo Compulsivo è considerato uno dei disturbi più ostici, tuttavia anni di esperienza ci dicono che le terapie brevi hanno dimostrato una notevole efficacia nel suo trattamento anche in poche sedute.
In particolar modo la Terapia a Seduta Singola può essere uno strumento molto efficace per ridimensionare il disturbo in maniera netta e duratura.
Ovviamente ogni disturbo ha la sua peculiarità e la sua complessità, ma è proprio la duttilità di questo modello il suo punto di forza. Uno psicologo formato in Terapia a Seduta Singola può aiutarti ad identificare i tuoi obiettivi e, nel contempo, utilizzare le tue risorse per valutare le strategie pratiche più adatte alla tua situazione.
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Riferimenti bibliografici
Gingerich, W.T. & Peterson, L.T. (2013). Effectiveness of solution-focused brief therapy: a systematic qualitative review of controlled outcome studies. Research on Social Work Practice, 23(3), 266-283.
Frankl, V. (1975). Paradoxical intention and dereflection. Psychotherapy: Theory, Research & Practice, Vol 12(3), 226-237.
Nardone, G. & Portelli, C. (2011). Ossessioni, Compulsioni, Manie. Milano: Ponte alle Grazie.
Mancini F. (a cura di) (2016). La mente ossessiva. Curare il Disturbo Ossessivo-Compulsivo. Milano: Raffaello Cortina Editore
https://www.lostudiodellopsicologo.it/disturbi/terapia-disturbo-ossessivo-compulsivo/ (Consultato in data 14/07/2022)
https://www.lostudiodellopsicologo.it/ossessioni/le-3-forme-di-disturbo-ossessivo-compulsivo/ (Consultato in data 14/07/2022)
Come risolvere gli attacchi di panico
E’ possibile risolvere gli attacchi di panico? In questo articolo vedremo cosa si intende per attacco di panico, quali sono le sue conseguenze e cosa si può fare per poterli risolvere.
La paura evitata diventa timor panico, la paura guardata in faccia diventa coraggio.
(Antico detto sumero)
Che cosa si intende per “attacco di panico”?
Per “attacco di panico” si intende un episodio di forte ansia, paura e angoscia che invade improvvisamente una persona, senza un pericolo apparente.
Può manifestarsi con sintomi anche molto diversi tra loro: sensazioni fisiche (es. palpitazioni, sudorazione, dolori all’addome, nausea, vertigini e capogiri, senso di soffocamento o svenimento…), stati emotivi (ansia, preoccupazione, paura) e cognitivi (pensieri, dubbi e domande martellanti). In alcuni casi si può sperimentare anche senso di irrealtà (derealizzazione) come se il mondo ci apparisse diverso e non “messo a fuoco”.
Talvolta ci si potrebbe anche sentire “distaccati dal proprio corpo”, senza averne più il controllo (depersonalizzazione). L’attacco di panico per via della sua imprevedibilità diviene un evento significativo nella vita di una persona, capace di far crollare le proprie certezze e trasmettere un forte senso di insicurezza.
Se l’esperienza si ripete nel tempo, la persona potrebbe sviluppare il cosiddetto “disturbo da attacchi di panico”, che consiste nella paura di poter avere nuovamente altri episodi di questo tipo, con tutte le sue conseguenze.
Cosa si prova durante un attacco di panico?
Per chi non ha mai avuto un attacco di panico è spesso difficile capire che cosa succeda in quel momento.
L’idea più comune è che l’attacco di panico sia qualcosa di visibile a occhio nudo, ad esempio una crisi fatta di urla e gesti inconsulti.
L’esperienza dell’attacco di panico invece è estremamente soggettiva: è importante quindi cercare di capire che cosa significhi averli per ciascuna persona e come si manifestano concretamente i suoi sintomi.
Alcune persone durante gli attacchi di panico rimangono impassibili e dall’esterno può essere impossibile capire che cosa stiano provando e di conseguenza fare qualcosa per aiutarle.
L’emozione prevalente dell’attacco di panico ad esempio potrebbe essere la paura, che può manifestarsi in diverse modalità: la paura di perdere il controllo oppure la paura di morire.
Nel primo caso la persona potrebbe avere pensieri di forte angoscia e non riuscire a sopportare la condizione in cui si trova. Potrebbe iniziare a convincersi di essere sul punto di impazzire e iniziare a immaginare di fare gesti folli pur di fuggire dal proprio malessere (come lanciarsi da un treno in corsa).
In questa situazione è probabile che la sofferenza venga tenuta per se stessi per vergogna o timore di non essere capiti dagli altri. Quando predomina invece la paura di morire, la persona potrebbe sperimentare una serie di sintomi così gravi da essere associati all’infarto: battito cardiaco accelerato, fame d’aria, dolori lancinanti al petto e dolori all’addome.
Quello che potrebbe lasciare l’attacco di panico è un profondo senso di solitudine, impotenza e insicurezza. La persona si ritrova così di punto in bianco in una spirale di sofferenza che può solo peggiorare.
Quali conseguenze può avere un attacco di panico?
Purtroppo nella maggior parte dei casi, dopo aver sperimentato il primo attacco di panico, si ha l’impressione che niente sia più come prima.
Quello che si desidera maggiormente è cercare di non provare più questa brutta esperienza.
La persona quindi potrebbe cercare di fronteggiare da sola il problema con diverse strategie, rischiando di peggiorare ulteriormente la propria condizione senza volerlo.
Ad esempio, si potrebbe iniziare a “scappare” dalla propria paura, evitando tutti i luoghi e le situazioni in cui si è già verificato o potrebbe verificarsi un nuovo attacco di panico.
Si potrebbe smettere di prendere i mezzi pubblici o la propria auto, oppure scegliere di non frequentare più quei posti specifici dove ci si è sentiti male.
In questo modo si potrebbe pensare di essere al sicuro ma a lungo andare ci si ritroverà isolati e limitati nelle proprie attività quotidiane, con la propria vita fortemente compromessa.
Chiudendo sempre più le proprie vie di uscita infatti, ci si infilerà in un tunnel ancora peggiore senza neanche rendersene conto.
Un altro modo per provare a fronteggiare il problema potrebbe essere chiedere aiuto alle persone care, parlando continuamente degli episodi vissuti e della propria paura.
Anche questo inizialmente potrebbe farci sentire meglio ma alla lunga non farà che incastrarci ancora di più nel problema. Inoltre rischieremmo di renderci insopportabili agli occhi degli altri!
Più si alimenta il problema infatti, più crescerà fino a divenire un gigante nella nostra vita.
Quando la parola non basta, si potrebbe chiedere ai propri cari di accompagnarci nelle nostre attività quotidiane. In questo modo non rischieremmo di trovarci da soli ad affrontare un nuovo attacco.
Questo supporto dall’esterno senz’altro potrebbe farci sentire molto amati da chi tiene a noi, ma alla lunga la presenza degli altri ci dirà una sola cosa. Ovvero che da soli non possiamo farcela, che abbiamo perso la nostra autonomia.
Come risolvere gli attacchi di panico?
La parola re-solvere ha già in sé la soluzione: si tratta di provare a “sciogliere” il problema, trovando nuove soluzioni rispetto a quelle che finora non sono risultate utili.
Chiedere da subito un aiuto ad uno specialista permetterà di risparmiare tempo prezioso e cominciare ad attuare un cambiamento funzionale e durevole nel tempo.
La Consulenza a Seduta Singola permette fin dal primo incontro di affrontare il problema definendolo in tutti i suoi aspetti peculiari. Si lavora su come il problema funziona per ciascuna persona e su cosa si è provato a fare finora per affrontarlo. In questo modo sarà possibile provare da subito a fare qualcosa di diverso per provare a cambiare le cose.
Se non sai da dove cominciare, potresti intanto chiedere un incontro agli psicologi di “One session”.
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Se pensi che questo articolo possa essere utile, condividilo con chi potrebbe averne bisogno e lasciaci un commento sulla tua esperienza. Sentirsi meno soli potrebbe essere già un primo passo per uscire dal problema.
Riferimenti Bibliografici
Nardone, G. (2015). La terapia degli attacchi di panico. Liberi per sempre dalla paura patologica. Ponte alle Grazie.
Nardone, G., Watzlawick, P. (1990). L’arte del cambiamento. La soluzione dei problemi psicologici personali e interpersonali in tempi brevi. Ponte alle Grazie.
Sono una Psicologa iscritta all’Albo A degli Psicologi del Lazio e all’Istituto ICNOS: Scuola di Psicoterapie Brevi Sistemico-Strategiche.
Nel mio lavoro integro le mie competenze multidisciplinari per offrire ai miei clienti soluzioni personalizzate ed aiutarli a raggiungere i propri obiettivi in tempi brevi. Utilizzo la TSS per ottenere il massimo da ogni singolo incontro.
Perfezionismo: è una risorsa o una trappola?
Il perfezionismo è una risorsa o una trappola? Essere persone precise, può rivelarsi sicuramente una risorsa. Ma l’eccesso di controllo, come vedremo in questo articolo, porta a perdere il controllo, rivelandosi una trappola.
Precisione e perfezione
Essere precisi, cercare di non lasciare le cose al caso, è sicuramente un atteggiamento apprezzabile. Permette di eseguire i compiti della nostra quotidianità con un certo impegno. Fa sì che non ci accontentiamo della mediocrità. Ci fa anche risparmiare energie, perché la precisione ci permette di vivere in maniera più ordinata, permettendoci di gestire il nostro spazio e il nostro tempo in maniera agile.
C’è chi però non si accontenta della precisione. Vuole la perfezione.
La perfezione è l’eccesso della precisione. E, lasciatemelo dire, è una condizione irrealistica.
Perfezionismo patologico
Questa ricerca assidua di perfezione può diventare causa di molta ansia: a mano a mano ci si renderà conto che esiste una perfezione ancora più perfetta e ci si andrà alla ricerca, senza mai porvi una fine.
I compiti portati a termine non saranno più fonte di gratificazione, ma pretesto per rimproverarsi. Farà capolino la paura di sbagliare, di fallire. La quotidianità diventerà fonte di forte stress.
Uno degli esiti è lo sviluppo del disturbo ossessivo – compulsivo.
Mantenere la precisione grazie all’imperfezione
Per poter mantenere il bello della precisione e non cadere nello stress dell’imperfezione, la cosa migliore da fare è “immunizzarsi” all’imperfezione. Creare, attraverso un allenamento graduale, una sorta di abituazione al fatto che la vita è imperfetta e non tutto può essere sempre sotto il nostro controllo.
Come fare?
Prenditi l’impegno quotidiano di mantenere una piccola imperfezione nelle tue attività. Imperfezione che, paradossalmente, sarà totalmente sotto il tuo controllo!
Sei abituato a pretendere il 100% in quello che fai? Lascia volontariamente incompleto il tuo compito del 10% e sperimenta quello che succede.
L’allenamento costante ti permetterà di rimanere una persona precisa, pur nell’imperfezione di questo mondo!
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Riferimenti bibliografici
Cannistrà, F., Piccirilli, (2018), Terapia a seduta singola. Principi e pratiche. Giunti Psychometrics
Nardone G. (2013), Psicotrappole. Firenze: Ponte alle Grazie
Il mio lavoro è orientato al futuro e alla valorizzazione delle risorse delle persone che si rivolgono a me, in ottica di totale collaborazione.
Paura dei cambiamenti: piccoli passi per superarla.
I cambiamenti fanno paura.
Talvolta fanno così paura da convincerci che tutto dovrebbe rimanere costantemente uguale a se stesso.
Chi teme il cambiamento prova forte disagio e stress di fronte alle novità, arrivando a bloccare ogni istinto di trasformazione.
L’unica costante della vita è il cambiamento
Così recita un famoso detto.
Il cambiamento interessa tutti, costantemente. Cambiare significa crescere, adattarsi a nuove esigenze, acquisire nuovi saperi e nuove conoscenze.
Tutti nella nostra vita affrontiamo costantemente dei cambiamenti, piccoli o grandi che siano. Talvolta senza accorgercene.
Ci sono tuttavia dei momenti in cui il cambiamento può diventare qualcosa percepito come troppo grande e pericoloso.
Come mai?
Quali aspetti del cambiamento fanno paura?
Ci sono tanti aspetti del cambiamento che possono fare paura.
In primis, il cambiamento porta con sé una sensazione di perdita. Perdita di quello che è stato finora e che conoscevamo molto bene, a favore dell’ignoto. “E se fosse peggio?”, “e se mi accorgessi di aver sbagliato?” sono alcune delle domande che possono accompagnare la fase di cambiamento.
Un secondo aspetto che può favorire l’immobilismo all’evoluzione è la paura di non essere all’altezza. Il fantasma del fallimento, pronto a puntarci il dito contro e a dirci che non siamo abbastanza, ci immobilizza. Finiamo per preferire la situazione spiacevole in cui ci troviamo, piuttosto che rischiare di sbagliare.
Affrontare la paura dei cambiamenti
La paura del cambiamento è normale. Ma la soluzione non può essere l’immobilismo.
In casi come questi può venirti utile la tecnica dei piccoli passi. In cosa consiste?
Invece che proiettare le tue fantasie e il tuo immaginario a cambiamento avvenuto, rischiando di spaventarti, cerca di vedere dove andrà messo il primo passo per cominciare a cambiare. Fatto il primo, penserai al secondo, e poi al terzo, e così via.
Tieni presente la meta, ma ancora di più chiediti qual è il più piccolo passo che ti muova in quella direzione, senza allontanarti troppo da dove sei ora, in modo da metabolizzare di volta in volta piccoli cambiamenti, quasi impercettibili.
Ogni passo aggiungerà qualcosa di nuovo rispetto a dove sei ora, ma non sarà troppo spaventoso da farti desistere e desiderare di non cambiare.
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Riferimenti bibliografici
Nardone, G. (2009) Problem solving strategico da tasca. Firenze: Ponte alle Grazie
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A due anni dal lockdown: la pandemic fatigue
Due anni fa l’Italia intera si trovava in lockdown. Non possiamo negare che la pandemia da Covid – 19 sia stata uno spartiacque tra la nostra vita “prima” e la nostra vita “dopo”, se di dopo si può già parlare.
Non è atipico sentire tutt’oggi gli strascichi psicologici di questo lungo periodo vissuto sotto stress. La Terapia a Seduta Singola, però, può dimostrarsi una valida alleata per riprendere la propria progettualità e uscire dalla crisi.
Come rispondiamo agli eventi stressanti
Cosa succede quando siamo sottoposti a lunghi periodi stressanti? Innanzitutto, cos’è lo stress?
Il termine stress venne introdotto da Seyle nel 1936, inteso come risposta ad eventi (stressors) che alterano un equilibrio (a livello fisico, sociale o ambientale) e che quindi richiedono un investimento di risorse per farvi fronte.
La risposta di stress si divide in tre fasi:
- Fase di allarme: si attiva nei primi momenti in cui compare l’evento stressante. Le nostre energie sono canalizzate e ben focalizzate per fronteggiare lo stressor, tramite l’attacco o la fuga.
- Fase della resistenza: di fronte al proseguire della situazione stressante, la nostra mente e il nostro fisico rimangono ben focalizzati, pronti e attivi nel fronteggiare la situazione.
- Fase dell’esaurimento: sopraggiunge quando non si è più capaci di far fronte allo stress. Il sistema immunitario si indebolisce e ci si scarica anche dal punto di vista emotivo. Questo può avvenire perché non si avevano le risorse sufficienti per affrontare lo stressor, o perché la situazione stressante si è prolungata per troppo tempo.
La Pandemic Fatigue
Definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità “una risposta prevedibile e naturale a uno stato di crisi prolungata della salute pubblica” conseguente alla pandemia da Covid – 19, si stima che il 60% della popolazione si sia trovato a provarla.
Essa si manifesta con mancanza di energie, motivazione, programmazione rispetto alla propria vita, come se ci si fosse in un qualche modo “arresi” al fatto che una visione a lungo termine non sia più possibile.
Sono frequenti anche sbalzi d’umore, con rabbia e tristezza che la fanno da padrone, oltre a insonnia e sintomi fisici come tachicardia e capogiri.
La Terapia a Seduta Singola per riprendere in mano la progettualità della propria vita
Come superare questa fatica causata da un periodo di stress così prolungato? La Terapia a Seduta Singola può dare un grande aiuto in questo senso.
Un solo colloquio può aiutarti a trovare un obiettivo che possa essere realistico e raggiungibile (puoi scoprire di più su come imparare a porti degli obiettivi raggiungibili qui) e ad individuare le tue risorse per poter trovare strategie utili e pratiche per ottenere il cambiamento che desideri.
A volte basta un piccolo passo per ottenere un grande cambiamento e restituirti il senso di efficacia!
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Riferimenti bibliografici
https://www.psychologytoday.com/us/blog/debunking-myths-the-mind/202203/feeling-fatigued-and-burned-out-inflammation-may-be-playing (consultato in data 11/03/2022)
https://www.euro.who.int/en/health-topics/health-determinants/behavioural-and-cultural-insights-for-health/news2/news/2020/10/how-to-counter-pandemic-fatigue-and-refresh-public-commitment-to-covid-19-prevention-measures (consultato in data 11/03/2022)
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La Terapia a Seduta Singola per la paura di arrossire
“Arrossire è il colore della virtù” (Diogene)
Che cos’è la paura di arrossire?
L’“ereutofobia o eritrofobia” deriva dal greco éruthros cioè “rossore”. Consiste nel provare ansia e paura anticipatoria rispetto alla possibilità di diventare rossi in situazioni di socialità (ad esempio quando ci si trova a dover parlare in pubblico, a chiedere informazioni, ad affrontare un appuntamento importante…).
La paura di arrossire rientra tra le fobie specifiche sociali, che nel DSM V indicano una paura marcata o ansia provata da una persona rispetto ad una o più situazioni sociali in cui si è esposti al giudizio degli altri, con timore di essere valutati negativamente per questo.
Il problema causa disagio significativo dal punto di vista clinico nel funzionamento sociale e lavorativo della persona e persiste per almeno 6 mesi.
Come si manifesta l’ereutofobia?
Arrossire è una reazione naturale guidata dal nostro sistema nervoso simpatico.
Esso aumenta il flusso di sangue e la temperatura della pelle del viso, del collo e della parte superiore del corpo causando un cambiamento evidente del nostro colorito, che appare più rosso del solito.
Può manifestarsi quando ci sentiamo al centro dell’attenzione e proviamo emozioni positive oppure quando sperimentiamo emozioni negative come la vergogna, il senso di colpa o l’imbarazzo.
Sarà capitato a tutti di fare una “figuraccia” e di sentirsi avvampare improvvisamente.
Arrossire può farci sentire molto esposti al giudizio degli altri, che possono accorgersi di come ci sentiamo semplicemente guardandoci in viso.
A quel punto, ci sentiamo letteralmente “allo scoperto”, soprattutto se qualcuno ce lo fa notare, magari prendendoci in giro.
La paura di essere “sorpresi” ad arrossire in altre situazioni sociali può quindi diventare una costante preoccupazione e una vera e propria paura.
Oltre alle fastidiose sensazioni fisiche dovute all’ansia, infatti, si possono provare anche pensieri negativi di auto-svalutazione. Questi pensieri possono essere: “arrossirò e quindi penseranno tutti che sono stupido/a, che non valgo niente, che sono debole e incapace, nessuna persona mi vorrà come partner…”.
Abbiamo già parlato in altri articoli precedenti della definizione di “paura” (clicca qui se vuoi approfondire) e di come questa nostra emozione primaria possa essere protettiva da un lato, quando ci difende da un imminente e reale pericolo, oppure possa risultare limitante per noi e dannosa se invece finisce per bloccarci ed impedirci lo svolgimento delle nostre attività quotidiane.
Come viene gestita la paura di arrossire?
Molte persone prima di rivolgersi ad uno psicologo provano a fare qualcosa per gestire da soli il problema.
Una delle azioni che inizialmente può sembrare efficace per provare a gestire l’ereutofobia è quella di evitare tutte le occasioni sociali in cui si potrebbe rischiare di arrossire.
Questa scelta, che inizialmente può farci sentire al sicuro e protetti, alla lunga rischia di isolarci e di rendere difficile se non impossibile lo svolgimento delle nostre attività quotidiane.
Si evita quindi di andare a scuola o al lavoro, di uscire con gli amici, di esporsi nel parlare di fronte agli altri. Un’altra soluzione di solito adottata è quella di provare a nascondere il viso con sciarpe, occhiali grandi o alterarne il colore con trucco pesante e lampade solari.
Purtroppo, spesso questi tentativi di gestire il problema paradossalmente finiscono per peggiorarlo!
L’evitamento sociale ci chiude in una solitudine opprimente che ci impedisce di vivere normalmente e ci fa sentire ancora peggio.
Rinunciare inoltre a mostrare liberamente il nostro volto può farci sentire limitati, inadeguati e insicuri (oltre a rischiare di rovinare la pelle!).
Come liberarsi della paura di arrossire con la Terapia a Seduta Singola?
La paura di arrossire si può affrontare fin dalla prima seduta con uno dei nostri psicologi innanzitutto definendo insieme fin nei minimi dettagli il tuo modo soggettivo ed unico di vivere questo problema.
Si potrà quindi ragionare insieme su tutto quello che hai provato a fare per fronteggiare la paura di arrossire e sui risultati ottenuti: le cose sono effettivamente migliorate oppure sono peggiorate?
Infine, si potranno sperimentare già in seduta alcune nuove soluzioni da poter metter in pratica quotidianamente.
Una strategia utilizzabile fin da subito è provare a rivelare al proprio interlocutore che durante la conversazione si potrebbe arrossire, magari stemperando con una battuta.
Oppure cercare di spostare l’attenzione al di fuori di noi stessi quando parliamo con qualcuno.
Come? Prova a tornare all’inizio di questo articolo e a rileggere l’aforisma di Diogene che ho citato: hai mai pensato che a volte gli altri potrebbero non accorgersi del tuo rossore o addirittura pensare che sia una virtù e non un segno di debolezza?
E se invece di concentrarti su te stesso provassi a vedere se il tuo interlocutore inizia ad arrossire prima di te mentre parlate?
Ricordati che se invece vuoi provare ad affrontare la tua paura di arrossire con uno specialista, quest’anno il nostro team di “One session” ti offre la possibilità di una sessione gratuita di consulenza psicologica a seduta singola della durata di 30 minuti, ogni Martedì dalle 18:00 alle 20:00.
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Lasciaci un commento se ti va di farci sapere come stai provando a gestire la tua eritrofobia!
Riferimenti bibliografici
American Psychiatric Association. (2013). Diagnostic and statistical manual of mental disorders (5th ed.)
Drummond, P. D., Shapiro, G. B., Nikolić, M., & Bögels, S. M. (2020). Treatment Options for Fear of Blushing. Current psychiatry reports, 22(6), [28]. https://doi.org/10.1007/s11920-020- 01152-5
Nardone, G. (2000). Oltre i limiti della paura. Bur, Rizzoli.
Veale, D. (2003). Treatment of social phobia. Advances in Psychiatric Treatment, 9(4), 258-264. doi:10.1192/apt.9.4.258
Sono una Psicologa iscritta all’Albo A degli Psicologi del Lazio e all’Istituto ICNOS: Scuola di Psicoterapie Brevi Sistemico-Strategiche.
Nel mio lavoro integro le mie competenze multidisciplinari per offrire ai miei clienti soluzioni personalizzate ed aiutarli a raggiungere i propri obiettivi in tempi brevi. Utilizzo la TSS per ottenere il massimo da ogni singolo incontro.
La Terapia a Seduta Singola per la paura della morte
E’ possibile superare la paura della morte con una Terapia a Seduta Singola? Scopriamolo nell’articolo di oggi.
Il significato della morte
Ciascuna società si è occupata, nel suo tempo, della morte con riti e tradizioni diversi da una cultura all’altra.
Il concetto di morte è parte integrante del concetto di vita. È il riflesso stesso del culto della vita.
Eros e Thanatos hanno ispirato poeti, artisti, pensatori. Amore e morte.
“Forte come la morte è l’amore, tenace come gli inferi è la passione” recita il Cantico dei Cantici nella tradizione biblica.
La paura della morte accompagna l’uomo da sempre.
Ha provato a spiegarcelo Aristotele: “La cosa più paurosa è la morte. Essa è infatti il nostro termine”.
Hanno provato a spiegarlo le religioni. Da qui l’idea della vita dopo la morte, della reincarnazione e di tante altre credenze affascinanti e mistiche.
Hanno provato a spiegarlo la filosofia e la scienza attraverso miti e teorie.
La paura della morte riguarda molti individui in momenti particolari della loro esistenza.
La pre-adolescenza in cui si inizia a prendere coscienza del fatto che la morte è parte del percorso di vita di ciascuno.
La gravidanza, momento in cui si teme per la propria vita e quella del bambino.
La vecchiaia in cui si avverte che il tempo di lasciare andare è vicino.
La perdita traumatica di persone amate.
La morte richiama l’ignoto, l’ineluttabilità, la mancanza di controllo. Possiamo temere per la nostra vita o quella di chi amiamo.
I balsami che hanno addolcito la paura di morire sono stati nel tempo la religione, il culto dei morti, il pensiero filosofico, l’arte, la cultura, la poesia.
La paura della morte viene esorcizzata e addomesticata dall’uomo attraverso il potere, la guerra, il decidere della vita e della morte stessa.
La paura della morte in psicologia
Molte persone hanno paura di morire. Di certo non sempre questa paura assume una connotazione patologica.
In psicologia, la paura della morte è un disturbo spesso associato alla depressione, ai disturbi di ansia, ai disturbi da ansia di malattia, agli attacchi di panico.
Chi soffre di ansia o di panico, infatti, spesso ha sperimentato questa sensazione.
La paura di morire diventa patologica quando crea ansia e/o pensieri ossessivi. Quando limita, in parte o del tutto, la vita e le abitudini delle persone.
L’irrazionalità e la mancanza di controllo, associate a questa paura, ne rappresentano gli elementi caratteristici ed esasperanti. La perdita dei legami, di ciò che abbiamo costruito nel tempo, è un pensiero che crea angoscia.
Il momento storico, sociale e sanitario che stiamo vivendo ha visto e vede questa paura protagonista nel vissuto di molti.
Chi di noi nel periodo acuto della pandemia non ha pensato almeno una volta alla morte?
Abbiamo visto stare male persone care. Siamo stati bombardati da immagini di malattia e morte. Morti senza corpi, senza riti che ne celebravano il trapasso. Morti senza la condivisione degli affetti e della famiglia.
Un tema dunque molto attuale in questo periodo di incertezza ed emergenza.
La paura della morte nasce con la nascita dell’uomo. È un tema esistenziale. L’uomo, da un certo momento in poi (dai 4 – 5 anni di vita), inizia a fare i conti con la perdita di persone vicine e care e dunque a riflettere e ragionare su di essa.
Il percorso di accettazione della morte, come condizione inevitabile, contribuisce al percorso di crescita. Tuttavia fattori ambientali, fisiologici e psicologici possono anche contribuire ad alimentare questa paura e molto spesso a costruire fobie ben strutturate.
Quando la paura diventa invalidante e condizionante, sarà possibile scontrarsi con un disturbo di personalità.
Terapia a seduta singola e la paura della morte
La Terapia a Seduta Singola si focalizza sui bisogni urgenti della persona.
Manovre e interventi che possono, anche in un solo incontro, rendere utile e concreto l’intervento del professionista.
Soluzioni su misura, capaci di rendere possibile il cambiamento anche in una sola seduta.
Sarà poi la persona a valutare se pensa di poter affrontare da sola la difficoltà che lo ha portato in terapia oppure scegliere di varcare nuovamente quella “porta” che resterà sempre aperta.
La paura spinge la persona a mettere in atto comportamenti che altro non fanno che alimentare il problema. Il disturbo diventa così più strutturato e il cambiamento più difficile da realizzare.
“Guardare in faccia” la paura può aiutare a ridimensionare l’angoscia e l’ansia che essa provoca.
Quali sono le tue paure? Di cosa potresti morire o di cosa potrebbero morire le persone che ami?
Bene. Potresti appuntarlo su un diario, la mattina appena sveglio e la sera, finita la giornata, spuntare quale di quelle paure si è realizzata.
Metterai quella spunta o l’avrai “spuntata”?
Le paure possono essere superate anche da soli. Molto spesso però questo può essere molto difficile e allora non bisogna esitare a chiedere l’aiuto di un professionista. Varcare la porta per ritrovare la propria strada.
Ogni Martedì dalle 18:00 alle 20:00 gli psicologi del team “One session” sono a tua disposizione per una sessione gratuita di consulenza psicologica a seduta singola di 30 Minuti.
Per maggiori informazioni, puoi inviare una email a info@onesession.it o visitare le nostre pagine Facebook o Instagram.
Bibliografia e sitografia:
Cannistrà F., Piccirilli F. (2021). Terapia Breve Centrata sulla Soluzione. Roma: EPC Editore https://www.lostudiodellopsicologo.it/disturbi/paura-di-morire-scardinarla-con-la-terapia-breve/
Psicologa, Mediatrice Familiare, Esperta in Scienze Forensi
Pensieri ossessivi: come liberarsene?
I pensieri ossessivi sono pensieri ricorrenti, rimuginii continui, frequenti ed invasivi.
Hai presente quando ti dicono: smettila di pensarci, rischi di farla diventare un’ossessione?
Ecco. Non siamo molto lontani dalla realtà di chi, come te, si è accorto di avere pensieri costanti che invadono la mente e la occupano per un tempo decisamente eccessivo.
Si tratta di pensieri ossessivi e se accompagnati anche da compulsioni, potrebbero far parte di un quadro più ampio di DOC, un Disturbo ossessivo compulsivo!
Di che stiamo parlando esattamente?
Ti spiego un po’ meglio quello a cui mi sto riferendo, senza che i spaventi e inizia a pensare che il tuo rimuginare continuo sia a tutti gli effetti un’ossessione.
Ce ne essa di acqua sotto di ponti, però è bene conoscere la differenza.
Il pensiero ossessivo viene definito come “l’irrefrenabile bisogno di mettere in atto pensieri in modo ripetitivo e ritualizzato, sovrastando ogni altra attività” (Nardone, 2013)
Le ossessioni sono pensieri o immagini ripetuti e costanti che invadono la mente e che percepisci come intrusive e fastidiose ma cui non sei in grado di resistere. Ci pensi costantemente, occupando la maggior parte del tuo tempo (paura dello sporco, fare del male agli altri, l’ordine, paura della morte…)
Ciò a cui devi fare attenzione è che ciò che distingue un semplice rimugino da un pensiero ossessivo è il fatto che invalida il tuo funzionamento negli ambiti di vita, occupando tutto il tuo tempo. Sono immagini intrusive e cicliche a cui se rispondi non riesci a sottrarti.
Cosa fai per risolvere il problema?
- Eviti ciò che ti spaventa: evitare la paura non la risolverà; al contrario incrementerà la tua convinzione di non essere in grado di superare quell’ostacolo. Più eviti e più eviterai.
- Cerchi rassicurazioni: chiedi aiuto a chi ti sta vicino perché da solo non pensi di farcela oppure ti lamenti di ciò che non va con chi ti sta intorno. Eppure anche in questo caso, sono sicura che il chiedere aiuto e rassicurazione non ha funzionato. Sbaglio?
- Rispondi al pensiero: rispondi a pensieri che non hanno risposta, ma un infinità di risposte possibili. Scateni così un circolo vizioso in cui rimani intrappolato.
Cosa puoi fare di diverso?
- Frena le richieste di aiuto!
Ogni volta che chiedi aiuto confermi a te stesso da un lato che sei circondato da persone che ti vogliono bene, dall’altro di non essere in grado di farcela, che non sei capace e il tuo senso di efficacia diminuisce.
Pensa che ogni volta che chiedi aiuto ricevi questo duplice messaggio.
- Basta evitare: più eviti e più confermi a te stesso la pericolosità della situazione e di non essere in grado di affrontarla.
So che smettere da un giorno all’altro di evitare certe cose sembra impossibile, ma il consiglio è questo: comincia dalla cosa più piccola, facendo il primo piccolo passo.
- Schiocca le dita: ogni volta che senti arrivare il pensiero, anziché dargli corda, schiocca le dita e grida a gran voce il tuo nome accompagnato dal “torna qui” – Beatrice, torna qui- Riporta la tua mente al qui e ora, lasciando andare il pensiero intrusivo.
Ci vorrà un po’ affinché tu abbia successo perché rimuginare per te è diventata un abitudine.
Non puoi smettere di pensare, ma puoi smettere di rimuginare, schioccando le dita.
Ti faranno male le dita all’inizio e soprattutto lo farai più volte del necessario perché il pensiero sarà li pronto a tormentarti. Inoltre spesso capiterà che te lo dimentichi; non importa, fallo appena riesci.
Pensi di non farcela?
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Ti forniremo strumenti pratici e utilizzabili fin da subito per uscire da questa difficile situazione con le tue stesse risorse!
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Riferimenti bibliografici
Bartoletti, A (2019). Pensieri Brutti e Cattivi. Ossessioni tabù: come superarli. Francoangeli.
Nardone, G. Portelli, C. (2013). Ossessioni, Compulsioni, Mani. Capirle e sconfiggerle in tempi brevi. Ponte delle grazie.
Sono una psicologa che si occupa di consulenze brevi e di TSS: il mio obiettivo è ridurre i tempi della terapia e massimizzare l’efficacia della seduta, offrendo un sostegno focalizzato e concreto per affrontare sia le piccole che le grandi difficoltà della vita
5 suggerimenti per superare la paura dell’abbandono
La paura dell’abbandono, come tutti i sentimenti, si presenta in modo diverso da persona a persona.
Per alcune persone il timore di essere abbandonate si manifesta come una costante in tutte le relazioni intime o nella maggior parte di esse.
Chi ne soffre sa che si “innesca” dopo determinate situazioni: una telefonata promessa dal partner ma che tarda ad arrivare o quando viene in mente un pensiero particolarmente negativo, per esempio: “Cosa farei se questa storia finisse?”.
La paura dell’abbandono è di solito associata alla sensazione che le persone importanti siano instabili o non affidabili.
Per questo motivo non continueranno nel tempo a offrire sostegno, supporto, presenza e affetto, abbandonando la persona o addirittura “sostituendola” con qualcun altro “migliore” di lei.
Tale vissuto è associato all’incapacità di poter prendere in considerazione la possibilità che le relazioni possano finire, che l’altro possa allontanarsi, o addirittura lasciarci.
Così, ogni comportamento della persona sarà orientato al mantenimento della relazione, magari nella convinzione che questo significhi “amare”.
Oggi, in questo articolo voglio darvi 5 suggerimenti da mettere in atto fin da subito per imparare a gestire e superare la paura dell’abbandono.
SUGGERIMENTO 1: Riconosci e accetta le tue paure
Le paure non sono sempre qualcosa di negativo, ci aiutano a stare all’erta nei problemi di difficoltà. Studiare, comprendere e accettare le nostre paure è il primo passo per elaborarle e superarle.
Ricordati che in natura il coraggio non esiste. Ma esiste la paura.
La paura che, se guarda in faccia e affrontata, diventa coraggio. Hai mai sentito un eroe che, senza combattere alcuna battaglia è stato definito coraggio?
SUGGERIMENTO 2 – Agire nel presente affinché certe modalità relazionali non si riattivino costantemente
Quindi, fare qualcosa per cambiare e modificare concretamente il tuo agire, soprattutto nelle relazioni. Questo implica il rendersi conto, nella quotidianità, delle dinamiche che si attivano. Serve fare un passo indietro per farne uno in avanti. Qualcosa di alternativo a ciò che, automaticamente, hai la tendenza a mettere in atto.
Chiediti: quali sono le cose che sto mettendo in atto e che anziché risolvere la mia paura dell’abbandono, la stanno mantenendo in vita o addirittura peggiorando?
Ad esempio, in una situazione nella quale il partner sta tardando ad un appuntamento senza avvisare, potrebbe essere utile allenarsi a riconoscere i propri pensieri e le proprie emozioni che ne derivano.
Si può poi scegliere di adottare comportamenti che siano più funzionali per sé (e forse per la relazione stessa). Chiediti sempre: cosa potrei fare di diverso e più funzionale?
SUGGERIMENTO 3 – Esporti, gradualmente, alle situazioni e alle sensazioni che temi di più
Talvolta il timore dell’allontanamento dell’altro è legato anche al timore di non potercela cavare da soli. Può quindi essere utile fare esperienze da sola che ti permettano di sentirti più competente e autonoma. Che incrementino il tuo senso di efficacia personale.
SUGGERIMENTO 4 – Conoscerti davvero
Se nella tua storia relazionale hai avuto spesso la tendenza ad annullarti per allinearti a quelli che erano i desideri degli altri, è importante imparare a conoscerti davvero. Serve riscoprirsi: chi sono io oggi? cosa mi piace davvero? di cosa ho bisogno? cosa non mi piace? Parti dalle piccole cose.
SUGGERIMENTO 5 – Prenditi cura di te
Riconosciti come una persona meravigliosa e meritevole di essere amata. Non inseguire chi non è disponibile o scappa. Le vere relazioni si creano a partire da persone che vogliono partecipare alla relazione perché vogliono conoscerti. Molto spesso chi fugge ha problemi a vivere le relazioni o non è interessato e pertanto meglio lasciarlo andare via senza rimpianti o paranoie.
Tutti questi suggerimenti, consentendoci di vedere meglio noi stessi (e l’altro) per quel che davvero si è, diventano importanti per poter sperimentare una relazione che sia veramente appagante e soddisfacente.
Non è facile sperimentarsi in modalità così diverse da quelle cui siamo abituati. E non è facile tollerare le emozioni che questo comporta. Ma è possibile farlo a piccoli passi.
La terapia a seduta singola può essere un utile mezzo per incrementare la consapevolezza di certe dinamiche, per dare loro un significato ed anche in un singolo incontro si possono trovare strategie efficaci per mettere a tacere la tua paura dell’abbandono. Aiuta a contenere le esperienze emotive dolorose che le accompagnano e sperimentarsi in nuove modalità, nonostante la comprensibile paura, in tempi brevi.
Ti ricordo che ogni martedì dalle 18.00 alle 20.00 gli Psicologi del One Session Center sono al tuo servizio online e gratuitamente.
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Riferimenti bibliografici
Cabras E., Saladino V. (2019). La dipendenza affettiva. Testimonianze e casi di manipolazione e violenza. Roma: Carocci Editore.
Secci E.M. (2015). I narcisisti perversi e le unioni impossibili. Youcanprint Self-Publishing
Sono una Psicologa, specializzata in Dipendenze da sostanze, comportamentali (gioco d’azzardo, shopping, ecc) e relazionali (dipendenza affettiva). Sono formata all’utilizzo della Terapia a Seduta Singola (TSS) e della Terapia Centrata sulla Soluzione, per aiutare le persone a risolvere i loro problemi e tornare al benessere nel più breve tempo possibile, imparando a scoprire e sfruttare al meglio tutte le loro risorse.
Sindrome da corridoio: 3 consigli per uscirne
Con “Sindrome da corridoio” ci riferiamo a quella condizione in cui le persone non riescono a tenere distinte situazione lavorativa e vita privata. Questo genera elevato stress in entrambi gli ambienti.
Perché il nome “Sindrome da corridoio”?
Il corridoio è la parte della casa dove le varie stanze si affacciano, dove avvengono gli scambi tra un ambiente e l’altro.
Metaforicamente, può accadere che si crei un corridoio tra vita privata e lavoro.
In questo corridoio, non vi sono argini o confini che mantengono separati i vari ambiti.
Il corridoio può crearsi a livello mentale, quando i problemi lavorativi ci accompagnano anche a casa e viceversa, autoalimentandosi.
Può essere anche un problema di spazi fisici. Abbiamo visto come con l’arrivo della pandemia da Covid-19 tanti lavoratori abbiamo intrapreso la strada dello smartworking, e stiano ancora continuando così.
Questo ha portato ad avere fisicamente l’ufficio in casa, facendosi spazio nelle proprie aree relax, o sul tavolo della cucina, quando non in camera da letto.
Il rimanere fisicamente nello stesso ambiente per tutte le attività che dobbiamo svolgere durante la giornata, alimenta la fatica a distinguere quando una problematica o un evento stressogeno appartiene alla categoria “vita personale” o alla categoria “lavoro”.
Quali sono le conseguenze della sindrome da corridoio?
La sindrome da corridoio ha diverse conseguenze, a livello fisico, familiare e lavorativo.
A livello lavorativo produce un calo della produttività. Il fatto di non sapersi concentrare sulla mansione da portare a termine in quel momento perché preoccupato per problematiche domestiche incide indubbiamente sulla qualità del lavoro. Lavoro che, se non verrà svolto in un certo modo, sarà causa di malumori che sicuramente verranno riportati all’interno della famiglia, andando ad alimentare un circolo vizioso.
A livello familiare si inaspriranno le discussioni e le incomprensioni. Aumenteranno i vissuti di rabbia e frustrazione. Trovandoci in un corridoio, questi vissuti incideranno senza dubbio anche sul lavoro, aggiungendo altra legna al fuoco rispetto alla frustrazione lavorativa.
Infine, non sono da sottovalutare le conseguenze fisiche. La forte tensione creata dal bagaglio emotivo che non si riesce più a gestire può infatti rendere più vulnerabili ad incidenti ed infortuni.
Prevenire la sindrome da corridoio
La sindrome da corridoio non è quindi una problematica da sottovalutare.
Oggi vogliamo fornirti 3 consigli per riuscire a prevenirla.
1. Metti dei paletti tra vita privata e lavoro.
Questa è la forma di prevenzione più efficace che puoi attuare. Ottimizza ambienti e orari lavorativi. Chiudi quindi le porte che si affacciano sul corridoio. Per esempio, una volta terminato l’orario di lavoro, spegni il telefono aziendale, non controllare le mail.
2. Dedicati quotidianamente del tempo.
Individua delle attività che ti piacciono e ti rilassano e assicurati di dedicarvi un po’ di tempo giornalmente. Ti può essere utile metterle in agenda, per obbligarti a farle e non farti soffocare dal lavoro. Ne trarrai vantaggio in tutte le sfere della tua vita.
3. Tieni un diario.
La scrittura ha un grande potere terapeutico e, soprattutto nelle situazioni di stress, è una valida alleata per abbassare i livelli di frustrazione. Prenditi una decina di minuti al giorno per scrivere i tuoi pensieri, le tue sensazioni, il tuo stato fisico.
Se senti che non riesci a distinguere sfera privata e lavorativa e che questa cosa non ti permette di vivere la tua vita in modo soddisfacente, chiedi aiuto a One Session.
Siamo attivi tutti i martedì dalle 18.00 alle 20.00 per aiutarti ad ottenere un cambiamento immediato e duraturo, fornendoti strumenti pratici, concreti e utilizzabili fin da subito per uscire grazie alle tue stesse risorse da questa situazione, anche dopo un unico incontro.
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Il mio lavoro è orientato al futuro e alla valorizzazione delle risorse delle persone che si rivolgono a me, in ottica di totale collaborazione.
Timidezza o introversione: qual è la differenza?
Timidezza ed introversione sono due termini che, nel parlare comune, sono spesso usati come sinonimi.
Questo accade perché, pur rappresentando due tendenze nettamente diverse, sono simili nei comportamenti espressi.
L’introversione si traduce spesso nel preferire la calma e le situazioni con pochi stimoli ambientali. La timidezza, invece, riguarda la paura del giudizio altrui e si manifesta come tendenza al parlare poco ed al preferire situazioni più intime e raccolte.
Qual è allora la differenza?
Introversione
Il termine introversione venne teorizzato, per la prima volta, da Jung negli anni ’20, in opposizione al termine estroversione, per identificare due tratti di personalità.
Semplificando molto, si può dire che gli estroversi sono solitamente socievoli e assertivi, mentre gli introversi più riservati e riflessivi.
Una delle funzioni peculiari di questa dicotomia è che, capire se sei estroverso o introverso, ti permette di capire anche come ti ricarichi, ossia come recuperi forza ed energia.
Infatti i tratti di personalità sono legati al benessere mentale ed influenzano il modo in cui facciamo fronte agli eventi stressanti.
Banalmente, un introverso ha bisogno dei suoi spazi e di ritagliarsi, appunto, dei momenti dedicati a sé.
Mentre un estroverso, invece, ha bisogno dell’aspetto sociale, quindi di passare del tempo con gli altri e fare esperienze di gruppo.
Contestualizzando questi dati con la situazione pandemica, è facile immaginare come persone estroverse abbiano avuto più difficoltà nell’adattarsi alle misure di distanziamento sociale. I caratteri introversi, al contrario, possono averne tratto maggior beneficio.
Questi dati sono confermati anche da una ricerca sull’impatto delle restrizioni, svolta su un gruppo di studenti dell’Università del Vermont a Burlington, negli Stati Uniti e pubblicata sulla rivista scientifica Plos One.
I tratti di personalità, introversione ed estroversione, hanno mostrato ripercussioni nettamente diverse sull’umore e sullo stress percepito dai soggetti.
Timidezza
La timidezza è una condizione in cui abbiamo paura del giudizio e dell’esposizione all’altro.
È qualcosa di circoscritto alla sola presenza delle altre persone e può diventare invalidante se non ci permette di comunicare efficacemente o di mettere in pratica quei comportamenti che, altrimenti, potremmo agire tranquillamente.
Spesso la timidezza si associa ad un forte senso di inadeguatezza sociale, ma non per questo va confusa con una bassa autostima, che riguarda l’opinione che si ha di sé stessi.
La letteratura a riguardo è concorde nell’affermare che la nostra timidezza nasce e si sviluppa in base alle esperienze che viviamo, anche se i fattori biologici e genetici possono rappresentare importanti fattori di rischio.
La timidezza è quindi una credenza, appresa e mantenuta dalle credenze che la persona ha riguardo sé stessa e gli altri.
Cosa significa tutto questo e come può aiutarti?
I tratti di personalità, come l’introversione, sono tendenzialmente più stabili nel tempo e, inoltre, essere un introverso non vuol dire aver paura degli altri, né provare qualche sorta di disagio.
Al contrario, la timidezza è qualcosa di connaturato ad eventi specifici e si associa ad un malessere importante, spesso anche invalidante.
Per questo è importante sapere che puoi imparare a non subire la tua timidezza, ovvero a non farti invalidare da pensieri limitanti e catastrofici.
Il primo passo è interrompere quelle che sono le principali tentate soluzioni disfunzionali del timido, ossia l’evitamento e il chiedere aiuto.
Sono soluzioni disfunzionali perché, anche se evitare la situazione che ti mette a disagio in un primo momento ti tranquillizza, poi ti conferma una tua credenza errata: ciò che vuoi fare è troppo difficile per te.
Chiedere aiuto, allo stesso modo, ti fa sentire al sicuro, ma ti lega anche all’aiuto ricevuto, dimostrandoti, una volta di più, che non puoi farcela da solo. Il paradosso dei paradossi: ciò che ti aiuta ti rende più debole.
Bloccare queste Tentate Soluzioni Disfunzionali è il primo passo per accettare la propria timidezza ed imparare a gestirla, senza esserne sopraffatti.
Tre stretegie per superare la timidezza
Per aiutarti a gestire la tua timidezza ti proponiamo tre strategie molto semplici da mettere in pratica nella tuo quotidianità.
La prima strategia riguarda l’accettazione: accettare la tua timidezza come qualcosa che fa parte di te.
Soprattutto perché continuare a negare, ignorandola, rischia di far montare una tensione interna che non puoi reprimere e che ti travolgerà.
La seconda strategia è quella di verbalizzare ciò che provi.
Come abbiamo detto, nascondere l’emozione rischia di farla aumentare sempre più.
Esprimere ciò che provi in quel momento, dicendo “sono molto emozionato” o “sono preoccupato”, farà uscire immediatamente questa tensione e ti permetterà di calmare istantaneamente il tuo stato d’ansia.
La terza strategia è quella di imparare a vivere la tua timidezza.
Un metodo molto valido è quello di esporti, ogni giorno, in maniera progressiva e controllata, ad una piccolissima situazione che ti genera imbarazzo e disagio.
E’ fondamentale che sia tu a sceglierla e che sia davvero piccola, così che tu possa mantenere il controllo della situazione, pur trovandoti a disagio.
Conclusioni
Timidezza ed introversione rappresentano due aspetti ben distinti, ma hanno una caratteristica comune: essere introverso o essere timido non è MAI sbagliato!
Dato che i tratti di personalità sono tendenzialmente stabili nel tempo, si può cercare di agire sulla tua timidezza, ma solo se questa ti fa stare male e ti fa soffrire.
Se la tua timidezza non ti crea problemi o se il tuo essere riservato ti piace, non c’è alcun motivo per cui tu non possa goderti il tuo spazio ed i tuoi momenti di serenità personale.
Se hai bisogno di un aiuto concreto, i terapeuti del One Session Center sono a tua disposizione per una Consulenza Psicologica a Seduta Singola totalmente Gratuita, ogni martedì dalle 18:00 alle 20:00.
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Come prendere una decisione?
Ti sei mai chiesto come prendere una decisione?
Prendere decisioni è qualcosa che tutti fanno e hanno fatto nella vita, eppure questo non lo rende più facile.
C’è chi ha paura delle conseguenze.
Chi si trova a dover scegliere tra opzioni ugualmente positive o, peggio, ugualmente negative.
E infine c’è chi, dovendo prendere una decisione, si trova in una situazione talmente complessa da non riuscire a capire che cosa vuole davvero.
Le possibilità sono pressoché infinite.
Ma allora cosa possiamo fare? Come si può prendere una decisione?
Facciamo un po’ di chiarezza
La prima cosa da fare è distinguere tra decisioni difficili, decisioni critiche e decisioni complesse.
Le decisioni difficili sono quelle che, oltre ai ricercati risultati positivi, comportano anche delle conseguenze negative.
La difficoltà della scelta, in questo caso, è data proprio dalle emozioni suscitate da queste conseguenze indirette.
Le decisioni critiche sono, invece, quelle in cui ci si trova di fronte a diverse possibilità, tutte positive o negative, e la difficoltà consiste proprio nel capire quale sia la scelta più vantaggiosa, o, nel secondo caso, la meno svantaggiosa!
Infine le decisioni complesse sono quelle che comportano molteplici ragionamenti logici ed organizzativi.
In questi casi è proprio l’intricato processo del ragionamento che rischia di intrappolare la persona in un labirinto d’interrogativi, in cui ogni risposta porta una nuova domanda.
Quindi, cosa fare?
La prima cosa da fare è identificare ed evitare tutti quei comportamenti che, se in un primo momento sembrano aiutarci nel decidere, in realtà poi ci rinchiudono in un labirinto di dubbi e continue domande.
Per esempio, come abbiamo detto, quando ci si trova di fronte ad una decisione difficile, la difficoltà è data dalle conseguenze indirette della scelta e, in particolare, dalle emozioni che queste fanno emergere.
Uno degli errori più comuni, in questi casi, è il tentativo di controllare il processo decisionale, che porterà la persona a cercare di controllare anche gli eventi e le persone coinvolte, spesso in modo ossessivo.
Un tentativo che risulterà fallimentare perché si scontrerà, inevitabilmente, con l’oggettiva difficoltà di poter controllare tutto e tutti, portando la persona a cadere preda dei dubbi e dell’incertezza.
Diversamente, invece, di fronte ad una decisione critica, la difficoltà è quella di capire quale azione sia la più vantaggiosa tra i vari scenari positivi possibili.
In questi casi l’errore comune porta la persona a ripercorrere ripetutamente tutte le fasi del processo decisionale con il rischio innescare un circolo vizioso, in cui si ricontrolla compulsivamente ogni passaggio, senza mai arrivare a prendere una decisione.
Nell’ultimo caso, infine, di fronte ad una decisione complessa la difficoltà è data proprio dal districarsi nei ragionamenti logici.
In queste situazioni il soggetto è portato a ricercare continue spiegazioni e valutazioni oggettive, con il rischio di ritrovarsi invischiati in una compulsione mentale che genera continui dubbi sulla validità della decisione presa.
Il tentativo di controllo ossessivo, la revisione compulsiva ed il rimuginio continuo sono i tre comportamenti disfunzionali che rischiano di intrappolarci in un labirinto di domande e dubbi dal quale può essere difficile uscire.
Conclusioni
Identificare il tipo di decisione da prendere e le tentate soluzioni disfunzionali ti permetterà di gestire il processo decisionale in maniera più serena e ti eviterà di cadere nei tranelli tipici di queste situazioni.
Qualunque sia la tua scelta, infine, ricorda che nessuna è definitiva e che ci sarà sempre modo di modificare il tuo percorso di vita.
Ovviamente, se pensi di aver bisogno di un aiuto maggiore, puoi rivolgerti ad uno specialista o accedere al servizio del One Session Center, ogni martedì sera dalle 18:00 alle 20:00, contattandoci alla pagina facebook OneSession.it
Riferimenti bibliografici
Bohart, A. C. & Tallman, K. (1999). How Clients Make Therapy Work: The Process of Active Self-Healing. Washington, DC: American Psychological Association.
Nardone, G. (2014). La paura delle decisioni. Come costruire il coraggio di scegliere per sé e per gli altri. Milano: Ponte alle Grazie.
Nardone, G., De Santis, C. (2011). Cogito ergo soffro. Quando pensare troppo fa male. Milano: Ponte alle Grazie
Nardone G.(2014). La paura di decidere. Milano. Ponte alle Grazie
https://www.lostudiodellopsicologo.it/ossessioni/come-smettere-di-pensare-e-prendere-una-decisione/ (Consultato in data 09/09/2021)
https://www.lostudiodellopsicologo.it/ossessioni/quando-laltro-ha-gia-deciso-prendere-decisioni-importanti-a-fronte-delle-decisioni-altrui/ (Consultato in data 09/09/2021)
La Terapia a Seduta Singola per la paura degli aghi
Che cosa si intende per “belonefobia” o “paura degli aghi”?
La “paura” rappresenta di per sé un’emozione fondamentale per il nostro adattamento al contesto circostante.
Essa ci mette in allarme di fronte a un pericolo imminente ed aumenta la nostra capacità di farvi fronte.
Quando tuttavia una persona entra in uno stato di allarme nei confronti di una situazione reale o immaginata in modo limitante per la propria vita, la paura rischia di diventare una gabbia in cui si rimane intrappolati.
Non amare particolarmente la vista o la sensazione di venir trafitti da un ago è piuttosto comune.
Ciò non rappresenta di per sé un problema, se ci consente comunque di condurre la nostra vita senza limitazioni.
Se però questa paura diviene sproporzionata rispetto al rischio reale, al punto da non riuscire più a controllare questa emozione e a rimanerne bloccati, potremmo trovarci di fronte ad una fobia specifica.
La “belonefobia” ( dal greco “ago” e “paura”), per poter essere ritenuta tale deve essere sperimentata dalla persona in modo marcato e persistente per almeno 6 mesi di fronte ad una specifica situazione o oggetto e scatenare una reazione immediata di ansia e paura, che compromette la propria vita (DSM-5).
Questa fobia può riguardare ad esempio la vista degli aghi, la sensazione di esserne trafitti o anche l’avvicinarsi a contesti dove si possono trovare (ad es. studi medici, ospedali, negozi di tatuaggi…).
Quali sono le conseguenze?
Ogni persona vive la belonefobia in modo del tutto soggettivo.
Tra i sintomi fisici più frequenti, si possono riscontrare aumento del battito cardiaco, sudorazione improvvisa fino ad arrivare a nausea e svenimento di fronte agli aghi.
Altre persone sperimentano pensieri pervasivi di preoccupazione intensa, angoscia e reazioni di fuga.
Di fronte a questo limitante problema, ciascuno può quindi trovare il suo modo per poter ridurre al minimo questo disagio.
La soluzione maggiormente adottata per la belonefobia è l’evitamento di tutte quelle situazioni che possono mettere a rischio di entrare a contatto con gli aghi.
Questo si può esprimere ad esempio con la scelta di non sottoporsi a indagini, controlli e terapie mediche (come le analisi del sangue o andare dal dentista) arrivando anche a rifiutare interventi e ricoveri necessari per la propria salute.
Uno studio recente nel Regno Unito ha riscontrato ad esempio che nella popolazione adulta oggetto dello studio, la belonefobia potrebbe spiegare circa il 10% dei casi di esitazione al vaccino COVID-19 (Freeman D. et al (2021).
Un’altra modalità adottata per provare a gestire da soli la belonefobia è condividere con amici e parenti i propri vissuti.
Paradossalmente, parlare in continuazione del problema non fa che ingigantirlo ed amplificarne le conseguenze negative.
Anche pensare ripetutamente all’evento stressante in solitudine rischia di farci affondare nelle sabbie mobili della paura ancora di più.
Come può aiutarti la Terapia a Seduta Singola ad affrontare la paura degli aghi?
Se leggendo questo articolo hai pensato “ehi, ma anche a me succede! Sono proprio io!” sappi che la Terapia a Seduta Singola può risultare efficace nella risoluzione della belonefobia.
Fin dalla prima seduta lo psicologo esplorerà con te il tuo problema, cercando di identificare in quali circostanze specifiche e con quali modalità peculiari si presenta.
Lo psicologo potrà poi aiutarti ad individuare e sperimentare delle strategie alternative per fronteggiarlo.
A diverse persone può risultare funzionale iniziare ad esporsi in maniera graduale alla propria paura.
L’uso di immagini, video o prove sul campo può aiutare ad abbassare il livello di ansia e ad aumentare la propria capacità di sentirsi a proprio agio nel contesto inizialmente evitato.
Se hai trovato un modo efficace per vincere la tua belonefobia e hai voglia di condividerla con noi, raccontaci la tua esperienza nei commenti.
Ricordati inoltre che se preferisci affrontare la tua paura degli aghi con uno specialista, il team di psicologi di “One session” ti offre la possibilità di una sessione gratuita di consulenza psicologica a seduta singola della durata di 30 minuti, ogni Martedì dalle 18:00 alle 20:00.
Per prenotare, puoi inviare una email a info@onesession.it o contattarci sulla nostra pagina FB OneSession.it
Riferimenti bibliografici
Freeman D. et al (2021). Injection fears and COVID-19 vaccine hesitancy. Psychological Medicine 1–11.
McLenon J., Rogers M. (2019). The fear of needles: A systematic review and meta-analysis. Journal of Advanced Nursing 2019, 75 (1): 30-42. 301
Nardone, G. (2000). Oltre i limiti della paura. Milano: BUR Rizzoli.
Sono una Psicologa iscritta all’Albo A degli Psicologi del Lazio e all’Istituto ICNOS: Scuola di Psicoterapie Brevi Sistemico-Strategiche.
Nel mio lavoro integro le mie competenze multidisciplinari per offrire ai miei clienti soluzioni personalizzate ed aiutarli a raggiungere i propri obiettivi in tempi brevi. Utilizzo la TSS per ottenere il massimo da ogni singolo incontro.
Sono omosessuale? Il dubbio ossessivo di essere gay
Oggi sappiamo che l’omosessualità è semplicemente una variante non patologica della sessualità umana.
Ma sappiamo anche che non esiste un modo univoco di essere gay o lesbica.
I confini si fanno ancora più complessi se si pensa alle tendenze bisessuali o asessuali.
In una situazione così variegata, come capire qual è il proprio orientamento?
Orientamento e identità sessuale
Iniziamo con il dire che l’orientamento sessuale è una caratteristica tendenzialmente stabile che indica verso chi è diretta l’attrazione sessuale.
- Verso le persone dell’altro sesso (eterosessualità)
- Verso le persone dello stesso sesso (omosessualità)
- Verso le persone di entrambi i sessi (bisessualità)
- Verso nessuno (asessualità)
Diversamente, l’identità sessuale è l’ esperienza psicologica del proprio orientamento sessuale vissuta come componente della propria identità.
Se l’identità definisce chi siamo e ci consente di rispondere alla domanda “ Chi sono io?”, l’identità sessuale ci permette di rispondere alla domanda “Chi mi piace? Da chi sono attratto?” e definirci in base a questo.
Quando orientamento ed identità sessuale sono riconosciuti ed accettati, la persona vive, in maniera più o meno serena, la propria sessualità.
Quando questi due aspetti non sono “allineati” la persona può sentirsi confusa e disorientata, fino ad avere dei dubbi profondi sulla propria identità.
Il pensiero ossessivo
Nonostante gli enormi progressi fatti dalla società, spesso l’eterosessualità è considerata ancora come l’unico orientamento “normale”.
L’omosessualità è ritenuta una condizione negativa, spesso soggetta a pregiudizi e discriminazioni.
Questa immagine sociale può essere interiorizzata dalla persona e condizionare, in modo più o meno evidente e consapevole, pensieri e atteggiamenti.
Così, magari partendo da un evento da nulla, uno sguardo o un pensiero avuto in passato, il dubbio s’insinua. Inizia a girarti in testa lo stesso pensiero ossessivo: sono gay?
Scopri che la domanda “Come capire se sono gay?” è una delle più digitate sul motore di ricerca Google.
C’è addirittura una guida di Wikihow su come capire se sei gay o, ancora peggio, come capire se lo è un tuo amico.
Consigli, suggerimenti e osservazioni che, più che chiarirti le idee, ti confondono e rendono le tue certezze sempre più insicure e vacillanti.
Quella che era una semplice domanda fatta per conoscerti e capirti, diventa un pensiero ossessivo che mette in dubbio la tua stessa identità!
Ma allora qual è il problema e come faccio ad uscirne?
Nel momento in cui ti domandi ripetutamente “Come faccio ad essere sicuro di non essere gay?” potresti essere finito in una dinamica di pensiero ossessivo.
Dinamica molto lontana dalla fase di scoperta della tua identità sessuale.
Questo non vuol dire che i tuoi dubbi non vadano ascoltati. Spesso il problema non è se sei gay o meno, ma il pensiero ossessivo legato all’idea che hai della sessualità stessa.
La prima cosa da fare in questi casi è smettere di metterti alla prova: basta ricerche su internet, video informativi o articoli che propongono le soluzioni più disparate.
Tutto questo non fa altro che alimentare il pensiero ossessivo, rinforzando i dubbi e confondendoti la mente.
La sessualità non è una questione di bianco e nero e il logorio del pensiero ossessivo ci fa costruire un labirinto mentale nel quale possiamo solo perderci.
Inizia a dar pace ai tuoi pensieri e smetti di cercare forzatamente delle risposte che spesso servono solo ad accrescere dubbi ed incertezze, senza fare alcuna chiarezza.
Se sentissi il bisogno di parlare con uno specialista, non esitare a chiedere aiuto.
Ogni Martedì dalle 18:00 alle 20:00 gli psicologi del team “One session” sono a tua disposizione per una sessione gratuita di consulenza psicologica a seduta singola di 30 Minuti.
Per maggiori informazioni, puoi inviare una email a info@onesession.it o visitare la nostra pagina FB OneSession.it
Riferimenti Bibliografici
https://nicolanardelli.it/psicologo/identita-e-orientamento-sessuale (consultato in data 02/06/2021)
https://www.lostudiodellopsicologo.it/ossessioni/come-capire-se-sono-gay/ (consultato in data 02/06/2021)
Nardone G. (2011), Cogito ergo soffro. Firenze: Ponte alle Grazie.
Ansia da esami? Ecco gli errori tipici che probabilmente compi!
È maggio, l’estate si sta avvicinando, si comincia a respirare aria di vacanza.
Ma c’è una categoria di persone che vive questo mese con ansia e tensione.
Parliamo degli studenti che a breve dovranno affrontare la sessione estiva, o l’esame di maturità.
Questi vedono il tempo scorrere velocemente mentre sono ancora sommersi di argomenti da ripassare o iniziare a studiare.
Nell’articolo di oggi andremo ad analizzare alcuni degli errori più comuni che uno studente in ansia per gli esami commette, e forniremo delle indicazioni per affrontare questo periodo al meglio.
Intrappolarsi nel perfezionismo
L’ansia per gli esami può essere accompagnata, ed esacerbata, dall’esigenza di dover studiare tutto perfettamente.
Se dedizione ed impegno sono caratteristiche auspicabili in uno studente, portate all’estremo diventano fonte di problemi.
Il tempo dedicato all’organizzazione, programmazione ed esecuzione dei compiti impegna lo studente perfezionista per la maggior parte del tempo.
Egli finirà per intrappolarsi in questa ragnatela del perfezionismo sempre più fitta. Ci sarà sempre, infatti, un compito successivo per cui doversi preparare al meglio.
L’esito sarà quello di una costante ansia, che porterà a mano a mano alla rinuncia di attività ricreative e ludiche.
Questo tipo di ansia potrà arrivare ad esprimersi anche con attacchi di panico, crisi di pianto e somatizzazioni.
Come affrontare l’ansia da perfezionismo?
Allenati a sbagliare! Inserisci nella tua routine quotidiana un momento in cui, volontariamente, inserire degli errori in quello che stai studiando. Così facendo imparerai a regolare le tue reazioni di fronte agli sbagli e acquisirai un controllo maggiore su eventuali errori che ti capiterà di commettere in futuro.
Evitare (e confermare di essere impreparati)
Che si sia spinti dal perfezionismo o dall’ansia per l’eventualità di fare brutta figura e bloccarsi durante l’esame, il “salto dell’appello” è uno sport frequentemente praticato dagli studenti universitari.
L’idea che tanto ci possa essere un’ulteriore possibilità tranquillizza apparentemente gli studenti che potranno così placare la propria ansia e paura di essere impreparati, convincendosi che arriveranno all’appello successivo con maggiore sicurezza.
Ma funziona?
Niente affatto.
L’evitamento è una dei tentativi di liberarsi dell’ansia più messi in atto in assoluto. I suoi effetti sono però controproducenti.
Più evitiamo, infatti, e più ci stiamo confermando di non essere in grado di affrontare la situazione che ci crea ansia. Questo farà sì che all’appello successivo non ci sentiremo affatto più pronti.
Che fare quindi?
Evita di evitare!
Anche se non ti senti sufficientemente pronto per l’appello imminente, mettiti alla prova. Piuttosto, rifiuta il voto. Non vedere il brutto voto come un fallimento, ma come l’occasione di imparare dove e cosa puoi migliorare.
Se invece eviti per paura di bloccarti, arrossire, balbettare, quello che puoi fare è “dichiarare il tuo perturbante segreto”.
Cosa significa?
Se sei una persona che, in situazioni di ansia, tende ad arrossire o balbettare quando interrogata, fallo presente al tuo esaminatore! Negare le proprie fragilità le rende ingestibili, mentre dichiararle farà in modo di annullare i loro effetti negativi.
Parlare sempre e solo della tua ansia
Se stai cercando di placare la tua ansia da esami sfogandoti costantemente con chi ti circonda, sappi che ti stai dando la zappa sui piedi da solo!
Sfogarsi fa sentire la persona in ansia apparentemente svuotata dalla tensione. In realtà, prova a farci caso, l’effetto è opposto.
Lo sfogo funziona con l’ansia come un fertilizzante per una pianta infestante: la fa crescere e prendere più spazio di quanto meriterebbe!
Se ti sei reso conto che effettivamente ami parlare di quanto sei in ansia, ecco l’indicazione giusta per te: la congiura del silenzio.
D’ora in poi parla di qualsiasi argomento con chiunque tu voglia, tranne che della tua ansia per gli esami!
Buttando la tua ansia fuori di te stai delegando agli altri la gestione della stessa. È invece di imparare a gestirla, e non a subirla.
Se ritieni di avere bisogno di un aiuto in più, prendi in considerazione l’idea di chiedere aiuto ad un professionista!
Ogni martedì dalle 18.00 alle 20.00, i terapeuti del nostro team One Session si rendono disponibili per degli incontri online gratuiti utilizzando la Terapia a Seduta Singola. Contattaci per maggiori inviando una email a info@onesession.it oppure visita la nostra pagina Fb OneSession.it.
Riferimenti bibliografici
Alessandro Bartoletti (2013). Lo studente strategico. Come risolvere rapidamente i problemi di studio. Firenze: Ponte delle Grazie.
Il mio lavoro è orientato al futuro e alla valorizzazione delle risorse delle persone che si rivolgono a me, in ottica di totale collaborazione.
Rimuginare: Come smettere di avere pensieri fissi e invadenti?
Rimuginare: che cosa significa?
Rimuginare significa pensare in modo ciclico e ripetitivo agli stessi pensieri. Spesso il contenuto di questi pensieri è triste e focalizzato sui problemi.
La nostra mente funziona come un risolutore di problemi quando si trova ad affrontare problemi logici.
Se ad esempio mi si rompe la macchina e rischio di arrivare in ritardo a lavoro la mia mente elaborerà la situazione. Dopo di che cercherà di individuare l’alternativa che mi permetterà di arrivare a lavoro nel minor tempo possibile.
Purtroppo non tutti i problemi hanno una soluzione logica, spesso ci troviamo ad affrontare disagi legati al mondo emotivo che non possono essere risolti con del semplice problem solving.
In questi casi la convinzione che rimuginare possa esserci utile in qualche modo per risolvere il problema può farci restare focalizzati su di esso. Inoltre con il passare del tempo questo processo potrebbe diventare un’abitudine che ci porterà ad avere sempre i soliti pensieri fissi che monopolizzano la nostra quotidianità.
Eventi di vita particolarmente stressanti possono aumentare la possibilità di innescare pensieri fissi e ricorrenti negativi.
La rimuginazione è anche molto frequente nelle persone che hanno tratti di personalità come il nevroticismo e il perfezionismo.
Le conseguenze della rimuginazione
La rimuginazione può essere pericolosa per il nostro benessere psicologico e può aumentare il rischio di sviluppare problematiche psicopatologiche.
Le ricerche ci suggeriscono che rimuginare ossessivamente è associato a sintomi depressivi e ansiosi. Più il nostro benessere diminuisce, più la tendenza a rimuginare aumenta. Si genererà perciò una sorta di circolo vizioso che alimenta il problema e rende sempre più difficile interromperlo.
Molte persone per placare il disagio crescente scaturito da pensieri fissi e invadenti finiscono per cercare di “automedicarsi,” utilizzando strategie disfunzionali come il consumo eccessivo di alcool e droghe.
I pensieri fissi rendono anche più difficile avere un sonno regolare. Infatti è piuttosto difficile dormire e spegnere il cervello quando continua ad essere focalizzato sull’attività di rimuginazione.
Come smettere di rimuginare
Dopo esserci soffermati sulle conseguenze negative della rimuginazione, cerchiamo di capire come possiamo fare per non alimentare questo meccanismo.
Esistono molti modi per affrontare questo problema e la Terapia a Seduta Singola può essere molto utile nell’aiutarti a individuare delle strategie efficaci.
Vediamo insieme alcuni consigli che puoi provare a mettere in atto fin da subito.
1. Impara a distinguere tra rimuginazione e problem solving
Molte persone hanno la convinzione che ripensare continuamente a una situazione problematica possa essere utile per risolverla. In realtà rimuginazione e problem solving sono processi diversi.
A differenza del problem solving, quando rimuginiamo continuiamo semplicemente a ripensare alla situazione senza cercare di elaborare un piano per risolverla.
Perciò se ti rendi conto che i tuoi pensieri fissi non ti stanno portando da nessuna parte, chiediti se effettivamente continuare a rimuginare possa essere utile in qualche modo a risolvere il problema.
Spesso ti renderai conto che continuare a ripensare non ti porta a nessuna soluzione. In questi casi anche semplicemente prendere atto del fatto che stai rimuginando, può essere un passo utile per ridurre questo processo.
2. Crea un kit di distrazione
Le ricerche suggeriscono che in molti casi anche semplicemente distrarsi per pochi minuti può aiutare a ridurre la tendenza a rimuginare. Perciò individua 2 o 3 attività da mettere in atto ogni volta che ti rendi conto di iniziare a rimuginare.
Scegli attività semplici che puoi eseguire in qualsiasi momento e luogo: scrivere, leggere, ascoltare musica, o qualsiasi altra cosa possa funzionare per te.
Una volta che avrai individuato 2 o 3 attività avrai il tuo kit di distrazione pronto all’uso ogni volta che ne hai bisogno.
3. Ritagliati del tempo per rimuginare
Ogni giorno prenditi 20 minuti per chiuderti in una stanza, possibilmente dove puoi essere comodo e nessuno ti disturberà. Imposta il timer della sveglia a 20 minuti.
In questi 20 minuti sforzati il più possibile di portare alla mente tutti quei pensieri invadenti che arrivano durante il giorno. In questi 20 minuti qualsiasi cosa succeda non interrompere l’esercizio fino al suono della sveglia.
Questo esercizio potrebbe sembrare controintuitivo, ma in realtà se eseguito correttamente è molto efficace.
4. Chiedi un supporto psicologico
In alcuni casi i pensieri fissi possono diventare un’importante fonte di malessere e chiedere un supporto psicologico potrebbe essere la scelta migliore.
Per questo, ogni martedì dalle 18:00 alle 20:00, gli psicologi del nostro team One Session si rendono disponibili per degli incontri online gratuiti utilizzando la Terapia a Seduta Singola. Per avere maggiori informazioni e prenotare il tuo incontro, puoi contattarci inviando una e-mail a info@onesession.it oppure visitala nostra pagina Fb OneSession.it.
Bibliografia
Dorthe K. T. et al. (2003). Rumination—relationship with negative mood and sleep quality.
Personality and Individual Differences, 34(7), 1293-1301. https://doi.org/10.1016/S0191-8869(02)00120-4.
Law, B. M. (2005). Probing the depression-rumination cycle. Monitor on Psychology, 36(10). http://www.apa.org/monitor/nov05/cycle (consultato in data 08/04/2021).
Michl, L. C. et al. (2013). Rumination as a mechanism linking stressful life events to symptoms of depression and anxiety: longitudinal evidence in early adolescents and adults. Journal of abnormal psychology, 122(2), 339–352. https://doi.org/10.1037/a0031994.
Sono uno psicologo e mi occupo soprattutto di consulenze brevi e di psicologia del benessere. Utilizzo la Terapia a Seduta Singola per diverse problematiche, in particolare per aiutare le persone ad affrontare ansia e momenti particolarmente stressanti.
Onicofagia: mangiarsi le unghie tra piacere e dolore
Le parole hanno una forma e una struttura, occupano uno spazio linguistico e culturale e rivestono un ruolo sociale. Ma le parole hanno anche e soprattutto un valore.
Possiamo leggere attraverso il linguaggio, il movimento e il pensiero di un’intera comunità.
L’etimologia, ha la straordinaria capacità di entrare nell’intimo delle parole in modo trasversale, percorrendone a fondo il significato.
Il termine onicofagia viene dal greco “òniks–ònykhos”, unghia e “phagia”, mangiare ed è il classico esempio di quando i suoni di una parola descrivono o suggeriscono l’oggetto o l’azione che significano.
Mangiare le unghie è un’abitudine molto diffusa tra le diverse fasce d’età e le diverse culture.
Tormento e piacere che possono andare avanti in maniera transitoria e senza conseguenze oppure per anni anche senza accorgersene, come riflesso incondizionato oppure ancora che possono minare la serenità e la socialità di un individuo totalmente dipendente da questo vizio-passione.
L’unghia, con la pellicina e la cuticola circostante, diventa l’oggetto di una violenza cronica che può essere attuata in momenti di stress o di eccitazione, oppure, nei momenti di noia o d’inattività.
È discutibile se l’onicofagia sia solo un’abitudine o ci sia qualche dinamica psicologica sottostante.
Cosa dice il DSM?
Nel Manuale Diagnostico dei Disturbi Mentali (DSM 5), l’onicofagia è classificata tra i disturbi ossessivo-compulsivi, che vedono la contemporaneità di ossessioni, vale a dire pensieri indesiderati e continui e di compulsioni, cioè comportamenti dettati dalla necessità di compiere una particolare azione.
Dal punto di vista medico, l’onicofagia ha delle manifestazioni fisiche particolarmente rilevanti; può causare dolore, sanguinamento, arrossamento.
È responsabile di infezioni batteriche o virali, di patologie dentali e può portare a lesioni gengivali, oltre a facilitare la diffusione d’infezioni alla bocca.
Dal punto di vista sociale ed estetico, vedere una mano con le unghie consumate o osservare una persona intenta a mangiucchiare, tirare, sputare o ingoiare unghie e cuticole, può dare fastidio e far pensare, nell’immaginario collettivo, ad un individuo che trova nella pratica del vizio un modo di gestire i propri stati emotivi.
L’onicofagia può avere cause di origine ambientale e\o biologica, come appunto stress, ansia, rabbia, noia o imitazione di altri membri della famiglia (es. genitori, fratelli etc.)
Come smettere?
Perché si può desiderare di smettere?
Potrebbe esserci la paura di sviluppare infezioni o la volontà, ad esempio, di avere un aspetto più curato e sano.
L’onicofagia può manifestarsi in forma lieve, media o grave.
Il trattamento più comune e ampiamente disponibile, prevede l’applicazione di uno smalto di sapore amaro, che scoraggia l’abitudine di mangiarsi le unghie; l’odore e il gusto sgradevoli ricorderanno all’onicofago di fermarsi ogni volta che porta le mani alla bocca.
Altri rimedi semplici ed immediati possono riguardare la cosmesi cioè il prendersi cura delle proprie mani, tenendo le unghie corte o ricostruendole.
Questi rimedi possono rivelarsi efficaci quando la manifestazione del problema avviene in forma lieve o media e può quindi essere gestita attraverso piccoli accorgimenti distraenti dall’azione.
Quando il problema si manifesta in forma grave sarà necessario concentrarsi sul cambiamento dei comportamenti, tenendo conto dei fattori emotivi che inducono l’abitudine (ansia, stress, rabbia, noia, tristezza).
Potrebbe essere necessario individuare un modo per scaricare il cumulo di stress e tensione repressi, per trarne un effetto positivo sul fisico e sulla mente.
Praticare una sana attività fisica è un buon modo per sfogarsi perché l’impegno fisico libera la mente ed allenta le tensioni (lunghe passeggiate, corsa, bicicletta, palestra…).
Lo sport potrebbe rivelarsi utile anche per combattere la noia e la tristezza.
Nei casi più gravi, l’onicofagia può assumere la connotazione di un atteggiamento autolesionistico, cioè un’espressione di aggressività rivolta verso se stessi e questo potrebbe richiedere l’aiuto di uno psicoterapeuta .
Come smettere utilizzando la Terapia Breve?
Mangiarsi le unghie è un vero e proprio rituale inevitabile e irrefrenabile che viene eseguito per prevenire la propria realtà, oppure porre rimedio alle conseguenze negative di una propria azione o pensiero.
Si cerca dunque di controllare la realtà e si diviene schiavi di questo controllo.
Una vera e propria sequenza di pensiero e azione che consoliderà il disturbo nel tempo e che il terapeuta cercherà di interrompere utilizzando stratagemmi terapeutici che mirano a creare esperienze emozionali correttive capaci di agire sul sistema percettivo dell’individuo e di conseguenza sulla capacità di gestire un comportamento.
Le esperienze emozionali correttive sono le chiavi che il terapeuta aiuta il paziente a trovare per aprire nuove porte, dietro cui troverà nuove esperienze e nuove emozioni.
Obiettivo primario di questi stratagemmi terapeutici è quello di far divenire il comportamento volontario e non più compulsivo, in modo da:
- rendere la persona capace di controllare il disturbo ossessivo;
- far si che la persona possa decidere di rimandare la messa in atto del rituale;
- interrompere la sequenza percettivo-reattiva che consolida il disturbo nel tempo;
- privare il rituale del suo piacere evidenziandone la sgradevolezza attraverso il controllo su di esso e attraverso il doverlo mettere in atto obbligatoriamente.
Hai letto questo articolo tutto d’un fiato?
Hai tormentato le tue unghie facendolo?
Se ritieni di non riuscire da solo attraverso semplici e immediati rimedi a gestire questo vizio, non esitare a rivolgerti ad un professionista capace di guidarti verso nuovi scenari.
Bibliografia
Dettore D., Giaquinta N., Pozza A. (2019) – I disturbi da comportamenti focalizzati sul corpo – Firenze: Giunti Editore
Nardone G. (1993) – Paura, panico, fobie. La terapia in tempi brevi – Firenze: Ponte delle grazie
Psicologa, Mediatrice Familiare, Esperta in Scienze Forensi
Superare la paura di parlare in pubblico con la Terapia a Seduta Singola
Come ti fa sentire l’idea di parlare in pubblico?
E’ una performance che riesci ad affrontare con tranquillità oppure alla sola idea cominci a sudare?
Quando ti devi esporre davanti ad altra gente, cosa provi?
La paura di parlare in pubblico è piuttosto frequente e fa parte della più grande categoria dell’ansia sociale.
Generalmente chi ha paura di parlare in pubblico ha una sedie di preoccupazioni: teme di fare una brutta figura, di dimenticare ciò che deve dire o di bloccarsi, di arrossire, di balbettare o ancora di rovinarsi la reputazione.
Ansia: eterna nemica?
L’ansia che possiamo provare quando ci troviamo in una situazione come quella che ci richiede di esporci di fronte ad altre persone, non deve essere vissuta solo come sensazione spiacevole e quindi per forza negativa.
L’ansia è energia, e nelle giuste dosi ci permette di canalizzare le nostre forze fisiche e mentali per intraprendere al meglio la prova che dobbiamo affrontare.
Atteggiamenti che mantengono il problema
Si possono riscontrare nelle persone che hanno paura di parlare in pubblico alcuni comportamenti tipici che, in chi li mette in atto, sembrano risolvere il problema, ma che in realtà non fanno che mantenerlo o esacerbarlo.
Questi comportamenti sono detti anche “tentate soluzioni disfunzionali”, e, per questo tipo di difficoltà, generalmente includono:
– evitamento: quale strategia migliore per chi teme il confronto con un pubblico, se non quella di evitare totalmente tale confronto? Sbagliato.
Questo comportamento per quanto possa sembrare una soluzione efficacissima, “mettendo in salvo” la persona dall’affrontare una situazione insopportabile, non fa altro che confermare la convinzione di essere degli incapaci, finendo per aumentarne il disagio.
– controllo delle proprie reazioni. Un altro comportamento diffuso è quello di cercare di tenere a bada le proprie reazioni fisiche tipiche dell’ansia: la persona cerca quindi di controllare il proprio rossore in viso, di rallentare il battito cardiaco, di placare la propria agitazione.
Tutto ciò causa un effetto paradossale, per cui più si cerca di prendere il controllo più lo si perde.
Strategie per riuscire a parlare in pubblico
Dopo aver analizzato cosa è meglio smettere di fare per vincere questa paura, di seguito puoi trovare alcuni suggerimenti utili per affrontare la tua platea:
– usa l’ansia a tuo vantaggio: abbiamo visto poco sopra che l’ansia non è solo negativa, ma è una fonte di energia. Prova ad usarla per migliorare la tua performance, per usare un tono di voce più deciso, per enfatizzare ciò che dici accompagnandolo con la gestualità;
– prendi confidenza con ciò che devi dire senza memorizzare: memorizzare può farti sentire più sicuro ma può anche essere un’arma a doppio taglio. Se nel recitare il discorso dimentichi una parola, è più difficile riprendere il filo. Se invece avrai confidenza con ciò che dovrai dire, anche se dovesse esserci un momento di esitazione, sarai poi in grado di tornare con facilità nel discorso.
– confessa la tua paura: puoi cominciare il tuo discorso premettendo che sei particolarmente agitato o emozionato, e scusandoti se dovesse capitare di perdere il filo. In questo modo stai togliendo dai tuoi pensieri la preoccupazione “Si accorgeranno che sono agitato?” e provocherai empatia nel tuo pubblico.
Se questi suggerimenti non dovessero bastare, puoi prendere in considerazione l’opportunità di rivolgerti ad un professionista.
Sul sito www.onesession.it puoi trovare un elenco di professionisti formati in Terapia a Seduta Singola.
A volte un solo incontro può bastare! Attraverso l’aiuto del professionista potrai individuare delle strategie “sartoriali”, su misura per te.
Bibliografia
Cannistrà F., Piccirilli F., (2018), Terapia a seduta singola. Principi e pratiche
Nardone G. (2013), Psicotrappole
Nardone G. (1998), Psicosoluzioni
Il mio lavoro è orientato al futuro e alla valorizzazione delle risorse delle persone che si rivolgono a me, in ottica di totale collaborazione.
Il disturbo Ossessivo Compulsivo: muovere i primi passi verso la soluzione!
Ti capita di lavarti le mani molto frequentemente?
Di controllare e ricontrollare più volte durante la giornata se hai chiuso la porta di casa, spento i fornelli e chiuso il gas?
Oppure hai pensieri ricorrenti, rimugini continui, costanti, invasivi?
Ecco, è probabile che tu abbia un DOC, un Disturbo ossessivo compulsivo!
Che cos’è Il DOC?
Il disturbo ossessivo compulsivo è un disturbo caratterizzato “dall’irrefrenabile bisogno di mettere in atto comportamenti o pensieri in modo ripetitivo e ritualizzato, sovrastando ogni altra attività” (Nardone, 2013)
Si caratterizza per le:
- Ossessioni: pensieri costanti, ripetuti o immagini che invadono la mente e che percepisci come intrusive, fastidiose ma cui non sei in grado di resistere. Ci pensi sempre, occupando la maggior parte del tuo con un rimugino continuo (paura dello sporco, fare del male agli altri, l’ordine)
- Compulsioni: sono i comportamenti che metti in atto. Le azioni che fai, ripetute e ritualizzate che, una volta eseguite, ti fanno provare piacere e soddisfazione e a cui non sai dire di no (pulirsi le mani; controllare e ricontrollare; accumulare oggetti)
E’ l’ossessione a scatenare la compulsione.
Bada bene che non mi riferisco a qualche pensiero intrusivo o azione ripetuta nel corso della giornata che scapita a qualsiasi persona: può accadere infatti di avere dei propri rituali (come la penna più fortunata da portare all’esame) essere ordinati e puliti o avere paura di germi e virus e per questo praticare una sana igienizzazione. Cosi come può accadere di avere “brutti pensieri “ nei confronti di noi stessi o degli altri a cui poi non diamo seguito.
La differenza nel Disturbo Ossessivo compulsivo sta nell’intrusività di queste immagini mentali ricorrenti e continue che occupano letteralmente la tua mente e di comportamenti per mettere in atto i quali perdi, sottrai tempo a tutto il resto.
Inoltre più metti in atto i comportamenti, più ne hai bisogno: l’ansia e l’angoscia che provi vengono alleviate dall’agire che comporta una reiterazione del comportamento che ti dona piacere.
Tenti si risolvere il problema ma non funziona!
- Eviti ciò che ti spaventa: evitare per paura è un toccasana momentaneo, ma se ti chiedessi come stai dopo aver evitato, cosa mi risponderesti? Il problema si è risolto? La tua ansia è sparita?Probabilmente stai pensando che non è cosi e che anzi, dopo aver evitato, hai ancora più paura ad affrontare quella determinata situazione.
- Cerchi rassicurazioni: chiedi aiuto a chi ti sta vicino perché pensi che da solo non ce la fai. Al contempo ti lamenti del problema con i tuoi amici o i tuoi cari, in cerca di consigli utili e rassicurazioni. Eppure anche in questo caso, sono sicura che il chiedere aiuto e rassicurazione non ha funzionato. Sbaglio?
- Rituali, rituali, rituali: per placare la tua ansia hai ritualizzato dei comportamenti che se all’inizio erano sporadici, sono piano piano aumentati fino a occupare del tutto il tuo tempo. Ti senti vittima di queste azioni ma al contempo non ne puoi fare a meno.
Cosa puoi iniziare a fare?
- Stop alle richieste di aiuto!
Ogni volta che chiedi aiuto confermi a te stesso da un lato che sei circondato da persone che ti vogliono bene, dall’altro di non essere in grado di farcela, che non sei capace e il tuo senso di efficacia diminuisce.
Pensa che ogni volta che chiedi aiuto ricevi questo duplice messaggio.
- Parlare, parlare, parlare: Il parlare agisce sulla paura come l’acqua agisce sulle piante: più innaffi, più la pianta cresce, allo stesso modo più ne parli e più la paura cresce.
Smetti immediatamente!
- Evita…di evitare: più eviti e più confermi a te stesso la pericolosità della situazione e di non essere in grado di affrontarla.
So che smettere da un giorno all’altro di evitare certe cose sembra impossibile, ma il consiglio è questo: comincia dalla cosa più piccola, facendo il primo piccolo passo.
- Prova a rimandare: ogni volta che senti il bisogno di mettere in atto il comportamento (che sia controllare o pulire o lavarti le mani e cosi via), rimandalo di 15 minuti più tardi. Al termine dei 15 minuti, puoi fare tutto come al solito. Semplicemente puoi provare a posticipare il bisogno per poi agire come fai sempre. Provaci!
Pensi di non farcela?
Puoi rivolgerti a uno specialista in questi casi.
La terapia a seduta singola è utile per ottenere vantaggi anche in una sola seduta con lo psicologo per aiutare a risolvere problemi come il DOC in tempi brevi, attraverso la definizione di un obiettivo da raggiungere e l’individuazione delle tue risorse.
Beatrice Pavoni
Bibliografia:
Bartoletti, A (2019) Pensieri Brutti e Cattivi. Ossessioni tabù: come superarli. Francoangeli.
Nardone, G. Portelli, C. (2013) Ossessioni, Compulsioni, Mani. Capirle e sconfiggerle in tempi brevi. Ponte delle grazie.
Sono una psicologa che si occupa di consulenze brevi e di TSS: il mio obiettivo è ridurre i tempi della terapia e massimizzare l’efficacia della seduta, offrendo un sostegno focalizzato e concreto per affrontare sia le piccole che le grandi difficoltà della vita