La Sindrome del cane San Bernardo: come smettere di dire sempre “Sì”
Rifiutare le richieste, i favori, il supporto a chi te lo chiede…sono cose che ti mettono in grande difficoltà.
Anche se hai degli impegni personali non riesci a non accontentare gli altri e, piuttosto, rinunci tu ai tuoi piani. E così ti ritrovi spesso incastrato in situazioni da cui non riesci a svincolarti per la tua innata indole di aiutare gli altri, che ti porta inevitabilmente a dire sempre di “sì”.
Proprio come un cane San Bernardo dedito al soccorso e all’aiuto anche in condizioni estreme.
Però, a volte dire un “no” è necessario e oggi ti spiego come imparare a farlo.
Se anche a te capita di non riuscire a rifiutare le richieste, questo è l’articolo che fa per te e di seguito ti suggerirò alcune strategie per imparare a dire di no senza sentirti in colpa.
3 passi per imparare a dire di “no”
Prima di descrivere i 3 passi per imparare a dire “no”, vorrei fare chiarezza su un punto fondamentale: si dice di “no” ad una domanda non ad una persona. Questa precisazione che può sembrarti banale, in realtà è ciò che tiene in vita il problema. Infatti, molto spesso, si tende ad aiutare gli altri per essere utili e per fare qualcosa di buono, ma anche per non sentirsi eventualmente in colpa. Attenzione, però, a non confondere l’altruismo con l’essere impegnati costantemente e, soprattutto, a proprio discapito, in costanti “salvataggi”.
Come fare per dire di no senza sensi di colpa?
Ecco i primi 3 passi:
1. “Scusa, vorrei tanto, ma non posso”
Da oggi, una volta al giorno per due settimane, mettiti in una situazione in cui qualcuno ha una richiesta da farti: può essere una chiacchierata con un amico che ti chiede un prestito, con un collega che ti chiede un cambio turno oppure una richiesta di un membro della tua famiglia e prova a rispondere “Scusa, vorrei tanto, ma non posso”. Con questa frase puoi permetterti di dire di no alla richiesta che ti viene fatta puntando sul fatto che il rifiuto non dipende da te, ma dai tuoi impegni. Evita di far seguire delle spiegazioni, e se proprio l’altro è insistente accampa una scusa vaga – e se insiste mostrati pure infastidito.
È chiaro che non sempre sarà possibile ogni giorno trovare una situazione in cui qualcuno ti fa una richiesta. L’importante, però, è che ti metti in gioco: se lo fai solo per 2 o 3 volte non serve a nulla.
2. “Scusa, potrei farlo, ma in questo momento ho cose più importanti di cui occuparmi”
Quando ti sentirai sicuro di aver fatto tuo il primo passo e ti sentirai più sciolto nel non assecondare ogni richiesta, potrai passare ad un gradino più in alto rispondendo “Scusa, potrei farlo, ma in questo momento ho cose più importanti di cui occuparmi”. Rimane sempre l’idea che ci sia un impegno che ti impedisce di accogliere la richiesta dell’altro, ma in più c’è anche un elemento di scelta, perché stai dando una priorità alle tue cose da fare piuttosto che alle sue.
Anche qui, esercitati per due settimane e fai tuo questo nuovo modo di fare.
3. “Potrei aiutarti, ma non mi va”
Adesso è giunto per te il momento di mettere in pratica il terzo passo, rispondendo “Potrei aiutarti, ma non mi va”, mettendo la museruola al Cane San Bernardo che è in te.
Con l’esercizio costante ti renderai conto che ti verrà molto più facile dire di no quando non puoi, non vuoi o semplicemente non ti va, facendo di conseguenza anche cambiare la prospettiva che gli altri hanno di te e, chissà, magari si mostreranno anche più sensibili rispetto a quelle che sono le tue richieste ed esigenze.
E ricorda: se dici di no, non sei una persona cattiva!
Se ti rendi conto di aver bisogno di un aiuto in più con l’apprendimento del dire “no”, puoi sempre contattare uno Psicologo formato in Terapia a Seduta Singola che può aiutarti già dopo un unico incontro.
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Bibliografia
Sellin, R. (2015). Le persone sensibili sanno dire no. Milano: Feltrinelli.
Sono una Psicologa, specializzata in Dipendenze da sostanze, comportamentali (gioco d’azzardo, shopping, ecc) e relazionali (dipendenza affettiva). Sono formata all’utilizzo della Terapia a Seduta Singola (TSS) e della Terapia Centrata sulla Soluzione, per aiutare le persone a risolvere i loro problemi e tornare al benessere nel più breve tempo possibile, imparando a scoprire e sfruttare al meglio tutte le loro risorse.
Gestire lo stress e tornare a stare bene sul posto di lavoro: come si fa? Ecco alcuni suggerimenti e strategie per fronteggiarlo!
Contrariamente a quanto si pensa di solito, non dobbiamo ed in realtà non possiamo evitare lo stress. Quello che possiamo fare, però, è riconoscerlo e gestirlo in modo efficace, cercando di trarne vantaggio, imparando i suoi meccanismi di funzionamento e adattando la propria filosofia di vita ad esso.
Ma procediamo con ordine.
Innanzitutto, che cos’è lo stress lavoro-correlato?
Sicuramente la maggior parte di voi potrà darne una definizione soprattutto in termini di sintomi: mal di testa, cattivo umore, difficoltà a concentrarsi, stanchezza cronica…
In letteratura, si definisce stress lavoro-correlato quella condizione che si verifica “nel momento in cui le richieste provenienti dall’ambiente lavorativo superano le capacità dell’individuo nel fronteggiare le richieste stesse”.
In Europa questa condizione sembra riguardare almeno un lavoratore su quattro e una delle conseguenze più negative per le aziende è l’assenteismo che provoca ritardi nello svolgimento quotidiano delle mansioni e ovviamente perdite economiche importanti.
Uno studio dell’Università Bocconi di Milano ha messo in risalto come per le donne, lo stress sia anche maggiore rispetto agli uomini: infatti, lo stress viene intensificato dall’esigenza di dover gestire la propria professione e la famiglia.
Quali sono i sintomi dello stress lavoro-correlato?
I sintomi possono essere di varia natura, ma per semplicità possiamo suddividerli in 4 grandi categorie:
- Fisici: mal di pancia, mal di testa, problemi dermatologici, difficoltà a prendere sonno e/o dormire, disturbi nella sfera sessuale, crisi respiratorie.
- Comportamentali: insicurezza, pressione, abbassamento dell’autostima, impazienza, impulsività, insicurezza, isolamento, aumento del consumo di sigarette o caffè durante il giorno.
- Lavorativi: assenteismo, infortuni, conflitti nelle relazioni lavorative, scarso rendimento nelle attività, problemi disciplinari.
- Psicologici: ansia, difficoltà di concentrazione, scarsa attenzione, umore depresso, attacchi di panico, crisi di pianto, stanchezza cronica, sensazione di avere la testa pensante o vuota.
Sicuramente una persona che soffre di stress lavoro-correlato avrà sperimentato o sta sperimentando questi sintomi, arrivando a pensare di essere inadeguata, sbagliata e pensare di dover lasciare il lavoro perché incapace.
Cosa fare per fronteggiarlo?
Per cominciare, potresti riflettere su questi punti:
Quali sono le cose che ti fanno più arrabbiare o agitare? Che cosa ti rende ansioso/a?
Rispondere a queste due domande ti può aiutare a focalizzare il problema e permetterti di restringere il campo rispetto a ciò che temi o che ti innervosisce.
Quando esci dall’ufficio sei in grado di lasciare lì i problemi?
Molto spesso, se non si riescono a lasciare le difficoltà lavorative fuori dalla porta di casa, può crearsi un corridoio pericoloso che fa circolare i problemi da lavoro a casa e viceversa, andando ad inquinare tutti e due gli ambienti. Un suggerimento è quello di trovare un gesto, un rituale, un’abitudine da fare prima di entrare in macchina dopo il lavoro o prima di entrare a casa, che ti permetta di percepire un distacco fra un ambiente e l’altro; come un segnale che ti faccia capire che stai chiudendo con la giornata lavorativa e stai passando ad altro. Come ogni buon training, deve essere ripetuto per un po’ prima che funzioni.
È davvero il luogo di lavoro a renderti nervoso/a?
Oppure scarichi in quell’ambiente la tensione che accumulo nella tua vita personale? Se così fosse, il problema non sarebbe collegato al lavoro, ma piuttosto a problematiche private.
Se ti rendi conto che il lavoro ti sta creando uno stress intollerabile e delle problematiche eccessive e, da solo, non riesci ad uscire da questa situazione, ti consiglio di consultare uno Psicologo.
Infatti, soprattutto con il metodo della Terapia a Seduta Singola (TSS), anche dopo il primo incontro potrai sperimentare concreti benefici ed essere un passo più vicino alla soluzione del problema ed al benessere.
Il segreto è ampliare la consapevolezza, riconoscere i comportamenti disfunzionali e dannosi ed agire con più ampie possibilità di scelta, così da poter trasformare i momenti difficili e critici in occasioni di crescita individuale, relazionale e lavorativa.
Non esitare quindi a contattare uno dei terapeuti formati in Terapia a Seduta Singola cercando sul nostro sito www.onesession.it, il terapeuta più vicino a te e più adatto alle tue esigenze.
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Sono una Psicologa, specializzata in Dipendenze da sostanze, comportamentali (gioco d’azzardo, shopping, ecc) e relazionali (dipendenza affettiva). Sono formata all’utilizzo della Terapia a Seduta Singola (TSS) e della Terapia Centrata sulla Soluzione, per aiutare le persone a risolvere i loro problemi e tornare al benessere nel più breve tempo possibile, imparando a scoprire e sfruttare al meglio tutte le loro risorse.