La morte di un animale domestico: affrontare il lutto
Cosa rende diverso il lutto di una persona cara da quello di un animale domestico? Nulla. In entrambi i casi subiamo la perdita di un legame, perdiamo l’altro e la parte di noi legata all’altro
Tuttavia come mai il dolore per la perdita di un animale domestico è meno riconosciuto?
In occidente la morte è da sempre un tema spinoso e spesso negato. La morte di un animale, allo stesso modo, viene ignorata o addirittura considerata un evento di cui è possibile fare a meno di soffrire.
E’ davvero possibile evitare di soffrire?
La perdita della relazione con il nostro animale è equivalente, dal punto di vista psicologico, alla morte di una persona a noi cara.
Il lutto non prevede dolore di serie A e di serie B ma tuttavia, chi perde un animale d’affezione, si sente spesso delegittimato nella propria sofferenza.
Questa sorta di negazione sociale rende ancor più difficile l’elaborazione del lutto alla persona coinvolta che può sentirsi non compresa nel proprio dolore.
Una relazione speciale
Provare dolore per la morte del proprio animale domestico è una risposta sana e fisiologica essendo una perdita che coinvolge totalmente chi la subisce.
La relazione con il nostro l’animale rappresenta raramente situazioni conflittuali ma al contrario risulta essere un legame intenso, appagante e connotato d’amore incondizionato. Una relazione basata su condivisioni e abitudini giornaliere; una presenza costante che ci segue nelle nostre giornate e nel nostro percorso di vita senza chiedere nulla in cambio.
Queste caratteristiche possono rendere ancor più intenso e difficile il processo di separazione con l’animale
Cosa fare in questi casi
1. Permettiti di soffrire
Impara a sentire la sofferenza, attraversala senza nasconderla o opporvi resistenza. Bloccare il dolore non ha il potere di farlo cessare ma, al contrario, quello di aumentarlo. Non avere paura di soffrire.
2. Parlane con persone a te care
Non tacere il lutto, non vergognartene, non sentirti inadeguato/a nel tuo dolore. Rivolgiti a persone a te care che possono comprendere e ascoltare il tuo dolore. Per facilitare questa delicato passaggio esistono associazioni e gruppi di sostegno online e offline interamente dedicati alla tematica
3. Dai libero sfogo alle emozioni
Rabbia, paura, senso di vuoto e solitudine, senso di colpa, rimpianto. Ascoltati e ascolta con rispetto tutto quello che senti, accoglilo e trasformalo in qualcosa di utile per questo tuo momento.
4. Prenditi cura dei suoi effetti personali
Ciotole, cucce, giochi costituiscono una parte importante della separazione.
Nella fase iniziale è possibile radunarli in un posto protetto e circoscritto della casa in modo da non averli sempre sotto la tua attenzione per poi decidere, al tempo giusto, di donarne una parte oppure tenere qualcosa in suo ricordo.
5. Celebralo
Collegati alla morte esistono da sempre luoghi e rituali di passaggio specifici (funerale, chiesa, cimitero) che permettono alle persone di facilitare e legittimare le emozioni relative al lutto. Tuttavia per la morte del proprio animale domestico non esiste un sistema di rituali socialmente condivisi.
Per questa ragione è importante tu possa creare il tuo rituale che ti permetta di commemorare il tuo compagno di vita e favorire il passaggio attraverso cui lasciarlo andare essendogli grato/a per quello che ti ha donato
Qualora, col passare del tempo, il dolore per la perdita del tuo fidato compagno continuasse ad essere vivido, puoi rivolgerti a un professionista che possa accompagnarti in questa fase delicata.
Ogni martedì a partire da settembre, per un periodo limitato, dalle 18.00 alle 20.00, i terapeuti del nostro team One Session faranno degli incontri aperti a tutti utilizzando la Terapia a Seduta Singola.
Contattaci per maggiori informazioni.
Bibliografia
Pier Luigi Gallucci (2018), Il dolore negato. Affrontare il lutto per la morte di un animale domestico, Graphe.it Edizioni
Stefano Cattinelli & Daniela Muggia (2014), Tenersi per zampa fino alla fine. Accompagnamento empatico e cure palliative per gli animali alla fine della vita, Amrita Edizioni
Lui, lei e gli altri: come smettere di fare l’amante?
Il poeta e attore francese Jean Cocteau ci ha lasciato un bellissimo pensiero sull’amore:
“Il verbo amare è uno dei più difficili da coniugare: il suo passato non è semplice, il suo presente non è indicativo e il suo futuro non è che un condizionale”.
L’amore può essere coniugato in tanti modi differenti, ognuno dei quali ha le sue ragioni.
Ci sono coppie che condividono un progetto di vita insieme da diverso tempo, che gestiscono una vita coniugale ed una vita di coppia segreta, persone che si innamorano e intrattengono una relazione con un uomo o una donna non liberi, persone che soffrono per un tradimento subito.
Insomma un panorama vastissimo che ha come unico protagonista l’amore col suo tempo scandito da gioia e dolore, passione e gelosia, solitudine e condivisione.
Ma cosa accade a chi abbandona la ragione e il senso di morale comune e dà ascolto solo alla passione travolgente e al puro sentimento?
Non sta a noi di certo giudicare la scelta di vivere una vita in cui si è terzo rispetto ad una coppia e ad un progetto di vita altrui ma possiamo provare a pensare a come possa essere possibile e realizzabile l’interruzione di un meccanismo di ripetizione che vede una persona ricadere sempre in una relazione ambigua e in cui manca la concretezza dello stare insieme totalmente.
La storia di Barbara
Barbara ha 37 anni e da quando ne aveva 25 ha iniziato a collezionare una serie di storie “clandestine” con uomini impegnati e più grandi di lei.
È passata da una storia all’altra, in un crescendo di complicazioni e problemi da cui pare non riuscire a staccarsi.
Ha avuto solo due storie con persone coetanee e libere; la prima è stata la fugace avventura di una notte, la seconda un rapporto più duraturo: “un anno di noia” a suo dire.
Il lavoro con Barbara è appena cominciato e sta dando spunto a queste riflessioni.
Ma proviamo a capire cosa accade a chi sceglie di vivere, tra segreti e compromessi, nella veste dell’amante.
Un vero amore, che come tutti i grandi amori della letteratura, del cinema, dell’arte, della mitologia classica è ostacolato e quindi bisogna lottare e soffrire per tenerlo in vita. Una storia che diventa privilegio dunque, in quanto unica e speciale ma che vede il partner che vive nell’ombra reso fragile dall’attesa e dall’accettazione dei tempi e modi dell’altro. In pratica i classici amanti delle storie più belle e romantiche.
C’è poi chi ama vivere nell’ombra perché ne guadagna in termini di eccitazione e adrenalina che fanno da leitmotive ad un tempo sospeso tra ragione ed emozione. Ecco che la storia può diventare un rapporto duraturo nel tempo oppure un passare da una storia all’altra, alimentato dal desiderio, dalla speranza di rivivere le sensazioni che eccitano corpo e mente.
Paura dunque di investire in una storia importante? Un costume, un modo di essere o fare? Una consapevole rinuncia? Una fame di affetto e attenzioni? Un triste destino?
Chi è l’amante?
Una persona che sceglie di vivere nell’ombra accontentandosi di briciole di un amore che sembrano saziare una fame di attenzione e cura, perché crede di non poter ambire ad altro.
Un inconsapevole “terapeuta” della coppia in crisi, che con la sua presenza dà alla coppia, paradossalmente, nutrimento e nuova linfa in quanto fa da contenitore e riequilibratore.
Una persona che con leggerezza sceglie di vivere consapevolmente o inconsapevolmente una meravigliosa esperienza, a termine ma ricca di felicità e brio. Un modo quasi di tenersi lontano dal tempo che avanza e dal comune percorso del ciclo di vita.
Una realtà costante e parallela alla coppia ufficiale con la quale l’elemento tradito dovrà paradossalmente imparare a convivere per il bene della coppia stessa e il suo equilibrio.
Torniamo a Barbara…
Il suo racconto lascia intravedere una persona che preferisce vivere nell’ombra e accontentarsi pur di non dare voce ai suoi desideri e alle sue paure.
E’ stata ad oggi fatta una sola seduta che è iniziata con un lavoro di valorizzazione delle sue risorse e competenze in quanto appare forte in lei un senso di scarsa autostima che la porta a svalutare se stessa.
La terapia a seduta singola è venuta in soccorso a questo primo intervento in quanto, col suo approccio costruttivo minimalista, parte dal presupposto che la responsabilizzazione e l’incoraggiamento sono capaci di produrre nella persona un piccolo cambiamento positivo che può poi portare a cambiamenti più grandi.
Barbara mi consegna poi un’immagine molto bella che mi permette di avere in mano una chiave di lettura del suo vissuto. Insegna arte in un liceo. Pertanto utilizza un dipinto per descrivere la storia che attualmente sta vivendo e che l’ha portata qui perché ha riempito e fatto strabordare quel vaso già mezzo pieno di acqua.
Mi mostra lo screensaver del suo cellulare che ha come immagine “Il bacio” di Gustav Klimt, un dipinto sospeso nel tempo che ricordo di aver visto molti anni fa a Vienna. Una coppia stretta in un abbraccio molto appassionato in cui si vede l’uomo chinarsi sulla donna che riceve il suo bacio.
Per Barbara quel dipinto rappresenta il trionfo dell’eros e il suo grande potere di dare armonia ai conflitti tra uomo e donna; quel bisogno d’amore che la porta a mettere da parte gli aspetti negativi e a tenersi stretto un qualcosa a cui la sua insicurezza attribuisce un grande valore.
La storia di Barbara ha come obiettivo quello di interrompere un circuito di incertezza per puntare a nuove consapevolezze e nuovi obiettivi.
Barbara ha scelto di non procastinare più il suo cambiamento, di essere scelta e non alternativa.
Barbara ha scelto di coniugare il suo tempo al futuro.
Bibliografia
P.Watzlawick & G.Nardone – Terapia breve strategica
M.Recalcati – Mantieni il bacio
Psicologa, Mediatrice Familiare, Esperta in Scienze Forensi
Scusate il ritardo!
“A verità è che a te non ti smuovono nemmeno i miracoli!”
Questa la frase che la madre di Vincenzo il protagonista del film di Massimo Troisi “Scusate il ritardo” dice al figlio e forse questa è la frase che chi ritarda potrebbe sentirsi dire da chi aspetta 10 minuti, mezz’ora o addirittura anche un’ora o più.
È capitato a tutti noi un amico/a, un fidanzato/a o un membro della famiglia che è sempre in ritardo. O magari i ritardatari siamo proprio noi!
Il ritardo potrebbe diventare un tratto caratteristico della personalità. Questo potrebbe aumentare le probabilità di perdere parecchie opportunità come offerte di lavoro, attività divertenti, amicizie e molto altro.
Marylin Monroe ha detto una volta in una sua intervista: “Agli appuntamenti sono immancabilmente in ritardo, a volte anche di due ore. Ho provato a cambiare questi miei modi, ma i motivi che mi fanno ritardare sono troppo forti e troppo piacevoli”.
Quali sono i motivi, le situazioni che fanno andare in black out il tempo del ritardatario?
Non lasciarsi travolgere dall’ansia di far presto, di arrivare ad un appuntamento importante in tempo, non farsi prendere dallo stress di raggiungere quella situazione o quella persona ad un orario preciso e stabilito…insomma vivere in modo easy e slow il proprio tempo magari decidendo addirittura di non indossare l’orologio.
Una gran bella strategia…ma gli altri? Quelli che aspettano? Come si sentono? Cosa provano dinanzi ad una mancanza di rispetto e attenzione così evidente?
La pigrizia poi, un altro freno al tempo del ritardatario. Alzarsi dal letto al mattino all’ultimo minuto, arrivare in aereoporto o in stazione poco prima che chiuda il ceck-in o che il treno parta solo perché la forza di volontà non riesce a dominare il piacere di restare a poltrire. Una pigrizia rischiosa, adrenalinica fatta di corse, fiatone ed eccitazione.
Cosa dire poi degli eterni ottimisti; quelli che: “mica trovo traffico!”, “sicuramente mi aspetteranno…”, “certo che non chiudono in orario!”, “ma cosa potrebbe mai capitarmi?”.
Gli eterni ottimisti non considerano per nulla la possibilità di un imprevisto. Seguono il proprio e altrui tempo in maniera molto serena.
L’indecisione è un altro grande ostacolo…questa situazione ci riporta immediatamente agli occhi la scena di una donna in sottoveste o in biancheria intima dinanzi all’armadio aperto e stracolmo di abiti che disperata dice: “non so cosa mettermi!” e poi c’è chi non sa se andare in macchina o in moto, chi torna indietro perché non ricorda se ha chiuso la porta o se ha preso le chiavi.
Il ritardatario sembra quasi un ribelle del tempo, un eterno ottimista che sposa uno stile di vita tranquillo e rilassato ma allo stesso tempo fatto di accelerazioni e sensi di colpa.
Uno di stile di vita molto spesso accompagnato dalla speranza o dalla promessa di non rifarlo la volta successiva. Promessa e speranza che nella maggior parte dei casi vengono tradite da situazioni esterne, stranamente sempre indipendenti dalla propria volontà.
Esistono delle strategie per “fregare” questo tempo post datato?
Sarebbe innanzitutto opportuno osservare se il ritardo è dovuto a comportamenti specifici (distrazione, pigrizia, paura di andare sotto pressione…etc.) o se magari si fa tardi sempre e solo in una circostanza ben definita o per andare in un certo luogo.
Osservare il ripetersi di un certo atteggiamento può essere utile e può aiutare a individuare le eccezioni, orientandosi così alle risorse e ai punti di forza.
Siamo sicuri che arrivare puntuali ci farebbe star meglio? Che valore e senso diamo al nostro ritardo? Cosa ci guadagniamo a far tardi? Arrivare in orario ci fa sentire in ansia o sperduti? È possibile addomesticare il nostro tempo? Ci si può chiedere spesso se è il ritardatario che ha bisogno di cambiare o se chi attende ha bisogno di rilassarsi?
Se arrivare in ritardo per te è uno stile di vita che è diventato un peso, impara a organizzarti, a dare la priorità ai vari impegni che scandiscono il tempo.
Se il tuo processo di cambiamento diventa complicato e ti accorgi di non farcela da solo/a, affidati a un professionista oppure alla visione di un buon film:
Virginia: Come faccio a sapere che ci sarai?
Mac: Se ti dico che ci sarò, ci sarò. E sono sempre puntuale.
Virginia: Sempre?
Mac: Sempre. Se ritardo, vuol dire che sono morto.
(Sean Connery e Catherine Zeta Jones nel film Entrapment, 1999)
Bibliografia
Alfonso Signorini – Marilyn. Vivere e morire d’amore – Ed. Mondadori, 2010
Diana DeLonzor – Never Be Late Again – Ed. Post Madison Pub,2002
Flavio Cannistrà, Federico Piccirilli – Terapia a seduta singola – Ed. Giunti, 2018
Psicologa, Mediatrice Familiare, Esperta in Scienze Forensi
Superare la paura di parlare in pubblico con la Terapia a Seduta Singola
Come ti fa sentire l’idea di parlare in pubblico?
E’ una performance che riesci ad affrontare con tranquillità oppure alla sola idea cominci a sudare?
Quando ti devi esporre davanti ad altra gente, cosa provi?
La paura di parlare in pubblico è piuttosto frequente e fa parte della più grande categoria dell’ansia sociale.
Generalmente chi ha paura di parlare in pubblico ha una sedie di preoccupazioni: teme di fare una brutta figura, di dimenticare ciò che deve dire o di bloccarsi, di arrossire, di balbettare o ancora di rovinarsi la reputazione.
Ansia: eterna nemica?
L’ansia che possiamo provare quando ci troviamo in una situazione come quella che ci richiede di esporci di fronte ad altre persone, non deve essere vissuta solo come sensazione spiacevole e quindi per forza negativa.
L’ansia è energia, e nelle giuste dosi ci permette di canalizzare le nostre forze fisiche e mentali per intraprendere al meglio la prova che dobbiamo affrontare.
Atteggiamenti che mantengono il problema
Si possono riscontrare nelle persone che hanno paura di parlare in pubblico alcuni comportamenti tipici che, in chi li mette in atto, sembrano risolvere il problema, ma che in realtà non fanno che mantenerlo o esacerbarlo.
Questi comportamenti sono detti anche “tentate soluzioni disfunzionali”, e, per questo tipo di difficoltà, generalmente includono:
– evitamento: quale strategia migliore per chi teme il confronto con un pubblico, se non quella di evitare totalmente tale confronto? Sbagliato.
Questo comportamento per quanto possa sembrare una soluzione efficacissima, “mettendo in salvo” la persona dall’affrontare una situazione insopportabile, non fa altro che confermare la convinzione di essere degli incapaci, finendo per aumentarne il disagio.
– controllo delle proprie reazioni. Un altro comportamento diffuso è quello di cercare di tenere a bada le proprie reazioni fisiche tipiche dell’ansia: la persona cerca quindi di controllare il proprio rossore in viso, di rallentare il battito cardiaco, di placare la propria agitazione.
Tutto ciò causa un effetto paradossale, per cui più si cerca di prendere il controllo più lo si perde.
Strategie per riuscire a parlare in pubblico
Dopo aver analizzato cosa è meglio smettere di fare per vincere questa paura, di seguito puoi trovare alcuni suggerimenti utili per affrontare la tua platea:
– usa l’ansia a tuo vantaggio: abbiamo visto poco sopra che l’ansia non è solo negativa, ma è una fonte di energia. Prova ad usarla per migliorare la tua performance, per usare un tono di voce più deciso, per enfatizzare ciò che dici accompagnandolo con la gestualità;
– prendi confidenza con ciò che devi dire senza memorizzare: memorizzare può farti sentire più sicuro ma può anche essere un’arma a doppio taglio. Se nel recitare il discorso dimentichi una parola, è più difficile riprendere il filo. Se invece avrai confidenza con ciò che dovrai dire, anche se dovesse esserci un momento di esitazione, sarai poi in grado di tornare con facilità nel discorso.
– confessa la tua paura: puoi cominciare il tuo discorso premettendo che sei particolarmente agitato o emozionato, e scusandoti se dovesse capitare di perdere il filo. In questo modo stai togliendo dai tuoi pensieri la preoccupazione “Si accorgeranno che sono agitato?” e provocherai empatia nel tuo pubblico.
Se questi suggerimenti non dovessero bastare, puoi prendere in considerazione l’opportunità di rivolgerti ad un professionista.
Sul sito www.onesession.it puoi trovare un elenco di professionisti formati in Terapia a Seduta Singola.
A volte un solo incontro può bastare! Attraverso l’aiuto del professionista potrai individuare delle strategie “sartoriali”, su misura per te.
Bibliografia
Cannistrà F., Piccirilli F., (2018), Terapia a seduta singola. Principi e pratiche
Nardone G. (2013), Psicotrappole
Nardone G. (1998), Psicosoluzioni
Il mio lavoro è orientato al futuro e alla valorizzazione delle risorse delle persone che si rivolgono a me, in ottica di totale collaborazione.
La Sindrome del cane San Bernardo: come smettere di dire sempre “Sì”
Rifiutare le richieste, i favori, il supporto a chi te lo chiede…sono cose che ti mettono in grande difficoltà.
Anche se hai degli impegni personali non riesci a non accontentare gli altri e, piuttosto, rinunci tu ai tuoi piani. E così ti ritrovi spesso incastrato in situazioni da cui non riesci a svincolarti per la tua innata indole di aiutare gli altri, che ti porta inevitabilmente a dire sempre di “sì”.
Proprio come un cane San Bernardo dedito al soccorso e all’aiuto anche in condizioni estreme.
Però, a volte dire un “no” è necessario e oggi ti spiego come imparare a farlo.
Se anche a te capita di non riuscire a rifiutare le richieste, questo è l’articolo che fa per te e di seguito ti suggerirò alcune strategie per imparare a dire di no senza sentirti in colpa.
3 passi per imparare a dire di “no”
Prima di descrivere i 3 passi per imparare a dire “no”, vorrei fare chiarezza su un punto fondamentale: si dice di “no” ad una domanda non ad una persona. Questa precisazione che può sembrarti banale, in realtà è ciò che tiene in vita il problema. Infatti, molto spesso, si tende ad aiutare gli altri per essere utili e per fare qualcosa di buono, ma anche per non sentirsi eventualmente in colpa. Attenzione, però, a non confondere l’altruismo con l’essere impegnati costantemente e, soprattutto, a proprio discapito, in costanti “salvataggi”.
Come fare per dire di no senza sensi di colpa?
Ecco i primi 3 passi:
1. “Scusa, vorrei tanto, ma non posso”
Da oggi, una volta al giorno per due settimane, mettiti in una situazione in cui qualcuno ha una richiesta da farti: può essere una chiacchierata con un amico che ti chiede un prestito, con un collega che ti chiede un cambio turno oppure una richiesta di un membro della tua famiglia e prova a rispondere “Scusa, vorrei tanto, ma non posso”. Con questa frase puoi permetterti di dire di no alla richiesta che ti viene fatta puntando sul fatto che il rifiuto non dipende da te, ma dai tuoi impegni. Evita di far seguire delle spiegazioni, e se proprio l’altro è insistente accampa una scusa vaga – e se insiste mostrati pure infastidito.
È chiaro che non sempre sarà possibile ogni giorno trovare una situazione in cui qualcuno ti fa una richiesta. L’importante, però, è che ti metti in gioco: se lo fai solo per 2 o 3 volte non serve a nulla.
2. “Scusa, potrei farlo, ma in questo momento ho cose più importanti di cui occuparmi”
Quando ti sentirai sicuro di aver fatto tuo il primo passo e ti sentirai più sciolto nel non assecondare ogni richiesta, potrai passare ad un gradino più in alto rispondendo “Scusa, potrei farlo, ma in questo momento ho cose più importanti di cui occuparmi”. Rimane sempre l’idea che ci sia un impegno che ti impedisce di accogliere la richiesta dell’altro, ma in più c’è anche un elemento di scelta, perché stai dando una priorità alle tue cose da fare piuttosto che alle sue.
Anche qui, esercitati per due settimane e fai tuo questo nuovo modo di fare.
3. “Potrei aiutarti, ma non mi va”
Adesso è giunto per te il momento di mettere in pratica il terzo passo, rispondendo “Potrei aiutarti, ma non mi va”, mettendo la museruola al Cane San Bernardo che è in te.
Con l’esercizio costante ti renderai conto che ti verrà molto più facile dire di no quando non puoi, non vuoi o semplicemente non ti va, facendo di conseguenza anche cambiare la prospettiva che gli altri hanno di te e, chissà, magari si mostreranno anche più sensibili rispetto a quelle che sono le tue richieste ed esigenze.
E ricorda: se dici di no, non sei una persona cattiva!
Se ti rendi conto di aver bisogno di un aiuto in più con l’apprendimento del dire “no”, puoi sempre contattare uno Psicologo formato in Terapia a Seduta Singola che può aiutarti già dopo un unico incontro.
Cerca sul nostro sito https://www.onesession.it/il terapeuta più vicino a te (o anche online) e più adatto alle tue esigenze.
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Bibliografia
Sellin, R. (2015). Le persone sensibili sanno dire no. Milano: Feltrinelli.
Sono una Psicologa, specializzata in Dipendenze da sostanze, comportamentali (gioco d’azzardo, shopping, ecc) e relazionali (dipendenza affettiva). Sono formata all’utilizzo della Terapia a Seduta Singola (TSS) e della Terapia Centrata sulla Soluzione, per aiutare le persone a risolvere i loro problemi e tornare al benessere nel più breve tempo possibile, imparando a scoprire e sfruttare al meglio tutte le loro risorse.
Sonno disturbato ai tempi del Coronavirus
Capita anche a te di fare sogni più strani del solito? Stai probabilmente sperimentando un nuovo fenomeno: i sogni pandemici da Coronavirus.
La pandemia da Covid-19, infatti, sta influenzando il modo in cui sogniamo a causa degli elevati livelli di stress a cui siamo sottoposti in questo periodo di isolamento forzato.
In questo periodo di auto-isolamento, per molte persone, il materiale onirico appare più inquietante, i risvegli sono frequenti e la qualità del sonno è ridotta.
Cosa sta succedendo?
Le emozioni esperite durante la giornata possono influenzare quello che sogniamo durante la notte. L’Associazione Italiana di Medicina del Sonno (AIMS), che sta studiando la qualità del sonno degli italiani in quarantena, ritiene che molti soggetti stiano facendo incubi in linea con i sintomi del Disturbo da Stress Post Traumatico.
I sogni cambiano perché, in questo periodo particolare, il cervello cerca di indurre la rielaborazione dell’esperienza traumatica attraverso il materiale onirico. Non a caso, alcune persone, rievocano durante la notte parti dell’evento traumatico. Sognano, ad esempio, di aver contratto il virus o di perdere la vita. Altri invece fanno sogni bizzarri ricchi di elementi simbolici. La paura del virus, in questo caso, viene sostituita da elementi metaforici come insetti, mostri, catastrofi naturali e così via.
<L’oggetto della nostra paura, il virus, è invisibile e necessita di essere visualizzato in qualcosa di concreto> Deirdre Barrett, Harvard University
Tuttavia i sogni non bastano. Potrebbero essere inoltre un campanello di allarme, se frequenti, disturbanti e protratti nel tempo, di stati di ansia e di stress che vanno affrontati direttamente.
Possiamo iniziare a prenderci cura dei nostri sogni (e di noi stessi) partendo dal benessere che sperimentiamo durante la veglia.
In questo articolo ti fornisco 4 indicazioni che ti permettano di affrontare meglio questo momento critico e gestire lo stress ad esso collegato:
1. Focalizzati su quello che fai durante le giornate
Introduci piccoli cambiamenti in positivo. Aggiungi piccoli momenti di piacere che possano rendere bella la tua giornata. Se preferisci puoi fare un programma quotidiano dei momenti di piacere e spuntare a fine giornata quelli che hai messo in atto
2. Prenditi 15 minuti al giorno per scrivere
Le tue preoccupazioni, le tue paure e i tuoi pensieri. Lo stesso tempo dovrebbe essere dedicato, e circoscritto, per la ricerca delle informazioni sulla situazione attuale. Non dedicarci più di 15 minuti. Decidi tu quando farlo e come farlo
3. Riduci lo stress per alleggerire la mente
Esercizi di rilassamento e/o mindfulness possono essere buoni alleati durante il giorno. Anche solo la respirazione diaframmatica può aiutarti a ri-centrarti e focalizzarti sul qui e ora. La respirazione 4-7-8 può invece aiutarti, prima di dormire, ad indurre un rilassamento profondo
4. Riscrivi il sogno e cambia il finale
Come avresti voluto che andasse? Se ci sono dei sogni che ti hanno particolarmente disturbato, riscrivili in positivo e inizia da qui la tua giornata
Se lo stress e l’ansia non passano ma iniziano ad essere invalidanti, lo psicologo può aiutarti a superare la tua momentanea difficoltà.
In particolare la Terapia a Seduta Singola condensa in un solo incontro efficacia e efficienza per permetterti di sperimentare benefici sin dal primo incontro. Contatta, cercandolo sul nostro sito www.onesession.it, il terapeuta formato in Terapia a Seduta Singola più vicino a te.
Bibliografia
Deirdre, Barrett, Creative Dreams that Change Our Lives, In Dreams that Change Our Lives, R. Hoss & R. Gongloff (Eds) Chiron Publications, Ashville, NC. 2017.
Deirdre, Barrett, The “Committee of Sleep”: A Study of Dream Incubation for Problem Solving, In Dreaming, Vol. 3, No. 2, 1993
Ellemarije Altena , Chiara Baglioni, Colin A. Espie, Jason Ellis, Dimitri Gavriloff, Brigitte Holzinger, Angelika Schlarb, Lukas Frase, Susanna Jernelöv, and Dieter Riemann, Dealing with sleep problems during home confinement due to the COVID-19 outbreak: practical recommendations from a task force of the European CBT-I Academy, Journal of Sleep Research, 10.1111/jsr.13052.
Rebecca Renner, (April 15, 2020), The pandemic is giving people vivid, unusual dreams. Here’s why. Researchers explain why withdrawal from our usual environments -due to social distancing- has left dreamers with a dearth of “inspiration.”, Science, National Geographic.
Decisione difficile? La terapia a seduta singola può aiutarti a scegliere
Sei una persona indecisa? Devi prendere una decisione importante e non sai proprio che pesci prendere?
Forse qui puoi trovare una soluzione efficace per te.
Prima di continuare, è importante sottolineare un aspetto che in questo momento, forse, stai sottovalutando: noi decidiamo ogni giorno, continuamente.
Alcune scelte sono semplici, e le adottiamo in modo automatico, basandoci sulle nostre esperienze pregresse (che strada fare per andare a scuola o a lavoro) o sulle nostre preferenze (con che cosa fare colazione).
Quello che però vale la pena ricordare è che dalla scelta più banale a quella più difficile, il processo decisionale che adottiamo è pressoché lo stesso.
Che sia il pranzo o la carriera accademica, noi scegliamo attraverso processi di “selezione”, che scartando differenti opzioni, ci conducono a definire quale sia, per noi, la soluzione ideale.
Perché allora, se il processo è lo stesso, in alcuni casi è così difficile decidere?
I motivi possono essere tantissimi: perché non abbiamo le idee chiare, perché la decisione che “sentiamo” di dover prendere può avere delle conseguenze che possono ferire qualcuno a cui teniamo, perché entrambe le opzioni che abbiamo di fronte ci sembrano allettanti, o al contrario perché ci troviamo a dover scegliere il “male minore”.
In generale, quando ci troviamo di fronte ad una scelta “difficile”, può entrare in gioco la paura. Studi sui processi decisionali hanno individuato alcune categorie generali di paure che insorgono quando dobbiamo prendere una decisione.
Tra queste, particolarmente rilevanti sono la paura di esporsi, paura di sbagliare, di non essere all’altezza o del giudizio negativo degli altri.
Queste paure incidono sulle nostre capacità di scelta alimentando la nostra indecisione e, a volte, i nostri dubbi.
Malgrado sia spesso visto con sospetto, il dubbio ha in realtà una funzione estremamente positiva: ci permette di incrementare la nostra visione, prendere in considerazione altre prospettive, altre possibili scelte e valutare con attenzione le conseguenze delle nostre decisioni.
A volte, tuttavia, può capitare che il dubbio comporti un blocco della nostra facoltà decisionale andando ad incidere negativamente sulla nostra qualità della vita, sul nostro benessere e sulla nostra autoefficacia, soprattutto nei frequenti casi in cui il dubbio “contagia” anche scelte che, in altre occasioni, avremmo preso senza troppe preoccupazioni, come se ogni risposta generasse un nuovo dubbio, trascinandoci in una sorta di circolo vizioso.
Cosa fare in questi casi?
Con la terapia a seduta singola ci sono molti modi per aiutare la persona ad individuare il metodo di scelta più adatto alle proprie esigenze.
L’efficacia della terapia a seduta singola è data dal fatto che si basa sull’unicità della persona, sulle sue risorse e sui suoi valori.
Anche quando la problematica può essere generalizzata (in questo caso la difficoltà di prendere una decisione), ogni persona affronta il problema in modo diverso, e ogni situazione è pressoché unica, quindi non c’è una ricetta uguale per tutti.
Se vuoi provare ad arrivare alla decisione autonomamente ma stai avendo difficoltà sappi che la scrittura ti può aiutare.
Se hai già provato a fare la lista dei pro e dei contro o ad attribuire un valore numerico alle varie opzioni e non è servito a nulla, continua a leggere perché quello che ti suggerisco è un po’ diverso.
Conversazioni con…uno sconosciuto
Una soluzione efficace può essere infatti quella di scrivere i tuoi pensieri, immaginando di avere una conversazione con uno sconosciuto.
Questo ti porterà ad essere quanto più chiaro possibile: quando parliamo con una persona che non ci conosce dobbiamo cercare di spiegare bene, in modo sintetico, non solo “il dubbio” e la scelta che dobbiamo prendere, ma anche le condizioni da cui partiamo e quali conseguenze immaginiamo che la scelta possa avere sulla nostra vita.
Il potere della scrittura è veramente forte e questa soluzione può essere veramente efficace se adottata nelle giuste modalità.
Attenzione ai dettagli
Scegli un “momento” da dedicare a questa soluzione: può volerci del tempo, e quindi è necessario che tu definisca con anticipo un preciso giorno ed una precisa ora da dedicare a quest’attività.
Scegli un luogo: è un momento che dedichi a te, e in quanto tale, dev’essere tuo, privo di distrazioni ed interferenze.
Scrivere ti permetterà di avere una visione molto più chiara sia delle tue emozioni sia dei dati oggettivi che stai valutando. Soprattutto, ti permetterà di stabilire se sei d’accordo con quanto hai affermato in quello che hai scritto e guardare la tua condizione da una nuova prospettiva.
Se neanche questa modalità funziona e “il blocco decisionale” invade le tue giornate generandoti ansia e preoccupazione, puoi rivolgerti ad uno psicologo formato in terapia a seduta singola con il quale potrai individuare la soluzione più adatta per la tua persona e per la tua concreta necessità, già a partire dal primo e, in molti casi, unico incontro.
Roberta Miele
Bibliografia
Nardone, G. (2014). La paura delle decisioni. Come costruire il coraggio di scegliere per sé e per gli altri. Milano: Ponte alle Grazie
Cannistrà F., Piccirilli F. (2018). Terapia a seduta singola. Principi e pratiche. Giunti Psychometrics
Psicologa e picoterapeuta in formazione. Utilizzo la terapia a seduta singola per permettere alla persone di raggiungere i propri obiettivi e massimizzare l’efficacia di ogni singolo incontro.
Ricevo a Caserta e On-line (Skype).
Smettere di procrastinare: alcuni consigli
Quante volte ti è capitato di dire “Lo faccio dopo, tanto c’è tempo” e poi trovarti all’ultimo con una serie di compiti da portare a termine ancora da iniziare?
Cos’è la procrastinazione?
La procrastinazione è la tendenza a rimandare continuamente i propri doveri, trovandosi ad affrontarli all’ultimo minuto, con una serie di conseguenze negative sia per la performance che per la propria autostima (Dewitte e Schouwenburg, 2002). Anche se la credenza dei procrastinatori è del tipo “Lavoro meglio sotto pressione”, in realtà le loro performance “dell’ultimo minuto” sono qualitativamente minori rispetto a chi si prende per tempo. Questo inficia anche sull’umore, potendo portare a fare emergere sintomi ansiosi e depressivi.
A tutti capita di rimandare di tanto in tanto, ma per qualcuno può essere una vera e propria abitudine difficile da eliminare.
Ecco alcuni suggerimenti che ti possono aiutare a smettere di procrastinare
1. Fai chiarezza
Spesso avere in mente i compiti da portare a termine può non bastare e creare confusione.
Un buon modo di fare chiarezza è quello di mettere nero su bianco ciò che devi fare: fai una lista dei tuoi doveri annotando anche entro quando li devi compiere.
Mano a mano che li porti a termine, cancellali dalla lista; questo ti aiuterà a vedere i tuoi successi e aumenterà la motivazione e il senso di autoefficacia (Tracy, 2008)
2. Priorizza
Non c’è da illudersi: se pensi di cominciare a dedicarti alle tue scadenze a lungo termine “non appena avrai finito di dedicarti a tutto il resto” non comincerai mai.
Le cose da fare saranno sempre più del tempo a disposizione per farle, quindi la prima chiave è priorizzare.
Nella tua “to do list” identifica le attività molto importanti, quelle mediamente importanti, quelle carine da fare ma non necessarie, quelle delegabili e infine quelle eliminabili. Parti dalle prime e via via prosegui verso le successive.
3. Un passo alla volta
Limita l’investimento che stai chiedendo a te stesso, cominciando a piccoli passi. La guru dell’economia domestica Marla Cilley suggerisce questo semplice metodo per affrontare compiti spiacevoli, come pulire casa: imposta un timer a 5 minuti e datti al riordino finché non suona.
Non sembra pesante, giusto?
Certo, in 5 minuti non riuscirai a pulire tutta casa, ma avrai dato inizio al cambiamento! E cominciare è molto più difficile che continuare.
Questo metodo può essere utilizzato in tutte le attività che fatichi ad intraprendere. (Heat, 2010)
4. Prepara l’ambiente
Sarà più difficile procrastinare se avrai tutto ciò che ti serve a tua disposizione.
Prepara la tua postazione con il necessario per portare a compimento i tuoi doveri, senza la necessità di alzarti per prendere materiale mancante.
Cerca di creare il tuo spazio di lavoro in modo che sia confortevole ma anche attrattivo, che ti invogli a lavorarci.
5. Agganciati ad azioni che farai con certezza
Lo psicologo Gollwitzer le chiama “action-trigger” (in italiano, letteralmente “azioni-innesco”): sono eventi che sicuramente avverranno, in seguito alle quali viene suggerito di immaginare un compito che tendi a procrastinare.
Facciamo un esempio: continui a rimandare l’iscrizione in palestra. Potresti dirti “domattina, dopo che ho portato fuori il cane, mi iscriverò in palestra”.
L’azione “portare fuori il cane” è certa e domattina ti farà da innesco per iscriverti in palestra.
Attenzione, però: questo non significa che semplicemente immaginare di fare un’azione ti porterà sicuramente a farla. Devi essere anche motivato.
Se questi consigli non dovessero bastare, puoi pensare di rivolgerti ad uno specialista. Sul sito www.onesession.it puoi trovare un elenco di professionisti formati in Terapia a Seduta Singola che possono aiutarti a raggiungere i risultati sperati!
Bibliografia:
Heat & Heat (2010), Switch, How to Change Things when Change is Hard
Tracy (2008), Eat that frog, 21 Great Ways to Stop Procrastinating and Get More Done in Less Time
Dewitte S., Schouwenburg H.C., (2002), Procrastination, Temptations, and Incentives:The Struggle between the Present and the Future in Procrastinators and the Punctual, European Journal of personality, 16: 469-489
Il mio lavoro è orientato al futuro e alla valorizzazione delle risorse delle persone che si rivolgono a me, in ottica di totale collaborazione.
Come smettere di essere gelosi del partner
La gelosia nella coppia
La gelosia nei confronti del partner viene definita “gelosia romantica”. In una relazione, i sentimenti di gelosia possono essere considerati naturali, poiché indici del fatto che il partner tiene a noi ed ha paura di perderci. Alti livelli di gelosia sono stati correlati alla paura di perdere il partner a causa di un tradimento. Tendenzialmente, gli uomini sono più preoccupati da un eventuale tradimento sessuale, mentre le donne da un tradimento emotivo; anche se questa distinzione non è sempre così netta.
I comportamenti legati alla gelosia sono riferibili al senso di minaccia sperimentato dalla persona gelosa, e possono essere diversi. Si parte da semplici battute, da richieste di rassicurazioni sulla fedeltà o sull’amore provato nei propri confronti, fino a comportamenti più invasivi come chiedere di controllare il telefono o le e-mail del partner. Inoltre, la persona eccessivamente gelosa può lamentarsi di frequentazioni di amici e colleghi, minacciando la fine della relazione se queste frequentazioni non vengono interrotte.
Perché potrebbe essere utile imparare a gestire la gelosia?
E’ importante che in una coppia sia presente un pizzico di gelosia verso il partner; questo sentimento giova infatti alla stabilità della coppia. La gelosia è inoltre indice di attaccamento emotivo al partner, tuttavia è importante che non raggiunga livelli smisurati. Il timore del tradimento può presentarsi in diversi modi: può manifestarsi come un fugace pensiero, magari generato da un episodio in particolare, oppure può presentarsi in maniera ostinata, fino a diventare quasi un’ossessione. La costante incertezza circa la fedeltà può portare la persona ad esperire vari livelli di ansia, tristezza e rabbia. Inoltre, se l’idea che il partner sia infedele si protrae a lungo nel tempo, la gelosia si può manifestare attraverso costanti accuse e litigi.
È fondamentale riuscire a riconoscere e gestire i propri sentimenti, evitando di attuare comportamenti che possano mettere a rischio la relazione. Infatti, un’eccessiva gelosia da parte del partner comporta il rischio di sortire l’effetto opposto: allontanare l’altro membro della coppia. La persona accusata potrebbe inizialmente rassicurare il partner, ma alla lunga mettersi sulla difensiva, decidendo di ignorare le accuse del partner, dando così conferma delle sue preoccupazioni. Questo potrebbe comportare il protrarsi delle discussioni, portando uno dei due membri a rompere la relazione a causa delle continue discussioni o dei comportamenti esasperanti.
Come smettere di essere gelosi
Come si fa a smettere di essere gelosi? Di seguito alcuni semplici consigli utili a gestire le proprie ansie e ritrovare la serenità nella coppia:
- Parlarne con il partner con calma: potrebbe sembrare un consiglio scontato, ma a volte avere un confronto chiaro e pacato con la vostra dolce metà potrebbe fugare inutili ansie. Una comunicazione semplice e diretta sulle vostre paure potrebbe sostituire efficacemente accuse e conseguenti liti.
- Concentrarsi su ciò che funziona nella relazione: invece di pensare e ripensare a possibili tradimenti, perché non concentrarsi sulle cose positive della vostra storia d’amore? Quando l’ansia vi assale, cercate di focalizzarvi su quante dimostrazioni d’amore vi regala quotidianamente il partner.
- Usare la gelosia in modo costruttivo: in alcuni casi la chiave potrebbe essere cercare di “utilizzare” la gelosia in maniera costruttiva per la relazione. Cerchiamo di concentrarci sul partner dimostrando quanto teniamo a lui con piccole dimostrazioni di affetto, senza però esagerare!
- Cercare di fidarsi del partner: è importante ricordare che ogni volta che si accusa il proprio partner di essere infedele, si comunica un’importante mancanza di fiducia, elemento fondamentale di un rapporto di coppia. La persona con cui state vi da oggettivi motivi per dubitare della sua fedeltà? Se la risposta è no, cercate di credergli!
Cercare di mettere in pratica questi semplici accorgimenti, potrebbe aiutare a gestire la propria gelosia. Tuttavia, se non dovesse bastare, una soluzione alternativa potrebbe essere approfondire l’argomento con un professionista. Sul sito www.onesession.it potrai trovare un elenco di professionisti formati in Terapia a Seduta Singola, che potranno aiutarti già con un singolo incontro a ritrovare l’agognata serenità di coppia.
Bibliografia
Cannistrà F., Piccirilli F. (2018), Terapia a seduta singola. Principi e pratiche. Giunti Psychometrics.
Pietrzaka, R.H., Lairda D. J., Stevens D.A., Thompson N. S. (2002). Sex differences in human jealousy A coordinated study of forced-choice, continuous rating-scale, and physiological responses on the same subjects. Evolution and Human Behavior, 23, 83 – 94.
Sono una psicologa, mi occupo di sostegno psicologico attraverso l’uso della Terapia a Seduta Singola per poter aiutare le persone a risolvere i propri problemi in tempi brevi. Ricevo a Cosenza e On Line (Skype).
Problemi di coppia?? 5 consigli utili per migliorare il vostro benessere e quello della vostra coppia
Si sa, non sempre la vita di coppia è tutta “rose e fiori”. Ci sono momenti in cui tutto sembra essere perfetto, e altri, invece, in cui ogni cosa sembra irrimediabilmente sbagliata.
Questa alternanza è del tutto normale. In psicologia sono state identificate delle vere e proprie “fasi” che, più o meno tutti conosciamo: dalla fase iniziale di “simbiosi” in cui il partner è visto in modo idealizzato, si passa ad un momento in cui il partner si percepisce nella propria realtà.
Questo è un momento delicato, che può portare sia al termine della coppia sia in una fase della relazione più matura in cui si riconosce il partner nella sua totalità e si è pronti alla collaborazione.
In ognuna di queste fasi ci sono momenti problematici “fisiologici” che possono instillare il dubbio che la relazione stia volgendo al termine. Non sempre è così!
Quali sono i problemi più comuni?
I problemi più comuni possono essere ricondotti a differenti aree. Una di queste è rappresentata dalla comunicazione: quando anche uno solo dei partner adotta modalità di comunicazione ostili o provocatorie, si può innescare un clima di conflitto o un atteggiamento di disinteresse con conseguente maggior distacco all’interno della coppia.
Un’altra insidia, nella vita di coppia (ma anche nella vita personale) è legata alla routine. Fare sempre le stesse cose, e con le stesse modalità, può innescare automatismi, che se coinvolgono anche il partner, possono comportare una sensazione di insoddisfazione e noia.
Vivendo la coppia con continuità, può anche capitare di avere un calo nella curiosità verso il partner, nello scoprire insieme cose nuove e nel vivere insieme esperienze piacevoli fino a perdere la gioia di condividere i propri interessi.
Routine, calo della curiosità e problemi di comunicazione possono spesso essere associati anche ad una riduzione dell’attrazione e della sessualità. Oltre al naturale calo del desiderio, i problemi legati all’intimità possono essere molteplici, e spesso coinvolgono un più generale benessere all’interno della relazione.
Cosa fare per migliorare la vita di Coppia? Per una volta la risposta è semplice e piacevole: andate in Vacanza
Ecco cinque semplici consigli che potrebbero migliorare il benessere della coppia e della tua vita:
1. Rompi la routine: mandala in vacanza!
Sia a livello individuale che di coppia cambia le abitudini. Basta veramente poco: scendere al bar a fare colazione; scoprire un posto nuovo dove andare a pranzo; fare una passeggiata o andare in zone che non si conoscono può stimolare la curiosità e il confronto.
2. Scopri nuovi interessi
In vacanza si ha più tempo da poter dedicare ai propri interessi: trova gli eventi o le iniziative a cui ti farebbe piacere partecipare e confrontati con il partner. Scegliete insieme cosa fare, e ricorda che trovare un equilibrio (e un compromesso) è importante. Prova a interessarti a ciò che piace fare al tuo partner e cerca di coinvolgerlo nelle tue passioni.
3. Presta al tuo partner maggiore attenzione
Con l’abitudine, si ha l’impressione di sapere già cosa il nostro partner ci vorrà dire. Ma siamo sicuri sia sempre così? Prova a prestare attenzione a come si muove, a cosa dice, a cosa vuole comunicare. Prestare attenzione può aiutare a (ri)scoprire aspetti del partner ormai dimenticati. E se c’è qualcosa che non va, parlane con calma e con chiarezza.
4. Vivi con positività ed energia
Non dimenticare che sei in vacanza. Sii felice o almeno prova ad esserlo. La vita di coppia può causare infelicità e malumore, ma ricorda, entrambi i partner spesso, non vogliono altro che stare bene con sé stessi e con l’altro. Inizia da te. Divertiti. E cerca di coinvolgere il partner.
5. Riscopri la sessualità
La sessualità è importante. È un momento intimo che può riavvicinare molto due persone. Prova ad inventare giochi (sia dentro che fuori le lenzuola) che possano divertire e insieme stuzzicare il partner. Cerca di capire cosa il tuo partner vorrebbe e prova ad accontentarlo.
Sembra semplice, vero? Forse sembra anche “troppo” semplice, ma pensaci: cosa ti costa tentare?
Può darsi che la tua coppia viva oggi delle problematicità “fisiologiche” e attuare queste piccole strategie può essere utile per migliorare la tua condizione.
Non sempre, però, questi consigli sono sufficienti; sono tante le coppie che vivono situazioni problematiche, più o meno difficili, che hanno bisogno di una guida esterna, che permetta loro di vedere le cose in una giusta prospettiva.
Forse non lo sai, ma a volte, basta anche un singolo incontro con un professionista. Se non sei ancora andato in vacanza, e temi che questi piccoli consigli possano migliorare “poco” la situazione, allora prova ad incontrare un professionista “prima”. In vacanza avrai più tempo per ragionare da solo e con il partner.
Non sai a chi rivolgerti? Prova a dare uno sguardo al nostro sito www.onesession.it. e trova lo Psicologo più vicino a te
Psicologa e picoterapeuta in formazione. Utilizzo la terapia a seduta singola per permettere alla persone di raggiungere i propri obiettivi e massimizzare l’efficacia di ogni singolo incontro.
Ricevo a Caserta e On-line (Skype).
Relazione di coppia: un viaggio insieme
Arriva sul primo binario il treno dell’amore
Il viaggio può essere una utile metafora della relazione di coppia. Si sta avvicinando, sul binario di una stazione, la lunga teoria di vagoni del treno dell’amore. Due persone, fino ad allora individui, si stringono la mano e salgono, desiderando all’unisono di arrivare a destinazione “insieme”.
Nel cielo azzurro splende un magnifico sole (anche se fa freddo e magari è un nebbioso pomeriggio invernale). I raggi ri-scaldano il cuore, offrendo speranza e fiducia, tutto è chiaro e scintillante: sarà proprio un bel viaggio.
Ma poi, presto oppure un po’ più tardi, lo scenario cambia: arrivano la pioggia, il gelo, la nebbia, il vento. Tempeste improvvise. Schiarite. Nuove perturbazioni.
E le mani cominciano ad allontanarsi fino a smarrire il senso del cercarsi ancora. Fino a decidere di scendere dal treno e magari aspettare un nuovo treno, magari su un diverso binario, con la speranza che il cielo si mantenga terso. Con la consapevolezza di quanto le “variazioni atmosferiche”, legate alla intrinseca mutevolezza di ciò che è vivente, siano imprevedibili.
Possiamo continuare ad abbracciarci ancora, magari per sempre? E’ la domanda che, più o meno consapevolmente, ogni innamorato si pone, sullo scomodo crinale tra la spinta a trascendere sé per arrivare all’altro e la frammentarietà incerta che il nostro contesto post-moderno propone.
Bader e P.Pearson nel loro “In Quest of the Mithycal Mate” (1988) presentano un interessante accostamento tra le fasi che una relazione di coppia attraversa e lo sviluppo del bambino. Seguendo il lavoro di Margaret Mahaler, descrivono la relazione affettiva di coppia come realtà dinamica in continua evoluzione.
Attraverso i cinque stadi del ciclo evolutivo dello sviluppo psicoaffettivo individuati dalla psicoanalista ungherese: simbiosi – differenziazione – sperimentazione – riavvicinamento – interdipendenza, osserviamo lo snodarsi del treno dell’amore di coppia.
dall’Innamoramento…
Si parte con l’esperienza vulcanica dell’innamoramento. In questo stadio l’energia erotica spinge gli individui ad uscire fuori da sé e a stabilire il legame di coppia. In seguito esso potrà continuare ad esistere grazie alle trasformazioni di quella stessa energia attrattiva.
I due individui sperimentano l’unità fusionale simile alla simbiosi che il neonato vive con la propria madre, proiettando sull’altro tutto il proprio desiderio.
“L’innamoramento non è solo illusione, è anche conoscenza. Noi conosciamo il nostro io più profondo solo attraverso un altro essere umano. Lo facciamo con i genitori nell’infanzia, poi nell’amicizia, ma soprattutto nell’innamoramento. Allora si vuole sapere tutto dell’amato, fino a voler essere stati al suo fianco, averlo amato ed essere stati ricambiati da sempre” (Alberoni, 2010).
alla Crisi…
Il viaggio prosegue nel tempo e nello spazio: come nel bambino maturano competenze e abilità che gli permettono di emanciparsi dalla figura materna, nella coppia cominciano progressivamente ad emergere risorse e limiti.
Nella familiarità si smarrisce il fascino del mistero. Si nota che l’altro è diverso da come era sembrato. Le sensazioni sono mutate. La reciproca comprensione diventa più difficile fino a trasformare il dialogo in litigio.
Arriva la crisi, il delicato momento di passaggio da un vagone all’altro del treno dell’amore. Passaggio fondamentale per scongiurare l’arresto alla fase fusionale della coppia, proprio come il sano sviluppo vede il bambino separarsi dalla madre e diventare sempre più autonomo.
all’Amore…
Riavvicinandosi dopo le fasi di differenziazione e sperimentazione, la coppia ha l’occasione di trasformare il legame e generare nuove possibilità esperienziali. Perché ciò avvenga occorre che i valori e le risorse personali di entrambi i componenti siano in grado di reggere la fatica (anche dolorosa) del cambiamento, del passaggio da un certo equilibrio ad un altro.
A questo punto la relazione di coppia si è arricchita di volontà, costanza e creatività inedite nelle fasi precedenti. I due sperimentano la costanza dell’oggetto amato (Mahaler, 1986) rintracciando in se la presenza profonda dell’altro.
Cercare l’altro, voler chiarire ed esprimersi anche quando non ci si sente più come all’inizio, quando la delusione o il dolore porterebbero alla chiusura: questo è l’esercizio che trasforma un IO e un TU in un NOI.
La coppia ora è giunta all’interdipendenza, cioè alla libera decisione di condividere la propria esperienza unica e irripetibile. Ognuno diventa testimone al e per il viaggio esistenziale dell’altro.
Un percorso affascinante che porta a conoscersi, fondersi, individuarsi e separarsi, a ritrovarsi non più gli stessi dell’inizio. Infatti introiettando l’altro si giunge in una dimensione che trascende l’identità originaria.
e oltre!
Non tutti i viaggi di coppia però seguono necessariamente questo itinerario. Molti possono già dalla prima stazione, oppure un po’ più in là, decidere di smettere di investire su quella destinazione o non avere più interesse a quella compagnia o trovare il mezzo di trasporto insoddisfacente o … ogni altra possibile variante delle infinite esperienze di coppia.
Coppie che scoppiano, che si trascinano, che esauriscono la linfa vitale dell’interesse, coppie che resistono stringendo i denti, coppie che muoiono, coppie che vanno avanti trasformandosi.
Prendersi cura del proprio rapporto di coppia può essere un modo di determinarne in maniera attiva la traiettoria. Può suonare strano nella logica consumistica sempre più diffusa dell’usa e getta.
Ma considerando la coppia come una realtà vivente alla stessa stregua di piante, animali e bambini, è facile intuire come essa abbia bisogno di cura per svilupparsi, crescere ed esprimere fino in fondo ciò che è e che promette sin dal suo sorgere: un bel viaggio verso il destino.
- Se le tue strategie non sembrano bastare più a vivere in modo soddisfacente le dinamiche della tua coppia
- Se leggendo hai intuito che si può uscire dall’empasse del muro contro muro
- Se ritieni che fare un “tagliando” alla relazione di coppia sia un buon modo per garantire affidabilità e durata alla tua serenità
potrebbe esserti utile parlare con degli psicologi qualificati. Ad esempio attraverso la Terapia a Seduta Singola è possibile intervenire ed ottenere benefici in tempi brevi, ricavando il massimo anche da un singolo incontro.
Sul sito www.onesession.it. è presente un elenco di professionisti formati in Terapia a Seduta Singola che potranno aiutarti a raggiungere i risultati sperati.
Bibliografia
Alberoni, F.(2010, September 27), Innamorarsi è l’occasione per conoscersi nel profondo, Corriere della sera
Bader, E., Pearson, P. (1988). In quest of the mytical mate:a developmental approach to diagnosis and treatment in couples therapy. New York: Brunner Mazel.
Ventriglia, S., Della Valle, R. (2011). Comunicare nella coppia. Roma: Città Nuova
Mi sono laureata in Psicologia ad indirizzo Applicativo nel 1990 presso la facoltà di Psicologia dell’Università “La Sapienza” di Roma. Ho maturato esperienza oltre che nello studio libero professionale, anche nell’ambito dei Consultori Familiari, acquisendo competenze nel sostegno psicologico, sostegno genitoriale, percorsi di educazione affettiva e sessuale.
Piccoli trucchi per riconoscere il gioco d’azzardo patologico
Il gioco d’azzardo esiste da sempre…
Già nel 4500 a.C. in Egitto si giocava a Senet, una sorta di moderna scacchiera con cui interpretare il volere degli dei.
Negli ultimi anni, le forme di gioco d’azzardo si sono moltiplicate: gratta e vinci, scommesse sportive, slot, fino ai giochi telematici come il 10 e lotto e le scommesse virtuali. Parallelamente, si sono moltiplicate anche le “occasioni” di gioco, che hanno esteso la “categoria” di giocatore a uomini e donne di ogni età, istruzione ed estrazione sociale.
Di fatto, oggi tutti possono aver accesso ai giochi d’azzardo: giocare costa poco, non occorre essere in più persone per farlo, è molto semplice ed è soprattutto rapido e lo si può fare senza nemmeno uscire di casa, semplicemente dal Pc o dal proprio smartphone.
Pensiamo ad una giornata tipo: quanti di voi entrano almeno una volta in un bar o in una tabaccheria? Chi, alla vista delle luci e degli effetti sonori che promettono facili vincite, non ha mai pensato di tentare la sorte inserendo una monetina, barrando i propri numeri fortunati o acquistando un gratta e vinci?
Giocare qualche volta non è certo un problema, ma se “il tentare la fortuna” diviene costante e il pensiero del gioco inizia ad essere sempre più frequente fino a condizionare la nostra vita quotidiana, è forse il caso di porci qualche domanda. Il pericolo più grande è iniziare a pensare che un evento casuale divenga più o meno probabile in base ai risultati pregressi.
Sembra irrazionale, ma è questo quello che succede ogni volta che ci diciamo “ieri non è andata, magari oggi si”. Questo meccanismo non è fondato sui fatti: la probabilità che esca un numero al lotto è sempre 1 su 90. E ogni volta si riparte da zero. Ne siamo tutti consapevoli, eppure questo è uno tra i meccanismi psicologici che maggiormente incidono sul “vizio” del gioco, che, in Italia, si sta diffondendo sempre più.
Nel Libro Blu dell’Agenzia Dogane e Monopoli, si legge che nel 2017 i giocatori italiani hanno speso 18.990.000.000 di euro con un aumento di circa il 10% rispetto al 2015. Tale aumento è dovuto dall’incremento dei soldi spesi nel gioco e dall’aumento del numero di giocatori e di conseguenza, dall’aumento dei soggetti a rischio di sviluppare quello che oggi chiamiamo gioco d’azzardo patologico o più comunemente ludopatia.
Facciamo un gioco…
Ti piace giocare d’azzardo ma non sai se questo può essere un problema? Esistono differenti modi per capire quando la semplice “monetina” si trasforma in qualcosa di più. Al riguardo, è fondamentale ricordare che il gioco d’azzardo patologico è una forma di dipendenza che, differentemente dalle altre, non comporta l’assunzione di una specifica sostanza (come nel caso della droga o dell’alcool) e che questo può rendere più difficile percepirla sia per te che per chi ti circonda.
Ciononostante, esistono sicuramente “segnali” che ti possono aiutare a comprendere la tua situazione.
Prova a rispondere a queste domande:
1. Nel corso del tempo hai percepito l’esigenza di giocare con più frequenza e investire sempre più denaro? Giocare, ti crea uno stato di euforia ed eccitazione?
2. Ti capita di non avere la possibilità di giocare e vivere quel momento come fastidioso? Diventi nervoso, irrequieto, irritabile?
3. Ti capita di dire a te stesso “da domani smetto” o “smetto quando voglio” senza poi riuscirci?
4. Nel corso del tempo hai notato che pensi sempre più spesso al gioco? Questo pensiero ti risuona in mente anche in momenti in cui sei concentrato su altro?
5. Se perdi al tuo gioco preferito decidi di riprovarci? Ti capita di tornare nello stesso luogo per poter “ritentare la fortuna”?
Houston, abbiamo un problema. Ma niente paura… Attenzione. Questi sono campanelli di allarme che possono suggerirti che, prima che si instauri una vera e propria dipendenza, potrebbe essere il caso di chiedere aiuto.
Come faccio a smettere di giocare?
Il divenire giocatore d’azzardo patologico segue un processo graduale, quindi se ti è venuto anche un piccolo dubbio rivolgiti ad un professionista. Le metodologie di intervento possibili sono numerose e differenti tra loro. A prescindere dalla strada che ti sembra più efficace, quel che conta è non aspettare e, soprattutto, non credere a quello “smetto quando voglio” se già più volte si è rivelato fallimentare.
Non è detto che la tua condizione sia grave: a volte il solo esporre a qualcuno la tua problematica può aiutarti ad inquadrarla meglio.
Se non sai a chi rivolgerti puoi far riferimento ai molteplici servizi di aiuto che vengono messi a disposizione dallo Stato o puoi consultare il sito www.onesession.it. Qui troverai un elenco di professionisti formati in terapia a seduta singola che già dal primo (e forse unico) incontro, ti potranno fornire strumenti concreti grazie ai quali avviare il tuo processo di cambiamento.
Dott.ssa Roberta Miele
Bibliografia
Agenzia Dogane e Monopoli. (2017). Libro Blu 2017. Organizzazione, statistiche e attività. Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.
Tani, F., & Ilari, A. (2016). La spirale del gioco. Il gioco d’azzardo da attività ludica a patologia. Firenze: Firenze University Press.
Gestire lo stress e tornare a stare bene sul posto di lavoro: come si fa? Ecco alcuni suggerimenti e strategie per fronteggiarlo!
Contrariamente a quanto si pensa di solito, non dobbiamo ed in realtà non possiamo evitare lo stress. Quello che possiamo fare, però, è riconoscerlo e gestirlo in modo efficace, cercando di trarne vantaggio, imparando i suoi meccanismi di funzionamento e adattando la propria filosofia di vita ad esso.
Ma procediamo con ordine.
Innanzitutto, che cos’è lo stress lavoro-correlato?
Sicuramente la maggior parte di voi potrà darne una definizione soprattutto in termini di sintomi: mal di testa, cattivo umore, difficoltà a concentrarsi, stanchezza cronica…
In letteratura, si definisce stress lavoro-correlato quella condizione che si verifica “nel momento in cui le richieste provenienti dall’ambiente lavorativo superano le capacità dell’individuo nel fronteggiare le richieste stesse”.
In Europa questa condizione sembra riguardare almeno un lavoratore su quattro e una delle conseguenze più negative per le aziende è l’assenteismo che provoca ritardi nello svolgimento quotidiano delle mansioni e ovviamente perdite economiche importanti.
Uno studio dell’Università Bocconi di Milano ha messo in risalto come per le donne, lo stress sia anche maggiore rispetto agli uomini: infatti, lo stress viene intensificato dall’esigenza di dover gestire la propria professione e la famiglia.
Quali sono i sintomi dello stress lavoro-correlato?
I sintomi possono essere di varia natura, ma per semplicità possiamo suddividerli in 4 grandi categorie:
- Fisici: mal di pancia, mal di testa, problemi dermatologici, difficoltà a prendere sonno e/o dormire, disturbi nella sfera sessuale, crisi respiratorie.
- Comportamentali: insicurezza, pressione, abbassamento dell’autostima, impazienza, impulsività, insicurezza, isolamento, aumento del consumo di sigarette o caffè durante il giorno.
- Lavorativi: assenteismo, infortuni, conflitti nelle relazioni lavorative, scarso rendimento nelle attività, problemi disciplinari.
- Psicologici: ansia, difficoltà di concentrazione, scarsa attenzione, umore depresso, attacchi di panico, crisi di pianto, stanchezza cronica, sensazione di avere la testa pensante o vuota.
Sicuramente una persona che soffre di stress lavoro-correlato avrà sperimentato o sta sperimentando questi sintomi, arrivando a pensare di essere inadeguata, sbagliata e pensare di dover lasciare il lavoro perché incapace.
Cosa fare per fronteggiarlo?
Per cominciare, potresti riflettere su questi punti:
Quali sono le cose che ti fanno più arrabbiare o agitare? Che cosa ti rende ansioso/a?
Rispondere a queste due domande ti può aiutare a focalizzare il problema e permetterti di restringere il campo rispetto a ciò che temi o che ti innervosisce.
Quando esci dall’ufficio sei in grado di lasciare lì i problemi?
Molto spesso, se non si riescono a lasciare le difficoltà lavorative fuori dalla porta di casa, può crearsi un corridoio pericoloso che fa circolare i problemi da lavoro a casa e viceversa, andando ad inquinare tutti e due gli ambienti. Un suggerimento è quello di trovare un gesto, un rituale, un’abitudine da fare prima di entrare in macchina dopo il lavoro o prima di entrare a casa, che ti permetta di percepire un distacco fra un ambiente e l’altro; come un segnale che ti faccia capire che stai chiudendo con la giornata lavorativa e stai passando ad altro. Come ogni buon training, deve essere ripetuto per un po’ prima che funzioni.
È davvero il luogo di lavoro a renderti nervoso/a?
Oppure scarichi in quell’ambiente la tensione che accumulo nella tua vita personale? Se così fosse, il problema non sarebbe collegato al lavoro, ma piuttosto a problematiche private.
Se ti rendi conto che il lavoro ti sta creando uno stress intollerabile e delle problematiche eccessive e, da solo, non riesci ad uscire da questa situazione, ti consiglio di consultare uno Psicologo.
Infatti, soprattutto con il metodo della Terapia a Seduta Singola (TSS), anche dopo il primo incontro potrai sperimentare concreti benefici ed essere un passo più vicino alla soluzione del problema ed al benessere.
Il segreto è ampliare la consapevolezza, riconoscere i comportamenti disfunzionali e dannosi ed agire con più ampie possibilità di scelta, così da poter trasformare i momenti difficili e critici in occasioni di crescita individuale, relazionale e lavorativa.
Non esitare quindi a contattare uno dei terapeuti formati in Terapia a Seduta Singola cercando sul nostro sito www.onesession.it, il terapeuta più vicino a te e più adatto alle tue esigenze.
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Sono una Psicologa, specializzata in Dipendenze da sostanze, comportamentali (gioco d’azzardo, shopping, ecc) e relazionali (dipendenza affettiva). Sono formata all’utilizzo della Terapia a Seduta Singola (TSS) e della Terapia Centrata sulla Soluzione, per aiutare le persone a risolvere i loro problemi e tornare al benessere nel più breve tempo possibile, imparando a scoprire e sfruttare al meglio tutte le loro risorse.