Terapia a Seduta Singola per la paura della macchina
Hai paura della macchina?
Non sei il/la sol* è una paura molto più diffusa di quello che si crede.
Il 33% della popolazione ha questa paura!
Si chiama Amaxofobia (da amaxos, in greco: carro) e consiste nel provare ansia quando si è in un veicolo. Sia che si debba guidare o no quest’ultimo.
È molto variabile di intensità a seconda della persona. Può infatti non riguardare solamente la macchina, ma anche l’autobus, il treno o l’aereo.
Si manifesta con i sintomi tipici dell’asia, come tremore, sudorazione, fino ad arrivare a volte ad attacchi di panico.
È quindi spesso limitante per la vita, rendendo alle volte difficile o addirittura impossibile non solo guidare ma anche stare in una macchina.
Potrebbe derivare da esperienze che tu o qualcuno che conosci ha vissuto in auto e che ti hanno colpito molto. Infatti è normale e utile evitare pericoli di cui siamo a conoscenza direttamente o indirettamente. La paura è una grande alleata dell’uomo! Diviene però una spiacevole compagna quando “esagera” e come un’amica troppo premurosa, si attiva e ti attiva anche quando non sarebbe necessario. È in quel caso che la chiamiamo fobia o ansia.
Molte persone oltre alla paura della macchina hanno altre forme di ansia come l’agorafobia o gli attacchi di panico.
L’agorafobia è un’intensa paura di alcune situazioni come utilizzare i mezzi pubblici, stare in spazi aperti, o in spazi chiusi, come l’auto stessa.
Gli attacchi di panico sono caratterizzati da improvvisa paura intensa, senza un apparente pericolo, che raggiunge il culmine in breve tempo. Si manifestano con sintomi somatici come sudorazione, palpitazioni, tremori, sensazione di soffocamento, dolore al petto, vertigini, nausea, brividi, formicolii e sintomi psicologici come paura di perdere il controllo e/o di morire. Tali sintomi sono molto vari e differenti da persona a persona.
Cosa fai e sarebbe meglio non fare?
A volte proviamo a risolvere le nostre difficoltà, ma quello che facciamo è inefficace o addirittura peggiora il problema (in gerco tecnico si chiamano Tentate Soluzioni Disfunzionali).
La tentata soluzione che spesso chi ha paura di guidare o di salire in macchina utilizza è l’evitamento, cioè evitare ciò che fa loro paura. Questo a seconda dell’Amaxofobia può essere differente, c’è chi non sale in un veicolo o usa altri mezzi di trasporto, ma non la macchina, c’è chi non riesce a guidare da solo, chi non riesce a guidare in autostrada, ma solo in caso di tragitti brevi e conosciuti…
Questa strategia però ha come conseguenza a lungo termine di aumentare sempre di più le situazoni temute e quindi evitate, limitando sempre di più la vita. Quindi, ad esempio, potrebbe accadere che chi prima evitava solamente di guidare la macchina in autostrada, poi tenderà ad evitare di guidare anche nelle statali e via dicendo. Portando così a un circolo vizioso. Infatti più si evita più diventa difficlie affrontare la nostra paura e più questa paura tenderà a diventare più grande ed estesa a più ambiti. Pensate ad esempio ad un bambino che per la prima volta bagna i piedini nel mare, ha paura e si allontana, probabilmente la volta successiva il bambino non arriverebbe neppure a riva per il timore. Se invece nella stessa situazione il bimbo restasse a bagnarsi questo si accorgerebbe che non gli è successo nulla, che è in grado di farlo e non ne avrebbe più paura.
Altra tentata soluzione tipica è la ricerca di supporto degli altri, come appunto chi guida solamente in compagnia, per sentirsi protetto, rassicurato, meno sol*. Questo comportamento, però, può diventare limitante, poiché la persona si affida completamente ad altri e non sviluppa le proprie capacità di autoaiuto.
Cosa puoi fare di diverso?
La metodologia a Seduta Singola può essere una delle metodologie efficaci per evidenziare le proprie risorse e creare, insieme all* psicolog* delle strategie efficaci ed autonome per gestire/risolvere l’Amaxofobia.
Infatti, la metodologia a Seduta Singola è caratterizzata da un agire concreto e focalizzato ed ha dimostrato una notevole efficacia di intervento, sia nel breve che nel lungo periodo.
La Consulenza a Seduta Singola permette, fin dal primo incontro, di affrontare il problema dell’Amaxofobia.
Si lavora su come la paura della macchina funziona per te nello specifico, cercando di identificare in quali circostanze specifiche e con quali modalità si presenta per te. Insieme all* psicolog* si indaga cosa hai provato a fare finora per affrontarlo, quando ha funzionato e quando no. In questo modo sarà possibile provare da subito a fare qualcosa di diverso per cambiare le cose. Ad esempio nell’approccio strategico è utilizzata la ristrutturazione strategica tramite la quale ci si serve proprio della paura per cambiare un effetto che la paura stessa ha prodotto.
Chiedere da subito un aiuto ad uno specialista per l’Amaxofobia permetterà di risparmiare tempo prezioso e cominciare ad attuare un cambiamento funzionale e durevole nel tempo.
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Riferimenti bibliografici
American Psychiatric Association (2013), Manuale diagnostico e statistico dei disturbi Mentali, Quinta edizione (DSM-5), trad. it. Raffaello Cortina, Milano 2014.
Cannistrà, F., & Piccirilli, F. (2018). Terapia a seduta singola. Principi e pratiche. Giunti
Nardone, G. (2000). Oltre i limiti della paura. Milano: BUR
Nardone, G. (2007). Paura, panico, fobie. Il trattamento in tempi brevi. Milano: TEA – Tascabili degli Editori Associati
https://www.auxologico.it/vincere-paura-guidare-amaxofobia-laiuto-psicologo
Affrontare il fallimento
Cos’è il fallimento?
Il fallimento è un colpo allo stomaco, una profonda tristezza e anche una grande rabbia. Esso arriva strisciando oppure prende all’improvviso, in ogni caso lascia senza fiato.
Fallire non è un errore: un errore è un inciampo in un passo di danza, uno sbaffo su un quadro ancora imperfetto. Un errore è qualcosa che nella nostra mente può essere corretto. Un fallimento no.
Un fallimento è una macchia indelebile sul tessuto bianco del nostro abito. Rovina certe volte per sempre l’immagine di noi, di ciò che siamo, di ciò che vorremmo essere, di come vorremmo apparire nel mondo.
E allora, come si affronta il fallimento?
- Una delle tentate soluzioni che istintivamente viene messa in campo è quella di sfogarsi o confidarsi con persone care o con amici per condividere il peso, ma anche per capire meglio che cosa è successo e come si è fatto ad arrivare a quella situazione.
- Un’altra tentata soluzione è quella di far finta di niente, come se nulla ci possa scalfire o colpirci.
- Ancora, un’altra tentata soluzione è quella di chiudersi in sé stessi e continuare a rimuginare costantemente sul perché questo è avvenuto, ripercorrendo infinite volte con la mente i fatti accaduti, le nostre azioni, le nostre parole, quello che è stato detto o fatto, andando alla spasmodica ricerca di quegli input che potrebbero cambiare la nostra visione delle cose.
Nulla di tutto questo funziona davvero perché anche se ci sembra all’inizio stare meglio, c’è sempre quella ondata di tristezza che ci coglie all’improvviso nostro malgrado in un momento qualsiasi della giornata. Magari nemmeno ci stavamo pensando oppure ci sveglia nel cuore della notte e ci fa precipitare di nuovo in un abisso di disperazione.
Qual è dunque la ragione del fallimento? Come si affronta? E a cosa ci serve?
Alain Rohet afferma che “accettare il fallimento è un’attitudine da vincenti”. Questo aforisma mi ha sempre lasciato perplessa e non l’ho capito fino in fondo se non recentemente.
Dopo aver affrontato diversi fallimenti importanti posso dire con cognizione di causa che non ci si abitua mai a questa terribile sensazione, ma si impara a utilizzare meglio tutte le proprie risorse e capacità per uscirne in tempi veramente brevi.
So-stare nel momento: sentire le emozioni, accettando tutto quel groviglio di emozioni e stati mentali che contraddistingue il momento.
Non si può pretendere di essere completamente indifferenti. Al contrario, in questo stato di scombussolamento, bisogna dare tempo e spazio al corpo e alla mente per assorbire ciò che stiamo provando, guardando a noi stessi con gentilezza e amore. Sospendere il giudizio e cavalcare l’onda anziché contrastarla.
Riposare per poter lasciare andare.
Pensare: nel giro di poco tempo la nostra mente recupererà il controllo e inizierà a pensare alle alternative, alle soluzioni, alle possibilità.
Esiste un ideogramma giapponese che a mio parere identifica molto bene la definizione di crisi. Si compone di due ideogrammi: pericolo e opportunità.
Quando affrontiamo un fallimento la nostra prima attenzione è tutta concentrata nel pericolo che stiamo correndo e le emozioni che proviamo nella mente e nel corpo ne sono l’espressione concreta.
Tuttavia, la parte potente della situazione si nasconde nel secondo ideogramma: opportunità. Poiché il terremoto della crisi rompe l’equilibrio, l’opportunità che ne nasce è quella di imparare identificando i punti di svolta che hanno determinato la situazione, accettando la responsabilità delle azioni compiute anche se sembra che non ci siano.
Ricordare: nel nostro passato abbiamo già affrontato e “vissuto” successi o fallimenti.
E siamo sopravvissuti ad entrambi. Se recuperiamo alla memoria questi importanti ricordi, ci rendiamo conto quali risorse, capacità, abilità e comportamenti ci hanno permesso di raggiungere quel risultato e trasformare il pericolo in opportunità.
Dopo questi 3 passaggi siamo pronti per cominciare a costruire o ricostruire passo passo il nostro futuro.
Nei percorsi di terapia breve si lavora su ogni singola fase per accompagnare e facilitare il percorso evolutivo necessario.
Diceva Churchill che il successo non è definitivo. Il fallimento non è mai fatale. E’ il coraggio di continuare che conta
Vi auguro coraggio. Tanto coraggio.
Se senti il bisogno di un aiuto professionale, chiedi a ONE SESSION.
Ogni Martedì dalle 18:00 alle 20:00 gli psicologi del team “One session” sono a tua disposizione. Prenota una sessione gratuita di consulenza psicologica a seduta singola di 30 minuti.
Per maggiori informazioni, puoi inviare una email a info@onesession.it o visitare le nostre pagine Facebook e Instagram
Riferimenti bibliografici
Bibliografia
http://www.mayoclinic.org/healthy-lifestyle/adult-health/in-depth/denial/art-20047926?pg=2 http://www.mayoclinic.org/healthy-lifestyle/stress-management/in-depth/stress-relief/art-20044456?pg=2 http://www.pbs.org/thisemotionallife/topic/humor/humor-and-resilience http://www.cognitivetherapyguide.org/negative-thinking-patterns.htm https://www.psychologytoday.com/blog/shyness-is-nice/201305/stop-fighting-your-negative-thoughts http://www.cognitivetherapyguide.org/thought-records.htm http://psychcentral.com/blog/archives/2014/02/16/8-tips-to-help-stop-ruminating/ http://www.mayoclinic.org/healthy-lifestyle/stress-management/in-depth/stress-management/art-20044502?pg=1
http://www.nytimes.com/2014/10/26/opinion/sunday/the-problem-with-positive-thinking.html
Monica Grassi, Psicologa della prestazione umana con esperienza di lavoro su singoli e gruppi a livello privato e aziendale. Utilizzo le tecniche della Terapia Breve per sostenere e accompagnare i processi di cambiamento personali e professionali. Ai principi della Terapia a Seduta Singola affianco tecniche di contatto del sé attraverso il corpo e la respirazione che aiutano a lavorare ad un livello emotivo profondo.
Paura dei cambiamenti: piccoli passi per superarla.
I cambiamenti fanno paura.
Talvolta fanno così paura da convincerci che tutto dovrebbe rimanere costantemente uguale a se stesso.
Chi teme il cambiamento prova forte disagio e stress di fronte alle novità, arrivando a bloccare ogni istinto di trasformazione.
L’unica costante della vita è il cambiamento
Così recita un famoso detto.
Il cambiamento interessa tutti, costantemente. Cambiare significa crescere, adattarsi a nuove esigenze, acquisire nuovi saperi e nuove conoscenze.
Tutti nella nostra vita affrontiamo costantemente dei cambiamenti, piccoli o grandi che siano. Talvolta senza accorgercene.
Ci sono tuttavia dei momenti in cui il cambiamento può diventare qualcosa percepito come troppo grande e pericoloso.
Come mai?
Quali aspetti del cambiamento fanno paura?
Ci sono tanti aspetti del cambiamento che possono fare paura.
In primis, il cambiamento porta con sé una sensazione di perdita. Perdita di quello che è stato finora e che conoscevamo molto bene, a favore dell’ignoto. “E se fosse peggio?”, “e se mi accorgessi di aver sbagliato?” sono alcune delle domande che possono accompagnare la fase di cambiamento.
Un secondo aspetto che può favorire l’immobilismo all’evoluzione è la paura di non essere all’altezza. Il fantasma del fallimento, pronto a puntarci il dito contro e a dirci che non siamo abbastanza, ci immobilizza. Finiamo per preferire la situazione spiacevole in cui ci troviamo, piuttosto che rischiare di sbagliare.
Affrontare la paura dei cambiamenti
La paura del cambiamento è normale. Ma la soluzione non può essere l’immobilismo.
In casi come questi può venirti utile la tecnica dei piccoli passi. In cosa consiste?
Invece che proiettare le tue fantasie e il tuo immaginario a cambiamento avvenuto, rischiando di spaventarti, cerca di vedere dove andrà messo il primo passo per cominciare a cambiare. Fatto il primo, penserai al secondo, e poi al terzo, e così via.
Tieni presente la meta, ma ancora di più chiediti qual è il più piccolo passo che ti muova in quella direzione, senza allontanarti troppo da dove sei ora, in modo da metabolizzare di volta in volta piccoli cambiamenti, quasi impercettibili.
Ogni passo aggiungerà qualcosa di nuovo rispetto a dove sei ora, ma non sarà troppo spaventoso da farti desistere e desiderare di non cambiare.
Se pensi di aver bisogno di un supporto in più, puoi rivolgerti a un professionista.
I nostri psicologi e psicoterapeuti sono disponibili ogni martedì dalle 18.00 alle 20.00, per una consulenza gratuita online.
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Riferimenti bibliografici
Nardone, G. (2009) Problem solving strategico da tasca. Firenze: Ponte alle Grazie
Il mio lavoro è orientato al futuro e alla valorizzazione delle risorse delle persone che si rivolgono a me, in ottica di totale collaborazione.
Liberarsi dai sensi di colpa si può?
“Solamente l’uomo ostacola la sua felicità con cura,
distruggendo ciò che è,
con pensieri di ciò che dovrebbe essere.”
John Dryden, 1670
Qualcuno diceva che il passato non può essere cambiato, che ciò che è stato è stato e non si può tornare indietro; è vero, ma da quel passato ti trascini dietro a volte un grosso senso di colpa che non ti consente di farci pace.
Perché ti senti in colpa?
Sicuramente sei stato abituato a rimproverarti delle tue azioni fin da piccolo, perché vuoi o non vuoi qualche birbanteria l’avrai combinata e i tuoi genitori ti avranno sgridato, dicendo: “ Se non fai il bravo, mamma si arrabbia” “Se piangi ancora, rendi triste il papà” “Dovresti vergognarti per quello che hai fatto” e potrei continuare a oltranza.
Non sto dicendo che i tuoi genitori sono “colpevoli” ma che sicuramente frasi di questo genere hanno costruito dentro di te un sistema di credenze con cui leggi il mondo circostante e eventi più di altri, fanno emergere il tuo senso di colpa, anche quando colpa non ne hai.
Quindi ti senti in colpa perché qualcuno ti ha “insegnato” a provarlo in determinate circostanze e puoi sentirti in colpa perché sei tu che ti imponi questa emozioni in seguito a comportamenti che hai reputato inadeguati rispetto ai tuoi valori e principi morali; succede quando senti di aver sbagliato, di esser stato manchevole o non aver portato rispetto.
Di solito è un emozione che si manifesta nelle relazioni, piuttosto che in solitaria e che spesso si accompagna ad altri sentimenti come ansia, angoscia o frustrazione; ci sono situazioni infatti dover l’aver sbagliato può avere conseguenze o farti temere che ce ne siano e questo crea scenari catastrofici nella tua mente.
Ma come tutte le emozioni è anche funzionale?
Così come la paura, la rabbia o la tristezza, anche il senso di colpa ha una sua funzione sociale: se esiste è perché svolge un ruolo ben preciso nella nostra vita che, anche se difficile da percepire, è ciò che ti consente di sopravvivere all’interno di una società.
Se ti senti in colpa ti assumi la responsabilità delle tue azioni, ti scusi e fai un passo avanti nell’evoluzione.
Questi comportamenti ti facilitano l’accesso e il riconoscimento del tuo gruppo sociale di appartenenza e ti permette di volta in volta di aggiustare il tiro e non ripetere l’errore.
Oppure no?
È chiaro che se sentirsi in colpa può essere utile, come tutte le cose, se portate all’estremo, diventa disfunzionale e compromette la tua qualità di vita.
Se il senso di colpa è legato al passato, il logorio è interminabile, considerato che indietro non si può tornare e non vi puoi porre rimedio.
Se fa parte di un intreccio relazionale, può comportare la fine di quel rapporto.
In campo lavorativo genera ansia o angoscia per la reputazione che ti sei creato o per paura del giudizio degli altri.
Insomma, sentirti in colpa è nocivo se ti limita nel vivere la tua vita e non riuscire a perdonarti o passare oltre , ti rende un eterna vittima.
Cosa puoi fare?
- Puoi scrivere un diario delle colpe: sai che scrivere ha un alta funzione terapeutica? Ti invito a scrivere ogni giorno una pagina del tuo diario, dove ripercorrerai con la mente –e la penna- tutte le tue colpe. Non rileggere.
- Blocca il rimuginare: sicuramente se ti senti in colpa, penserai spesso a tutte le probabili conseguenze e a cosa fare per rimediare all’errore. So che pensarci pensi ti possa essere utile ma no se si trasforma in rimuginare: in realtà anche se ti sembra di riflettere, non stai facendo assolutamente niente per risolvere il problema. Schiocca le dita, ogni qualvolta il pensiero target arriva e grida il tuo nome dicendo: “torna qui”.
- Il passato non si cambia: accettare il fatto che ciò che è stato è stato, significa smettere di focalizzarsi su qualcosa su cui non puoi agire e pensare piuttosto a incanalare la tua energia verso ciò che veramente puoi cambiare. A questo proposito puoi redigere una lista di ciò che puoi cambiare e ciò che è impossibile cambiare.
Se pensi di aver bisogno di un supporto in più, puoi rivolgerti a uno specialista in questi casi.
La Terapia a Seduta Singola è utile perché consente individuare le tue tentate soluzioni, ovvero i comportamenti che mantengono in vita il problema, e di bloccarli.
Sei interessato alla Terapia a Seduta Singola? Contatta One Session!
Ci trovi tutti i martedì dalle 18.00 alle 20.00. I nostri terapeuti ti aiutano ad ottenere un cambiamento immediato e duraturo, fornendoti strumenti pratici, concreti ed utilizzabili fin da subito per uscire dalla situazione problematica grazie alle tue stesse risorse!
Per prendere appuntamento, scrivi a info@onesession.it o alle nostre pagine Facebook e Instagram.
Sono una psicologa che si occupa di consulenze brevi e di TSS: il mio obiettivo è ridurre i tempi della terapia e massimizzare l’efficacia della seduta, offrendo un sostegno focalizzato e concreto per affrontare sia le piccole che le grandi difficoltà della vita
La Terapia a Seduta Singola per la paura di arrossire
“Arrossire è il colore della virtù” (Diogene)
Che cos’è la paura di arrossire?
L’“ereutofobia o eritrofobia” deriva dal greco éruthros cioè “rossore”. Consiste nel provare ansia e paura anticipatoria rispetto alla possibilità di diventare rossi in situazioni di socialità (ad esempio quando ci si trova a dover parlare in pubblico, a chiedere informazioni, ad affrontare un appuntamento importante…).
La paura di arrossire rientra tra le fobie specifiche sociali, che nel DSM V indicano una paura marcata o ansia provata da una persona rispetto ad una o più situazioni sociali in cui si è esposti al giudizio degli altri, con timore di essere valutati negativamente per questo.
Il problema causa disagio significativo dal punto di vista clinico nel funzionamento sociale e lavorativo della persona e persiste per almeno 6 mesi.
Come si manifesta l’ereutofobia?
Arrossire è una reazione naturale guidata dal nostro sistema nervoso simpatico.
Esso aumenta il flusso di sangue e la temperatura della pelle del viso, del collo e della parte superiore del corpo causando un cambiamento evidente del nostro colorito, che appare più rosso del solito.
Può manifestarsi quando ci sentiamo al centro dell’attenzione e proviamo emozioni positive oppure quando sperimentiamo emozioni negative come la vergogna, il senso di colpa o l’imbarazzo.
Sarà capitato a tutti di fare una “figuraccia” e di sentirsi avvampare improvvisamente.
Arrossire può farci sentire molto esposti al giudizio degli altri, che possono accorgersi di come ci sentiamo semplicemente guardandoci in viso.
A quel punto, ci sentiamo letteralmente “allo scoperto”, soprattutto se qualcuno ce lo fa notare, magari prendendoci in giro.
La paura di essere “sorpresi” ad arrossire in altre situazioni sociali può quindi diventare una costante preoccupazione e una vera e propria paura.
Oltre alle fastidiose sensazioni fisiche dovute all’ansia, infatti, si possono provare anche pensieri negativi di auto-svalutazione. Questi pensieri possono essere: “arrossirò e quindi penseranno tutti che sono stupido/a, che non valgo niente, che sono debole e incapace, nessuna persona mi vorrà come partner…”.
Abbiamo già parlato in altri articoli precedenti della definizione di “paura” (clicca qui se vuoi approfondire) e di come questa nostra emozione primaria possa essere protettiva da un lato, quando ci difende da un imminente e reale pericolo, oppure possa risultare limitante per noi e dannosa se invece finisce per bloccarci ed impedirci lo svolgimento delle nostre attività quotidiane.
Come viene gestita la paura di arrossire?
Molte persone prima di rivolgersi ad uno psicologo provano a fare qualcosa per gestire da soli il problema.
Una delle azioni che inizialmente può sembrare efficace per provare a gestire l’ereutofobia è quella di evitare tutte le occasioni sociali in cui si potrebbe rischiare di arrossire.
Questa scelta, che inizialmente può farci sentire al sicuro e protetti, alla lunga rischia di isolarci e di rendere difficile se non impossibile lo svolgimento delle nostre attività quotidiane.
Si evita quindi di andare a scuola o al lavoro, di uscire con gli amici, di esporsi nel parlare di fronte agli altri. Un’altra soluzione di solito adottata è quella di provare a nascondere il viso con sciarpe, occhiali grandi o alterarne il colore con trucco pesante e lampade solari.
Purtroppo, spesso questi tentativi di gestire il problema paradossalmente finiscono per peggiorarlo!
L’evitamento sociale ci chiude in una solitudine opprimente che ci impedisce di vivere normalmente e ci fa sentire ancora peggio.
Rinunciare inoltre a mostrare liberamente il nostro volto può farci sentire limitati, inadeguati e insicuri (oltre a rischiare di rovinare la pelle!).
Come liberarsi della paura di arrossire con la Terapia a Seduta Singola?
La paura di arrossire si può affrontare fin dalla prima seduta con uno dei nostri psicologi innanzitutto definendo insieme fin nei minimi dettagli il tuo modo soggettivo ed unico di vivere questo problema.
Si potrà quindi ragionare insieme su tutto quello che hai provato a fare per fronteggiare la paura di arrossire e sui risultati ottenuti: le cose sono effettivamente migliorate oppure sono peggiorate?
Infine, si potranno sperimentare già in seduta alcune nuove soluzioni da poter metter in pratica quotidianamente.
Una strategia utilizzabile fin da subito è provare a rivelare al proprio interlocutore che durante la conversazione si potrebbe arrossire, magari stemperando con una battuta.
Oppure cercare di spostare l’attenzione al di fuori di noi stessi quando parliamo con qualcuno.
Come? Prova a tornare all’inizio di questo articolo e a rileggere l’aforisma di Diogene che ho citato: hai mai pensato che a volte gli altri potrebbero non accorgersi del tuo rossore o addirittura pensare che sia una virtù e non un segno di debolezza?
E se invece di concentrarti su te stesso provassi a vedere se il tuo interlocutore inizia ad arrossire prima di te mentre parlate?
Ricordati che se invece vuoi provare ad affrontare la tua paura di arrossire con uno specialista, quest’anno il nostro team di “One session” ti offre la possibilità di una sessione gratuita di consulenza psicologica a seduta singola della durata di 30 minuti, ogni Martedì dalle 18:00 alle 20:00.
Per prendere appuntamento, scrivi a info@onesession.it o alle nostre pagine Facebook e Instagram.
Lasciaci un commento se ti va di farci sapere come stai provando a gestire la tua eritrofobia!
Riferimenti bibliografici
American Psychiatric Association. (2013). Diagnostic and statistical manual of mental disorders (5th ed.)
Drummond, P. D., Shapiro, G. B., Nikolić, M., & Bögels, S. M. (2020). Treatment Options for Fear of Blushing. Current psychiatry reports, 22(6), [28]. https://doi.org/10.1007/s11920-020- 01152-5
Nardone, G. (2000). Oltre i limiti della paura. Bur, Rizzoli.
Veale, D. (2003). Treatment of social phobia. Advances in Psychiatric Treatment, 9(4), 258-264. doi:10.1192/apt.9.4.258
Sono una Psicologa iscritta all’Albo A degli Psicologi del Lazio e all’Istituto ICNOS: Scuola di Psicoterapie Brevi Sistemico-Strategiche.
Nel mio lavoro integro le mie competenze multidisciplinari per offrire ai miei clienti soluzioni personalizzate ed aiutarli a raggiungere i propri obiettivi in tempi brevi. Utilizzo la TSS per ottenere il massimo da ogni singolo incontro.
Come superare un trauma
Come superare un trauma? Quando possiamo definire un’esperienza come traumatica? Cosa ci mantiene incastrati in quel limbo tra ciò che era prima e ciò che è stato dopo il trauma?
Cos’è un trauma?
Se consultiamo un vocabolario, la parola trauma verrà definita come lesione improvvisa e violenta. A livello psichico ci si riferisce ad un turbamento determinato da un episodio dotato di una notevole carica emotiva.
Il trauma apre una profonda ferita a livello psichico, e fa da spartiacque a quello che per la persona che lo ha vissuto sarà il “prima” e il “dopo”.
Il trauma è causato da un evento con una grande carica emotiva, dicevamo. Si è soliti pensare che vi siano degli eventi oggettivamente traumatici, ed eventi invece che non possano causare alcun trauma.
Non è così. Un’esperienza viene definita traumatica in base agli effetti che produce nella persona.
Il disturbo post traumatico da stress
Secondo il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali DSM-5, il disturbo post traumatico da stress può insorgere in seguito ad eventi stressanti tali da comportare una gravità oggettiva estrema, con minaccia per la vita o l’integrità fisica propria o di altri (Cagnoni e Milanese, 2009).
Il disturbo post traumatico da stress può insorgere sia che questi eventi siano vissuti direttamente, sia che siano vissuti come testimoni, ma può anche bastare il semplice venire a conoscenza di eventi accaduti a terzi.
Le caratteristiche del disturbo post traumatico da stress includono i seguenti vissuti:
- Ricordi intrusivi dell’evento traumatico
- Ricorrenti incubi riguardanti l’evento traumatico o le emozioni ad esso collegate
- Episodi di flashback, in cui la persona sente o agisce come se l’evento traumatico si stesse ripresentando
- Intensa sofferenza psicologica in presenza di eventi o fattori che possono ricordare l’evento traumatico
- Reazioni fisiologiche intense a seguito di fattori scatenanti che possono ricordare l’evento traumatico
Vivere nel trauma
È chiaro come tutti i sintomi tipici del disturbo post traumatico da stress siano estremamente spiacevoli ed invalidanti.
Per questo i tentativi delle persone che si trovano in una condizione simile sono tutti volti ad evitare di dover avere a che fare con pensieri, situazioni e sensazioni che hanno a che fare col trauma vissuto.
Spesso però, sono proprio questi tentativi di liberarsi dal problema che lo mantengono vivo, o addirittura lo esacerbano.
Comportamenti che ti tengono incastrato nel trauma
- Cercare controllare i propri pensieri. La persona che ha vissuto l’esperienza traumatica cerca in tutti i modi di dimenticare il trauma vissuto cercando di non pensare. Ma “pensare di non pensare è pensare ancora di più”: cercando di scacciare pensieri e immagini legate al trauma, la persona si vincola ad un circolo vizioso paradossale, finendo per intensificare proprio ciò che si vuole estinguere.
- Evitare tutte le situazioni potenzialmente collegare all’evento traumatico. Si comincerà ad evitare il luogo in cui è avvenuto il trauma, le persone ad esso collegate, fino ad evitare situazioni ed eventi che in un qualche modo possono essere ad esso associate. Quale effetto si otterrà? Questi evitamenti arriveranno a confermare la pericolosità di situazioni che non sono in alcun modo collegate al trauma. La paura incrementerà e la persona finirà per non credere più nelle proprie risorse, aumentando le proprie paure e rendendo il disturbo sempre più invalidante.
- Richiesta di aiuto e rassicurazioni. La persona sente il bisogno di essere sempre accompagnata, in modo da avere con sé qualcuno che possa intervenire in caso di pericolo o di crisi. Il fatto di affidarsi ad altri non farà però che confermare la propria incapacità di affrontare in autonomia le situazioni temute, rendendo la persona dipendente dagli altri.
La scrittura per superare il trauma
Uno strumento molto potente per riuscire a superare le conseguenze psicologiche di un’esperienza traumatica è la scrittura.
Narrare ogni giorno per iscritto, come se fosse la prima volta, l’evento traumatico, andando nei dettagli di ricordi, sensazioni ed emozioni che l’episodio ha scatenato va esattamente contro quello che chi ha vissuto un trauma cerca di fare: eliminare i ricordi dolorosi.
Abbiamo visto però che il tentativo di eliminarli non fa altro che incrementarli. Dovremo quindi agire seguendo una logica diversa, cioè passandoci in mezzo volontariamente.
Rivivere quotidianamente per iscritto l’esperienza traumatica (senza rileggere) farà in modo che la persona possa esternalizzare i ricordi e le sensazioni che quotidianamente la affliggono, permettendole di prenderne le distanze, mettendo fuori di sé ciò che di solito è dentro.
One Session Center
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Riferimenti Bibliografici
Cagnoni F., Milanese R. (2009). Cambiare il passato. Superare le esperienze traumatiche con la terapia strategica. Firenze: Ponte alle Grazie.
Il mio lavoro è orientato al futuro e alla valorizzazione delle risorse delle persone che si rivolgono a me, in ottica di totale collaborazione.
La Terapia a Seduta Singola per la paura della morte
E’ possibile superare la paura della morte con una Terapia a Seduta Singola? Scopriamolo nell’articolo di oggi.
Il significato della morte
Ciascuna società si è occupata, nel suo tempo, della morte con riti e tradizioni diversi da una cultura all’altra.
Il concetto di morte è parte integrante del concetto di vita. È il riflesso stesso del culto della vita.
Eros e Thanatos hanno ispirato poeti, artisti, pensatori. Amore e morte.
“Forte come la morte è l’amore, tenace come gli inferi è la passione” recita il Cantico dei Cantici nella tradizione biblica.
La paura della morte accompagna l’uomo da sempre.
Ha provato a spiegarcelo Aristotele: “La cosa più paurosa è la morte. Essa è infatti il nostro termine”.
Hanno provato a spiegarlo le religioni. Da qui l’idea della vita dopo la morte, della reincarnazione e di tante altre credenze affascinanti e mistiche.
Hanno provato a spiegarlo la filosofia e la scienza attraverso miti e teorie.
La paura della morte riguarda molti individui in momenti particolari della loro esistenza.
La pre-adolescenza in cui si inizia a prendere coscienza del fatto che la morte è parte del percorso di vita di ciascuno.
La gravidanza, momento in cui si teme per la propria vita e quella del bambino.
La vecchiaia in cui si avverte che il tempo di lasciare andare è vicino.
La perdita traumatica di persone amate.
La morte richiama l’ignoto, l’ineluttabilità, la mancanza di controllo. Possiamo temere per la nostra vita o quella di chi amiamo.
I balsami che hanno addolcito la paura di morire sono stati nel tempo la religione, il culto dei morti, il pensiero filosofico, l’arte, la cultura, la poesia.
La paura della morte viene esorcizzata e addomesticata dall’uomo attraverso il potere, la guerra, il decidere della vita e della morte stessa.
La paura della morte in psicologia
Molte persone hanno paura di morire. Di certo non sempre questa paura assume una connotazione patologica.
In psicologia, la paura della morte è un disturbo spesso associato alla depressione, ai disturbi di ansia, ai disturbi da ansia di malattia, agli attacchi di panico.
Chi soffre di ansia o di panico, infatti, spesso ha sperimentato questa sensazione.
La paura di morire diventa patologica quando crea ansia e/o pensieri ossessivi. Quando limita, in parte o del tutto, la vita e le abitudini delle persone.
L’irrazionalità e la mancanza di controllo, associate a questa paura, ne rappresentano gli elementi caratteristici ed esasperanti. La perdita dei legami, di ciò che abbiamo costruito nel tempo, è un pensiero che crea angoscia.
Il momento storico, sociale e sanitario che stiamo vivendo ha visto e vede questa paura protagonista nel vissuto di molti.
Chi di noi nel periodo acuto della pandemia non ha pensato almeno una volta alla morte?
Abbiamo visto stare male persone care. Siamo stati bombardati da immagini di malattia e morte. Morti senza corpi, senza riti che ne celebravano il trapasso. Morti senza la condivisione degli affetti e della famiglia.
Un tema dunque molto attuale in questo periodo di incertezza ed emergenza.
La paura della morte nasce con la nascita dell’uomo. È un tema esistenziale. L’uomo, da un certo momento in poi (dai 4 – 5 anni di vita), inizia a fare i conti con la perdita di persone vicine e care e dunque a riflettere e ragionare su di essa.
Il percorso di accettazione della morte, come condizione inevitabile, contribuisce al percorso di crescita. Tuttavia fattori ambientali, fisiologici e psicologici possono anche contribuire ad alimentare questa paura e molto spesso a costruire fobie ben strutturate.
Quando la paura diventa invalidante e condizionante, sarà possibile scontrarsi con un disturbo di personalità.
Terapia a seduta singola e la paura della morte
La Terapia a Seduta Singola si focalizza sui bisogni urgenti della persona.
Manovre e interventi che possono, anche in un solo incontro, rendere utile e concreto l’intervento del professionista.
Soluzioni su misura, capaci di rendere possibile il cambiamento anche in una sola seduta.
Sarà poi la persona a valutare se pensa di poter affrontare da sola la difficoltà che lo ha portato in terapia oppure scegliere di varcare nuovamente quella “porta” che resterà sempre aperta.
La paura spinge la persona a mettere in atto comportamenti che altro non fanno che alimentare il problema. Il disturbo diventa così più strutturato e il cambiamento più difficile da realizzare.
“Guardare in faccia” la paura può aiutare a ridimensionare l’angoscia e l’ansia che essa provoca.
Quali sono le tue paure? Di cosa potresti morire o di cosa potrebbero morire le persone che ami?
Bene. Potresti appuntarlo su un diario, la mattina appena sveglio e la sera, finita la giornata, spuntare quale di quelle paure si è realizzata.
Metterai quella spunta o l’avrai “spuntata”?
Le paure possono essere superate anche da soli. Molto spesso però questo può essere molto difficile e allora non bisogna esitare a chiedere l’aiuto di un professionista. Varcare la porta per ritrovare la propria strada.
Ogni Martedì dalle 18:00 alle 20:00 gli psicologi del team “One session” sono a tua disposizione per una sessione gratuita di consulenza psicologica a seduta singola di 30 Minuti.
Per maggiori informazioni, puoi inviare una email a info@onesession.it o visitare le nostre pagine Facebook o Instagram.
Bibliografia e sitografia:
Cannistrà F., Piccirilli F. (2021). Terapia Breve Centrata sulla Soluzione. Roma: EPC Editore https://www.lostudiodellopsicologo.it/disturbi/paura-di-morire-scardinarla-con-la-terapia-breve/
Psicologa, Mediatrice Familiare, Esperta in Scienze Forensi
La Terapia a Seduta Singola per la paura degli aghi
Che cosa si intende per “belonefobia” o “paura degli aghi”?
La “paura” rappresenta di per sé un’emozione fondamentale per il nostro adattamento al contesto circostante.
Essa ci mette in allarme di fronte a un pericolo imminente ed aumenta la nostra capacità di farvi fronte.
Quando tuttavia una persona entra in uno stato di allarme nei confronti di una situazione reale o immaginata in modo limitante per la propria vita, la paura rischia di diventare una gabbia in cui si rimane intrappolati.
Non amare particolarmente la vista o la sensazione di venir trafitti da un ago è piuttosto comune.
Ciò non rappresenta di per sé un problema, se ci consente comunque di condurre la nostra vita senza limitazioni.
Se però questa paura diviene sproporzionata rispetto al rischio reale, al punto da non riuscire più a controllare questa emozione e a rimanerne bloccati, potremmo trovarci di fronte ad una fobia specifica.
La “belonefobia” ( dal greco “ago” e “paura”), per poter essere ritenuta tale deve essere sperimentata dalla persona in modo marcato e persistente per almeno 6 mesi di fronte ad una specifica situazione o oggetto e scatenare una reazione immediata di ansia e paura, che compromette la propria vita (DSM-5).
Questa fobia può riguardare ad esempio la vista degli aghi, la sensazione di esserne trafitti o anche l’avvicinarsi a contesti dove si possono trovare (ad es. studi medici, ospedali, negozi di tatuaggi…).
Quali sono le conseguenze?
Ogni persona vive la belonefobia in modo del tutto soggettivo.
Tra i sintomi fisici più frequenti, si possono riscontrare aumento del battito cardiaco, sudorazione improvvisa fino ad arrivare a nausea e svenimento di fronte agli aghi.
Altre persone sperimentano pensieri pervasivi di preoccupazione intensa, angoscia e reazioni di fuga.
Di fronte a questo limitante problema, ciascuno può quindi trovare il suo modo per poter ridurre al minimo questo disagio.
La soluzione maggiormente adottata per la belonefobia è l’evitamento di tutte quelle situazioni che possono mettere a rischio di entrare a contatto con gli aghi.
Questo si può esprimere ad esempio con la scelta di non sottoporsi a indagini, controlli e terapie mediche (come le analisi del sangue o andare dal dentista) arrivando anche a rifiutare interventi e ricoveri necessari per la propria salute.
Uno studio recente nel Regno Unito ha riscontrato ad esempio che nella popolazione adulta oggetto dello studio, la belonefobia potrebbe spiegare circa il 10% dei casi di esitazione al vaccino COVID-19 (Freeman D. et al (2021).
Un’altra modalità adottata per provare a gestire da soli la belonefobia è condividere con amici e parenti i propri vissuti.
Paradossalmente, parlare in continuazione del problema non fa che ingigantirlo ed amplificarne le conseguenze negative.
Anche pensare ripetutamente all’evento stressante in solitudine rischia di farci affondare nelle sabbie mobili della paura ancora di più.
Come può aiutarti la Terapia a Seduta Singola ad affrontare la paura degli aghi?
Se leggendo questo articolo hai pensato “ehi, ma anche a me succede! Sono proprio io!” sappi che la Terapia a Seduta Singola può risultare efficace nella risoluzione della belonefobia.
Fin dalla prima seduta lo psicologo esplorerà con te il tuo problema, cercando di identificare in quali circostanze specifiche e con quali modalità peculiari si presenta.
Lo psicologo potrà poi aiutarti ad individuare e sperimentare delle strategie alternative per fronteggiarlo.
A diverse persone può risultare funzionale iniziare ad esporsi in maniera graduale alla propria paura.
L’uso di immagini, video o prove sul campo può aiutare ad abbassare il livello di ansia e ad aumentare la propria capacità di sentirsi a proprio agio nel contesto inizialmente evitato.
Se hai trovato un modo efficace per vincere la tua belonefobia e hai voglia di condividerla con noi, raccontaci la tua esperienza nei commenti.
Ricordati inoltre che se preferisci affrontare la tua paura degli aghi con uno specialista, il team di psicologi di “One session” ti offre la possibilità di una sessione gratuita di consulenza psicologica a seduta singola della durata di 30 minuti, ogni Martedì dalle 18:00 alle 20:00.
Per prenotare, puoi inviare una email a info@onesession.it o contattarci sulla nostra pagina FB OneSession.it
Riferimenti bibliografici
Freeman D. et al (2021). Injection fears and COVID-19 vaccine hesitancy. Psychological Medicine 1–11.
McLenon J., Rogers M. (2019). The fear of needles: A systematic review and meta-analysis. Journal of Advanced Nursing 2019, 75 (1): 30-42. 301
Nardone, G. (2000). Oltre i limiti della paura. Milano: BUR Rizzoli.
Sono una Psicologa iscritta all’Albo A degli Psicologi del Lazio e all’Istituto ICNOS: Scuola di Psicoterapie Brevi Sistemico-Strategiche.
Nel mio lavoro integro le mie competenze multidisciplinari per offrire ai miei clienti soluzioni personalizzate ed aiutarli a raggiungere i propri obiettivi in tempi brevi. Utilizzo la TSS per ottenere il massimo da ogni singolo incontro.
La terapia a seduta singola per l’acrofobia
Immagina di essere sul piano più alto di un grattacielo di New York e guardare la distesa attorno a te: le macchine sono così lontane da sembrare formiche, i pedoni si vedono a stento.
Chi soffre di acrofobia può sentirsi molto a disagio e provarne i sintomi tipici anche solo immaginando una situazione del genere.
Acrofobia: cos’è
L’acrofobia, o paura delle altezze, si manifesta con paura e ansia marcate nelle situazioni in cui si è lontani dal contatto col suolo.
Queste situazioni possono essere l’ultimo piano di un grattacielo, appunto, o un trekking in montagna, o ancora salire su una scala a pioli.
Nel momento in cui perde il contatto con il suolo, chi soffre di acrofobia sviluppa una serie di sintomi tipici: sudorazione eccessiva, battito cardiaco accelerato, sensazione di nausea e vertigini e voglia di fuggire.
Il timore di chi soffre di acrofobia è quello di poter cadere, di essere risucchiato nel vuoto o anche di avere l’impulso a buttarsi giù autonomamente.
Questo tipo di fobia non va confusa con le vertigini.
Sebbene molti sintomi possano essere simili, come i giramenti di testa o il disorientamento, le vertigini hanno origine organica. L’acrofobia ha un’origine tutta psicologica.
Le soluzioni che complicano il problema
Se “le hai provate tutte” per superare l’acrofobia senza successo, molto probabilmente è proprio perché tutto ciò che hai provato è ciò che ha mantenuto in vita il problema finora!
Si possono infatti individuare alcuni comportamenti tipici in chi soffre di acrofobia (e di fobia in generale) che pur sembrando utili, non fanno che mantenere il problema.
Elenchiamoli brevemente, in modo che tu possa riconoscerli.
- Evitare tutte le situazioni dove non hai “i piedi per terra”.
L’evitamento è una forma di prevenzione che ci preserva dalle situazioni spiacevoli e spaventose.
Purtroppo l’evitamento si rivela una trappola perché se effettivamente siamo rassicurati dal fatto di tenerci lontani dalle situazioni temute, così facendo stiamo solo validando la pericolosità della situazione evitata, e la nostra incapacità di fronteggiarla.
- Controllare le proprie reazioni ed imporsi di non aver paura.
Così facendo si cerca di mettere sotto un controllo volontario delle manifestazioni che sono totalmente spontanee, finendo per ottenere l’effetto totalmente opposto.
La terapia a seduta singola per l’acrofobia
Anche un solo colloquio può rivelarsi molto utile per iniziare a superare l’acrofobia. Attraverso un’attenta descrizione del problema, il terapeuta ti aiuterà ad individuare i comportamenti che lo stanno mantenendo.
Il lavoro sarà focalizzato a rintracciare, amplificare e utilizzare le tue risorse indirizzandole verso il miglioramento e la risoluzione della situazione.
Sei interessato alla Terapia a Seduta Singola? Puoi rivolgerti ai nostri psicologi e psicoterapeuti, disponibili ogni martedì dalle 18.00 alle 20.00, per una consulenza gratuita online. Scrivi sulla pagina Facebook One Session.it
Riferimenti bibliografici
Nardone, G. (2000). Oltre i limiti della paura. BUR Biblioteca Univ. Rizzoli
https://www.treccani.it/enciclopedia/acrofobia_%28Enciclopedia-Italiana%29/
Il mio lavoro è orientato al futuro e alla valorizzazione delle risorse delle persone che si rivolgono a me, in ottica di totale collaborazione.
Ansia da esami? Ecco gli errori tipici che probabilmente compi!
È maggio, l’estate si sta avvicinando, si comincia a respirare aria di vacanza.
Ma c’è una categoria di persone che vive questo mese con ansia e tensione.
Parliamo degli studenti che a breve dovranno affrontare la sessione estiva, o l’esame di maturità.
Questi vedono il tempo scorrere velocemente mentre sono ancora sommersi di argomenti da ripassare o iniziare a studiare.
Nell’articolo di oggi andremo ad analizzare alcuni degli errori più comuni che uno studente in ansia per gli esami commette, e forniremo delle indicazioni per affrontare questo periodo al meglio.
Intrappolarsi nel perfezionismo
L’ansia per gli esami può essere accompagnata, ed esacerbata, dall’esigenza di dover studiare tutto perfettamente.
Se dedizione ed impegno sono caratteristiche auspicabili in uno studente, portate all’estremo diventano fonte di problemi.
Il tempo dedicato all’organizzazione, programmazione ed esecuzione dei compiti impegna lo studente perfezionista per la maggior parte del tempo.
Egli finirà per intrappolarsi in questa ragnatela del perfezionismo sempre più fitta. Ci sarà sempre, infatti, un compito successivo per cui doversi preparare al meglio.
L’esito sarà quello di una costante ansia, che porterà a mano a mano alla rinuncia di attività ricreative e ludiche.
Questo tipo di ansia potrà arrivare ad esprimersi anche con attacchi di panico, crisi di pianto e somatizzazioni.
Come affrontare l’ansia da perfezionismo?
Allenati a sbagliare! Inserisci nella tua routine quotidiana un momento in cui, volontariamente, inserire degli errori in quello che stai studiando. Così facendo imparerai a regolare le tue reazioni di fronte agli sbagli e acquisirai un controllo maggiore su eventuali errori che ti capiterà di commettere in futuro.
Evitare (e confermare di essere impreparati)
Che si sia spinti dal perfezionismo o dall’ansia per l’eventualità di fare brutta figura e bloccarsi durante l’esame, il “salto dell’appello” è uno sport frequentemente praticato dagli studenti universitari.
L’idea che tanto ci possa essere un’ulteriore possibilità tranquillizza apparentemente gli studenti che potranno così placare la propria ansia e paura di essere impreparati, convincendosi che arriveranno all’appello successivo con maggiore sicurezza.
Ma funziona?
Niente affatto.
L’evitamento è una dei tentativi di liberarsi dell’ansia più messi in atto in assoluto. I suoi effetti sono però controproducenti.
Più evitiamo, infatti, e più ci stiamo confermando di non essere in grado di affrontare la situazione che ci crea ansia. Questo farà sì che all’appello successivo non ci sentiremo affatto più pronti.
Che fare quindi?
Evita di evitare!
Anche se non ti senti sufficientemente pronto per l’appello imminente, mettiti alla prova. Piuttosto, rifiuta il voto. Non vedere il brutto voto come un fallimento, ma come l’occasione di imparare dove e cosa puoi migliorare.
Se invece eviti per paura di bloccarti, arrossire, balbettare, quello che puoi fare è “dichiarare il tuo perturbante segreto”.
Cosa significa?
Se sei una persona che, in situazioni di ansia, tende ad arrossire o balbettare quando interrogata, fallo presente al tuo esaminatore! Negare le proprie fragilità le rende ingestibili, mentre dichiararle farà in modo di annullare i loro effetti negativi.
Parlare sempre e solo della tua ansia
Se stai cercando di placare la tua ansia da esami sfogandoti costantemente con chi ti circonda, sappi che ti stai dando la zappa sui piedi da solo!
Sfogarsi fa sentire la persona in ansia apparentemente svuotata dalla tensione. In realtà, prova a farci caso, l’effetto è opposto.
Lo sfogo funziona con l’ansia come un fertilizzante per una pianta infestante: la fa crescere e prendere più spazio di quanto meriterebbe!
Se ti sei reso conto che effettivamente ami parlare di quanto sei in ansia, ecco l’indicazione giusta per te: la congiura del silenzio.
D’ora in poi parla di qualsiasi argomento con chiunque tu voglia, tranne che della tua ansia per gli esami!
Buttando la tua ansia fuori di te stai delegando agli altri la gestione della stessa. È invece di imparare a gestirla, e non a subirla.
Se ritieni di avere bisogno di un aiuto in più, prendi in considerazione l’idea di chiedere aiuto ad un professionista!
Ogni martedì dalle 18.00 alle 20.00, i terapeuti del nostro team One Session si rendono disponibili per degli incontri online gratuiti utilizzando la Terapia a Seduta Singola. Contattaci per maggiori inviando una email a info@onesession.it oppure visita la nostra pagina Fb OneSession.it.
Riferimenti bibliografici
Alessandro Bartoletti (2013). Lo studente strategico. Come risolvere rapidamente i problemi di studio. Firenze: Ponte delle Grazie.
Il mio lavoro è orientato al futuro e alla valorizzazione delle risorse delle persone che si rivolgono a me, in ottica di totale collaborazione.
Superare la paura di guidare con la Terapia a Seduta Singola
Che cos’è e come si manifesta la paura di guidare?
La paura di guidare l’automobile è una problematica molto più comune di quanto si potrebbe pensare. Definita in gergo tecnico amaxofobia, dal greco amaxos (“carro”), fa riferimento alla forte ansia al pensiero di mettersi alla guida.
L’amaxofobia colpisce sia uomini che donne, anche se sembrerebbe essere più frequente in queste ultime.
La paura di guidare, oltre ad essere fastidiosa, può diventare invalidante per chi ne soffre, causando disagio e rinunce.
A causa della forte ansia, infatti, alcune persone finiscono per rinunciare a partecipare ad eventi sociali o limitare le proprie possibilità lavorative.
Non esiste un solo tipo di amaxofobia.
Al contrario, la paura di guidare può presentarsi in svariati modi. Alcune persone possono sperimentare solo una lieve ansia prima di mettersi al volante, altre invece possono essere colpite da un’ansia così forte da sfociare in attacchi di panico.
Chi presenta amaxofobia può sperimentare reazioni sia psicologiche sia fisiche, che da un fastidio sporadico possono diventare sempre più invalidanti. Inoltre, la paura di guidare potrebbe manifestarsi sempre, oppure solo in alcune circostanze.
Guidare in autostrada, guidare di notte o con particolari condizioni metereologiche, attraversare gallerie, sono alcune delle situazioni che possono provocare l’amaxofobia.
Può anche capitare, se la problematica viene sottovalutata, che possa generalizzarsi, passando da una situazione specifica ad altre sempre più numerose.
Cosa facciamo solitamente per combatterla e perché questo non aiuta realmente?
Spesso, quando qualcosa ci spaventa, la prima cosa che facciamo per controllare e far diminuire l’ansia è evitarla.
Nel caso della paura di guidare, evitare di salire in macchina e girare la chiave potrebbe sembrare la soluzione.
Magari dicendo a sé stessi che non è così importante raggiungere quel luogo, e che andrà meglio la prossima volta.
Ma è davvero una strategia efficace?
La risposta, purtroppo, è no.
Evitare di mettersi alla guida, oltre ad esporre al rischio reale dell’isolamento sociale, non fa altro che ritardare l’ansia e farla tornare più forte la volta successiva.
Un’altra strategia spesso usata per controllare l’ansia della guida è chiedere a qualcuno di fare da accompagnatore durante i tragitti.
L’accompagnatore può essere una persona specifica, che ispiri sicurezza, oppure un accompagnatore generico.
L’importante, in questa logica, è non avventurarsi da soli ed avere qualcuno che aiuti a gestire la paura.
Anche in questo caso, purtroppo, questa strategia non è realmente utile ad affrontare efficacemente la paura.
Infatti, chiedendo costantemente ad un’altra persona di accompagnarci, non facciamo altro che rimandare il momento in cui poter dimostrare a noi stessi di essere capaci di viaggiare da soli.
Come può aiutare la Terapia a Seduta Singola?
La Terapia a Seduta Singola può rappresentare un valido aiuto per affrontare efficacemente la paura di guidare.
In che modo?
Un primo motivo per scegliere la Terapia a Seduta Singola è che sarai tu a scegliere il tuo obiettivo.
Nessun terapeuta cercherà di proporti la sua visione sulla risoluzione della problematica.
Dopo averti attentamente ascoltato, tu e il terapeuta deciderete quali obiettivo porvi e come cercare di raggiungerli.
Inoltre, durante l’incontro, avrai modo di riflettere sulle tue risorse e farne emergere di nuove.
Utilizzando il terapeuta come uno strumento a tua disposizione, potrai scoprire risorse inaspettate e valutare come poterle utilizzarle.
La Terapia a Seduta Singola potrà anche aiutarti nel cercare momenti in cui il problema non si è manifestato nel passato.
In questo modo, potrai esaminare la situazione da un punto di vista più ampio.
A questo punto, con nuova consapevolezza, potrai trovare e sperimentare nuovi modi per affrontare efficacemente la paura di guidare.
Sei curioso di provare?
Ogni martedì dalle 18.00 alle 20.00, i terapeuti del nostro team One Session si rendono disponibili per degli incontri online gratuiti utilizzando la Terapia a Seduta Singola. Contattaci per maggiori inviando una email a info@onesession.it oppure visita la nostra pagina Fb OneSession.it
Riferimenti bibliografici
Cannistrà F., Piccirilli F. (2018), Terapia a Seduta Singola. Principi e pratiche. Giunti Psychometrics
Nardone G. (2007), Non c’è notte che non veda il giorno. La terapia in tempi brevi per gli attacchi di panico. Milano: TEA Pratica
Nardone G. (1993), Paura, panico, fobie. La terapia in tempi brevi. Firenze: Ponte delle Grazie
Sono una psicologa, mi occupo di sostegno psicologico attraverso l’uso della Terapia a Seduta Singola per poter aiutare le persone a risolvere i propri problemi in tempi brevi. Ricevo a Cosenza e On Line (Skype).
Autostima cercasi!
Che cos’è l’autostima?
Se ti chiedo di pensare a quanta autostima hai di te stesso, a cosa pensi esattamente?
Quali, delle tue caratteristiche fai rientrare nella tua definizione di autostima?
L’autostima è un costrutto psicologico: William James (cit. in Bascelli e all, 2008) la definisce come il risultato che scaturisce dal confronto tra i successi che l’individuo ottiene realmente e le aspettative in merito ad essi.
Per dirla in parole povere, si tratta della percezione che hai di te stesso, delle tue risorse, delle tue capacità, delle tue attitudini declinate nei vari contesti di vita.
Che voto ti dai?
Quando ci chiedono cosa pensiamo di noi stessi, non facile essere oggettivi: a seconda del campo di riferimento, del momento di vita, delle esperienza vissute, ci valutiamo diversamente.
Non è una percezione costante, ma in continua evoluzione.
Quali sono i processi che determinano la tua autostima?
- Il confronto con gli altri
- Giudizio degli altri: “cosa dicono di te gli altri?”
- Auto osservazione: tu valuti e confronti te stesso rispetto agli altri
Sono tre le variabili che entrano in gioco nel determinare la nostra autostima, e vien da se che non avranno sempre la stessa influenza o lo stesso peso sulla percezione di te stesso, poiché saranno soggette a cambiamenti.
Non puoi controllare, soprattutto perché i dati che ottieni non sono mai realmente oggettivi.
Il risultato di queste tre variabili ti porta a valutarti o a svalutarti:
Quando ti svaluti, ti senti incapace, al di sotto delle tue reali capacità. Non credi potercela fare, non senti di avere il controllo sulle tue decisioni, non rincorri i tuoi obiettivi. Hai bisogno degli altri per trovare sicurezza in te.
Quando ti sopravvaluti, ti ritieni più capace rispetto agli altri; dimostri quanto vali e non hai bisogno del confronto per sapere che sei bravo.
Cosa puoi fare per accrescere la tua autostima?
- Basta evitare
Se ti svaluti, vuol dire che hai poca fiducia in te stesso.
Così, anziché affrontare le situazioni le eviti, per perché non ti senti capaci.
Ti dico che devi smetterla: più eviti, e più confermi a te stesso la tua incapacità.
Inizia ad affrontare le tue paure, un passo alla volta.
- No alle rassicurazioni
cerchi sempre il confronto con glia altri per prendere decisioni o per rassicurarti che stai sulla strada giusta.
Inizia ad agire, affidandoti al tuo istinto.
Chiedere costantemente aiuto e riceverlo, ti conferma ogni volta che ne hai effettivamente bisogno. Butta le stampelle e comincia a camminare da solo.
- Impara a dire NO
Soffri della sindrome del San Bernardo e dici sempre si a tutti?
E’ ora di smettere, perché l’unico che ci rimette sei tu.
Esserci per tutti è un attività che ti stressa e ti toglie spazio e rispetto a te stesso.
Impara a dire di no e a stare lontano da ciò che ti sottrae a te stesso.
Se pensi di aver bisogno di un supporto in più, puoi rivolgerti a un professionista.
La Terapia a Seduta Singola può aiutarti anche in un solo incontro con lo psicologo perché ti permette di eliminare i comportamenti che mantengono in vita il problema e ottenere concreti benefici.
Sei interessato alla Terapia a Seduta Singola? Puoi rivolgerti ai nostri psicologi e psicoterapeuti, disponibili ogni martedì dalle 18.00 alle 20.00, per una consulenza gratuita online.
Scrivi sulla pagina Facebook One Session.it
Riferimenti Bibliografici
Nardone, G. (2013). Psicotrappole. Milano: Adriano Salani.
Rampin, M. (2014). Nel mezzo del casin di nostra vita. Milano: Ponte alle Grazie.
Sellin, R. (2015). Le persone sensibili sanno dire no. Milano: Feltrinelli.
Sono una psicologa che si occupa di consulenze brevi e di TSS: il mio obiettivo è ridurre i tempi della terapia e massimizzare l’efficacia della seduta, offrendo un sostegno focalizzato e concreto per affrontare sia le piccole che le grandi difficoltà della vita
Rimuginare: Come smettere di avere pensieri fissi e invadenti?
Rimuginare: che cosa significa?
Rimuginare significa pensare in modo ciclico e ripetitivo agli stessi pensieri. Spesso il contenuto di questi pensieri è triste e focalizzato sui problemi.
La nostra mente funziona come un risolutore di problemi quando si trova ad affrontare problemi logici.
Se ad esempio mi si rompe la macchina e rischio di arrivare in ritardo a lavoro la mia mente elaborerà la situazione. Dopo di che cercherà di individuare l’alternativa che mi permetterà di arrivare a lavoro nel minor tempo possibile.
Purtroppo non tutti i problemi hanno una soluzione logica, spesso ci troviamo ad affrontare disagi legati al mondo emotivo che non possono essere risolti con del semplice problem solving.
In questi casi la convinzione che rimuginare possa esserci utile in qualche modo per risolvere il problema può farci restare focalizzati su di esso. Inoltre con il passare del tempo questo processo potrebbe diventare un’abitudine che ci porterà ad avere sempre i soliti pensieri fissi che monopolizzano la nostra quotidianità.
Eventi di vita particolarmente stressanti possono aumentare la possibilità di innescare pensieri fissi e ricorrenti negativi.
La rimuginazione è anche molto frequente nelle persone che hanno tratti di personalità come il nevroticismo e il perfezionismo.
Le conseguenze della rimuginazione
La rimuginazione può essere pericolosa per il nostro benessere psicologico e può aumentare il rischio di sviluppare problematiche psicopatologiche.
Le ricerche ci suggeriscono che rimuginare ossessivamente è associato a sintomi depressivi e ansiosi. Più il nostro benessere diminuisce, più la tendenza a rimuginare aumenta. Si genererà perciò una sorta di circolo vizioso che alimenta il problema e rende sempre più difficile interromperlo.
Molte persone per placare il disagio crescente scaturito da pensieri fissi e invadenti finiscono per cercare di “automedicarsi,” utilizzando strategie disfunzionali come il consumo eccessivo di alcool e droghe.
I pensieri fissi rendono anche più difficile avere un sonno regolare. Infatti è piuttosto difficile dormire e spegnere il cervello quando continua ad essere focalizzato sull’attività di rimuginazione.
Come smettere di rimuginare
Dopo esserci soffermati sulle conseguenze negative della rimuginazione, cerchiamo di capire come possiamo fare per non alimentare questo meccanismo.
Esistono molti modi per affrontare questo problema e la Terapia a Seduta Singola può essere molto utile nell’aiutarti a individuare delle strategie efficaci.
Vediamo insieme alcuni consigli che puoi provare a mettere in atto fin da subito.
1. Impara a distinguere tra rimuginazione e problem solving
Molte persone hanno la convinzione che ripensare continuamente a una situazione problematica possa essere utile per risolverla. In realtà rimuginazione e problem solving sono processi diversi.
A differenza del problem solving, quando rimuginiamo continuiamo semplicemente a ripensare alla situazione senza cercare di elaborare un piano per risolverla.
Perciò se ti rendi conto che i tuoi pensieri fissi non ti stanno portando da nessuna parte, chiediti se effettivamente continuare a rimuginare possa essere utile in qualche modo a risolvere il problema.
Spesso ti renderai conto che continuare a ripensare non ti porta a nessuna soluzione. In questi casi anche semplicemente prendere atto del fatto che stai rimuginando, può essere un passo utile per ridurre questo processo.
2. Crea un kit di distrazione
Le ricerche suggeriscono che in molti casi anche semplicemente distrarsi per pochi minuti può aiutare a ridurre la tendenza a rimuginare. Perciò individua 2 o 3 attività da mettere in atto ogni volta che ti rendi conto di iniziare a rimuginare.
Scegli attività semplici che puoi eseguire in qualsiasi momento e luogo: scrivere, leggere, ascoltare musica, o qualsiasi altra cosa possa funzionare per te.
Una volta che avrai individuato 2 o 3 attività avrai il tuo kit di distrazione pronto all’uso ogni volta che ne hai bisogno.
3. Ritagliati del tempo per rimuginare
Ogni giorno prenditi 20 minuti per chiuderti in una stanza, possibilmente dove puoi essere comodo e nessuno ti disturberà. Imposta il timer della sveglia a 20 minuti.
In questi 20 minuti sforzati il più possibile di portare alla mente tutti quei pensieri invadenti che arrivano durante il giorno. In questi 20 minuti qualsiasi cosa succeda non interrompere l’esercizio fino al suono della sveglia.
Questo esercizio potrebbe sembrare controintuitivo, ma in realtà se eseguito correttamente è molto efficace.
4. Chiedi un supporto psicologico
In alcuni casi i pensieri fissi possono diventare un’importante fonte di malessere e chiedere un supporto psicologico potrebbe essere la scelta migliore.
Per questo, ogni martedì dalle 18:00 alle 20:00, gli psicologi del nostro team One Session si rendono disponibili per degli incontri online gratuiti utilizzando la Terapia a Seduta Singola. Per avere maggiori informazioni e prenotare il tuo incontro, puoi contattarci inviando una e-mail a info@onesession.it oppure visitala nostra pagina Fb OneSession.it.
Bibliografia
Dorthe K. T. et al. (2003). Rumination—relationship with negative mood and sleep quality.
Personality and Individual Differences, 34(7), 1293-1301. https://doi.org/10.1016/S0191-8869(02)00120-4.
Law, B. M. (2005). Probing the depression-rumination cycle. Monitor on Psychology, 36(10). http://www.apa.org/monitor/nov05/cycle (consultato in data 08/04/2021).
Michl, L. C. et al. (2013). Rumination as a mechanism linking stressful life events to symptoms of depression and anxiety: longitudinal evidence in early adolescents and adults. Journal of abnormal psychology, 122(2), 339–352. https://doi.org/10.1037/a0031994.
Sono uno psicologo e mi occupo soprattutto di consulenze brevi e di psicologia del benessere. Utilizzo la Terapia a Seduta Singola per diverse problematiche, in particolare per aiutare le persone ad affrontare ansia e momenti particolarmente stressanti.
Come superare la fobia sociale con la Terapia a Seduta Singola
Magari sei una persona estroversa, amichevole e che non fa fatica a conoscere nuove persone.
O magari sei una di quelle spaventate a morte all’idea di interfacciarsi con gente nuova, esibirsi di fronte a un pubblico o semplicemente aprire il proprio cuore a qualcuno.
Non sto parlando di semplice introversione ma di una vera e propria fobia sociale!
Che cos’è la Fobia Sociale?
Ci sono persone che sono timide per loro natura e che sono incapaci di sottostare alle situazioni sociali per paura di un giudizio negativo ; ci sono poi persone introverse che, a differenza dei timidi, preferiscono in percentuale maggiore la solitudine rispetto alla socialità.
Chi soffre di Fobia sociale, invece, vive una condizione di disagio significativa per tutte le situazioni sociali.
Il DMS 5, il Manuale Statistico e Diagnostico dei Disturbi Mentali descrive la fobia sociale come la persistente paura di venire giudicato negativamente dagli altri.
Il che vuol dire che nelle occasioni sociali, la persona ha il timore di essere rifiutata o derisa dagli altri.
Ciò che temono di più sono:
- Occasioni di performance: tutti quegli eventi in cui la persona verrò esaminata o sottoposta a valutazione.
- Situazioni “egocentriche”: tutti i momenti in cui si esprime la propria opinione o posizione. P
- Le occasioni in cui si è al centro dell’attenzione, sotto il focus degli altri.
- Situazioni intime: tutte le volte in cui si parla di se stessi, dei propri fatti personali e si fanno rivelazioni private agli altri.
Cosa fai per combattere la Fobia sociale?
Ci sono una serie di comportamenti che sicuramente metti in atto per tentare di combattere la Fobia Sociale ma anziché risolvere il problema, lo peggiorano o lo mantengono così com’è.
Le tentate soluzioni sono:
- Ti sforzi di essere spontaneo o diverso da ciò che sei e questo ti porta a commettere più gaffe del solito.
- Eviti tutte le situazioni sociali e questo aumenta la tua ansia ogni volta che sei obbligato ad andarci.
- Eviti di mostrare le tue emozioni per no creare rapporti intimi con gli altri
- Chiedi aiuto, hai bisogno di una spalla che ti sostenga ma questo ti porta a sentirti più ansioso di quanto in realtà tu non sia.
- Usi farmaci per tranquillizzarti.
- Hai bisogno di alcool che ti distenda i nervi durante gli incontri sociali.
Tutto questo purtroppo non sta funzionando!
Cosa puoi fare invece?
Prendi la paura per le corna! La paura si sconfigge affrontandola, passo dopo passo.
- Evita…di evitare: ogni volta che confermi da un lato la pericolosità della situazione, dal’altro confermi a te stesso di non essere in grado di affrontare la situazione. Inizia a smettere di evitare ciò che ti spaventa e ad affrontare giorno per giorno la tua più piccola paura.
- Rivela il tuo imbarazzo: è lo stratagemma che usano i public speaking quando si trovano di fronte alla platea; per evitare che l’ansia prenda il sopravvento, dichiarano ad alta voce ciò che li turba. In questo caso puoi anticipare che ti senti in imbarazzo “premetto che sono in imbarazzo, però vorrei dire che…”
- Come se: cosa faresti di diverso se non sofrissi di fobia sociale? Se fossi sicuro di te, se gli altri non ti spaventassero e non ti sentissi in imbarazzo, cosa faresti di diverso rispetto ad adesso? Pensaci e l’azione più semplice che ti viene in mente, la metti in atto.
- Sottoponiti a piccole interazioni quotidiane: provaci, buttati, sperimentati…ma ricordati a piccoli passi. Non devi gettarti giù dal burrone ma semplice iniziare gradualmente co piccole interazioni che ti mettono a tuo agio per sperimentarti e acquisire sicurezza.
Se pensi di aver bisogno di un supporto in più, puoi rivolgerti a un professionista.
La Terapia a Seduta Singola può aiutarti anche in un solo incontro con lo psicologo perché ti permette di eliminare i comportamenti che mantengono in vita il problema e ottenere concreti benefici.
Sei interessato alla Terapia a Seduta Singola? Puoi rivolgerti ai nostri psicologi e psicoterapeuti, disponibili ogni martedì dalle 18.00 alle 20.00, per una consulenza gratuita online.
Scrivici sulla pagina Facebook One Session.it
Riferimenti Bibliografici
Nardone G. (1993), Paura, panico fobie. La terapia in tempi brevi. Firenze: Ponte delle Grazie.
Nardone G.(2007), Non c’è notte che non veda il giorno. La terapia in tempi brevi per gli attacchi di panico, Milano: TEA Pratica.
Sono una psicologa che si occupa di consulenze brevi e di TSS: il mio obiettivo è ridurre i tempi della terapia e massimizzare l’efficacia della seduta, offrendo un sostegno focalizzato e concreto per affrontare sia le piccole che le grandi difficoltà della vita
Abuso Sessuale: come superarlo?
Che cosa si intende con “abuso sessuale”?
Per abuso sessuale si intende nello specifico “il coinvolgimento di soggetti immaturi in attività sessuali, in assenza di consapevolezza e possibilità di scelta, in violazione dei tabù sociali o delle differenze generazionali. Le attività sessuali possono includere sia rapporti sessuali veri e propri, sia forme di contatto erotico, sia atti che non prevedono un contatto diretto” (Montecchi, 1994).
Il termine abuso sessuale viene usato in modo più generico nel linguaggio quotidiano, per descrivere ogni tipo di contatto sessuale non consensuale, inclusi ad esempio
- l’uso di parole dispregiative da parte del partner o di una persona intima,
- il rifiuto di utilizzare metodi contraccettivi,
- il provocare deliberatamente dolore fisico al partner durante i rapporti sessuali,
- contagiare deliberatamente il partner con malattie infettive o infezioni di tipo sessuale,
- utilizzare oggetti, giochi o altre cose che causano dolore o umiliazione senza il consenso del partner.
Si parla di abuso sessuale anche nei casi in cui la persona non viene fisicamente toccata, ma viene esposta alla visione o all’ascolto di vicende a contenuto sessuale non pertinenti all’età o alla relazione con l’abusante
La forma di abuso sessuale può variare fortemente a seconda del grado di invasività, della relazione che intercorre tra vittima e autore dell’abuso, della presenza di consapevolezza della vittima rispetto a quanto accade, dalla frequenza con cui l’abuso si verifica.
L’aspetto fondamentale, invece, è quello che riguarda la condizione della vittima: impossibilitata a scegliere o a comprendere correttamente quello che sta accadendo o che viene proposto.
Abuso sessuale e Disturbo da Stress Post-Traumatico
L’abuso sessuale rappresenta una esperienza traumatica a tutti gli effetti: i sintomi presentati dalla persona abusata possono essere collocati all’interno del Disturbo Post-Traumatico da Stress.
L’esperienza subita può tornare frequentemente alla mente sotto forma di immagini, emozioni, sensazioni fisiche, parole, suoni, odori, sapori, incubi notturni.
Nei bambini i ricordi tendono a ripresentarsi sotto forma di incubi popolati da mostri e nel ripetere attraverso il gioco o il disegno qualche elemento significativo dei fatti accaduti.
L’abuso sessuale può produrre inoltre diversi problemi psicologici e per tale ragione rappresenta un “fattore di rischio non specifico” nello sviluppare altri disturbi.
Fra le vittime di abusi sessuali sono relativamente frequenti problemi psicosomatici, disturbi del comportamento alimentare, abuso di alcool, farmaci e di sostanze stupefacenti.
La sfiducia, le difficoltà sessuali, insieme a difficoltà nella gestione della rabbia e delle distanza fra le persone comportano frequentemente problemi nella gestione delle relazioni interpersonali.
Abuso sessuale e psicoterapia
La risposta soggettiva all’evento varia a seconda dell’età al momento dell’abuso, della durata dell’evento, se è avvenuta o meno penetrazione, la possibilità di condividere con qualcuno l’accaduto, il sostegno emotivo ricevuto in seguito.
Tipicamente la persona che ha subito un abuso sessuale cerca di mantenere a distanza i ricordi traumatici. In alcuni casi, addirittura, è possibile che, almeno in determinati periodi della vita, la persona abusata abbia amnesie più o meno parziali per gli eventi accaduti o ricordi estremamente confusi.
In una quantità rilevante di casi i ricordi dell’abuso progressivamente perdono in parte l’aspetto drammatico che li contraddistingue, divenendo più facilmente gestibili da parte dell’individuo.
Se questo è certamente un vantaggio, d’altra parte può anche comportare un pericolo potenziale, in quanto la persona si può abituare a convivere con i problemi generati dall’abuso, a non condividerli con nessuno e, in generale, a non affrontarli adeguatamente.
La psicoterapia per le persone che hanno subito abuso sessuale è dunque fortemente consigliata.
Sono relativamente frequenti, infatti, le situazioni in cui il trauma non viene realmente superato, ma più semplicemente la persona abusata impara a convivere con esso, a costo di grandi sofferenze e di limitazioni nella propria possibilità di vivere la vita pienamente.
Il terapeuta aiuterà a trovare le strategie più efficaci per far fronte all’evento traumatico subito e i sintomi psicologici ad esso associati.
Se sei interessato alla Terapia a Seduta Singola e vuoi chiedere una consulenza, ricordati che ogni martedì, per un periodo limitato, dalle ore 18 alle ore 20, gli psicologi e gli psicoterapeuti del nostro team One Session sono disponibili per degli incontri gratuiti aperti a tutti.
Contattaci per maggiori informazioni inviando una email a info@onesession.it oppure visita la nostra pagina Facebook OneSession.it.
Bibliografia
Cartei, F. Grosso, (2016), Come elaborare e superare il trauma dell’abuso sessuale subito nell’infanzia, Franco Angeli.
Montecchi, Gli abusi all’infanzia, (1994), La Nuova Italia Scientifica.
Psicologa, laureata all’Università “La Sapienza” di Roma, mi sto formando come psicoterapeuta ad approccio Breve Sistemico-Strategico.
Lavoro da anni in Servizi rivolti a persone con disabilità e con disturbi psichiatrici, occupandomi di sostegno psicologico individuale, di coppia e alle famiglie, favorendo processi di crescita personale e la costruzione di percorsi volti a migliorare la qualità di vita.
La depressione post partum: vergognarsi di non essere felici
Cos’è la depressione post partum?
La depressione post partum esordisce genericamente tra la 6° e la 12° settimana dopo la nascita del figlio. La neomamma comincia, immotivatamente, a sentirsi giù di morale, irritabile, facile al pianto. Per tutti questi motivi sente di non essere all’altezza del suo nuovo ruolo di mamma, vergognandosi per non provare la gioia di aver messo al mondo un bambino; gioia che nelle altre mamme che conosce sembra essere scontata.
E così è molto frequente che chi soffre di depressione post partum lo faccia in silenzio, per non mostrarsi debole. Queste mamme non sono inclini a chiedere aiuto, proprio per evitare un giudizio negativo nei loro confronti e sentirsi dei genitori incapaci.
La depressione post partum non è in realtà così rara: si stima che colpisca dal 7 al 12% delle neomamme. I sintomi principali sono quelli della depressione, nello specifico:
- Umore depresso per la maggior parte del tempo
- Disinteresse per le varie attività
- Difficoltà del sonno
- Fatica e perdita di energie
- Diminuita attenzione e concentrazione
- Sensi di colpa
a cui si aggiunge una mancata connessione emotiva con il bambino. La mamma interagirà poco con lui e di conseguenza non darà il via allo sviluppo di un buon legame di attaccamento.
Depressione post partum e baby blues: quali differenze?
La depressione post partum non è da confondere con un’altra condizione, il cosiddetto baby blues, un disturbo di lieve entità che colpisce fino il 70% delle neomamme.
Il baby blues è caratterizzato da una sensazione di malinconia, tristezza, inquietudine, che generalmente si manifesta nei primi 3 -4 giorni dopo il parto e si protrae per circa 15 giorni. L’insorgere di queste sensazioni è di tipo fisiologico, da attribuire al drastico cambiamento ormonale successivo al parto e alla stanchezza fisica e mentale derivate dal travaglio.
I miti della maternità
La paura di sviluppare una depressione post partum può spaventare molto le future madri e una serie di false credenze sulla maternità e sull’essere genitori può contribuire ad aggravare il senso di inadeguatezza di chi vive questa situazione.
Queste credenze riguardano l’istinto materno e la naturalezza di essere genitori. È sì vero che alcuni processi legati alla gravidanza avvengono in modo spontaneo e naturale, ma questo non vale per tutti i comportamenti legati alla maternità.
Diventare genitori dà e toglie, ed è normale che a volte ci si possa sentire limitati dalla maternità o che alcuni comportamenti non avvengano spontaneamente.
Superare la depressione post partum in tempi brevi
Il primo passo per uscire dalla depressione post partum è quello di prendere la situazione in mano e chiedere aiuto, senza la paura di venire giudicata come una cattiva madre; abbiamo visto che questa problematica è più frequente di quanto si pensi e che genitori non si nasce, ma si diventa.
Grazie all’aiuto di professionisti formati in Terapia a Seduta Singola, già dal primo incontro si potranno indagare e sbloccare le risorse della neomamma, indirizzandole verso il raggiungimento di un maggior benessere, per lei e per il figlio.
Se sei interessata alla Terapia a Seduta Singola, puoi rivolgerti ai nostri psicologi e psicoterapeuti, disponibili ogni martedì, per un periodo limitato, dalle 18.00 alle 20.00, per una consulenza gratuita online.
Bibliografia
Cannistrà, F. Piccirilli (2018), Terapia a Seduta Singola. Principi e pratiche. Giunti Psychometrics
https://www.psychologytoday.com/us/blog/tech-support/201502/mothers-love-myths-misconceptions-and-truths
Il mio lavoro è orientato al futuro e alla valorizzazione delle risorse delle persone che si rivolgono a me, in ottica di totale collaborazione.
Terapia a Seduta Singola e fobia sociale
Ci sono persone molto disinvolte quando si trovano in mezzo ad altra gente, quando devono esporsi o parlare in pubblico, quando fanno nuove conoscenze; altre invece sono più riservate, meno espansive.
C’è chi poi ha il vero e proprio terrore di ogni situazione sociale, e al solo pensiero entra nel panico.
Se ti riconosci in quest’ultima descrizione, forse soffri della cosiddetta fobia sociale.
Fobia sociale: caratteristiche
Il DSM 5, il Manuale Statistico e Diagnostico dei Disturbi Mentali, descrive la fobia sociale come una “marcata e persistente paura di affrontare situazioni o performance sociali in cui si può essere esposti al giudizio altrui”.
Chi soffre di fobia sociale teme (anzi, è certo) di venir giudicato negativamente dagli altri, di essere deriso, rifiutato, per ogni suo comportamento o parola.
Le situazioni temute non sono solo quelle di grande esposizione, come il tenere un discorso davanti ad un pubblico, ma riguardano ogni minima interazione con altre persone: mangiare con altri, camminare dove c’è altra gente, intervenire in una riunione, sostenere una semplice conversazione o anche solo chiedere delle indicazioni.
Questo tipo di fobia è quindi molto invalidante. Ogni situazione temuta è in grado di innescare sensazioni di ansia e paura molto intense, sproporzionate rispetto alla situazione e persistenti.
Le tentate soluzioni disfunzionali della fobia sociale
Per ripararsi da queste terribili sensazioni, chi soffre di fobia sociale mette in atto dei comportamenti che, in realtà, non fanno che mantenere o peggiorare il problema. Vediamo quali sono:
- È la soluzione più semplice da mettere in atto e la più praticata. Il pensiero di chi evita è “se quella situazione mi fa paura, non esponendomici non avrò paura”.
In realtà il meccanismo tenuto in piedi da questa soluzione è più complicato. Se da una parte protegge la persona da quelle forti e terribili sensazioni, dall’altra le conferma il fatto che effettivamente le circostanze che si stanno evitando sono pericolose, e che non si hanno le capacità di affrontarle.
- Comportarsi con diffidenza. Il fatto che chi soffre di fobia sociale sia certo del giudizio negativo che gli altri gli riservano, lo porta a comportarsi in maniera diffidente e circospetta. Se costretto ad avere a che fare con altre persone, il fobico sociale si comporta in modo guardingo, mantenendo le distanze.
Conseguenza di questo tipo di comportamento è che gli altri lo guardino con sospetto a sua volta. Questo andrà ad alimentare le convinzioni di partenza. “Mi guardano male, mi stanno giudicando; lo sapevo!”
Superare la fobia sociale
Superare la fobia sociale è possibile, e qui di seguito puoi trovare due piccoli stratagemmi se vuoi iniziare a metterti in gioco autonomamente:
- Anticipa il tuo imbarazzo. Questa è un’arma potentissima che può aiutarti ad evitare…di evitare!
Invece che privarti di esperienze in compagnia altrui, ammetti agli altri il tuo disagio! Puoi usare frasi come “Quello che sto per dirti potrà sembrare sciocco, ma…” oppure “Mi imbarazza dire questa cosa, ma io penso che…”. Se hai manifestazioni fisiche di imbarazzo, come l’arrossamento delle guance, fallo presente! - Comportati “come se”. Cosa faresti di diverso, se fossi sicuro che gli altri non ti giudicassero e fossi una persona molto capace nelle relazioni sociali? Prova a prenderti ogni mattina qualche minuto per pensarci e, quotidianamente, scegli la più piccola azione che ti è venuta in mente, quella che ti comporta uno sforzo minimo, e prova a metterla in atto durante la giornata. Sperimenta cosa succede di diverso!
Come può aiutarti la terapia a seduta singola?
La Terapia a Seduta Singola ti garantisce il supporto di un professionista, che saprà darti un aiuto “sartoriale”, cucito su misura per te!
Insieme andrete ad individuare quali tentate soluzioni stanno mantenendo in vita il problema e quali strategie funzionali adottare al loro posto, basandosi sulle tue risorse.
Se sei interessato alla Terapia a Seduta Singola, puoi rivolgerti ai nostri psicologi e psicoterapeuti, disponibili ogni martedì dalle 18.00 alle 20.00, per una consulenza gratuita online.
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Bibliografia
Nardone G. (1993), Paura, panico, fobie. La terapia in tempi brevi, Firenze: Ponte delle Grazie
Nardone G. (2007), Non c’è notte che non veda il giorno. La terapia in tempi brevi per gli attacchi di panico, Milano: TEA Pratica
Il mio lavoro è orientato al futuro e alla valorizzazione delle risorse delle persone che si rivolgono a me, in ottica di totale collaborazione.
L’ipocondria: dalla paura delle malattie ai “falsi” rimedi
Ipocondria è un termine che, negli ultimi tempi, è sempre più inflazionato.
Del resto, è più che naturale.
Durante questi mesi è cresciuta molto la paura delle malattie: il continuo richiamo a mantenere comportamenti prudenti e la condizione di sostanziale incertezza in cui viviamo hanno reso sempre più labile il confine tra ciò che ci sembra il giusto comportamento e l’eccessiva preoccupazione.
Fino a qualche tempo fa si definiva l’ipocondriaco un malato immaginario e come tale se ne sottovalutava la sofferenza.
In realtà l’ipocondriaco vive una sofferenza reale poiché è da lui percepita e vissuta come tale.
Per parlare di ipocondria, però, non bisogna far riferimento ad un generico timore: la preoccupazione verso la propria salute, la paura di contrarre una malattia o di presentare dei sintomi devono essere costanti e pervasive.
Cos’è dunque l’ipocondria?
Nel panorama scientifico il termine ipocondria è solo un retaggio, questo perché nel nuovo manuale diagnostico, DSM 5, corrisponde alla dicitura di disturbo da ansia da malattia ed è affiancato dal disturbo da sintomi somatici.
In quest’ultimo, i soggetti hanno livelli molto elevati di preoccupazione verso la malattia. Valutano in maniera sproporzionata i sintomi fisici, realmente presenti, percependoli come “minacciosi” per la propria salute. In questi casi, dunque, il bersaglio della paura è il sintomo che porta ad amplificare la preoccupazione per il proprio stato di salute.
Quando si parla di ansia di malattia, invece, la preoccupazione della persona è quella di avere o poter contrarre una grave malattia, anche in assenza di sintomi somatici o con presenza di sintomi molto lievi. In questi casi, il malessere della persona non proviene dal sintomo ma dal costante stato di ansia e paura.
Le “false” soluzioni
L’ipocondriaco vive una costante preoccupazione per la propria salute ed è quindi iperattento ai “segnali” corporei che vengono percepiti in modo amplificato. Per liberarsi dall’ansia e dalla paura che questa propensione genera, e per razionalizzare l’aspetto emotivo, spesso attua soluzioni non sempre funzionali. Eccone alcune:
1. Il Dott. Google
Quasi tutti nella vita siamo andati a cercare su Google le spiegazioni di un sintomo o quali potrebbero essere i sintomi per diagnosticare una malattia.
Non sempre questa si rivela una buona strategia, anzi spesso conduce ad aumentare il livello di confusione e ad amplificare l’ansia e la paura per la propria condizione di salute.
Questo perché le informazioni sono utili quando si possiedono le conoscenze per interpretarle. Quando invece tali conoscenze mancano, troppe informazioni piuttosto che chiarire i dubbi, finiscono con l’alimentarli.
2. L’Ipercontrollo
La persona tende a monitorare costantemente il proprio stato di salute (es. battiti cardiaci, pressione, ecc.). Ciò altro non fa che amplificare le paure, poiché prestare attenzione in modo costante al sintomo ne amplifica la percezione sia a livello di intensità che di frequenza di comparsa.
3. La lamentela
Si avverte il bisogno di condividere la propria paura, le preoccupazioni che rimbalzano nella mente e allora si asseconda questo bisogno parlandone con la convinzione di “liberarsi”. Questo è ciò che accade in un primo momento, ma poi le paure si risvegliano e si innesca un vero e proprio circolo vizioso che condiziona la quotidianità della persona e di chi l’ascolta.
Se stai vivendo un momento di preoccupazione per la tua salute e senti l’esigenza di avere un confronto con un professionista sappi che ogni martedì, per un periodo limitato, dalle 18:00 alle 20:00 i terapeuti del nostro team One Session si rendono disponibili per degli incontri aperti a tutti utilizzando la Terapia a Seduta Singola.
Contattaci per maggiori informazioni inviando una email a info@onesession.it oppure visita la nostra pagina Fb OneSession.it
Bibliografia
Nardone, G.;Bartoletti, A. (2018). La paura delle malattie. Psicoterapia breve strategica dell’ipocondria. Ponte alle grazie.
American Psychiatric Association (2013). Diagnostic and statistical manual of mental disorders. Washington, DC.
Psicologa e picoterapeuta in formazione. Utilizzo la terapia a seduta singola per permettere alla persone di raggiungere i propri obiettivi e massimizzare l’efficacia di ogni singolo incontro.
Ricevo a Caserta e On-line (Skype).
Superare la paura di parlare in pubblico con la Terapia a Seduta Singola
Come ti fa sentire l’idea di parlare in pubblico?
E’ una performance che riesci ad affrontare con tranquillità oppure alla sola idea cominci a sudare?
Quando ti devi esporre davanti ad altra gente, cosa provi?
La paura di parlare in pubblico è piuttosto frequente e fa parte della più grande categoria dell’ansia sociale.
Generalmente chi ha paura di parlare in pubblico ha una sedie di preoccupazioni: teme di fare una brutta figura, di dimenticare ciò che deve dire o di bloccarsi, di arrossire, di balbettare o ancora di rovinarsi la reputazione.
Ansia: eterna nemica?
L’ansia che possiamo provare quando ci troviamo in una situazione come quella che ci richiede di esporci di fronte ad altre persone, non deve essere vissuta solo come sensazione spiacevole e quindi per forza negativa.
L’ansia è energia, e nelle giuste dosi ci permette di canalizzare le nostre forze fisiche e mentali per intraprendere al meglio la prova che dobbiamo affrontare.
Atteggiamenti che mantengono il problema
Si possono riscontrare nelle persone che hanno paura di parlare in pubblico alcuni comportamenti tipici che, in chi li mette in atto, sembrano risolvere il problema, ma che in realtà non fanno che mantenerlo o esacerbarlo.
Questi comportamenti sono detti anche “tentate soluzioni disfunzionali”, e, per questo tipo di difficoltà, generalmente includono:
– evitamento: quale strategia migliore per chi teme il confronto con un pubblico, se non quella di evitare totalmente tale confronto? Sbagliato.
Questo comportamento per quanto possa sembrare una soluzione efficacissima, “mettendo in salvo” la persona dall’affrontare una situazione insopportabile, non fa altro che confermare la convinzione di essere degli incapaci, finendo per aumentarne il disagio.
– controllo delle proprie reazioni. Un altro comportamento diffuso è quello di cercare di tenere a bada le proprie reazioni fisiche tipiche dell’ansia: la persona cerca quindi di controllare il proprio rossore in viso, di rallentare il battito cardiaco, di placare la propria agitazione.
Tutto ciò causa un effetto paradossale, per cui più si cerca di prendere il controllo più lo si perde.
Strategie per riuscire a parlare in pubblico
Dopo aver analizzato cosa è meglio smettere di fare per vincere questa paura, di seguito puoi trovare alcuni suggerimenti utili per affrontare la tua platea:
– usa l’ansia a tuo vantaggio: abbiamo visto poco sopra che l’ansia non è solo negativa, ma è una fonte di energia. Prova ad usarla per migliorare la tua performance, per usare un tono di voce più deciso, per enfatizzare ciò che dici accompagnandolo con la gestualità;
– prendi confidenza con ciò che devi dire senza memorizzare: memorizzare può farti sentire più sicuro ma può anche essere un’arma a doppio taglio. Se nel recitare il discorso dimentichi una parola, è più difficile riprendere il filo. Se invece avrai confidenza con ciò che dovrai dire, anche se dovesse esserci un momento di esitazione, sarai poi in grado di tornare con facilità nel discorso.
– confessa la tua paura: puoi cominciare il tuo discorso premettendo che sei particolarmente agitato o emozionato, e scusandoti se dovesse capitare di perdere il filo. In questo modo stai togliendo dai tuoi pensieri la preoccupazione “Si accorgeranno che sono agitato?” e provocherai empatia nel tuo pubblico.
Se questi suggerimenti non dovessero bastare, puoi prendere in considerazione l’opportunità di rivolgerti ad un professionista.
Sul sito www.onesession.it puoi trovare un elenco di professionisti formati in Terapia a Seduta Singola.
A volte un solo incontro può bastare! Attraverso l’aiuto del professionista potrai individuare delle strategie “sartoriali”, su misura per te.
Bibliografia
Cannistrà F., Piccirilli F., (2018), Terapia a seduta singola. Principi e pratiche
Nardone G. (2013), Psicotrappole
Nardone G. (1998), Psicosoluzioni
Il mio lavoro è orientato al futuro e alla valorizzazione delle risorse delle persone che si rivolgono a me, in ottica di totale collaborazione.
Sonno disturbato ai tempi del Coronavirus
Capita anche a te di fare sogni più strani del solito? Stai probabilmente sperimentando un nuovo fenomeno: i sogni pandemici da Coronavirus.
La pandemia da Covid-19, infatti, sta influenzando il modo in cui sogniamo a causa degli elevati livelli di stress a cui siamo sottoposti in questo periodo di isolamento forzato.
In questo periodo di auto-isolamento, per molte persone, il materiale onirico appare più inquietante, i risvegli sono frequenti e la qualità del sonno è ridotta.
Cosa sta succedendo?
Le emozioni esperite durante la giornata possono influenzare quello che sogniamo durante la notte. L’Associazione Italiana di Medicina del Sonno (AIMS), che sta studiando la qualità del sonno degli italiani in quarantena, ritiene che molti soggetti stiano facendo incubi in linea con i sintomi del Disturbo da Stress Post Traumatico.
I sogni cambiano perché, in questo periodo particolare, il cervello cerca di indurre la rielaborazione dell’esperienza traumatica attraverso il materiale onirico. Non a caso, alcune persone, rievocano durante la notte parti dell’evento traumatico. Sognano, ad esempio, di aver contratto il virus o di perdere la vita. Altri invece fanno sogni bizzarri ricchi di elementi simbolici. La paura del virus, in questo caso, viene sostituita da elementi metaforici come insetti, mostri, catastrofi naturali e così via.
<L’oggetto della nostra paura, il virus, è invisibile e necessita di essere visualizzato in qualcosa di concreto> Deirdre Barrett, Harvard University
Tuttavia i sogni non bastano. Potrebbero essere inoltre un campanello di allarme, se frequenti, disturbanti e protratti nel tempo, di stati di ansia e di stress che vanno affrontati direttamente.
Possiamo iniziare a prenderci cura dei nostri sogni (e di noi stessi) partendo dal benessere che sperimentiamo durante la veglia.
In questo articolo ti fornisco 4 indicazioni che ti permettano di affrontare meglio questo momento critico e gestire lo stress ad esso collegato:
1. Focalizzati su quello che fai durante le giornate
Introduci piccoli cambiamenti in positivo. Aggiungi piccoli momenti di piacere che possano rendere bella la tua giornata. Se preferisci puoi fare un programma quotidiano dei momenti di piacere e spuntare a fine giornata quelli che hai messo in atto
2. Prenditi 15 minuti al giorno per scrivere
Le tue preoccupazioni, le tue paure e i tuoi pensieri. Lo stesso tempo dovrebbe essere dedicato, e circoscritto, per la ricerca delle informazioni sulla situazione attuale. Non dedicarci più di 15 minuti. Decidi tu quando farlo e come farlo
3. Riduci lo stress per alleggerire la mente
Esercizi di rilassamento e/o mindfulness possono essere buoni alleati durante il giorno. Anche solo la respirazione diaframmatica può aiutarti a ri-centrarti e focalizzarti sul qui e ora. La respirazione 4-7-8 può invece aiutarti, prima di dormire, ad indurre un rilassamento profondo
4. Riscrivi il sogno e cambia il finale
Come avresti voluto che andasse? Se ci sono dei sogni che ti hanno particolarmente disturbato, riscrivili in positivo e inizia da qui la tua giornata
Se lo stress e l’ansia non passano ma iniziano ad essere invalidanti, lo psicologo può aiutarti a superare la tua momentanea difficoltà.
In particolare la Terapia a Seduta Singola condensa in un solo incontro efficacia e efficienza per permetterti di sperimentare benefici sin dal primo incontro. Contatta, cercandolo sul nostro sito www.onesession.it, il terapeuta formato in Terapia a Seduta Singola più vicino a te.
Bibliografia
Deirdre, Barrett, Creative Dreams that Change Our Lives, In Dreams that Change Our Lives, R. Hoss & R. Gongloff (Eds) Chiron Publications, Ashville, NC. 2017.
Deirdre, Barrett, The “Committee of Sleep”: A Study of Dream Incubation for Problem Solving, In Dreaming, Vol. 3, No. 2, 1993
Ellemarije Altena , Chiara Baglioni, Colin A. Espie, Jason Ellis, Dimitri Gavriloff, Brigitte Holzinger, Angelika Schlarb, Lukas Frase, Susanna Jernelöv, and Dieter Riemann, Dealing with sleep problems during home confinement due to the COVID-19 outbreak: practical recommendations from a task force of the European CBT-I Academy, Journal of Sleep Research, 10.1111/jsr.13052.
Rebecca Renner, (April 15, 2020), The pandemic is giving people vivid, unusual dreams. Here’s why. Researchers explain why withdrawal from our usual environments -due to social distancing- has left dreamers with a dearth of “inspiration.”, Science, National Geographic.