Affrontare il rimuginio con uno schiocco di dita
Chi di noi non ha mai sperimentato il tormento del rimuginio, quel vortice di pensieri che si ingarbugliano tra di loro, alimentando preoccupazioni che sembrano non voler dare tregua?
Il rimuginio è un fenomeno comune che coinvolge la ripetizione ossessiva di pensieri negativi o preoccupazioni, spesso legate a esperienze passate o preoccupazioni future.
Questi pensieri possono riguardare esperienze passate, in cui ci colpevolizziamo o rimpiangiamo scelte fatte, oppure preoccupazioni future, in cui ci concentriamo sulle peggiori ipotesi e temiamo il peggio.
Il rimuginio può avere un impatto significativo sulla nostra salute mentale e sul benessere generale.
Effetti del rimuginio sulla nostra salute mentale
Il rimuginio eccessivo può avere una serie di impatti negativi sulla nostra salute mentale e fisica. Ecco alcuni di essi:
- Dissociazione: Essere costantemente immersi nella nostra mente ci allontana dalla realtà. Questo può portare a fenomeni di depersonalizzazione o derealizzazione.
- Depressione: persi nei nostri pensieri, non ci accorgiamo della vita lì fuori. Se non interrotto per tempo, il rimuginio ci porterà a perderci i bei momenti della nostra vita, e a ritirarci da tutte le esperienze che potremmo fare.
- Difficoltà nel Concentrarsi: essere immersi nei pensieri può interferire con la nostra capacità di concentrarci sul presente, riducendo la nostra produttività e la qualità del lavoro svolto.
Risolvere il rimuginio con uno schiocco di dita
Esiste una tecnica semplice, ma non facile, per risolvere il rimuginio.
Si tratta di schioccare le dita.
Lo scopo principale per stoppare i continui pensieri sarà quello di imparare a distogliere l’attenzione dai pensieri assorbenti, e riportarla nel qui ed ora.
Ogni volta che ti rendi conto di essere immerso nei tuoi pensieri, quindi, schiocca le dita, invita la tua attenzione a “tornare qui” e focalizzala su quello che di concreto ti circonda.
Poco dopo sei nuovamente immerso nei pensieri? Schiocca di nuovo le dita, commentando con un “Torna qui!”.
Hai abituato la tua mente ad agganciarsi ai pensieri, il lavoro sta nell’allenarla a sganciarsi.
E l’allenamento richiede impegno costante.
Se stai vivendo un problema di rimuginio persistente, puoi chiedere aiuto a One Session! Puoi inviare una e-mail a info@onesession.it oppure compilare il form (clicca qui)
Riferimenti bibliografici
www.lostudiodellopsicologo.it/disturbi/un-martello-pneumatico-come-fermare-il-rimuginio-ossessivo/
Bartoletti, A. (2019). Pensieri Brutti e Cattivi: Ossessioni tabù: Come Liberarsene. Angeli.
Il mio lavoro è orientato al futuro e alla valorizzazione delle risorse delle persone che si rivolgono a me, in ottica di totale collaborazione.
Vuoi liberarti della depressione? Rompi questi 3 meccanismi
Liberarti dalla depressione è il tuo più grande desiderio.
Questo grande male ti ha ormai spento, portandoti a perdere gran parte della tua vita di “prima”.
Come una macchia d’olio si è insinuata nella tua vita e si è espansa in tutte le sfere: lavorativa, affettiva, relazionale.
Nell’articolo di oggi vedremo cos’è la depressione e quali meccanismi la mantengono, per cominciare, a piccoli passi, a liberarcene!
Cos’è la depressione?
Secondo il DSM 5, il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, ciò che caratterizza i disturbi depressivi è
“La presenza di umore triste, vuoto o irritabile, accompagnato da modificazioni somatiche e cognitive che incidono in modo significativo sulla capacità di funzionamento dell’individuo”.
Sempre secondo questo manuale, vi sono dei sintomi specifici caratteristici della depressione, che devono mantenersi per un certo periodo di tempo.
Alcuni di questi sintomi sono: astenia, insonnia, perdita di piacere, tristezza e senso di vuoto, agitazione, ridotta capacità di concentrazione, autosvalutazione, senso di colpa.
Tutti questi sintomi portano la persona a comportarsi con modalità che, invece che risolvere il problema, lo mantengono.
Dobbiamo partire proprio da questi comportamenti per spianarci la strada verso il superamento di questa condizione!
Rinunciare
Tutto sembra difficile, insormontabile. Al punto da pensare “se non ci riesco, ci rinuncio”.
Ci si pone nei confronti della vita in modo passivo, abbandonandosi agli eventi, convincendosi di non poter fare niente per cambiare le cose.
Come puoi rompere questo meccanismo?
Innanzitutto comincia a renderti conto che stai basando la tua vita sulla rinuncia, sulla non azione. E se non sei tu il protagonista della tua vita, chi potrà mai esserlo?
In secondo luogo, comincia a riprendere in mano il tuo senso di autoefficacia rendendoti conto di tutte le più piccole azioni che, senza che tu te ne renda conto, sono sotto il tuo controllo!
Tieni un diario giornaliero dove ogni sera annoti 3 azioni che hai volontariamente deciso di fare durante la giornata: più piccole sono, meglio è!
Questo esercizio va bene anche per combattere la seconda trappola tipica della depressione, che vediamo di seguito.
Delegare
Delegare è di fatto una rinuncia. Contare sull’aiuto degli altri da una parte sembra di tenga in piedi e ci permetta di non sprofondare del tutto nel male che stiamo provando.
Dall’altra sta, ancora di più, rendendoci spettatori della nostra vita!
Per uscire dalla depressione non servono grandi imprese, basta iniziare dal riprendere in mano le più piccole cose della quotidianità!
Lamentarsi
Questo è il terzo meccanismo che dovremo andare a rompere.
Sfogarsi ci fa sentire più leggeri. Per il depresso è la valvola di sfogo quotidiana.
Ma c’è il lato oscuro della medaglia. Continuando a lamentarti, la tua attenzione sarà focalizzata sempre e solo su ciò che non sta funzionando! E continuando su questa strada il problema non farà altro che autoalimentarsi e ingigantirsi.
Cosa puoi fare per rompere questo meccanismo?
Sul diario dove annoti le azioni quotidiane di cui ti sei reso protagonista, prendi l’abitudine di annotare 3 piccole cose di cui sei grato.
Ogni sera chiediti “Della giornata di oggi, cos’è che posso ricordare positivamente?”. Anche per questo esercizio, ciò che dovrai annotare saranno aspetti della tua quotidianità piccoli e concreti.
Prova per qualche settimana, e facci sapere come ti senti!
Se senti il bisogno di un aiuto professionale per questo momento delicato, contatta OneSession!
Ogni Martedì dalle 18:00 alle 20:00 gli psicologi del team “One session” sono a tua disposizione per una sessione gratuita di consulenza psicologica a seduta singola di 30 minuti.
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Riferimenti bibliografici
Nardone G. (2013), Psicotrappole. Ponte alle Grazie, Milano.
Yapko, M. (1998). Rompere gli schemi della depressione. Milano: Ponte alle Grazie, 2002
Il mio lavoro è orientato al futuro e alla valorizzazione delle risorse delle persone che si rivolgono a me, in ottica di totale collaborazione.
A due anni dal lockdown: la pandemic fatigue
Due anni fa l’Italia intera si trovava in lockdown. Non possiamo negare che la pandemia da Covid – 19 sia stata uno spartiacque tra la nostra vita “prima” e la nostra vita “dopo”, se di dopo si può già parlare.
Non è atipico sentire tutt’oggi gli strascichi psicologici di questo lungo periodo vissuto sotto stress. La Terapia a Seduta Singola, però, può dimostrarsi una valida alleata per riprendere la propria progettualità e uscire dalla crisi.
Come rispondiamo agli eventi stressanti
Cosa succede quando siamo sottoposti a lunghi periodi stressanti? Innanzitutto, cos’è lo stress?
Il termine stress venne introdotto da Seyle nel 1936, inteso come risposta ad eventi (stressors) che alterano un equilibrio (a livello fisico, sociale o ambientale) e che quindi richiedono un investimento di risorse per farvi fronte.
La risposta di stress si divide in tre fasi:
- Fase di allarme: si attiva nei primi momenti in cui compare l’evento stressante. Le nostre energie sono canalizzate e ben focalizzate per fronteggiare lo stressor, tramite l’attacco o la fuga.
- Fase della resistenza: di fronte al proseguire della situazione stressante, la nostra mente e il nostro fisico rimangono ben focalizzati, pronti e attivi nel fronteggiare la situazione.
- Fase dell’esaurimento: sopraggiunge quando non si è più capaci di far fronte allo stress. Il sistema immunitario si indebolisce e ci si scarica anche dal punto di vista emotivo. Questo può avvenire perché non si avevano le risorse sufficienti per affrontare lo stressor, o perché la situazione stressante si è prolungata per troppo tempo.
La Pandemic Fatigue
Definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità “una risposta prevedibile e naturale a uno stato di crisi prolungata della salute pubblica” conseguente alla pandemia da Covid – 19, si stima che il 60% della popolazione si sia trovato a provarla.
Essa si manifesta con mancanza di energie, motivazione, programmazione rispetto alla propria vita, come se ci si fosse in un qualche modo “arresi” al fatto che una visione a lungo termine non sia più possibile.
Sono frequenti anche sbalzi d’umore, con rabbia e tristezza che la fanno da padrone, oltre a insonnia e sintomi fisici come tachicardia e capogiri.
La Terapia a Seduta Singola per riprendere in mano la progettualità della propria vita
Come superare questa fatica causata da un periodo di stress così prolungato? La Terapia a Seduta Singola può dare un grande aiuto in questo senso.
Un solo colloquio può aiutarti a trovare un obiettivo che possa essere realistico e raggiungibile (puoi scoprire di più su come imparare a porti degli obiettivi raggiungibili qui) e ad individuare le tue risorse per poter trovare strategie utili e pratiche per ottenere il cambiamento che desideri.
A volte basta un piccolo passo per ottenere un grande cambiamento e restituirti il senso di efficacia!
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Riferimenti bibliografici
https://www.psychologytoday.com/us/blog/debunking-myths-the-mind/202203/feeling-fatigued-and-burned-out-inflammation-may-be-playing (consultato in data 11/03/2022)
https://www.euro.who.int/en/health-topics/health-determinants/behavioural-and-cultural-insights-for-health/news2/news/2020/10/how-to-counter-pandemic-fatigue-and-refresh-public-commitment-to-covid-19-prevention-measures (consultato in data 11/03/2022)
Il mio lavoro è orientato al futuro e alla valorizzazione delle risorse delle persone che si rivolgono a me, in ottica di totale collaborazione.
Winter blues: 10 rimedi per la tristezza d’inverno
“D’inverno mi sento triste, freddo, stanco, giù…come le foglie”
Ci sono persone particolarmente sensibili alle stagioni fredde, durante le quali manifestano sintomi di down psicofisico, per poi sentirsi “rinascere” con le stagioni calde.
Queste persone sono affette dal Disturbo Affettivo Stagionale (SAD) invernale, detto anche Winter Blues. Tutti possiamo sentirci avvolti da tristezza e malumore, è normale, ma se i sintomi durano oltre due settimane si parla di Disturbo.
Il Winter Blues è più frequente:
- nelle donne,
- in coloro che, nella loro storia familiare, presentano forme di Depressione, Disturbo Bipolare o Disturbo Affettivo Stagionale,
- in chi ha bassi livelli di vitamina D e di Folati,
- nelle persone che vivono in Paesi lontani dall’equatore o abitano in case poco illuminate.
Molte ricerche, svolte per comprendere le cause del Disturbo Affettivo Stagionale Invernale, hanno dimostrato che i livelli dell’ormone del buonumore (Serotonina), diminuiscono in assenza di luce e che il sistema neuroendocrino si modifica in base alla lunghezza delle giornate. Dunque la luce solare e le stagioni, influenzano le funzioni organiche, tra cui metabolismo e ritmo sonno-veglia, e l’umore. Quest’ultimo è legato alla Vitamina D, che a sua volta dipende dalla luce solare. Cosa accade quindi nel periodo autunno/inverno? Diminuiscono le ore di sole delle giornate.
Quali conseguenze?
Il cervello vedendo buio dice: “È notte, andiamo a dormire”, così aumenta l’ormone del sonno, diminuisce l’ormone attivante e la Serotonina. Per cui abbiamo:
Ø scarsa presenza di Serotonina, quindi più tristezza e malumore;
Ø alterazione degli ormoni sonno-veglia, perciò sonnolenza, stanchezza o al contrario insonnia e stress (meno frequente).
Tutti soffrono di Winter Blues? No.
È stata rilevata, in coloro che non sono soggetti al Disturbo Affettivo Stagionale, un’attività equilibrata del sistema neuroendocrino per tutto l’inverno. Siamo tutti soggetti alle variazioni stagionali, tuttavia in alcune persone le modificazioni neurochimiche e conseguenze connesse, sono disfunzionali.
Le caratteristiche sintomatologiche del Winter Blues.
- Il Tono dell’umore è basso. Spesso ingiustificato. Varia dal semplice malumore, alla tristezza, melanconia, fino a uno stato depressivo. Curioso che l’acronimo SAD, sia anche una parola inglese che significa Triste.
- La mancanza di piacere, soprattutto in ciò che generalmente lo provoca, e di energia e stimoli, con difficoltà a svolgere attività quotidiane.
- Aumento di peso finanche all’Obesità, o al contrario perdita di peso, per un alterato stimolo della fame e del desiderio di carboidrati o grassi.
- Ipersonnia e astenia (mentale e fisica) o al contrario insonnia.
- Irritabilità, ansia e senso di colpa
- Isolamento sociale
La gravità dei sintomi è variabile. Ci sono forme lievi, dette anche Subsindromi di Disturbo Affettivo Stagionale, ed altre più severe.
Il Winter Blues di frequente rientra nelle Subsindromi.
La persona è tendenzialmente in grado di condividere gioie ed eventi positivi, quando li vive e, anche se con molta difficoltà, riesce a gestire il quotidiano. Purtroppo per questi motivi, il disagio non severo delle persone con il Disturbo Affettivo Stagionale, è molto spesso sottovalutato sia da
chi ne è affetto, spesso colpevolizzandosi e peggiorando il suo stato, che dagli altri, anche dai medici.
Ma la ricorrenza degli episodi depressivi nelle stagioni autunno/inverno, può portare a un peggioramento nel tempo.
Cosa fare?
Prevenire.
Affrontare l’inverno in stato depressivo, o similare, non è affatto semplice. È possibile però prevenirlo, gestirlo e superarlo. Ecco alcuni rimedi che, se agiti tutto l’anno, possono aiutare a ridurre l’insorgenza di recidive.
1. L’uso di antidepressivi utile in presenza di sintomi severi. Non è la prima scelta dei medici nei casi di Subsindromi di Disturbo Affettivo Stagionale. Il primo antidepressivo è la luce.
2. Light therapy o fototerapia.
Esponiti alla luce di una lampada medica solare, soprattutto se il tempo è cupo. Trenta minuti per un totale di due ore al giorno. Mai la sera, avresti l’effetto contrario. Questa lampada genera un effetto sull’organismo quasi pari a quello del sole. Purtroppo non è adatta per chi soffre di Disturbo Bipolare, di Emicranie e fa uso di psicofarmaci. Né può essere usata nei mesi estivi per prevenzione. Meglio parlarne con un professionista.
Il rimedio più naturale per tutti? La luce solare. Uscire all’aria aperta almeno un’ora, anche se nuvoloso. Stare a contatto con la natura e la luce naturale. Assaporare dettagli, colori e profumi.
3. Assumere cambiamenti nello stile di vita e nella dieta, eliminando nicotina, caffeina e alcool.
4. Esercizio fisico regolare, antistress e antidepressivo efficace. Meglio all’aperto. Se al chiuso svolgetelo davanti alla finestra. L’attività fisica va evitata di sera, altera il ritmo sonno-veglia.
5. Routine dei piccoli piaceri. Un bagno o una doccia calda, una tazza di tè o latte caldo, un incontro tra amici, sorprendersi davanti a un panorama, un massaggio, un libro, un sms… Sollevano dalla tristezza e aiutano a svegliarsi col buon umore, in fondo “il bello deve ancora venire”. E poi…
6. Ridere.
7. Scopri la bellezza delle stagioni fredde. Paesaggi innevati, anche inaspettati come una spiaggia. Avere più tempo per riflettere su cosa lasciar andare (come le foglie) e cosa trattenere (come linfa).
8. Scrivere un diario, in cui appuntare i sintomi, quando iniziano, l’intensità, come evolvono, cosa sta funzionando, cosa no. Cosa ti mantiene il sorriso, cosa ti fa ridere. Valutare il tuo livello di stagionalità, sarà utile per prepararti ad affrontare la stagione invernale successiva. Anticipando l’insorgenza del Winter Blues e rafforzando le tue risorse.
9. Tecniche di respirazione e di meditazione. Se hai già constatato con un professionista quali, e se, sono adatte alla tua persona, potrai praticarle gestendo i sintomi della tristezza invernale.
10. Terapia psicologica. Ricerche hanno evidenziato l’utilità del supporto psicologico, preventivo e non solo in emergenza, per ridurre le recidive stagionali e l’insorgere della Depressione Maggiore.
Ti trovi in difficoltà nel quotidiano? Ti senti giù di morale senza apparente motivo? Vuoi imparare a trovare le strategie più adatte a te per gestire la tristezza? Vuoi affrontare un inverno all’insegna del benessere?
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Sensazione di vuoto: il languishing
Negli ultimi mesi molte persone stanno sperimentando una particolare sensazione di vuoto che può essere efficacemente descritta con il termine languishing.
Sembra infatti che, nonostante i vaccini e i passi che stiamo facendo per tornare alla normalità, in gran parte della popolazione rimanga una sorta di apatia.
Non è un vero e proprio stato di malessere, ma piuttosto una mancanza di benessere.
Nonostante il termine languishing sia stato usato frequentemente negli ultimi tempi legandolo alla problematica del COVID, non si tratta di una condizione nuova.
Che cosa si intende per languishing: la sensazione di vuoto
Il languishing e il suo opposto, il flourishing, sono i 2 poli della teoria del benessere di Keyes.
Il languishing rappresenta il polo negativo, uno stato di disordine, che genera una sensazione di vuoto, di apatia e di scarsa motivazione, una condizione di assenza di benessere ed emozioni positive.
All’opposto troviamo il flourishing che sarebbe il funzionamento ottimale, uno stato in cui sentiamo di avere una vita piena, ricca e felice.
Ovviamente è importante capire che trattandosi degli estremi di un continuum potremmo anche trovarci in una situazione intermedia.
Il languishing è un problema?
L’assenza di emozioni positive e questa sensazione di vuoto, per un breve periodo, sono quasi fisiologiche e facilmente comprensibili, considerato che stiamo attraversando una pandemia.
Tuttavia Keyes sottolinea che, secondo i dati, il rischio di un episodio depressivo è quasi sei volte maggiore nelle persone che sperimentano lo stato di languishing.
Perciò potrebbe essere utile chiedere un supporto psicologico, soprattutto se sperimenti questa situazione vuoto e di assenza di emozioni positive da diverso tempo.
Sensazione di vuoto e terapia a seduta singola
La terapia a seduta singola può rivelarsi estremamente utile per risolvere questa condizione in tempi brevi.
Persino una singola seduta può essere sufficiente per aiutarti a individuare delle strategie per affrontare e risolvere il problema.
Infatti la terapia a seduta singola focalizzandosi direttamente sul problema permette fin da subito di individuare l’obiettivo e di iniziare a lavorare su di esso.
Il modello PERMA
In molti casi chiedere un supporto psicologico è la scelta migliore, ma cerchiamo di capire fin da subito su che cosa possiamo lavorare per spostarci dallo stato di languishing verso quello di flourishing.
Innanzitutto possiamo cercare di lavorare sul nostro benessere psicologico e sui vari aspetti che lo caratterizzano.
Una definizione del benessere molto pratica e interessante, ampiamente riconosciuta in psicologia è il modello PERMA di Martin Seligman.
“PERMA” è un acronimo che sta per:
- P – Emozioni positive (Positive emotion): sperimentare emozioni positive è fondamentale per il benessere. Sia le emozioni positive che negative vanno gestite con efficacia.
- E – Coinvolgimento (Engagement): Essere coinvolti in attività che ci assorbano completamente, in cui perdiamo la cognizione, sperimentando il cosiddetto flow sono estremamente importanti per il benessere.
- R – Relazioni (positive) (Relationship): siamo animali sociali, le relazioni positive sono uno dei fattori più importanti per il nostro benessere.
- M – Significato (Meaning): dedicarsi a una causa che abbia un significato più grande di noi, che abbia implicazioni anche collettive..
- A – Realizzazione (Achievement): pianificare, perseguire e raggiungere obiettivi migliora autostima, resilienza, ottimismo e più in generale il nostro benessere.
Questo modello è basato sulle evidenze di ricerche scientifiche sul benessere, ognuno di questi 5 aspetti influisce sul senso generale di benessere.
Come abbiamo detto il languishing è caratterizzato da una sensazione di vuoto e di assenza di emozioni positive. Le emozioni positive sono uno dei cardini centrali del modello, ma concentrarsi solo su di esse potrebbe non essere sufficiente per sviluppare un senso globale di benessere.
Dovremmo lavorare su tutte le componenti del modello per costruire una vita piena e significativa.
Dal languishing al flourishing
Quindi in breve cosa possiamo portarci a casa dal modello PERMA?
Che da ciò che emerge dalle ricerche possiamo migliorare il nostro benessere e passare dal languishing al flourishing lavorando su:
- Sperimentare un maggior numero di emozioni positive: aggiungi attività piacevoli alla tua routine quotidiana che ti facciano sperimentare emozioni positive.
- Aumentare l’impegno e il coinvolgimento: trova degli hobby che ti coinvolgano davvero e ti permettano di sviluppare abilità ed esprimere le tue passioni.
- Migliorare la gestione dei rapporti: impara a costruire relazioni supportive basate sulla fiducia reciproca e sull’affetto, con amici, parenti e famigliari.
- Impegnarsi in attività abbiamo una causa comunitaria tramite il lavoro, hobby o attività di volontariato aiuta a migliorare il benessere e a colmare la sensazione di vuoto. – Pianifica con efficacia obiettivi che abbiano un valore per te, a breve e a lungo termine, mantieni l’equilibrio tra realizzazione e gli altri aspetti importanti della vita per il tuo benessere.
In conclusione questi sono alcuni consigli che spero possano esserti utili, nel caso non fossero sufficienti o ritenessi di avere bisogno di un supporto in più ricorda che la terapia a seduta singola può rivelarsi molto efficace in queste situazioni.
In alternativa puoi usufruire del nostro centro di ascolto psicologico One Session Center che offre una consulenza gratuita di 30 minuti ogni martedì dalle 18 alle 20 con uno dei nostri professionisti specializzati nella Terapia a Seduta Singola. Contattaci alla pagina Facebook OneSession.it.
Riferimenti bibliografici:
Keyes, C. L. M. (2002). The Mental Health Continuum: From Languishing to Flourishing in Life. Journal of Health and Social Behavior, 43(2), 207–222.
Keyes, C. L. M. (2005). Mental Illness and/or Mental Health? Investigating Axioms of the Complete State Model of Health. Journal of Consulting and Clinical Psychology, 73(3), 539–548
Seligman M. (2017). Fai fiorire la tua vita. Una nuova, rivoluzionaria visione della felicità e del benessere. Anteprima Edizioni.
Sono uno psicologo e mi occupo soprattutto di consulenze brevi e di psicologia del benessere. Utilizzo la Terapia a Seduta Singola per diverse problematiche, in particolare per aiutare le persone ad affrontare ansia e momenti particolarmente stressanti.
Andare avanti dopo un lutto
Che cos’è il lutto?
Il lutto è il processo di elaborazione di un evento da noi vissuto come drammatico e fortemente doloroso, in cui viviamo la perdita di qualcuno o qualcosa su cui contavamo nella nostra vita.
La scomparsa di una persona cara o del proprio animale domestico ma anche la perdita del proprio lavoro, la fine di una relazione importante o una diagnosi di una grave malattia, possono rappresentare per ognuno di noi la perdita di una nostra certezza.
Il lutto ci mette a confronto con il senso stesso della vita e con l’impossibilità da parte nostra di controllarne tutti gli eventi.
Questo ci chiama a dare nuovi significati alla nostra esistenza: il lutto rappresenta infatti un cambiamento inevitabile, una trasformazione verso qualcosa di diverso da quanto finora vissuto.
Come possiamo trovare la forza di andare avanti dopo un lutto?
1. Prendersi il proprio tempo
Per prima cosa, concediamoci il nostro tempo per elaborare quanto ci è accaduto.
Se provi sofferenza e difficoltà a riprendere la tua vita di prima a poche settimane di distanza da quanto successo, non c’è nulla di anormale in te. Il lutto è come una profonda ferita: la cicatrizzazione è un processo lungo e soffrire purtroppo è inevitabile.
Quello che possiamo fare però, è cercare di incanalare questo dolore in modo che non sia distruttivo per noi.
2. Esprimere le emozioni
Quando viviamo un lutto, concederci di esprimere quanto proviamo verso chi o cosa abbiamo perduto può essere funzionale per accettare il cambiamento.
Anche qui, ognuno ha la sua modalità. Alcune persone sentono il bisogno di piangere, altre ancora trovano conforto nella scrittura o nel parlare con qualcuno di quanto accaduto.
Qualsiasi sia il tuo modo per vivere la sofferenza, concediti uno spazio ogni giorno per “sentire” il dolore, accogliendolo in te.
3. Accettare il qui ed ora
Nell’importanza di esprimere tutto il dolore che provi, ti suggerisco però di non perdere il contatto con il “qui ed ora”: si intende la nuova condizione di vita in cui ti trovi nel momento presente.
Nel lutto infatti, potrebbe accadere di voler rifiutare quanto è accaduto e di venir travolti dalla rabbia, dal senso di colpa o dalla paura.
Alcune persone si rinchiudono nel ricordo di quello che è stato, coltivando l’idea irrealistica che quello che hanno perduto possa magicamente tornare.
Sarebbe bello se avessimo questo potere, ma sfortunatamente di fronte a certi accadimenti non c’è nulla che possiamo fare per ripristinare lo stato precedente. Fa male dirlo eppure l’accettazione di quanto accaduto è un passo importante da compiere per poter andare avanti.
Piuttosto che rifiutare la nostra nuova vita possiamo cercare di guardarla con occhi nuovi, provando a concentrarci su quanto ci può comunque offrire.
4. Fare ciò che ci fa stare meglio
A questo scopo, puoi provare ogni giorno a coltivare anche un piccolo spazio di tempo da dedicare a ciò che ti fa stare bene nel presente.
Non pensare a qualcosa di grandioso: scegli invece piccole azioni che possono darti sensazioni ed emozioni positive in cambio di uno sforzo minimo.
Concediti un bagno caldo, abbraccia una persona cara, ascolta la tua canzone preferita.
Anche qui, trova il tuo modo per fare esperienza di emozioni positive, da poter affiancare a quelle negative che provi. Facendo un piccolo passo dopo l’altro, potrà essere meno ripida la salita verso il superamento del tuo lutto.
5. Creare una nuova routine
Provare da subito a dare un ritmo regolare alle giornate può essere d’aiuto per superare un lutto.
Per quanto difficile, cerca di curare il tuo sonno, l’igiene personale e l’alimentazione.
Per invogliarti, puoi provare ad utilizzare i tuoi prodotti preferiti, come se fossero delle piccole coccole che ti concedi.
L’importanza di questi comportamenti apparentemente semplici, sta nel condurti gradualmente a ritrovare delle abitudini positive in grado di ancorarti al momento presente.
6. Nuotare nei ricordi senza affogarci dentro
Prova a pensare che quello che stai provando sia come un mare in tempesta: non puoi negare che ci siano le onde, puoi però imparare a nuotarci dentro senza affogare.
I ricordi possono aiutarti ad accettare che a tutto quello che succede possiamo dare un senso nuovo.
Cerca di stringere forte a te questi ricordi e pensare che niente e nessuno potrà mai portarteli via.
Puoi cercare di aiutarti con semplici azioni concrete: ad esempio, puoi provare a raccogliere le fotografie della persona cara che hai perduto e riorganizzarle in un album da tenere con te, che potrai guardare ogni sera.
Oppure potresti scrivere ogni giorno una o più pagine di un diario sulla tua perdita, per esprimere quello che provi ogni volta che ne sentirai la necessità.
Ad alcune persone aiuta, dopo aver vissuto una perdita, cercare “una nuova alba”: ad esempio impegnarsi per trovare un nuovo lavoro o iniziare a fare volontariato per dedicarsi agli altri.
Ognuno di noi ha i suoi modi e i suoi tempi per superare un lutto e ritrovare il proprio equilibrio.
Se non dovessi riuscire ad andare avanti dopo un lutto o sentissi il bisogno di parlare con uno specialista, non esitare a chiedere aiuto: ogni Martedì dalle 18:00 alle 20:00 gli psicologi del team “One session” sono a tua disposizione per una sessione gratuita di consulenza psicologica a seduta singola di 30 Minuti.
Per maggiori informazioni, puoi inviare una email a info@onesession.it o visitare la nostra pagina FB OneSession.it
BIBLIOGRAFIA
Aragno, B., e Maggi, M. (2020). Parole e gesti per dire addio. Strategie e strumenti operativi per sostenere bambini, adolescenti e adulti di fronte a una perdita o un lutto. Milano: Franco Angeli Edizioni.
Oliverio Ferraris, A. (2003). La forza d’animo. Milano: Rizzoli.
Nardone, G., e Selekman, M. D. (2011). Uscire dalla trappola. Milano: Ponte delle Grazie.
Sono una Psicologa iscritta all’Albo A degli Psicologi del Lazio e all’Istituto ICNOS: Scuola di Psicoterapie Brevi Sistemico-Strategiche.
Nel mio lavoro integro le mie competenze multidisciplinari per offrire ai miei clienti soluzioni personalizzate ed aiutarli a raggiungere i propri obiettivi in tempi brevi. Utilizzo la TSS per ottenere il massimo da ogni singolo incontro.
I tre meccanismi della depressione: lamentela, rinuncia, delega
Come già abbiamo visto nel precedente articolo lo stato depressivo appare di frequente caratterizzato da alcuni fattori che hanno la peculiarità di mantenere vivo il nostro disagio.
Potremmo pertanto parlare delle tre soluzioni disfunzionali “regine” della depressione.
Lamentela, rinuncia e delega.
Ma cosa sono le tentate soluzioni disfunzionali?
Sono la chiave di volta del problema. La chiave di volta, sistema inventato dagli antichi Etruschi, è la pietra che posta al vertice dell’arco mantiene tutte le altre pietre, senza bisogno di alcun collante ma soltanto sfruttando la forza di gravità. Senza quella piccola pietra, l’intero arco crollerebbe.
L’espressione tentata soluzione è stata introdotta dai ricercatori del Mental Research Institute di Palo Alto che fondarono il Brief Therapy Center che aveva l’intento di avviare un progetto di studio focalizzato sulla possibilità di produrre significativi cambiamenti clinici, in soggetti interessati da alterazioni psicologiche, in un massimo di dieci sedute.
Si tratta di quanto mettiamo in atto per affrontare il problema che ci riguarda e che viviamo con difficoltà. Comportamenti, emozioni, cognizioni, risposte somatiche.
Le soluzioni disfunzionali sono il cuore pulsante della psicoterapia strategica che non si focalizza sulle cause del problema bensì sulle soluzioni agite per risolverlo. I problemi, secondo la logica strategica, sono meccanismi complessi il cui funzionamento non presenta un nesso di causalità scontato con ciò che li ha generati.
Il bersaglio del lavoro psicoterapico sarà quella pietra, in apparenza piccola ma che mantiene in equilibrio l’intero sistema. Uno dei compiti del terapeuta strategico sarà quello di individuare la pietra e accompagnare la persona nel percorso di riconoscimento e smantellamento del meccanismo.
Henry Ford, imprenditore americano, tra i fondatori del celebre marchio Ford, affermava “ Non trovare la colpa. Trova il rimedio”. Un mantra da tenere a mente perché capace di rovesciare completamente la visione classica che abbiamo di un problema.
Come funzionano?
Le tentate soluzioni disfunzionali sono il modo attraverso cui il soggetto costruisce la propria realtà. Rispondere cioè a un disagio, a un problema con agiti o pensieri che si ripetono e che però non allontanano quel problema bensì lo mantengono.
Pensiamo ad un uccellino che inavvertitamente entra in casa (vivo in campagna e questa situazione l’ho vissuta molte volte!). Quell’uccellino cercherà di uscire dirigendosi sempre verso il punto da cui è entrato, magari una finestra. Tenterà più e più volte, ferendosi ma ostinatamente continuando a puntare a quella finestra. Potrai aprirgli la porta o un’altra via d’uscita ma invano. Solitamente l’avventura finisce accompagnando l’uccellino verso il punto che gli permetterà di riprendere il suo volo in libertà.
Perché l’uccellino punta sempre a quella finestra?
Perché noi valutiamo sempre e solo quell’unica possibilità?
Forse quelle sono le situazioni che ci danno sicurezza, le uniche che conosciamo. Quelle che abbiamo già sperimentato e ci hanno portato alla soluzione, ma sappiamo bene che una stessa chiave non può aprire tutte le serrature.
La psicoterapia punterà all’acquisizione di nuovi strumenti che consentiranno di aprire nuovi scenari e valutare nuove possibilità.
Lamentarsi
Significa trasferire ad altri ciò che ci fa stare male, cercando in chi ci ascolta accoglienza e comprensione. Ravviviamo in questo modo tutte le sensazioni legate al nostro disagio, nutrendole e arricchendole di nuovi punti di forza. In più inneschiamo un meccanismo secondo cui il sostegno altrui è presente perché non siamo in grado di fare da soli e questo aumenterà il nostro senso di frustrazione.
Il contrario della lamentela è il tacere, il tenersi dentro le emozioni e le sensazioni ma poiché in medio stat virtus, si lavorerà per cercare di rendere questa tentata soluzione non più un eccesso dietro cui si cela un difetto.
Rinunciare
Significa alzare bandiera bianca quando la battaglia è stata solo annunciata. Parafrasando Nelson Mandela, rinunciando non saremo più quei sognatori che non si sono arresi. La rinuncia può apparire come una strada semplice da percorrere ma in realtà è la più irta di ostacoli perché comporta l’astensione da tutto quanto rappresenta un piacere o uno svago. La rinuncia è l’ombrello che ci tiene al riparo dall’acquazzone, facendoci perdere il gusto di imparare a ballare sotto la pioggia.
Delegare
Significa rinunciare a fare e chiedere ad altri di farlo per noi. Questa soluzione racchiude in sé sia la lamentela che la rinuncia ed è un modo per sentirci tranquilli e protetti nel nostro nido mentre gli altri si espongono al nostro posto. Il messaggio è non sono capace!
Come può esserti d’aiuto la Terapia Breve?
Ti sei riconosciuto in uno dei tre meccanismi descritti?
Pensi di aver appeso le scarpette al chiodo e di aver chiuso con il gioco per paura di perdere la partita?
Innanzitutto vorrei precisare che lamentarsi, rinunciare e delegare sono meccanismi che si innescano in modo quasi automatico nel momento in cui viviamo una situazione di malessere e di abbattimento.
Poter contare sugli altri ci rassicura e ci tiene al riparo dall’investire su noi stessi e sulle nostre capacità.
A parole sembra facile, ma nei fatti?
Potresti cominciare a riconoscere la presenza di uno di questi tre fattori nella tua storia, perché avere la consapevolezza significa iniziare a tracciare un percorso che non deve essere fatto di mete lontane ma di luoghi vicini da visitare.
La logica dei piccoli passi può accompagnare la consapevolezza e guidarti verso piccoli obiettivi da fissare e raggiungere ogni giorno.
“Abbandona le grandi strade, prendi i sentieri”, diceva Aristotele.
Se ti rendi conto di aver bisogno di rivolgerti ad un professionista, non esitare a farlo così costruirai un nuovo arco scegliendo con cura la tua pietra portante!
Ogni martedì dalle 18.00 alle 20.00, i terapeuti del nostro team One Session si rendono disponibili per degli incontri online gratuiti utilizzando la Terapia a Seduta Singola. Contattaci per maggiori inviando una email a info@onesession.it oppure visita la nostra pagina Fb OneSession.it
Bibliografia
Lowen A. (1980) – La depressione e il corpo – Roma: Astrolabio Ubaldini
Leonardi F. (2018) – La psicoterapia tra miti e realtà–Roma: Armando Editore
Psicologa, Mediatrice Familiare, Esperta in Scienze Forensi
La depressione post partum: vergognarsi di non essere felici
Cos’è la depressione post partum?
La depressione post partum esordisce genericamente tra la 6° e la 12° settimana dopo la nascita del figlio. La neomamma comincia, immotivatamente, a sentirsi giù di morale, irritabile, facile al pianto. Per tutti questi motivi sente di non essere all’altezza del suo nuovo ruolo di mamma, vergognandosi per non provare la gioia di aver messo al mondo un bambino; gioia che nelle altre mamme che conosce sembra essere scontata.
E così è molto frequente che chi soffre di depressione post partum lo faccia in silenzio, per non mostrarsi debole. Queste mamme non sono inclini a chiedere aiuto, proprio per evitare un giudizio negativo nei loro confronti e sentirsi dei genitori incapaci.
La depressione post partum non è in realtà così rara: si stima che colpisca dal 7 al 12% delle neomamme. I sintomi principali sono quelli della depressione, nello specifico:
- Umore depresso per la maggior parte del tempo
- Disinteresse per le varie attività
- Difficoltà del sonno
- Fatica e perdita di energie
- Diminuita attenzione e concentrazione
- Sensi di colpa
a cui si aggiunge una mancata connessione emotiva con il bambino. La mamma interagirà poco con lui e di conseguenza non darà il via allo sviluppo di un buon legame di attaccamento.
Depressione post partum e baby blues: quali differenze?
La depressione post partum non è da confondere con un’altra condizione, il cosiddetto baby blues, un disturbo di lieve entità che colpisce fino il 70% delle neomamme.
Il baby blues è caratterizzato da una sensazione di malinconia, tristezza, inquietudine, che generalmente si manifesta nei primi 3 -4 giorni dopo il parto e si protrae per circa 15 giorni. L’insorgere di queste sensazioni è di tipo fisiologico, da attribuire al drastico cambiamento ormonale successivo al parto e alla stanchezza fisica e mentale derivate dal travaglio.
I miti della maternità
La paura di sviluppare una depressione post partum può spaventare molto le future madri e una serie di false credenze sulla maternità e sull’essere genitori può contribuire ad aggravare il senso di inadeguatezza di chi vive questa situazione.
Queste credenze riguardano l’istinto materno e la naturalezza di essere genitori. È sì vero che alcuni processi legati alla gravidanza avvengono in modo spontaneo e naturale, ma questo non vale per tutti i comportamenti legati alla maternità.
Diventare genitori dà e toglie, ed è normale che a volte ci si possa sentire limitati dalla maternità o che alcuni comportamenti non avvengano spontaneamente.
Superare la depressione post partum in tempi brevi
Il primo passo per uscire dalla depressione post partum è quello di prendere la situazione in mano e chiedere aiuto, senza la paura di venire giudicata come una cattiva madre; abbiamo visto che questa problematica è più frequente di quanto si pensi e che genitori non si nasce, ma si diventa.
Grazie all’aiuto di professionisti formati in Terapia a Seduta Singola, già dal primo incontro si potranno indagare e sbloccare le risorse della neomamma, indirizzandole verso il raggiungimento di un maggior benessere, per lei e per il figlio.
Se sei interessata alla Terapia a Seduta Singola, puoi rivolgerti ai nostri psicologi e psicoterapeuti, disponibili ogni martedì, per un periodo limitato, dalle 18.00 alle 20.00, per una consulenza gratuita online.
Bibliografia
Cannistrà, F. Piccirilli (2018), Terapia a Seduta Singola. Principi e pratiche. Giunti Psychometrics
https://www.psychologytoday.com/us/blog/tech-support/201502/mothers-love-myths-misconceptions-and-truths
Il mio lavoro è orientato al futuro e alla valorizzazione delle risorse delle persone che si rivolgono a me, in ottica di totale collaborazione.
Il buio dell’anima: la depressione
Molto spesso utilizziamo il termine depressione per definire tutto ciò che ci fa sentire tristi, giù di tono, col morale a pezzi, malinconici. Sia che si tratti di comportamenti che di pensieri. Dimentichiamo però che per poter parlare di depressione bisogna seguire determinati criteri diagnostici.
“Male oscuro”, mostro, “male del secolo”, questi sono alcuni dei termini popolari utilizzati per riassumere e definire ciò che accade:
- Malessere diffuso;
- Evitamento di situazioni di socialità;
- Apatia;
- Insonnia;
- Inappetenza;
- Incapacità a provare piacere.
Sintomi che possiamo riconoscere in molte situazioni che ci vedono impegnati in momenti di sofferenza o forte stress.
“La depressione è un’epidemia di portata mondiale. Nel 2020, secondo le stime dell’O.M.S., la depressione sarà la più diffusa malattia del pianeta. Personalmente credo che la maggior parte delle depressioni abbia le sue radici nella solitudine, ma la comunità medica preferisce parlare di depressione piuttosto che di solitudine. È più facile liberarci del problema dando una diagnosi e una scatola di farmaci”.
Questo pensiero di Patch Adams, medico attivista e scrittore statunitense fondatore della clownterapia ospedaliera, racchiude l’abuso e la leggerezza con i quali viene utilizzato il termine depressione e soprattutto la trascuratezza nel prevedere le conseguenze che si determinano nella società in quanto si insinua il pensiero, pericoloso e falso, che la depressione può portare a commettere i gravi fatti spesso riportati dalla cronaca.
Ne consegue così diffidenza verso i soggetti realmente afflitti da tale patologia.
Paura e pregiudizio sono infatti i principali nemici di questa malattia. Anche la medicina può rivelarsi nemica nel momento in cui cerca di inibire la sofferenza, trascurando che essa fa parte della nostra natura.
Come funziona?
La depressione appare sempre più frequentemente come conseguenza di eventi madre (lutto, separazione, perdita del lavoro, tradimento etc.), che si sceglie di curare chiudendosi in se stessi e attivando un sistema di difesa e allarme dal mondo esterno cui non deve essere dato sapere del nostro fallimento.
Talvolta il momento di calo serve a raccogliere le idee e a trovare nuove strategie per fronteggiare il cambiamento che consegue la situazione di perdita, lutto o altro.
Un ricaricare le batterie per ripartire e vivere. Una primavera dell’anima che prepara corpo e mente ad una nuova stagione.
Quando però ciò non accade, il momento di calo può fortificarsi e cristallizzare lo stato d’animo in una condizione di:
- Abbattimento;
- Prostrazione fisica e psichica;
- Pessimismo;
- Distacco dagli interessi abituali;
- Svalutazione delle proprie capacità e abilità;
- Immobilità fisica, psichica e sociale.
Tali condizioni possono divenire invalidanti e condurre la persona ad uno stato di depressione grave.
Laddove poi è carente la capacità di costruire e coltivare sane relazioni interpersonali e col mondo esterno, l’isolamento altro non farà che acutizzare una situazione già precaria e sofferente.
Non si riuscirà a utilizzare lenti nuove per leggere la realtà e questo porterà a demoralizzarsi e a sentirsi vittime di ingiustizia e ingratitudine da parte del mondo e degli altri.
Lo stato depressivo appare dunque caratterizzato da quattro ingredienti fondamentali: la rinuncia, la rabbia, il vittimismo e l’affidare ad altri o ad altro le nostre responsabilità.
L’evento madre non sempre si riferisce però ad un trauma psichico ma può anche riguardare la impossibilità di raggiungere un obiettivo prefissato, l’incapacità di risolvere un problema o la delusione rispetto ad aspettative su persone o fatti che sono in relazione con noi.
Come può essere d’aiuto la terapia breve?
Cosa stai facendo? Che strategia stai mettendo in atto?
Il primo passo è quello di aiutare la persona a individuare i comportamenti che sta agendo per affrontare il problema, in modo da comprendere se si tratta di un comportamento che peggiora invece di migliorare la situazione. Si lavora pertanto su ciò che lo stato depressivo comporta, manifestandosi attraverso atteggiamenti, comportamenti, agiti e pensieri.
Se la persona sta mettendo in atto una rinuncia o un affidare ad altri le proprie responsabilità, si cercherà in maniera graduale di riabituarla a prendere in mano la situazione, lasciando andare la paura di non farcela. Un pezzo alla volta per ricomporre il puzzle della propria vita.
Se a prevalere sono la rabbia o il vittimismo, si lavorerà per guidare la persona ad accogliere queste emozioni e canalizzarle in maniera funzionale, affinchè diventino risorse costruttive.
Gli obiettivi sono:
- riattivare la persona, utilizzando e puntando i riflettori su tutto quanto è dentro la persona stessa o intorno a lei, comprese le persone (familiari, amici, partner…);
- de-vittimizzare la persona, mostrandole le rinunce messe in atto, come comportamento che rafforza lo stato depressivo.
Depressione ai tempi del COVID
Il momento storico che stiamo vivendo, l’era Covid, sta vedendo crescere i bisogni legati alla salute mentale. Si registra una crescita di disturbi legati a stress e depressione conseguenti alle solitudini generate dal lockdown e dal post lockdown:
- solitudine lavorativa;
- solitudine sociale;
- solitudine economica;
- solitudine relazionale.
Tutto ciò è una normale risposta umana ad una crisi così grave che ha generato disordine e angoscia. Una crisi che ci impone cambiamenti in molteplici aspetti della nostra vita. Una crisi che ci richiama alla flessibilità e all’adattamento che normalmente caratterizzano l’essere umano.
Nell’opera “I Guermantes” del 1920, Marcel Proust ci ricorda che: “La sofferenza è una specie di bisogno dell’organismo di prendere coscienza di uno stato nuovo”.
Bibliografia
Lowen A. (1980) – La depressione e il corpo – Astrolabio Ubaldini
Nardone G. (2013) – Psicotrappole – Ponte delle grazie
Osho (2017) – Ricominciare da sé – Mondadori
Psicologa, Mediatrice Familiare, Esperta in Scienze Forensi