L’arrivo di un figlio: mantenere gli equilibri
L’arrivo di un figlio è uno degli eventi più trasformativi nella vita di una persona, di una coppia e della famiglia in generale. Ogni nascita porta con sé un cambiamento profondo negli equilibri, nelle dinamiche relazionali e nei ruoli. Il nuovo assetto familiare infatti deve necessariamente adattarsi alle esigenze primarie del neonato e anche queste si modificano nel giro di pochi mesi e nei primi anni di vita. La coppia deve imparare a conoscere il bambino, i suoi bisogni e il modo in cui li esprime. Allo stesso tempo ciascuno dei due genitori deve ri-conoscere se stesso nel suo nuovo ruolo di caregiver ed educativo, il più delle volte senza avere già le competenze nel suo bagaglio di esperienze.
I genitori di oggi infatti arrivano all’evento della nascita molto spesso preparati su ogni dettaglio del parto, dell’allattamento e dello svezzamento. Seguono corsi preparto e leggono libri su come riconoscere il pianto del neonato. Si informano sulle tipologie di culla e di seggiolini e acquistano accessori per la preparazione di pappe naturali e per rendere il bagnetto un’esperienza rilassante per il bambino.
Tuttavia ben presto si scontreranno con una realtà ben più complessa di quella che avevano immaginato. La giornata sarà scandita dai ritmi di sonno-veglia del bambino, la mancanza di sonno e la stanchezza spesso comportano sbalzi di umore e l’imprevisto sarà all’ordine del giorno nell’organizzazione delle attività che una volta erano gestite con estrema facilità. Questi e altri cambiamenti concreti nella vita familiare impattano molto non solo sull’organizzazione di questa ma anche a un livello più profondo. A livello psicologico entrano in gioco aspetti emotivi e affettivi ma anche una riorganizzazione dei significati che genitori e coppie attribuiscono alla loro vita, al concetto di famiglia e ai ruoli genitoriali.
La nascita come riorganizzazione di significati
Secondo la prospettiva costruttivista, ogni genitore sviluppa una propria “griglia” di significati con cui interpreta il mondo. Quando nasce un figlio, queste griglie vengono messe alla prova. Per esempio, un padre o una madre possono trovarsi a rivedere ciò che pensavano su cosa significhi essere un genitore o su come dovrebbero comportarsi nel loro nuovo ruolo. In questo entrano in gioco anche le aspettative culturali e sociali e molte delle credenze con cui il genitore arriva al suo nuovo ruolo possono cozzare con la realtà con cui si scontra. È importante affrontare questi cambiamenti con apertura e flessibilità, evitando di irrigidirsi su schemi di pensiero che potrebbero non essere più funzionali.
Il mantenimento dell’equilibrio passa attraverso il dialogo aperto, la flessibilità e l’adattamento. Entrambi i partner devono essere pronti a ridefinire le proprie aspettative e a negoziare nuove modalità di interazione che riflettano la presenza del figlio. Questo processo non è solo individuale, ma anche collettivo: la coppia costruisce insieme nuovi significati e nuove narrazioni della loro vita condivisa e ciascuno deve imparare anche a conoscere il partner nel nuovo ruolo di genitore.
Il ruolo della famiglia allargata
Un altro punto importante da tenere in considerazione è che l’arrivo di un figlio non impatta solo sui genitori, ma sull’intero sistema familiare. D’improvviso le famiglie d’origine della coppia
genitoriale rivestono un ruolo diverso per loro e nella crescita dei figli. A volte si acuiscono delle dinamiche conflittuali che erano latenti, altre volte l’arrivo del bambino fa sì che si appianino le divergenze. La nascita di un bambino crea nuove dinamiche tra i membri della famiglia, e queste dinamiche devono essere osservate e comprese per mantenere l’equilibrio.
Una delle idee centrali dell’approccio sistemico è che ogni cambiamento in un membro del sistema influenzi l’intero sistema. Per esempio, le interferenze degli altri nell’educazione dei bambini possono influire sulla vita di coppia. E’ importante che i genitori mantengano i confini e i ruoli ben definiti. E’ fondamentale che i genitori affermino il proprio ruolo e la propria autorità genitoriale in modo chiaro e rispettoso. Dovranno stabilire limiti sani con le figure esterne, come i nonni, per proteggere l’equilibrio familiare. Sebbene il supporto dei nonni possa essere prezioso, è essenziale che i genitori restino i principali decisori riguardo l’educazione e la gestione del bambino. Questa protezione dei confini non riguarda tanto l’esclusione, quanto la creazione di uno spazio sicuro in cui i genitori possano sviluppare il proprio stile educativo senza interferenze o pressioni.
Strategie efficaci per gestire il cambiamento
La terapia strategica suggerisce che la chiave per mantenere l’equilibrio non sia evitare il cambiamento, ma gestirlo con soluzioni concrete e funzionali. Uno degli strumenti della terapia strategica è la capacità di individuare i “tentativi di soluzione disfunzionali”. Sono strategie che, pur essendo messe in atto per risolvere un problema, finiscono per mantenerlo o peggiorarlo. Ad esempio, uno dei problemi più comuni dopo la nascita di un figlio è lo sbilanciamento dei ruoli all’interno della coppia, dove uno dei due partner si sente sovraccaricato mentre l’altro potrebbe sentirsi escluso.
In questi casi, è bene incoraggiare l’individuazione di soluzioni alternative che interrompano il ciclo disfunzionale. Una soluzione può essere il delegare le responsabilità, creare momenti di condivisione della genitorialità. Ancora, ridefinire i ruoli all’interno della coppia in modo più equilibrato. L’importante è che la coppia non si fermi su schemi che non funzionano, ma sperimenti nuove modalità di interazione.
Come mantenere l’equilibrio
Mantenere gli equilibri con l’arrivo di un figlio richiede una combinazione di flessibilità, comunicazione aperta e collaborazione. I genitori devono essere pronti a rinegoziare continuamente i loro ruoli, a comunicare i propri bisogni in modo chiaro e a collaborare per trovare soluzioni che funzionino per tutti.
In definitiva, il segreto per mantenere gli equilibri di fronte a un evento così trasformativo sta nella capacità di adattarsi al cambiamento, senza temerlo. Sta nella volontà di costruire insieme una nuova realtà familiare, fatta di collaborazione, dialogo e comprensione reciproca.
Se anche tu stai affrontando la nascita di un figlio e pensi di non riuscire a gestire da solo questo cambiamento i professionisti di One Session sono pronti ad affiancarti in questa fase (clicca qui)
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Nardone, G. (2012). Aiutare i genitori ad aiutare i figli. Ponte alle Grazie.
Nardone, G., Giannotti, E., & Rocchi, R. (2012). Modelli di famiglia. Ponte alle Grazie.
Roth Ledley, D. (2012). Il mio primo anno da mamma. Italia: Erickson.
Thomas, G. (1994). Genitori efficaci. Ed. La Meridiana.
Psicologa clinica, mi occupo in particolare di età evolutiva e sostegno alla genitorialità.
Come cambia la coppia dopo l’arrivo di un figlio?
Cambiamento
La transizione, come sempre, porta con sé una crisi. Tale crisi non è necessariamente sinonimo di problema o di patologia. Ma è sinonimo di cambiamento. E il cambiamento, quasi sempre, implica possibilità e rischi.
La nascita di un figlio crea una nuova condizione psicologica. Questa, inevitabilmente, coinvolge il singolo ma anche la coppia.
Mamma e papà vivono in modo individuale l’evento e si preparano già durante la gravidanza a diventare genitori.
In questo periodo di progressivo adattamento la coppia comincia a modificarsi ma è nel momento della nascita che tutto cambia in modo “ufficiale”.
Ciò che era pensato ora diventa concreto.
L’arrivo di un figlio in ogni caso è un momento stressante, non in senso negativo ma come descrizione di un periodo di transizione che inevitabilmente crea fatiche e potenziali rischi.
Durante i primi mesi l’equilibrio fra i partner si modifica. La diade madre-bambino si innesta significativamente fra la coppia poiché il neonato richiede un forte impegno (allattamento, ritmo sonno-veglia).
La fatica sperimentata a livello fisico e psicologico può portare ad un umore negativo, tristezza e irritabilità.
Durante questa fase il rischio è che il padre avverta una distanza sempre maggiore dalla coppia e dalla compagna e dal figlio con il rischio di un isolamento familiare.
Il tempo libero che prima veniva condiviso dalla coppia si modifica per dare spazio al figlio oppure al riposo. Dunque in modo drastico vengono ridotti i momenti di piacere e svago.
Da un punto di vista organizzativo tutto cambia, i tempi del neonato non sono i tempi della coppia. Questo genera una sensazione di “perdita di controllo sulla propria vita” e dispercezione dei carichi di lavoro e impegno profuso.
Queste fatiche possono generare potenziale conflittualità all’interno della coppia e una diminuzione di dialogo e complicità.
In alcuni casi avere le famiglie di origine distanti e non poter contare su un aiuto esterno rende tutto molto più complesso e si sperimenta la solitudine.
Infine le coppie sono talvolta vittime di una società che rimanda l’idea che i neogenitori siano prestanti, reperibili al lavoro nell’immediatezza, avere un’abitazione sempre ordinata ed accogliente per ospiti.
Questa idea genera una pressione significativa che fa perdere il focus della coppia su ciò che è importante e prioritario ovvero cominciare a conoscere il “nuovo arrivato” e costruire con lui una relazione.
Fattori protettivi
Per essere più pronti come coppia prima del lieto evento bisogna avere-trovare un buon equilibrio.
È importante che i partner cerchino di adottare una visione realistica della loro futura vita a tre, Cercando di documentarsi.
E’ buona norma abbandonare una visione unicamente romantica di quella che sarà la loro vita futura prendendo in considerazioni più variabili.
E’ utile, ad esempio, riorganizzare la nuova distribuzione dei compiti, in considerazione dei nuovi impegni a cui ciascuno inevitabilmente andrà incontro.
Così, in una coppia ognuno darà il suo contributo in modo particolare sui compiti domestici. Ognuno dovrà fornire la propria collaborazione per cercare di alleviare la fatica iniziale, soprattutto nei primi anni.
E’ importantissimo lasciarsi uno spazio di dialogo affinché il confronto sia continuo anche nei momenti più duri. Il rischio è quello di sentirsi sempre più distanti, con l’inevitabile accumulo di gelosie e possibili rancori.
Strategie
- Impegnarsi a trovare del tempo per la coppia.
La coppia dovrebbe vivere questo spazio come un appuntamento (quotidiano, settimanale ecc.) irrinunciabile da pianificare a tutti i costi.
- Perdonarsi per le proprie paure.
Avere paura di mettere al mondo un figlio e di accudirlo è la cosa più normale del mondo. Non c’è nulla di patologico nell’avere paura, essa ci serve per mettere in campo tutte le nostre risorse per svolgere al meglio i compiti difficili. Serve per muoverci con cautela e prestare la giusta attenzione su ciò che stiamo facendo.
- Chiedere aiuto
Quando il peso dei problemi e delle difficoltà quotidiane diventa insostenibile è bene allentare la tensione e lasciarsi aiutare. Chiedere aiuto non deve rappresentare una sorta di fallimento. In altri casi la coppia può temere di essere di peso se chiede aiuto e così facendo si priva della possibilità di scoprire che a volte genitori, amici e parenti sono ben contenti di rendersi utili.
- Incoraggiarsi a vicenda sostenendosi nelle fatiche del quotidiano, utilizzare un linguaggio positivo e propositivo.
- Allenare la socialità e le relazioni esterne.
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Riferimenti bibliografici
https://www.guidapsicologi.it/articoli/equilibri-di-coppia-dopo-la-nascita-di-un-figlio (consultato in data 17/11/2023)
https://www.mammasuperhero.com/il-rapporto-di-coppia-dopo-un-figlio-cosa-fare-e-cosa-evitare/ (consultato in data 17/11/2023)
https://www.parentube.it/blog/diventare-genitori/coppia-figlio/ (consultato in data 17/11/2023)
Psicologa & Psicoterapeuta in formazione. Specializzata in Potenziamento Cognitivo e Psicologia Scolastica. Ordine degli Psicologi della Lombardia n.03/13262
Genitori iperprotettivi: quali rischi?
I genitori iperprotettivi vogliono proteggere e prevenire qualsiasi forma di male, dolore e infelicità ai figli.
Potrebbe sembrare un nobile proposito, spinto dall’amore incondizionato per essi, ma dietro a questo si celano risvolti negativi.
Questo eccesso di premura porta infatti i genitori a soccorrere i figli dalle brutte esperienze, dai fallimenti, dal rifiuto dei pari e da qualsiasi forma di delusione. Inoltre, essendo molto attenti a ogni pericolo o rischio che può verificarsi nella vita dei figli, anticipano ogni eventuale difficoltà.
Visto da fuori, un genitore iperprotettivo non è un “cattivo” genitore, anzi i suoi modi sono accoglienti e premurosi. Cercando di rendere la vita più facile al figlio, interviene al primo ostacolo eliminando ogni problema che esso incontra lungo il percorso di crescita. Questo può portare anche a sostituirsi al figlio o addirittura a fare le cose più sgradevoli al posto suo.
Dietro alle cure eccessive del genitore iperprotettivo si nasconde la convinzione che il figlio non possa farcela da solo. Il genitore percepisce come vulnerabile il bambino/ragazzo e finisce per trasmettere questa insicurezza anche al figlio. Spesso questi genitori bilanciano uno scarso senso di controllo delle difficoltà genitoriali con strategie di iper-controllo.
Questa percezione del figlio come fragile impedisce inoltre al genitore di essere autorevole nei suoi confronti, per cui trova improprio punirlo, stabilire delle regole e mantenerle.
Questi genitori hanno la tendenza a giustificare sempre il figlio anche di fronte agli altri e talvolta anche di fronte a comportamenti scorretti. Questi genitori investono molte energie e impegno per il successo del figlio, perché questo qualifica l’immagine del genitore stesso.
I genitori iperprotettivi rappresentano un modello genitoriale dominante nella società italiana degli ultimi anni (Nardone et al. 2012), sebbene la vita attuale appaia molto più sicura di quanto non sia stata in passato.
Tratti distintivi del genitore iperprotettivo
Le preoccupazioni dei genitori iperprotettivi possono riguardare qualsiasi aspetto della vita del figlio: la salute, l’aspetto estetico, l’alimentazione, così come l’istruzione, l’attività sportiva o le amicizie. Ciò che non è direttamente controllabile da loro viene indagato attraverso molte domande rivolte al figlio su cosa fa fuori casa, chi frequenta, come si relazionano gli altri con lui, ecc.
In base all’età dei figli questi genitori possono mettere in atto diversi comportamenti.
In età prescolare tenderanno ad esempio a limitarne l’esplorazione temendo che possano farsi male, oppure accorrono immediatamente dopo una semplice caduta senza danni.
Con i figli in età scolare potrebbero preoccuparsi di organizzare loro lo zaino e i compiti da svolgere, oppure che il figlio sia vestito alla moda e abbia gli stessi giocattoli dei compagni.
In età adolescenziale infine, si assicurerebbe che il figlio sia all’altezza dello status symbol prevalente e per questo non gli farebbero mancare nulla, dal cellulare al motorino alla festa di compleanno nel locale più in.
Questi sono solo alcuni esempi, ma in linea generale i comportamenti dei genitori iperprotettivi seguono questo stile:
- Fa molte domande al figlio per sapere e avere pieno controllo della situazione;
- Di fronte a un problema del figlio cerca di risolverlo in prima persona e a volte se ne assume la responsabilità;
- Cerca di anticipare e prevenire le possibili difficoltà a cui può andare incontro il figlio;
- E’ molto coinvolto nella vita scolastica o sportiva del figlio;
- Limita la sua libertà ed esplorazione;
- Si preoccupa molto dell’immagine che il figlio può mostrare;
- Ricopre il figlio di attenzioni, beni e privilegi;
- Ha molta difficoltà a stabilire delle regole e a farle rispettare con punizioni e correzioni.
I rischi di uno stile iperprotettivo
La peggiore conseguenza dello stile genitoriale iperprotettivo è di crescere figli impreparati alla vita.
Soccorrendo sempre il figlio e gestendo la sua vita gli togliamo il bisogno di sperimentare il rischio e la possibilità di assumersi le responsabilità, perché c’è sempre qualcuno pronto a risolvere i problemi.
Ma c’è dell’altro. Sostituirsi a qualcuno equivale a trasmettere questo messaggio squalificante: “faccio tutto per te perché in fondo tu non sei capace”. Questo può sedimentare insicurezza nella personalità del futuro adulto. Quando un genitore mostra paura nei confronti di molte cose, il figlio a sua volta sarà eccessivamente timoroso e insicuro nell’affrontare il mondo.
Ci sono molti studi che mostrano una correlazione tra l’ipercontrollo parentale e l’insorgenza di disturbi d’ansia, disturbi fobici e ossessivi e sintomi depressivi (Thomasgard, 1998; Chockalingam et al, 2022).
Diffidenza verso gli altri, insicurezza, dipendenza dal sostegno dell’adulto, scarsa autostima e sfiducia sono altri possibili risvolti di questo stile genitoriale.
In adolescenza sono stati riscontrati sintomi somatici, comportamenti devianti e una tendenza a chiudersi o mentire ai genitori per sfuggire al loro ipercontrollo (Janssens et al, 2009).
C’è infine un altro rischio: non far mancare nulla al figlio può far passare l’idea che questi nella vita abbia diritto a tutto per il solo fatto di esistere, piuttosto che impegnarsi per raggiungere dei traguardi. Molti di questi figli finiscono per arrendersi senza combattere, demandando ai genitori le sfide evolutive della transizione all’età adulta.
Consigli per genitori iperprotettivi
Di fronte a tutti questi rischi ci si può chiedere: può il troppo amore fare così tanti danni? In fondo questi genitori sono così premurosi perché pensano di dimostrare in questo modo il loro amore per i figli. Ma come abbiamo visto, a fronte di un fine amorevole, i mezzi sono a discapito del figlio.
Ciò che possiamo fare se ci rendiamo conto di ricoprire di eccessive cure i nostri figli è innanzitutto immaginare che tipo di persona ci aspettiamo diventi un domani. E questo possiamo farlo già dalla tenera età.
Prima di elargire un ennesimo regalo non richiesto, prima di un mancato rimprovero o di un “pronto soccorso” al figlio, chiediamoci se questo comportamento può essere utile in un’ottica futura della sua crescita.
Altre piccole cose che possiamo fare:
- Di fronte a un pericolo, siediti vicino al bambino e spiegagli con calma perché quello che sta facendo è pericoloso. Reazioni esagerate non porterebbero a risultati migliori;
- Informati sulle capacità tipiche dell’età di tuo figlio: se a quell’età può già conquistare autonomia nel fare qualcosa, abbi pazienza che impari a farlo da solo e non sostituirti a lui/lei nel farlo;
- Quando tuo figlio si fa male, conta fino a 10 per vedere come reagisce lui prima di precipitarti;
- Di fronte a una difficoltà, chiedi prima a lui/lei come pensa di affrontarla e superarla;
- Piuttosto che riempire di domande tuo figlio per colmare il tuo bisogno di controllo, chiedigli cosa gli è piaciuto di più di quella giornata o cosa pensa di quella data situazione;
- Aspetta che sia tuo figlio a esprimere un bisogno prima di anticiparlo tu;
- Confrontati con genitori che hanno uno stile genitoriale più rilassato e autorevole.
Infine, ricordiamoci che è normale voler proteggere i nostri figli dalle brutte esperienze, ma avendo sempre presente che le difficoltà sono parte della vita.
Se pensi di non riuscire a gestire da solo questo aspetto dell’essere genitori puoi rivolgerti a un professionista del One Session Center.
Ogni Martedì dalle 18:00 alle 20:00 gli psicologi del team “One session” sono a tua disposizione per una sessione gratuita di consulenza psicologica a seduta singola di 30 minuti.
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Riferimenti bibliografici
Chockalingam, M., Skinner, K., Melvin, G., & Yap, M. B. (2022). Modifiable Parent Factors Associated with Child and Adolescent School Refusal: A Systematic Review. Child Psychiatry & Human Development, 1-17.
Janssens, K. A., Oldehinkel, A. J., & Rosmalen, J. G. (2009). Parental overprotection predicts the development of functional somatic symptoms in young adolescents. The Journal of pediatrics, 154(6), 918-923.
Nardone, G., Giannotti, E., & Rocchi, R. (2012). Modelli di famiglia. Ponte alle Grazie.
Thomas, G. (1994). Genitori efficaci. Ed. La Meridiana.
Thomasgard, M. (1998). Parental perceptions of child vulnerability, overprotection, and parental psychological characteristics. Child Psychiatry and Human Development, 28(4), 223-240.
Ungar, M. (2009). Overprotective parenting: Helping parents provide children the right amount of risk and responsibility. The American Journal of Family Therapy, 37(3), 258-271.
https://www.canr.msu.edu/news/overprotective_parenting_style (consultato in data 27/06/2022).
Psicologa clinica, mi occupo in particolare di età evolutiva e sostegno alla genitorialità.
Come superare la separazione dei propri genitori?
La separazione
Nel sistema famiglia possiamo individuare una conflittualità cosiddetta “normale”, caratteristica del ciclo evolutivo di un nucleo.
Una conflittualità che permette al sistema di muoversi ed evolversi verso nuove mete e nuove armonie. De Bono, nel 1993, definiva il conflitto “una situazione che richiede uno sforzo progettuale”.
Questa conflittualità fisiologica può degenerare nel momento in cui si presentano alla famiglia sfide o problemi complessi e meno scontati.
Si pensi ai comportamenti devianti in adolescenza, alla malattia, al lutto, ai problemi di dipendenza dal gioco, da droghe o da alcool.
Attraversare momenti critici o conflittuali accade a tutte le famiglie. Momenti ai quali si risponde con un riadattamento alla nuova situazione o ai nuovi ruoli.
La conflittualità coniugale è uno di questi eventi che mette in crisi l’intero sistema familiare, tenendo in ostaggio i figli dal punto di vista emotivo e relazionale.
Le relazioni possono renderci incredibilmente felici o profondamente infelici.
Esse richiedono negoziazione, compromesso, accettazione delle differenze, comunicazione.
La separazione è una risposta ipotizzabile alle relazioni infelici e caratterizzate da conflitti profondi e complessi da affrontare.
Si tratta di un evento non improvviso ma risultato di un processo più o meno lungo, che vede il deterioramento di sentimenti e rapporti.
La differenza tra chi resta insieme e chi sceglie di separarsi, in situazioni di analoga conflittualità, può talvolta essere nella modalità con cui il conflitto viene affrontato.
Ovviamente questo esclude problemi oggettivamente insanabili, come ad esempio la violenza.
Se affrontato e gestito correttamente, il conflitto può portare crescita e cambiamento. La crescita significa, assunzione di responsabilità, scelta del dialogo e del confronto.
La famiglia scandisce le diverse fasi della nostra vita, attraverso esperienze ed eventi che si imprimono nella memoria di ciascuno.
La separazione rappresenta una frattura in questi tempi. Frattura che costringe inevitabilmente ad un cambio di passo, ridisegnando individui e relazioni.
Essere figli nel conflitto
Si discute da sempre delle conseguenze della separazione dei coniugi sui figli.
È innegabile che il dissolversi del legame di coppia non sia indolore per i figli ma allo stesso tempo non siamo in presenza di una tragedia senza rimedio.
Il punto della questione è anche nella trasformazione dei costumi e dei valori.
Il tema famiglia infatti ha molteplici implicazioni sociologiche, psicologiche, giuridiche, religiose, etiche.
Di fatto la fine della coppia muove un cambiamento dei punti di riferimento di bambini o giovani.
Cambiamento che può provocare in loro incertezza, paura di perdere uno o entrambi i genitori.
Timori spesso alimentati anche dalla scarsa attenzione da parte degli adulti, concentrati sui loro problemi e dinamiche.
Separazioni e divorzi sono diventati ormai sempre più frequenti.
L’esperienza in tal senso dimostra che il disagio è passeggero se mamma e papà riescono a venir fuori dal vortice del conflitto e a tenere presente l’importanza della genitorialità che continua anche se il legame coniugale si è spezzato.
In caso contrario il disagio si cronicizza quando l’ex coppia trascina i figli nelle conflittualità, caratteristiche del momento della separazione.
Accettare che si è, nonostante tutto, genitori significa mettere in discussione atteggiamenti, scelte, comportamenti.
Significa rivedere o superare dei meccanismi di adattamento alla realtà consolidati, ma ormai inutili in questa nuova fase.
L’accettazione comporta un lavoro mentale intenso che talvolta modifica la propria identità, sia come genitore che come persona.
Non tutti potrebbero essere disposti a rivedere il proprio “copione”.
Non tutti potrebbero essere disposti a uscire dal meccanismo del senso di colpa o dell’attribuire la responsabilità all’altro.
La separazione è certamente un evento stressante e delicato in una storia familiare, in quanto comporta una riorganizzazione del percorso familiare.
Tale riorganizzazione dipenderà sia dalle risorse che dalle potenzialità di cui dispone ciascun singolo componente del gruppo famiglia.
La separazione è un processo evolutivo, dinamico che cambia le forme delle interazioni familiari, senza dissolverle (Cigoli, Gulotta, Santi, 1983).
Uno degli obiettivi del processo di rielaborazione di tale evento è proprio quello di conservare le interazioni familiari alla luce dei nuovi assetti.
Le difficoltà a creare nuovi equilibri sono da ricercarsi nella constatazione che la nascita di una coppia e la separazione di questa sono momenti nei quali entrano in gioco emozioni forti e potenti, complicate sia da riorganizzare che da accettare.
Quale aiuto dal percorso terapeutico?
La qualità della relazione tra ex coniugi influenza l’adattamento dei figli al nuovo scenario familiare.
La cooperazione, amichevole e spontanea avrà, nonostante i genitori siano in contrasto su altri aspetti, effetti positivi sui figli.
Il lavoro terapeutico deve essere improntato ad una gestione cooperativa del conflitto e ad una ridefinizione di ruoli e confini che consentirà una riorganizzazione emotiva, oltre che fisica.
Scelta per il futuro e apertura al cambiamento sono i due obiettivi essenziali a cui puntare per offrire ai figli l’opportunità di poter contare su entrambe le figure genitoriali.
Superare e integrare nel nuovo ciò che è accaduto.
La separazione è infatti allo stesso tempo, fine e inizio.
La principale paura dei figli, rispetto alla separazione e al divorzio, è pensare al futuro come ad un domani caratterizzato da angoscia e sospensione.
La sicurezza e le abitudini infatti sono venute a mancare. Se la separazione, prima e poi, viene preparata con attenzione tenendo conto degli aspetti sia educativi che relazionali di coinvolgimento dei figli allora potrà produrre effetti meno dolorosi.
La risposta ad un evento può fare una grande differenza e permettere ai figli di mantenere un legame significativo con entrambi i genitori.
Parlare e ascoltare, andando oltre le parole per evitare di chiudersi in dubbi e paure.
Un’adeguata e onesta comunicazione affettiva consentirà a genitori e figli di andare con serenità verso un nuovo stare insieme.
Consentirà inoltre agli ex coniugi di dare valore ai sentimenti dei figli, senza considerarli vittime o mezzo.
La sofferenza non verrà risparmiata, ma sarà possibile risparmiare il dolore nelle sue forme più dannose ed estreme.
Nella famiglia apprendiamo i sentimenti e le emozioni, anche quelli negativi.
L’amorevole genitorialità deve fare i conti e andare a braccetto con la disamorevole coniugalità al fine di permettere alla famiglia di continuare ad essere un solido riferimento educativo.
Ogni Martedì dalle 18:00 alle 20:00 gli psicologi del team “One session” sono a tua disposizione per una sessione gratuita di consulenza psicologica a seduta singola di 30 Minuti.
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Riferimenti bibliografici:
Cigoli V. (1998). Psicologia della separazione e del divorzio. Bologna: Il Mulino
Iori V. (2006). Separazioni e nuove famiglie . Milano: Raffaello Cortina Editore
Psicologa, Mediatrice Familiare, Esperta in Scienze Forensi
Coppia e primo figlio: quando l’amore (si) trasforma
La nascita del primo figlio costituisce un punto di non ritorno nella traiettoria esistenziale sia delle persone che della coppia stessa.
L’identità delle persone viene arricchita dal ruolo genitoriale ed anche la coppia cambia, assumendo connotazioni di famiglia macroscopicamente più rilevanti.
Il passaggio da due a tre può essere tra i più desiderati da entrambi i componenti della coppia, ma costituisce una transizione impegnativa che richiede un alto livello di investimento, un giro di boa che scopre alle persone e alla coppia stessa scenari che saranno definitivamente differenti da tutto ciò che si è vissuto fino a quel momento.
“Un figlio è una granata”
Così affermava Nora Ephron, la regina della commedia romantica, nella sceneggiatura del film Heartburn.
E continuava “Questa è la verità che nessuno ti dice.
Quando hai un figlio, inneschi un’esplosione nel tuo matrimonio.
Quando finalmente la polvere si placa, la tua coppia non è più quella di prima.
Non peggiore, necessariamente.
Non migliore, necessariamente. Ma diversa, per sempre”.
Come il passaggio al cinema, dal bianco e nero al colore, o in musica, dal canto gregoriano alla polifonia, l’arrivo del primo figlio è una svolta epocale per la relazione di coppia che deve modificare i precedenti equilibri. L’armonia originale deve essere ripristina adeguandola alle nuove dimensioni di accudimento e cura.
Lo psicologo americano Jay Belsky già nel 1984 rilevò come le tre dimensioni portanti della relazione di coppia venissero trasformate in maniera sostanziale dall’arrivo del primo figlio.
Negli anni seguenti ha continuato a documentare con ricerche longitudinali che hanno seguito le coppie poi divenute famiglie, come la qualità percepita del rapporto di coppia fosse notevolmente influenzata dall’evento “diventare genitori”.
L’arrivo di un figlio amplifica le dimensioni di solidarietà e comune impegno a scapito della dimensione romantico-erotica e di quella amicale che subiscono un brusco ridimensionamento. E che potrebbe risultare fatale.
Ma l’amore?
Potrebbe venire a crearsi così il paradosso che il frutto dell’amore, quel figlio desiderato e accolto con tanto entusiasmo e disponibilità dalla coppia, si ritrovi a crescere senza più la linfa vitale dell’albero che lo ha generato.
Perché magari i neo genitori, sopraffatti dalle nottate insonni, i budget ridimensionati, le nuove responsabilità, sperimentano un’insoddisfazione crescente e potenzialmente usurante del rapporto di coppia.
Per evitare questo inaridimento e contribuire ad una equilibrata ridistribuzione delle energie, possono essere messe in atto alcune semplici strategie per custodire ed avere cura del rapporto di cui il figlio generato è espressione carnale.
(Continuate a) Fare l’amore non la guerra
La prima attenzione deve essere portata alla componente romantico-erotica.
All’inizio della fase di “transizione a genitori”, spesso si registra una specie di asfissia erotica: tutte le attenzioni sono concentrate verso l’accudimento e non si trovano più il tempo ed le energie per i rapporti.
Quello che si può fare è ripristinare già da subito un confine spazio temporale per la coppia: individuare un momento quotidiano o almeno settimanale in cui ci si possa ritrovare senza avere l’incombenza dell’accudimento del figlio ma si possano curare l’intimità e la confidenza reciproca.
Per riuscire occorrerà attivare una serie di risorse di rete quali eventuali nonni, amici, persone di fiducia che sono essenziali alla coppia per poter continuare ad individuarsi come tale.
Il secondo aspetto da curare è la dimensione dell’amicalità.
I due partner devono continuare a poter esercitare quella curiosità benevolente, quell’interessamento particolare che avevano portato alla formazione della coppia stessa quando ci si era scelti e preferiti.
Guardarsi negli occhi e chiedersi con sincerità almeno una volta al giorno “Come stai?” aspettando il tempo della risposta dell’altro è una strategia necessaria perché la familiarità di coppia non venga meno ma si possa approfondire ed arricchire di tutte le nuove esperienze in corso.
Tante più energie si riuscirà a convogliare in queste direzioni, tanto maggiore sarà la possibilità che l’asse della coppia non si sbilanci eccessivamente sulle dimensioni genitoriali e rimanga invece ben equilibrato sulla caratura di intima reciprocità che le è propria.
In conclusione…
Passare da coppia a famiglia è una fase impegnativa della vita.
Se desideri un confronto con uno psicologo che possa fornirti indicazioni più mirate alla tua situazione, sulla pagina Facebook di OneSession puoi trovare ogni martedì psicologi qualificati in Terapia a Seduta Singola per un servizio di Consulenze online gratuite.
Anche in una sola seduta si possono sbloccare situazioni ferme da tempo o individuare bacini di risorse che sembravano non esistere.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Belsky J., (1984). The Determinant of Parenting: A process Model, in “Child Development, 55, pp.83-96.
Mi sono laureata in Psicologia ad indirizzo Applicativo nel 1990 presso la facoltà di Psicologia dell’Università “La Sapienza” di Roma. Ho maturato esperienza oltre che nello studio libero professionale, anche nell’ambito dei Consultori Familiari, acquisendo competenze nel sostegno psicologico, sostegno genitoriale, percorsi di educazione affettiva e sessuale.
Una fine senza inizio: il lutto perinatale
“Il bambino nasce dentro di noi molto prima del concepimento.
Ci sono gravidanze che durano anni di speranza,
eternità di disperazione”
(Marina Ivanovna Cvetaeva)
Cosa è il lutto perinatale
Molti sono sia gli uomini che le donne che, ad un certo punto della loro vita, sognano e desiderano per il loro futuro di diventare genitori.
Non sempre però il momento della gravidanza e dell’attesa si presenta così come viene sognata, e non si è mai preparati abbastanza e fino in fondo.
Siamo soliti parlare della gravidanza solo nel suo aspetto più tenero e meraviglioso. Da qui l’uso del termine “lieto evento”. Troppo poco si tiene in considerazione l’altra faccia della medaglia, quando la morte arriva prima della vita.
Parliamo di tutti quei genitori che sono pronti ad accogliere un bambino conosciuto dalle ecografie. Genitori felici di coronare il loro sogno con quella nuova vita. Genitori che vengono, però, bruscamente scaraventati in un dramma difficile da accettare, elaborare e trasformare: quello della morte di quel piccolo essere.
Nonostante l’alta incidenza di questo fenomeno nel nostro paese (circa il 20% delle gravidanze avviate) ancora troppo poco si parla e si conosce il significato del termine “lutto perinatale”, rimanendo così un fenomeno ampiamente sottorappresentato e socialmente negato.
Con il termine di “lutto perinatale” si fa riferimento a quella perdita causata dalla morte di un bambino che può avvenire sia nelle ultime settimane gestazionali, ma anche alla nascita o nel corso della prima settimana di vita.
Il lutto perinatale è caratterizzato “dalla perdita del bambino nato a livello immaginario, percepito come realmente presente e scomparso però prima di essere davvero conosciuto” (Simona di Paolo, 2018). Inoltre, si colloca “come fallimento della capacità di conservare e mettere al mondo la vita” (Simona di Paolo, 2018) e come evento di assoluta innaturalità, in quanto la morte la precede.
Il dolore per il lutto perinatale
È possibile prendersi cura di questo dolore inatteso? Cosa succede nei genitori quando un processo naturale come la nascita di un bambino si interrompe inaspettatamente?
La perdita di un figlio è l’evento più straziante, traumatico e paradossale a cui si possa assistere. Contraddice il naturale corso degli eventi che caratterizzano le relazioni. È uno shock emotivo di grande intensità che produce un lutto profondo e pervasivo.
Nel corso di studi sono stati individuate 4 fasi dell’elaborazione del lutto da parte delle persone che hanno perso un proprio caro:
- disperazione acuta
- struggimento
- disorganizzazione e disperazione
- riorganizzazione
Le stesse reazioni sono state rintracciate a seguito di un lutto perinatale, nonostante il legame fra i genitori e il bambino si stia ancora formando e la relazione non sia stata ancora instaurata.
In cosa si differenzia il lutto perinatale?
Il lutto perinatale, oltre a configurarsi come perdita affettiva con la morte dell’embrione o del feto, rappresenta anche una perdita simbolica. Questo perché va a intaccare la realizzazione del desiderio di avere un figlio e lo status sociale di maternità/paternità.
La coppia genitoriale si ritrova all’interno di un vortice emotivo. Se un attimo prima viveva emozioni di gioia per l’attesa di una nuova vita, ora viene sorpresa dall’improvvisa sofferenza per l’inatteso vissuto di morte.
La perdita di un figlio mai nato per la coppia genitoriale viene vissuta come la perdita di una nuova fase della vita o di un sogno, una gravidanza che non si conclude con la nascita di un bambino vivo.
Per tale motivo i genitori devono dare forma al proprio dolore e costruire uno spazio biografico e psichico per quella gravidanza e per quel bambino.
Convivere con il dolore e ricostruire la coppia
Il lutto perinatale va a toccare la coppia non solo individualmente, ma anche nelle relazioni, nella comunicazione e nella sfera intima, con la possibilità di sviluppare problematiche che possono portare alla fine del rapporto.
I genitori possono affrontare il dolore in modo differente, esprimendolo su più livelli. Questa differenza nell’espressione del dolore può portare, però, al sorgere di incomprensioni. Spesso l’altro viene valutato come “non abbastanza sofferente” solo perché ha una reazione diversa.
Affinché le incomprensioni vengano superate al meglio e il dolore dell’altro considerato e accettato così per come viene espresso, bisognerebbe lasciarsi la libertà di viverlo senza regole prestabilite.
In questo modo vi sarà la possibilità di creare un equilibrio tra il sostenere e l’essere sostenuto. È necessario trovare momenti e spazi di condivisione, di consigli e di ascolto, ma è giusto, anche, ritagliare, per chi lo necessita, momenti di maggiore solitudine (senza che questi vengano percepiti come un distacco). L’importante è, dunque, che nessuno venga mai giudicato e colpevolizzato per le proprie reazioni emotive.
In conclusione…
Se sentite che il dolore diventa insostenibile, o se percepite di star arrivando alla deriva e volete rafforzare in questo delicato momento la vostra relazione e comunicazione affinché possiate comprendervi meglio per superare insieme il traumatico evento che vi ha travolto, non esitate a rivolgervi ad uno specialista.
Grazie alla Terapia a Seduta Singola è possibile già dal primo incontro ritrovare e far emergere nuove risorse che supportano raggiungimento di un maggiore benessere.
Se sei interessata alla Terapia a Seduta Singola, puoi rivolgerti ai nostri psicologi e psicoterapeuti, disponibili ogni martedì, per un periodo limitato, dalle 18.00 alle 20.00, per una consulenza gratuita online.
Riferimenti bibliografici
Quartaro, RS., e Grussu, P. (2018). Psicologia clinica perinatale: dalla teoria alla pratica. Collana di psicologia della maternità. Trento: Erickson
Ravaldi, C., Vannacci, A., Farmacologo, M., & Onlus, A. C. (2009). La gestione clinica del lutto perinatale Strategie di intervento e linee guida internazionali. Lacare in perinatologia, 3.
Marco, D. (2013). Le madri interrotte. Affrontare e trasformare il dolore di un lutto pre e perinatale: Affrontare e trasformare il dolore di un lutto pre e perinatale(Vol. 75). FrancoAngeli.
Di Paolo, S. (2018). Il non riconoscimento del lutto nell’aborto precoce, possibili interventi terapeutici. State of mind (ID:157936)
La depressione post partum: vergognarsi di non essere felici
Cos’è la depressione post partum?
La depressione post partum esordisce genericamente tra la 6° e la 12° settimana dopo la nascita del figlio. La neomamma comincia, immotivatamente, a sentirsi giù di morale, irritabile, facile al pianto. Per tutti questi motivi sente di non essere all’altezza del suo nuovo ruolo di mamma, vergognandosi per non provare la gioia di aver messo al mondo un bambino; gioia che nelle altre mamme che conosce sembra essere scontata.
E così è molto frequente che chi soffre di depressione post partum lo faccia in silenzio, per non mostrarsi debole. Queste mamme non sono inclini a chiedere aiuto, proprio per evitare un giudizio negativo nei loro confronti e sentirsi dei genitori incapaci.
La depressione post partum non è in realtà così rara: si stima che colpisca dal 7 al 12% delle neomamme. I sintomi principali sono quelli della depressione, nello specifico:
- Umore depresso per la maggior parte del tempo
- Disinteresse per le varie attività
- Difficoltà del sonno
- Fatica e perdita di energie
- Diminuita attenzione e concentrazione
- Sensi di colpa
a cui si aggiunge una mancata connessione emotiva con il bambino. La mamma interagirà poco con lui e di conseguenza non darà il via allo sviluppo di un buon legame di attaccamento.
Depressione post partum e baby blues: quali differenze?
La depressione post partum non è da confondere con un’altra condizione, il cosiddetto baby blues, un disturbo di lieve entità che colpisce fino il 70% delle neomamme.
Il baby blues è caratterizzato da una sensazione di malinconia, tristezza, inquietudine, che generalmente si manifesta nei primi 3 -4 giorni dopo il parto e si protrae per circa 15 giorni. L’insorgere di queste sensazioni è di tipo fisiologico, da attribuire al drastico cambiamento ormonale successivo al parto e alla stanchezza fisica e mentale derivate dal travaglio.
I miti della maternità
La paura di sviluppare una depressione post partum può spaventare molto le future madri e una serie di false credenze sulla maternità e sull’essere genitori può contribuire ad aggravare il senso di inadeguatezza di chi vive questa situazione.
Queste credenze riguardano l’istinto materno e la naturalezza di essere genitori. È sì vero che alcuni processi legati alla gravidanza avvengono in modo spontaneo e naturale, ma questo non vale per tutti i comportamenti legati alla maternità.
Diventare genitori dà e toglie, ed è normale che a volte ci si possa sentire limitati dalla maternità o che alcuni comportamenti non avvengano spontaneamente.
Superare la depressione post partum in tempi brevi
Il primo passo per uscire dalla depressione post partum è quello di prendere la situazione in mano e chiedere aiuto, senza la paura di venire giudicata come una cattiva madre; abbiamo visto che questa problematica è più frequente di quanto si pensi e che genitori non si nasce, ma si diventa.
Grazie all’aiuto di professionisti formati in Terapia a Seduta Singola, già dal primo incontro si potranno indagare e sbloccare le risorse della neomamma, indirizzandole verso il raggiungimento di un maggior benessere, per lei e per il figlio.
Se sei interessata alla Terapia a Seduta Singola, puoi rivolgerti ai nostri psicologi e psicoterapeuti, disponibili ogni martedì, per un periodo limitato, dalle 18.00 alle 20.00, per una consulenza gratuita online.
Bibliografia
Cannistrà, F. Piccirilli (2018), Terapia a Seduta Singola. Principi e pratiche. Giunti Psychometrics
https://www.psychologytoday.com/us/blog/tech-support/201502/mothers-love-myths-misconceptions-and-truths
Il mio lavoro è orientato al futuro e alla valorizzazione delle risorse delle persone che si rivolgono a me, in ottica di totale collaborazione.
Genitori si nasce o si diventa? Come adattarsi all’arrivo in famiglia di un bambino!
L’emozione di diventare genitore
Diventare genitori è uno degli eventi più carichi a livello emotivo che un individuo possa vivere. Sia per gli uomini che per le donne, scoprire di essere in attesa di un bambino può far sperimentare emozioni diverse.
In particolare, è molto comune sperimentare emozioni quali gioia, sollievo, ma anche ansia ed in alcuni casi paura per le nuove responsabilità.
Secondo uno studio condotto nel reparto maternità di un ospedale portoghese, le emozioni più comuni verso il bambino nei primi due giorni dopo il parto erano positive; emozioni negative, come la paura, erano meno frequenti, ma presenti, e tendevano ad attenuarsi dopo i primi due giorni. Inoltre emerse che erano le neo mamme ad essere maggiormente spaventate per i cambiamenti.
La gravidanza e la successiva genitorialità vengono considerate dagli psicologi eventi “critici” , poichè richiedono ai neo genitori di rivedere le proprie abitudini e il proprio stile di vita. Questa consapevolezza potrebbe essere fonte di disagio o di stress, in quanto potrebbe essere necessario modificare profondamente gli equilibri precedenti.
Nonostante questo, l’opportunità di diventare genitore può favorire un profondo processo di crescita, sia personale che di coppia.
Cosa cambia nella coppia genitoriale?
Prima degli anni ’80 la ricerca psicologica tendeva ad escludere il padre, focalizzandosi sul rapporto madre-figlio; oggi si tende a riconoscere l’importanza di una sana relazione tra i genitori rispetto all’accudimento del bambino. L’esperienza della genitorialità permette alla coppia di evolversi, e alla relazione di maturare.
Spesso l’esperienza della nascita del primo figlio può comportare sostanziali cambiamenti nelle abitudini della famiglia, ripercuotendosi inevitabilmente sulla relazione tra mamma e papà. Ad esempio, avere gli orari scanditi dai bisogni e dai ritmi del bambino potrebbe richiedere di sacrificare il tempo prima destinato agli interessi.
Non tutti i genitori riescono a trovare subito un nuovo equilibrio; a volte questo processo può richiedere un periodo più lungo, ma questo non deve scoraggiare la coppia. Inoltre potrebbe succedere che la mamma dedichi molto del proprio tempo al bambino, facendo sentire il papà escluso dalla vita familiare, ed un po’ geloso dell’intensa relazione madre-figlio.
Oppure la mamma potrebbe sentirsi sommersa di responsabilità, bisognosa di maggiori attenzioni e supporto da parte del partner nella gestione del neonato. Per questi motivi, una relazione solida e orientata al dialogo tra i neo genitori rende più facile l’adattamento al ruolo genitoriale e ne accresce le competenze.
Parlare con il proprio partner delle difficoltà che si sperimentano e renderlo partecipe delle proprie preoccupazioni potrebbe aiutare la coppia a ritrovare l’agognata sintonia.
Le difficoltà di adattarsi alla nuova routine familiare
Prendersi cura di un neonato è sicuramente stancante, per via del grosso impiego di risorse che un bambino richiede. Potrebbe quindi essere frequente che i genitori si sentano stanchi e scoraggiati, magari non adatti rispetto al nuovo ruolo genitoriale.
Questi sentimenti potrebbero essere del tutto normali, e non devono far sentire i genitori inadeguati. Soprattutto per le madri è frequente sentirsi poco competenti ed avere paura a svolgere le azioni che riguardano la cura del bambino.
Avere paura o voler chiedere aiuto non rende una madre una cattiva mamma. In questi casi può essere utile rivolgersi al pediatra di fiducia per avere rassicurazioni in merito. In alternativa potrebbe essere utile richiedere un supporto psicologico per ricevere aiuto da parte di professionisti qualificati. A volte anche un singolo incontro può bastare per riuscire a gestire meglio lo stress e i cambiamenti.
Sul sito www.onesession.it potrai trovare un elenco di professionisti formati in Terapia a Seduta Singola che potranno aiutarti a raggiungere i risultati sperati ed uscire in tempi brevi dalla situazione di disagio.
Dott.ssa Fulvia Mariagrazia Messina
Bibliografia
Benvenuti P. (2008), Psicopatologia nell’arco della vita. Seid Editori
Cannistrà F., Piccirilli F. (2018), Terapia a seduta singola. Principi e pratiche. Giunti Psychometrics
Figueiredoa B., Costaa R., Pachecoa, A. & Paisb A. (2007).
Mother-to-infant and father- to-infant initial emotional involvement. Early Child Development and Care, 5, 521-532.