Conflitti a lavoro? Collaborazione come strategia vincente.
Pensando al conflitto, l’immagine che ho avuto è stata il fungo atomico ad Hiroshima e Nagasaki.
Il mondo del lavoro può essere un campo di battaglia, con un effetto distruttivo, causato da un bombardamento, in questo caso emotivo, di rabbia e frustrazione.
Emozioni che montano sempre più nelle persone, che tra l’altro non si sono scelte e debbono convivere sotto lo stesso tetto lavorativo.
Una condivisione psicofisica che richiede energie non indifferenti, in uno spazio in cui regna spesso la competizione più che la collaborazione.
Affrontare discussioni
Affrontare una discussione genera molta tensione, ansia e paura di trovarsi di fronte a divergenze di opinioni.
Inoltre la conflittualità è valutata in modo negativo (non solo in ambito lavorativo), tanto da danneggiare spesso chi la attiva.
Per questi motivi difficilmente ci si espone nel manifestare conflitti e intavolare discussioni.
“La nostra mente evita di confrontarsi con ciò che ci minaccia. Il problema è che, facendo gli struzzi e non affrontando i problemi, si rischia di ingigantirli a dismisura dentro la nostra testa” (Rampin M. 2018).
In sostanza, tranne in pochi casi di pura ingiustizia o particolari patologie mentali, un conflitto nasce principalmente quando sorgono differenze e si ha difficoltà ad accordarsi. La mancanza di flessibilità e collaborazione diventa una delle cause dei conflitti relazionali e interiori.
A scapito della professionalità, si procrastina un confronto maturo, che offre possibili risoluzioni dei problemi e la prevenzione delle conseguenze del disaccordo.
Eppure i conflitti sono parte della vita, ed imparare ad affrontarli è necessario.
I conflitti sul lavoro
Quando il luogo di lavoro diventa costellato di conflittualità, si trasforma in un ambiente scomodo e disagiato. Uno spazio sociale in cui i conflitti interpersonali possono essere vissuti attaccando in modo evidente, o subdolamente, oppure in silenzio, sopportando e covando.
Entrambi i casi sono accompagnati da diffidenza, sguardi inaspriti od evitanti, pensieri frustranti, rimuginii, ansia e insoddisfazione, che spesso rimangono ancoràti nelle maglie emotive delle persone, tanto da essere portati anche a casa e permanere a lungo come effetti indesiderati.
Le conseguenze più comuni sono la riduzione della produttività, della qualità del lavoro e del benessere personale, con un aumento dello stress e del barn out.
Le manifestazioni psicofisiche e comportamentali che ne derivano, sono diverse e a vari livelli. Ad esempio:
- minore attenzione e concentrazione
- aumento del sospetto e di emozioni negative
- impazienza e inquietudine
- somatizzazioni: emicrania, mal di schiena, alterazione del sistema digestivo e del ritmo sonno-veglia
- isolamento, rottura dei rapporti ostili, abuso di ansiolitici e sostanze (cibo, alcol …)
Superare i conflitti
È possibile prevenire e trasformare un conflitto, in una condizione funzionale e utile?
Si, attivando la collaborazione e strategie per favorirla.
La Oxford Languages descrive il conflitto così: “contesa rimessa alla sorte delle armi, guerra; urto, contrasto, opposizione”.
Se il concetto di guerra lo abbiamo visto, è importante soffermarci un momento sulla parola opposizione, la quale non implica necessariamente incompatibilità.
Basti pensare alla capacità dei poli + e – di attrarsi e condividere spazi in equilibrio.
Ebbene, anche da differenti personalità, possono nascere condivisione e sinergia, dando vita a confronti ed opportunità, anche piccoli ma significativi.
Il “con-fronto” per definizione implica che ci si ponga uno difronte all’altro, in posizione opposta. Si può scegliere se attaccarsi o se cercare la risorsa per poter lavorare assieme, in un ambiente più favorevole per tutti.
Come si può agire la Collaborazione?
Alcuni suggerimenti.
- Focalizzate l’attenzione sulla persona e non sul problema relazionale.
Anche l’altro vive il conflitto e probabilmente è stanco quanto voi di questa situazione, ma forse non sa da dove partire per migliorarla. Ascoltatelo, potrebbe dire cose interessanti.
Nel confronto rimanete ancorati all’obiettivo di lavoro/argomento di cui vi state occupando, senza andare sul personale.
L’attacco alla persona genera solo muri di difesa, tensioni e rigidità sulle proprie convinzioni. E se l’altro lo fa con voi, allora in modo assertivo, fatelo presente.
- Abbiate perciò chiaro l’obiettivo.
Voglio “con-frontarmi” o prevalere sull’altro? Per risolvere un problema, è essenziale ascoltare l’altro e il suo punto di vista.
L’ascolto permette di focalizzarsi su ciò che dice, non dice e come lo dice. Se le emozioni sono “hot”, fermatevi. Prendetevi un momento.
- Dunque usate una comunicazione efficace ed empatica, e create un clima positivo.
Lasciate andare le provocazioni. Usate parole ben pesate, un tono di voce e un ritmo pacato, perché favoriscono il clima sereno, senza mai alzare l’indice come una spada da sguainare.
Partite con dei commenti positivi e con ciò che vi accomuna, per poi confrontarvi su ciò che vi differenzia. A volte l’autoironia spegne dardi infuocati, ma è bene evitare il cinismo.
Non lamentatevi e non parlate male di altri, rimanete sui fatti.
Abbiate un sincero interesse nella sua opinione, e fiducia che dal confronto potreste raggiungere un accordo comune, tale da favorire la collaborazione ed entrare in sinergia di idee e risorse.
Proponete una soluzione da rivedere assieme, ma non scegliete mai per l’altro.
- Valorizzate abilità e talenti di ognuno.
- Fate autocritica, per riconoscere cosa ostacola in voi la cooperazione.
In conclusione
Ricordate che essere differenti non significa essere per forza oppositivi e incompatibili, ma che si può scegliere di essere collaborativi.
Essere collaborativi, per creare un ambiente professionale più vivibile, aumentare e mantenere il proprio benessere e raggiungere obiettivi, non significa diventare amici.
È naturale che non ci piacciano tutti.
Ma certamente crescere nella capacità di collaborare, di gestire i conflitti e affrontare una discussione, significa fare un salto di qualità personale che si rifletterà in tutte le relazioni.
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Riferimenti bibliografici
Funes C. (2014), Come gestire i conflitti. Risolvere i contrasti al lavoro per migliorare la produttività. Ed. De Vecchi, Milano
Rampin M., Mattiolo G. (2018), Con occhi di tigre, Ed. Sperling & Kupfer, Milano
Hollweck I. (2016), Conflict coaching: Allenarsi ad affrontare i conflitti di tutti i giorni con maggiore fiducia, Ed. Franco Angeli, Milano
Sindrome da corridoio: 3 consigli per uscirne
Con “Sindrome da corridoio” ci riferiamo a quella condizione in cui le persone non riescono a tenere distinte situazione lavorativa e vita privata. Questo genera elevato stress in entrambi gli ambienti.
Perché il nome “Sindrome da corridoio”?
Il corridoio è la parte della casa dove le varie stanze si affacciano, dove avvengono gli scambi tra un ambiente e l’altro.
Metaforicamente, può accadere che si crei un corridoio tra vita privata e lavoro.
In questo corridoio, non vi sono argini o confini che mantengono separati i vari ambiti.
Il corridoio può crearsi a livello mentale, quando i problemi lavorativi ci accompagnano anche a casa e viceversa, autoalimentandosi.
Può essere anche un problema di spazi fisici. Abbiamo visto come con l’arrivo della pandemia da Covid-19 tanti lavoratori abbiamo intrapreso la strada dello smartworking, e stiano ancora continuando così.
Questo ha portato ad avere fisicamente l’ufficio in casa, facendosi spazio nelle proprie aree relax, o sul tavolo della cucina, quando non in camera da letto.
Il rimanere fisicamente nello stesso ambiente per tutte le attività che dobbiamo svolgere durante la giornata, alimenta la fatica a distinguere quando una problematica o un evento stressogeno appartiene alla categoria “vita personale” o alla categoria “lavoro”.
Quali sono le conseguenze della sindrome da corridoio?
La sindrome da corridoio ha diverse conseguenze, a livello fisico, familiare e lavorativo.
A livello lavorativo produce un calo della produttività. Il fatto di non sapersi concentrare sulla mansione da portare a termine in quel momento perché preoccupato per problematiche domestiche incide indubbiamente sulla qualità del lavoro. Lavoro che, se non verrà svolto in un certo modo, sarà causa di malumori che sicuramente verranno riportati all’interno della famiglia, andando ad alimentare un circolo vizioso.
A livello familiare si inaspriranno le discussioni e le incomprensioni. Aumenteranno i vissuti di rabbia e frustrazione. Trovandoci in un corridoio, questi vissuti incideranno senza dubbio anche sul lavoro, aggiungendo altra legna al fuoco rispetto alla frustrazione lavorativa.
Infine, non sono da sottovalutare le conseguenze fisiche. La forte tensione creata dal bagaglio emotivo che non si riesce più a gestire può infatti rendere più vulnerabili ad incidenti ed infortuni.
Prevenire la sindrome da corridoio
La sindrome da corridoio non è quindi una problematica da sottovalutare.
Oggi vogliamo fornirti 3 consigli per riuscire a prevenirla.
1. Metti dei paletti tra vita privata e lavoro.
Questa è la forma di prevenzione più efficace che puoi attuare. Ottimizza ambienti e orari lavorativi. Chiudi quindi le porte che si affacciano sul corridoio. Per esempio, una volta terminato l’orario di lavoro, spegni il telefono aziendale, non controllare le mail.
2. Dedicati quotidianamente del tempo.
Individua delle attività che ti piacciono e ti rilassano e assicurati di dedicarvi un po’ di tempo giornalmente. Ti può essere utile metterle in agenda, per obbligarti a farle e non farti soffocare dal lavoro. Ne trarrai vantaggio in tutte le sfere della tua vita.
3. Tieni un diario.
La scrittura ha un grande potere terapeutico e, soprattutto nelle situazioni di stress, è una valida alleata per abbassare i livelli di frustrazione. Prenditi una decina di minuti al giorno per scrivere i tuoi pensieri, le tue sensazioni, il tuo stato fisico.
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Il mio lavoro è orientato al futuro e alla valorizzazione delle risorse delle persone che si rivolgono a me, in ottica di totale collaborazione.
Gestire lo stress e tornare a stare bene sul posto di lavoro: come si fa? Ecco alcuni suggerimenti e strategie per fronteggiarlo!
Contrariamente a quanto si pensa di solito, non dobbiamo ed in realtà non possiamo evitare lo stress. Quello che possiamo fare, però, è riconoscerlo e gestirlo in modo efficace, cercando di trarne vantaggio, imparando i suoi meccanismi di funzionamento e adattando la propria filosofia di vita ad esso.
Ma procediamo con ordine.
Innanzitutto, che cos’è lo stress lavoro-correlato?
Sicuramente la maggior parte di voi potrà darne una definizione soprattutto in termini di sintomi: mal di testa, cattivo umore, difficoltà a concentrarsi, stanchezza cronica…
In letteratura, si definisce stress lavoro-correlato quella condizione che si verifica “nel momento in cui le richieste provenienti dall’ambiente lavorativo superano le capacità dell’individuo nel fronteggiare le richieste stesse”.
In Europa questa condizione sembra riguardare almeno un lavoratore su quattro e una delle conseguenze più negative per le aziende è l’assenteismo che provoca ritardi nello svolgimento quotidiano delle mansioni e ovviamente perdite economiche importanti.
Uno studio dell’Università Bocconi di Milano ha messo in risalto come per le donne, lo stress sia anche maggiore rispetto agli uomini: infatti, lo stress viene intensificato dall’esigenza di dover gestire la propria professione e la famiglia.
Quali sono i sintomi dello stress lavoro-correlato?
I sintomi possono essere di varia natura, ma per semplicità possiamo suddividerli in 4 grandi categorie:
- Fisici: mal di pancia, mal di testa, problemi dermatologici, difficoltà a prendere sonno e/o dormire, disturbi nella sfera sessuale, crisi respiratorie.
- Comportamentali: insicurezza, pressione, abbassamento dell’autostima, impazienza, impulsività, insicurezza, isolamento, aumento del consumo di sigarette o caffè durante il giorno.
- Lavorativi: assenteismo, infortuni, conflitti nelle relazioni lavorative, scarso rendimento nelle attività, problemi disciplinari.
- Psicologici: ansia, difficoltà di concentrazione, scarsa attenzione, umore depresso, attacchi di panico, crisi di pianto, stanchezza cronica, sensazione di avere la testa pensante o vuota.
Sicuramente una persona che soffre di stress lavoro-correlato avrà sperimentato o sta sperimentando questi sintomi, arrivando a pensare di essere inadeguata, sbagliata e pensare di dover lasciare il lavoro perché incapace.
Cosa fare per fronteggiarlo?
Per cominciare, potresti riflettere su questi punti:
Quali sono le cose che ti fanno più arrabbiare o agitare? Che cosa ti rende ansioso/a?
Rispondere a queste due domande ti può aiutare a focalizzare il problema e permetterti di restringere il campo rispetto a ciò che temi o che ti innervosisce.
Quando esci dall’ufficio sei in grado di lasciare lì i problemi?
Molto spesso, se non si riescono a lasciare le difficoltà lavorative fuori dalla porta di casa, può crearsi un corridoio pericoloso che fa circolare i problemi da lavoro a casa e viceversa, andando ad inquinare tutti e due gli ambienti. Un suggerimento è quello di trovare un gesto, un rituale, un’abitudine da fare prima di entrare in macchina dopo il lavoro o prima di entrare a casa, che ti permetta di percepire un distacco fra un ambiente e l’altro; come un segnale che ti faccia capire che stai chiudendo con la giornata lavorativa e stai passando ad altro. Come ogni buon training, deve essere ripetuto per un po’ prima che funzioni.
È davvero il luogo di lavoro a renderti nervoso/a?
Oppure scarichi in quell’ambiente la tensione che accumulo nella tua vita personale? Se così fosse, il problema non sarebbe collegato al lavoro, ma piuttosto a problematiche private.
Se ti rendi conto che il lavoro ti sta creando uno stress intollerabile e delle problematiche eccessive e, da solo, non riesci ad uscire da questa situazione, ti consiglio di consultare uno Psicologo.
Infatti, soprattutto con il metodo della Terapia a Seduta Singola (TSS), anche dopo il primo incontro potrai sperimentare concreti benefici ed essere un passo più vicino alla soluzione del problema ed al benessere.
Il segreto è ampliare la consapevolezza, riconoscere i comportamenti disfunzionali e dannosi ed agire con più ampie possibilità di scelta, così da poter trasformare i momenti difficili e critici in occasioni di crescita individuale, relazionale e lavorativa.
Non esitare quindi a contattare uno dei terapeuti formati in Terapia a Seduta Singola cercando sul nostro sito www.onesession.it, il terapeuta più vicino a te e più adatto alle tue esigenze.
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Sono una Psicologa, specializzata in Dipendenze da sostanze, comportamentali (gioco d’azzardo, shopping, ecc) e relazionali (dipendenza affettiva). Sono formata all’utilizzo della Terapia a Seduta Singola (TSS) e della Terapia Centrata sulla Soluzione, per aiutare le persone a risolvere i loro problemi e tornare al benessere nel più breve tempo possibile, imparando a scoprire e sfruttare al meglio tutte le loro risorse.