La sindrome dell’impostore
Quando parliamo di sindrome dell’impostore a cosa ci riferiamo?
Il termine sindrome ci riporta come significato a un contenuto di classificazione nosografica. Va subito chiarito che la sindrome dell’impostore non è una malattia con una connotazione psichiatrica.
Il termine impostore richiama un concetto legato all’imbroglio, alla frode, all’inganno.
La sindrome dell’impostore è definibile come una serie di sensazioni e di pensieri che l’individuo vive, perché pensa che il successo raggiunto in diversi ambiti non è meritato.
Si tratta quindi di uno spiacevole vissuto che interferisce con il benessere complessivo sotto molti punti di vista.
Alla fine degli anni ’70 sono stati condotti i primi studi di questo fenomeno. Si è osservato come esso sia di natura trasversale e non riguarda specificatamente donne o uomini, coinvolge allo stesso tempo persone con diversi livelli sociali o con competenze diversificate a livello professionale.
Sembrerebbe comunque che siano più le donne a soffrirne, per quanto gli uomini non siano esenti dallo sperimentarla.
Oggi, le ricerche sembrano dimostrare che la sindrome dell’impostore sta aumentando e che, se non viene affrontata, rischia di cronicizzarsi.
Studi sulla sindrome dell’impostore.
Le psicologhe pionieristiche Clance e Imes iniziarono a parlare di tale sindrome nelle loro ricerche a partire dal ’78.
Durante uno dei loro studi selezionarono un campione di donne che presentavano un alto livello intellettuale e culturale e che si era distinto per risultati accademici e per carriere professionali eccellenti, emerse una grande differenza nel campione.
Le donne con la sindrome dell’impostore, rispetto alle altre, a parità di titoli e posizioni raggiunte, credevano di non avere i numeri giusti per il successo e di non essere brillanti, ma che il loro successo fosse frutto di un inganno. Secondo loro, in buona sostanza, avevano ingannato tutti gli altri che invece riconoscevano in loro le assolute competenze, le capacità ed i brillanti risultati.
Nonostante il funzionamento intellettuale delle donne portatrici della sindrome fosse superiore e inconfutabile nelle dimostrazioni, questa evidenza non veniva considerata, e permaneva in loro stesse questa credenza.
In altri studi con un campione invece di studenti di diversi atenei Clance e Imes evidenziarono che molti studenti universitari sentivano di aver raggiunto posti prestigiosi senza meritarlo.
Anche questo, come nel primo caso delle donne di successo, veniva percepito da parte loro come un inganno, una vera frode che le persone sentivano di aver compiuto nei confronti della società. I premi, i riconoscimenti ed anche i semplici complimenti venivano giudicati come non meritati e non dovuti.
Come abbiamo già detto in apertura, questo fenomeno non è inserito nel DSM 5 o in qualche trattato diagnostico, ma dati alla mano e scorrendo la letteratura al riguardo, si evidenzia che il 70 % dell’intera popolazione mondiale ha sofferto, soffre nell’arco della vita di almeno un episodio di questa sindrome.
Perché la sindrome dell’impostore è un fenomeno che ha ripercussioni psicologiche?
La sindrome dell’impostore può portare un notevole disagio psicologico. Essa si riflette fortemente nella percezione che le persone hanno di loro stesse e si lega a due aree molto significative della vita: quelle legate alla posizione occupata nella società rispetto agli altri e alla dimensione lavorativa. Chi soffre della sindrome dell’impostore prova senso di colpa e senso di inefficienza, va in stress più facilmente e rischia anche di entrare in burnout.
In cosa consiste la sindrome dell’impostore?
Chi ne soffre sviluppa una grande paura di fallire e un rimuginare su errori fatti in passato, una sensazione di incompetenza riguardo le proprie capacità.
Chi soffre di questo fenomeno è portato a pensare che il successo che si riscuote a livello personale non è meritato e sarebbe da attribuire al caso, alla fortuna, a condizioni favorevoli esterne e mai interne.
Si ha successo e si pensa sia non dovuto, non giustificabile, è questo lo stato d’animo prevalente. Nulla diventa proporzionale alla quantità di successo che si ha, perché se si soffre di questa sindrome, si vive in una condizione in cui ciò che abbiamo raggiunto non deriva da nostri mezzi, da nostre capacità, da un nostro sforzo ma sempre da qualcosa fuori.
Non ne sono immuni personaggi famosi, tanto per citarne uno su tutti lo stesso Einstein, che è stato vittima di questa sindrome, così emergerebbe da alcune confidenze fatte a un amico. Oltre a Einstein, per arrivare ai nostri giorni e a nomi molto familiari ne hanno parlato Michelle Obama, Serena Williams, Meryl Streep. La sindrome dell’impostore oltrepassa le differenze di genere e colpisce persone importanti e non, nomi altisonanti e persone comuni.
Cosa si può leggere nella sindrome dell’impostore? A cosa porta questa sindrome?
Essa è legata alla percezione che si ha di sé, è legata alla sfera della autostima, se il livello di autostima è basso si minimizzerà il risultato.
Siccome la sindrome fa sentire costantemente gli individui in uno stato di tensione, perché percepiscono la possibilità che saranno prima o poi smascherati e che saranno scoperti, porta a dei veri e propri vissuti di ansia, che in alcuni casi più estremi sfocia in vissuti di angoscia.
Possono in alcuni casi svilupparsi un profondo senso di fallimento e una costante ricerca di perfezionismo.
L ‘ansia si può ancorare al fatto che chi soffre della sindrome diventa autocritico al massimo. Si ricerca costantemente il raggiungimento della perfezione, andando incontro a costanti rimuginii del pensiero, in un continuum che si spinge verso forme più invalidanti tanto è che si potrebbe approdare a un vero e proprio stato depressivo.
La ricerca della perfezione a tutti i costi è una delle implicazioni più pesanti che si porta dietro la sindrome dell’impostore. Un’altra è la sensazione di perpetuare un inganno ai danni degli altri, un inganno che prima o poi sarà smascherato.
Come aiutare chi soffre di questa sindrome?
Un percorso di terapia breve può permetterci di lavorare in modo efficace ed efficiente.
Attraverso la terapia si punterà alle risorse del paziente e si andranno a ristrutturare le credenze e a ricostruire la percezione di autostima errata, attribuendo il giusto valore alle mete raggiunte, ai risultati ottenuti.
L’autostima non è una caratteristica intrinseca che si possiede, ma un processo a cui si dovrebbe arrivare facendo una valutazione realistica delle proprie capacità.
La Terapia a Seduta Singola per la sindrome dell’impostore
La Terapia a Seduta Singola potrebbe essere preziosa e permetterci di arrivare all’obiettivo già con una sola seduta. In un colloquio si può lavorare sulla riappropriazione di una concezione positiva, che si riverbererà sul senso di autoefficacia individuale.
Con la Terapia a Seduta Singola potremmo far emergere quelli che sono i contenuti di critica interna. Si andranno poi ad esplorare le credenze e confutarle se esse allontanano la persona da una visione obiettiva di se stessa.
Si sottolineano i punti di forza e una rappresentazione di sé più consapevole. L’emergere della consapevolezza crea la base per uscire dalla sindrome.
Lavorare sulla autostima e sulla autoefficacia sgancia il soggetto da una visione aprioristicamente svuotata dal senso di merito ed incentrata invece sul senso di colpa.
Una strategia pratica e che può essere ripetuta quotidianamente e consigliata a chi si trova a vivere con questa sindrome, è quella di far elencare tutte le mete e tutti i traguardi raggiunti dalla persona. Assieme al terapeuta si possono riscrivere i passi conseguiti nella propria carriera, una sorta di carrellata dei successi più significativi.
Mettere in forma scritta gli obiettivi centrati, e visualizzarli in modo concreto, renderà difficile la negazione e darà una consistenza a ciò che si è conseguito. Questo permetterà alla persona di raggiungere la convinzione che essa ha meritato il posto il lavoro o la posizione che sta ricoprendo.
Ti trovi in un momento difficile in cui hai la sensazione di essere imprigionato?
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Ogni Martedì dalle 18:00 alle 20:00 gli psicologi del team “One session” sono a tua disposizione. Prenota una sessione gratuita di consulenza psicologica a seduta singola di 30 minuti.
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Riferimenti bibliografici
Clance P. R., & Imes, S. A. (1978). The imposter phenomenon in high achieving women: Dynamics and therapeutic intervention. Psychotherapy: Theory, Research & Practise
Clance Pauline R.; O’ Toole, Maureen A., 1987. The Imposter Phenomenon: An internal barrier to empowerment and achievement
Flavio Cannistrà, Federico Piccirilli, 2020. Terapia a seduta singola Principi e Pratiche
Sandi Mann, 2021. La sindrome dell’impostore. Perché pensi che gli altri ti sopravvalutino.
Enrico Maria Secci, 2016. Le Tattiche del Cambiamento– Manuale di Psicoterapia Strategica
Francesca Di Donato, 2021. Counseling Psicologico
Flavio Cannistrà- Federico Piccirilli,2021. Terapia breve centrata sulla soluzione. Principi e Pratiche
Sono una Psicologa Laureata all’Universita’ La Sapienza di Roma, iscritta all’albo Psicologi dell’Umbria, Mediatrice familiare, iscritta alla scuola di Specializzazione Icnos, formata in Terapia a seduta singola e in Terapia breve centrata sulla soluzione, mi occupo di consulenze brevi e credo fortemente nel fatto che il cambiamento può avvenire anche in una unica seduta.
Terapia a Seduta Singola: Terapia al Bisogno
Nuovi bisogni nel nostro tempo
Cercando nel vocabolario il significato della parola bisogno, possiamo notare che viene dal termine germanico bisundhi che significa lavoro, cura.
Non solo necessità di procurarsi qualcosa che manca, ma impegno e capacità di fare e costruire.
L’idea che fare un percorso di psicoterapia comporti un enorme dispendio di tempo e di denaro si discosta molto dalle nostre vite così smart e rapide.
Il nostro tempo, infatti, è caratterizzato dalla velocità, dall’accelerazione della Storia che pone nuove emergenze, nuove condizioni, nuove scelte da compiere.
Il rischio nel non stare a passo con questo rapido andare è di sentirsi smarriti, senza riferimenti sicuri, e di rinunciare a dare il proprio contributo costruttivo.
Questa velocità ci vede desiderosi di raggiungere traguardi, sogni, oggetti in maniera semplice e immediata. In questo desiderio rientra anche l’attenzione alla salute mentale.
La sfida di poter dare risposta ad un disagio in maniera istantanea è di certo allettante.
Questa sfida impone oggi allo psicologo la ricerca di nuovi strumenti per aiutare le persone nel momento in cui ne hanno bisogno, accompagnandole nel raggiungimento dell’obiettivo di cui hanno bisogno, nel tempo in cui ne hanno bisogno.
L’emergenza pandemica ci ha prepotentemente insegnato che qualsiasi certezza può sgretolarsi. Abbiamo accettato un cambiamento epocale in tempi molto brevi.
Il digitale e la socialità on line si sono rivelati strumenti potenti e alla portata di tutti.
Cena, spesa, acquisti, tutto direttamente sul pianerottolo di casa.
Anche lo psicologo è entrato nelle nostre case, attraverso le sedute on-line ed è più vicino alle nostre necessità.
Il tempo ha rallentato la sua corsa ma il vivere si è accelerato.
Il coronavirus ha ridisegnato una nuova normalità.
Nuovi bisogni, anche nella salute mentale.
Una risposta efficace a queste nuove necessità è data dalla Terapia a Seduta Singola.
Una risposta al bisogno nel momento del bisogno.
Cosa è la Terapia al Bisogno
La Terapia a Seduta Singola mette a disposizione delle persone la possibilità di un numero limitato di incontri. Concentrando il lavoro su ciò di cui hanno bisogno in quel momento.
Talvolta il numero degli incontri può anche essere uno soltanto.
Ciascuno di noi ha dei bisogni.
La possibilità di soddisfarli in un tempo breve, può diventare una grande conquista sia temporale che materiale.
La Terapia a Seduta Singola affonda le sue radici teoriche nel costruttivismo, dando alla persona la possibilità di cercare e costruire nuove realtà e di innescare un cambiamento consequenziale.
Un cambiamento nella percezione di se stessi, degli altri e del mondo.
Un terapeuta al bisogno offre un aiuto immediato ed efficace.
Massimizza tempi e risultati di ogni singolo incontro e lo fa non perdendo mai di vista la persona e le sue necessità.
La persona viene coinvolta in un processo fatto su misura per lei.
Penso alla realizzazione di un abito sartoriale. L’abito sarà cucito sulla persona, seguendo le linee del suo corpo.
Sarà pertanto unico nel taglio e nello stile. Quello stesso abito non potrà calzare a pennello su nessun altro.
Questo farà sentire chi indossa quell’abito, a proprio agio. Comodità e senso di appartenenza, oltre alla soddisfazione di aver partecipato alla realizzazione di un capo fatto su misura.
La partecipazione farà sentire la persona parte attiva di un processo al quale si sentirà profondamente legata.
Costruire insieme rappresenta un elemento di distinzione per il terapeuta nella enorme offerta di professionisti presenti nel mercato della salute mentale.
Per la persona invece costituisce una linea guida nella scelta tra i tanti servizi offerti.
Un servizio psicologico al bisogno che si adegua ad una società profondamente cambiata.
Una società in cui i bisogni delle persone e le persone stesse sono in continua evoluzione. Non possiamo, come operatori sanitari, restare fermi a guardare.
Pensare che il nostro metodo sia universale e che siano i fruitori dei nostri servizi a doversi adeguare, altro non farà che allontanare da noi i clienti o i potenziali clienti.
Perché scegliere una Terapia a Seduta Singola?
I motivi possono essere molteplici:
- lo psicologo ha un ruolo diverso rispetto a quello che culturalmente hanno in mente le persone.
Non è colui che risolve i problemi.
Non ha nessun superpotere o pozione magica.
Semplicemente aiuta a risolvere un problema, tenendo conto di diversi obiettivi e proponendo al cliente diverse possibilità.
Tra queste verrà poi individuata, in un processo di co costruzione, quella più calzante sulla persona.
Il tutto all’interno di un servizio capace di sposare le logiche e le nuove tendenze del nostro tempo, per andare incontro alle esigenze di costi e di tempi di ciascuno.
- uno psicologo può sbloccare la persona, avviando un processo di cambiamento.
Tale processo avrà il potere di innescare un meccanismo a catena.
Un piccolo passo, richiamerà a sè altri passi fino a raggiungere la meta finale.
La richiesta è quella che lo psicologo aiuti a premere il tasto di avvio, dia la spinta giusta affinchè la persona continui da sola il percorso e diventi artefice del proprio cambiamento.
- Rivolgendoti ad uno psicologo puoi dare una nuova chiave di lettura del problema.
Questo permetterà un cambio di prospettiva e la possibilità di intravedere nuove soluzioni.
Il parere dell’esperto viene ricercato per comprendere meglio e tranquillizzarsi rispetto ad una determinata situazione.
- lo psicologo offre uno spazio all’interno del quale sentirsi liberi di esprimersi. Senza critica o giudizio.
La ricerca di un momento per liberarsi di pensieri, emozioni, preoccupazioni.
L’idea di una terapia al bisogno può sembrare forte e rivoluzionaria ma in realtà la applichiamo in tanti ambiti della nostra vita.
Lo facciamo senza accorgercene.
Andiamo dall’oculista perché ci dia una nuova prescrizione di lenti, dal momento che notiamo di non vedere bene da lontano.
Oppure dal gommista per sostituire la ruota bucata.
O ancora dal dentista per curare una carie.
Funziona così anche per i bisogni psicologici.
Certo ci saranno situazioni che necessiteranno di tempi maggiori, ma allo stesso tempo ci saranno problemi risolvibili in tempi brevi.
A fare la differenza sono sia la persona con le sue risorse che lo psicoterapeuta con la sua capacità di porre al centro la persona.
E se dovessi aver bisogno “al bisogno” di un professionista formato in Terapia a Seduta Singola, ogni Martedì dalle 18:00 alle 20:00 gli psicologi del team “One session” sono a tua disposizione per una sessione gratuita di consulenza psicologica a seduta singola di 30 Minuti.
Per maggiori informazioni, puoi inviare una email a info@onesession.it o visitare la nostra pagina FB OneSession.it
Riferimenti bibliografici
Cannistrà F., Piccirilli F. (2021). Terapia Breve Centrata sulla Soluzione. Roma: EPC Editore
Psicologa, Mediatrice Familiare, Esperta in Scienze Forensi
Superare la paura di guidare con la Terapia a Seduta Singola
Che cos’è e come si manifesta la paura di guidare?
La paura di guidare l’automobile è una problematica molto più comune di quanto si potrebbe pensare. Definita in gergo tecnico amaxofobia, dal greco amaxos (“carro”), fa riferimento alla forte ansia al pensiero di mettersi alla guida.
L’amaxofobia colpisce sia uomini che donne, anche se sembrerebbe essere più frequente in queste ultime.
La paura di guidare, oltre ad essere fastidiosa, può diventare invalidante per chi ne soffre, causando disagio e rinunce.
A causa della forte ansia, infatti, alcune persone finiscono per rinunciare a partecipare ad eventi sociali o limitare le proprie possibilità lavorative.
Non esiste un solo tipo di amaxofobia.
Al contrario, la paura di guidare può presentarsi in svariati modi. Alcune persone possono sperimentare solo una lieve ansia prima di mettersi al volante, altre invece possono essere colpite da un’ansia così forte da sfociare in attacchi di panico.
Chi presenta amaxofobia può sperimentare reazioni sia psicologiche sia fisiche, che da un fastidio sporadico possono diventare sempre più invalidanti. Inoltre, la paura di guidare potrebbe manifestarsi sempre, oppure solo in alcune circostanze.
Guidare in autostrada, guidare di notte o con particolari condizioni metereologiche, attraversare gallerie, sono alcune delle situazioni che possono provocare l’amaxofobia.
Può anche capitare, se la problematica viene sottovalutata, che possa generalizzarsi, passando da una situazione specifica ad altre sempre più numerose.
Cosa facciamo solitamente per combatterla e perché questo non aiuta realmente?
Spesso, quando qualcosa ci spaventa, la prima cosa che facciamo per controllare e far diminuire l’ansia è evitarla.
Nel caso della paura di guidare, evitare di salire in macchina e girare la chiave potrebbe sembrare la soluzione.
Magari dicendo a sé stessi che non è così importante raggiungere quel luogo, e che andrà meglio la prossima volta.
Ma è davvero una strategia efficace?
La risposta, purtroppo, è no.
Evitare di mettersi alla guida, oltre ad esporre al rischio reale dell’isolamento sociale, non fa altro che ritardare l’ansia e farla tornare più forte la volta successiva.
Un’altra strategia spesso usata per controllare l’ansia della guida è chiedere a qualcuno di fare da accompagnatore durante i tragitti.
L’accompagnatore può essere una persona specifica, che ispiri sicurezza, oppure un accompagnatore generico.
L’importante, in questa logica, è non avventurarsi da soli ed avere qualcuno che aiuti a gestire la paura.
Anche in questo caso, purtroppo, questa strategia non è realmente utile ad affrontare efficacemente la paura.
Infatti, chiedendo costantemente ad un’altra persona di accompagnarci, non facciamo altro che rimandare il momento in cui poter dimostrare a noi stessi di essere capaci di viaggiare da soli.
Come può aiutare la Terapia a Seduta Singola?
La Terapia a Seduta Singola può rappresentare un valido aiuto per affrontare efficacemente la paura di guidare.
In che modo?
Un primo motivo per scegliere la Terapia a Seduta Singola è che sarai tu a scegliere il tuo obiettivo.
Nessun terapeuta cercherà di proporti la sua visione sulla risoluzione della problematica.
Dopo averti attentamente ascoltato, tu e il terapeuta deciderete quali obiettivo porvi e come cercare di raggiungerli.
Inoltre, durante l’incontro, avrai modo di riflettere sulle tue risorse e farne emergere di nuove.
Utilizzando il terapeuta come uno strumento a tua disposizione, potrai scoprire risorse inaspettate e valutare come poterle utilizzarle.
La Terapia a Seduta Singola potrà anche aiutarti nel cercare momenti in cui il problema non si è manifestato nel passato.
In questo modo, potrai esaminare la situazione da un punto di vista più ampio.
A questo punto, con nuova consapevolezza, potrai trovare e sperimentare nuovi modi per affrontare efficacemente la paura di guidare.
Sei curioso di provare?
Ogni martedì dalle 18.00 alle 20.00, i terapeuti del nostro team One Session si rendono disponibili per degli incontri online gratuiti utilizzando la Terapia a Seduta Singola. Contattaci per maggiori inviando una email a info@onesession.it oppure visita la nostra pagina Fb OneSession.it
Riferimenti bibliografici
Cannistrà F., Piccirilli F. (2018), Terapia a Seduta Singola. Principi e pratiche. Giunti Psychometrics
Nardone G. (2007), Non c’è notte che non veda il giorno. La terapia in tempi brevi per gli attacchi di panico. Milano: TEA Pratica
Nardone G. (1993), Paura, panico, fobie. La terapia in tempi brevi. Firenze: Ponte delle Grazie
Sono una psicologa, mi occupo di sostegno psicologico attraverso l’uso della Terapia a Seduta Singola per poter aiutare le persone a risolvere i propri problemi in tempi brevi. Ricevo a Cosenza e On Line (Skype).
Scrivere per superare la fine di una relazione
Perché le relazioni finiscono? Perché ad un certo punto la persona che credevamo sarebbe stata al nostro fianco per tutta la vita esce di scena?
Le motivazioni per cui una relazione finisce sono molteplici. Talvolta le cause possono essere degli eventi esterni che portano la coppia a separarsi, forzatamente. Altre volte invece ci si accorge di non condividere più gli stessi valori, perché si è cambiati. Altre volte ancora i partner non riescono più a fidarsi l’uno dell’altro, dopo tradimenti o bugie.
Qualsiasi sia la causa della rottura, entrambi i partner saranno invasi da una serie di vissuti ed emozioni, talvolta difficili da gestire.
Le fasi della fine di una relazione
La fine di una relazione porta con sé la perdita di una persona molto cara. Proprio per questo motivo questo evento può essere paragonato ad un lutto.
E come nel lutto, si passa attraverso una serie di fasi che, dopo rabbia e sofferenza, permetteranno ai protagonisti di riprendere in mano la loro vita. Vediamo quali:
- La relazione è finita, ma si fa fatica a crederlo. I protagonisti si rifiutano di credere che la persona amata non condivida più con noi gran parte della nostra quotidianità.
- In questa fase si comincia a rendersi conto della fine della relazione. La rabbia può essere rivolta contro se stessi, per non aver fatto funzionare la storia, o contro il patner per averci lasciati. Spesso è rivolta anche contro tutti quelli che vediamo felici, pensando che al loro posto dovremmo esserci noi.
- È la fase dei “se”. “E se quella volta mi fossi comportato diversamente? E se potesse esserci un’ulteriore possibilità?” In questa fase si cercano dei modi di ricongiungersi con l’ex partner, rimanendo così ancorati al passato.
- Indietro non si può tornare, si prende consapevolezza della fine della relazione. Ci si rifugia così nei ricordi di un passato che è stato anche positivo, soffrendo incredibilmente.
- Dopo le prime quattro difficili fasi, ora si diventa consapevoli che indietro non si tornerà. Si custodiscono i momenti positivi della tua storia d’amore, ma è arrivato il momento di dedicarsi a se stessi. Ripensare alla storia finita non trascina più nello sconforto.
Ricominciare a vivere dopo la fine di una relazione
Nella teoria sembra tutto facile, ma a volte il dolore è così insopportabile da non riuscire a credere che prima o poi si supererà. I ricordi della relazione passata tengono costantemente compagnia, al punto da credere che non si sarà mai più felici.
Ecco quindi un piccolo, semplice ma potentissimo esercizio che puoi fare in autonomia per dare spazio al tuo dolore e pian piano farlo defluire.
In una semplice parola: scrivi.
Ogni sera, prima di coricarti, prenditi del tempo (almeno 15 minuti) per mettere nero su bianco i tuoi pensieri, i tuoi ricordi, il tuo dolore. Dev’essere un momento solo per te, il foglio e la penna. Non importa la forma, quanto il contenuto. Lasciati andare, esprimi sul foglio tutto ciò che ti tormenta, i pensieri che durante il giorno ti attanagliano e che cerchi di evitare. Una volta finito, è importante che tu non rilegga quanto hai scritto!
Se ti accorgi che il dolore persiste, prova ad affidarti ad un terapeuta. Anche un solo incontro può bastare!
Ogni martedì dalle 18:00 alle 20:00, gli psicologi del nostro team One Session si rendono disponibili per degli incontri online gratuiti utilizzando la Terapia a Seduta Singola. Per avere maggiori informazioni e prenotare il tuo incontro, puoi contattarci inviando una e-mail a info@onesession.it oppure visitala nostra pagina Fb OneSession.it.
Riferimenti Bibliografici
Pennebaker, J. W. (2017). Il potere della scrittura. Tecniche nuove edizioni.
https://www.psychologytoday.com/us/blog/in-flux/201911/5-tips-respectfully-end-intimate-relationship
Il mio lavoro è orientato al futuro e alla valorizzazione delle risorse delle persone che si rivolgono a me, in ottica di totale collaborazione.
Rimuginare: Come smettere di avere pensieri fissi e invadenti?
Rimuginare: che cosa significa?
Rimuginare significa pensare in modo ciclico e ripetitivo agli stessi pensieri. Spesso il contenuto di questi pensieri è triste e focalizzato sui problemi.
La nostra mente funziona come un risolutore di problemi quando si trova ad affrontare problemi logici.
Se ad esempio mi si rompe la macchina e rischio di arrivare in ritardo a lavoro la mia mente elaborerà la situazione. Dopo di che cercherà di individuare l’alternativa che mi permetterà di arrivare a lavoro nel minor tempo possibile.
Purtroppo non tutti i problemi hanno una soluzione logica, spesso ci troviamo ad affrontare disagi legati al mondo emotivo che non possono essere risolti con del semplice problem solving.
In questi casi la convinzione che rimuginare possa esserci utile in qualche modo per risolvere il problema può farci restare focalizzati su di esso. Inoltre con il passare del tempo questo processo potrebbe diventare un’abitudine che ci porterà ad avere sempre i soliti pensieri fissi che monopolizzano la nostra quotidianità.
Eventi di vita particolarmente stressanti possono aumentare la possibilità di innescare pensieri fissi e ricorrenti negativi.
La rimuginazione è anche molto frequente nelle persone che hanno tratti di personalità come il nevroticismo e il perfezionismo.
Le conseguenze della rimuginazione
La rimuginazione può essere pericolosa per il nostro benessere psicologico e può aumentare il rischio di sviluppare problematiche psicopatologiche.
Le ricerche ci suggeriscono che rimuginare ossessivamente è associato a sintomi depressivi e ansiosi. Più il nostro benessere diminuisce, più la tendenza a rimuginare aumenta. Si genererà perciò una sorta di circolo vizioso che alimenta il problema e rende sempre più difficile interromperlo.
Molte persone per placare il disagio crescente scaturito da pensieri fissi e invadenti finiscono per cercare di “automedicarsi,” utilizzando strategie disfunzionali come il consumo eccessivo di alcool e droghe.
I pensieri fissi rendono anche più difficile avere un sonno regolare. Infatti è piuttosto difficile dormire e spegnere il cervello quando continua ad essere focalizzato sull’attività di rimuginazione.
Come smettere di rimuginare
Dopo esserci soffermati sulle conseguenze negative della rimuginazione, cerchiamo di capire come possiamo fare per non alimentare questo meccanismo.
Esistono molti modi per affrontare questo problema e la Terapia a Seduta Singola può essere molto utile nell’aiutarti a individuare delle strategie efficaci.
Vediamo insieme alcuni consigli che puoi provare a mettere in atto fin da subito.
1. Impara a distinguere tra rimuginazione e problem solving
Molte persone hanno la convinzione che ripensare continuamente a una situazione problematica possa essere utile per risolverla. In realtà rimuginazione e problem solving sono processi diversi.
A differenza del problem solving, quando rimuginiamo continuiamo semplicemente a ripensare alla situazione senza cercare di elaborare un piano per risolverla.
Perciò se ti rendi conto che i tuoi pensieri fissi non ti stanno portando da nessuna parte, chiediti se effettivamente continuare a rimuginare possa essere utile in qualche modo a risolvere il problema.
Spesso ti renderai conto che continuare a ripensare non ti porta a nessuna soluzione. In questi casi anche semplicemente prendere atto del fatto che stai rimuginando, può essere un passo utile per ridurre questo processo.
2. Crea un kit di distrazione
Le ricerche suggeriscono che in molti casi anche semplicemente distrarsi per pochi minuti può aiutare a ridurre la tendenza a rimuginare. Perciò individua 2 o 3 attività da mettere in atto ogni volta che ti rendi conto di iniziare a rimuginare.
Scegli attività semplici che puoi eseguire in qualsiasi momento e luogo: scrivere, leggere, ascoltare musica, o qualsiasi altra cosa possa funzionare per te.
Una volta che avrai individuato 2 o 3 attività avrai il tuo kit di distrazione pronto all’uso ogni volta che ne hai bisogno.
3. Ritagliati del tempo per rimuginare
Ogni giorno prenditi 20 minuti per chiuderti in una stanza, possibilmente dove puoi essere comodo e nessuno ti disturberà. Imposta il timer della sveglia a 20 minuti.
In questi 20 minuti sforzati il più possibile di portare alla mente tutti quei pensieri invadenti che arrivano durante il giorno. In questi 20 minuti qualsiasi cosa succeda non interrompere l’esercizio fino al suono della sveglia.
Questo esercizio potrebbe sembrare controintuitivo, ma in realtà se eseguito correttamente è molto efficace.
4. Chiedi un supporto psicologico
In alcuni casi i pensieri fissi possono diventare un’importante fonte di malessere e chiedere un supporto psicologico potrebbe essere la scelta migliore.
Per questo, ogni martedì dalle 18:00 alle 20:00, gli psicologi del nostro team One Session si rendono disponibili per degli incontri online gratuiti utilizzando la Terapia a Seduta Singola. Per avere maggiori informazioni e prenotare il tuo incontro, puoi contattarci inviando una e-mail a info@onesession.it oppure visitala nostra pagina Fb OneSession.it.
Bibliografia
Dorthe K. T. et al. (2003). Rumination—relationship with negative mood and sleep quality.
Personality and Individual Differences, 34(7), 1293-1301. https://doi.org/10.1016/S0191-8869(02)00120-4.
Law, B. M. (2005). Probing the depression-rumination cycle. Monitor on Psychology, 36(10). http://www.apa.org/monitor/nov05/cycle (consultato in data 08/04/2021).
Michl, L. C. et al. (2013). Rumination as a mechanism linking stressful life events to symptoms of depression and anxiety: longitudinal evidence in early adolescents and adults. Journal of abnormal psychology, 122(2), 339–352. https://doi.org/10.1037/a0031994.
Sono uno psicologo e mi occupo soprattutto di consulenze brevi e di psicologia del benessere. Utilizzo la Terapia a Seduta Singola per diverse problematiche, in particolare per aiutare le persone ad affrontare ansia e momenti particolarmente stressanti.
Come sradicare le cattive abitudini con la Terapia a Seduta Singola
“Se continui a fare quello che hai sempre fatto, continuerai ad ottenere ciò che hai sempre avuto.”
WARREN G. BENNIS
Che cosa si intende per cattive abitudini?
Per “abitudine” si intende la tendenza a ripetere in modo continuativo e frequente un’azione o un’esperienza in determinate situazioni.
Si tratta di comportamenti che mettiamo in atto con un minimo sforzo cognitivo.
Con il tempo, queste azioni diventano automatiche. Le mettiamo in atto senza rendercene conto.
Ognuno di noi riflettendo sulla propria vita, potrebbe facilmente individuare le sue personali “cattive abitudini”. Sono quelle azioni che inizialmente ci sembrano positive per affrontare la quotidianeità. Nel lungo periodo, invece, risultano dannose per noi.
Mangiare in modo sregolato, rimuginare sul passato e fumare sono alcuni esempi di “cattive abitudini” per molte persone.
Quali sono le conseguenze delle cattive abitudini?
Il problema delle cattive abitudini consiste nel fatto che con il tempo diventano per noi automatiche. Talmente tanto da non renderci più conto dei loro effetti negativi per noi.
Questo rende molto difficile sradicarle una volta che sono diventate parte della nostra vita.
Facciamo un esempio.
Proviamo ad immaginare un bel fiore in un vaso pieno di terra.
Cosa accadrebbe se mettessimo il seme di una pianta infestante nello stesso vaso?
Se nessuno interverrà, quel seme inizierà a crescere fino a quando le sue radici non soffocheranno il fiore.
La stessa cosa può accadere alla nostra vita quando viene invasa dalle cattive abitudini.
Come uscirne?
La Terapia a Seduta Singola è un metodo che può aiutarti a sradicare le tue cattive abitudini in un solo incontro.
In che modo?
1. Diventa consapevole delle tue cattive abitudini
Il primo passo per cambiare le proprie cattive abitudini è…renderti conto di avere delle cattive abitudini!
Prova a scrivere un diario delle tue giornate e a sottolineare le azioni che tendi a ripetere. Potresti notare se ci sono alcuni comportamenti che non ti fanno stare bene e che potresti provare a modificare.
2. Rifletti sulle circostanze in cui metti in atto le cattive abitudini
Prendi un foglio bianco e prova a riflettere:
QUANDO: in quale momento della giornata metti in atto le tue cattive abitudini?
QUANTO: da quanto tempo hai queste cattive abitudini?
DOVE: in quale luogo, situazione o contesto le metti in atto?
Potresti renderti conto che le tue cattive abitudini (ad es. fumare) aumentano o diminuiscono in base alla situazione in cui ti trovi.
CHI: queste cattive abitudini tendi a metterle in pratica quando sei in compagnia oppure no? c’è qualcuno che potrebbe aiutarti a sradicare le tue cattive abitudini?
3. Prova a fare qualcosa di diverso
Chiediti se ti è mai successo nelle stesse circostanze di fare qualcosa di differente che ha funzionato.
Concentrati sulle emozioni positive che hai provato in quel momento.
Potresti scoprire di avere già in te delle risorse e delle soluzioni nuove da provare per sradicare le tue cattive abitudini.
4. Comincia da un piccolo passo positivo
Non commettere l’errore di focalizzarti subito sull’obiettivo finale da raggiungere.
Piuttosto, prova a procedere per piccole azioni positive che ti facciano sentire bene nell’immediato.
Ad esempio se vuoi smettere di avere uno stile di vita sedentario, non porti come obiettivo quello di correre oggi una sfiancante maratona di 40 km.
Prova invece ogni giorno ad uscire per fare una piacevole passeggiata a piedi di 10 minuti.
Così facendo, inizierai delle nuove abitudini positive per te.
Se queste indicazioni ti sono state utili, lasciaci un tuo commento per farci sapere come è andata!
Cosa fare se invece senti di non farcela?
Non preoccuparti: le cattive abitudini, come abbiamo detto, possono essere davvero difficili da sradicare da soli.
Per questo, ogni martedì dalle 18:00 alle 20:00, per un periodo di tempo limitato, gli psicologi del nostro One Session Center sono disponibili per un incontro gratuito online utilizzando la terapia a seduta singola.
Il tuo primo passo per sradicare le tue cattive abitudini potrebbe essere questo.
Per avere maggiori informazioni e prenotare il tuo incontro, puoi inviare una e-mail a info@onesession.it oppure visitare la nostra pagina Fb OneSession.it.
Bibliografia
Schwartz, M. J. & Gladding, R. (2011). You Are Not Your Brain: The 4-Step Solution for Changing Bad Habits, Ending Unhealthy Thinking, and Taking Control of Your Life. New York: Avery.
Jager, W. (2003). Breaking ‘Bad Habits’: A Dynamical Perspective on Habit Formation and In L. Hendrickx, W. Jager, & L. Steg (Eds.), Human decision making and environmental perception: Understanding and assisting human decision making in real-life settings: liber amicorum for Charles Vlek. University of Groningen.
Mazzucchelli, L. (2019). Fattore 1%. Piccole abitudini per grandi risultati. Giunti Psychometrics.
Sono una Psicologa iscritta all’Albo A degli Psicologi del Lazio e all’Istituto ICNOS: Scuola di Psicoterapie Brevi Sistemico-Strategiche.
Nel mio lavoro integro le mie competenze multidisciplinari per offrire ai miei clienti soluzioni personalizzate ed aiutarli a raggiungere i propri obiettivi in tempi brevi. Utilizzo la TSS per ottenere il massimo da ogni singolo incontro.
I tre meccanismi della depressione: lamentela, rinuncia, delega
Come già abbiamo visto nel precedente articolo lo stato depressivo appare di frequente caratterizzato da alcuni fattori che hanno la peculiarità di mantenere vivo il nostro disagio.
Potremmo pertanto parlare delle tre soluzioni disfunzionali “regine” della depressione.
Lamentela, rinuncia e delega.
Ma cosa sono le tentate soluzioni disfunzionali?
Sono la chiave di volta del problema. La chiave di volta, sistema inventato dagli antichi Etruschi, è la pietra che posta al vertice dell’arco mantiene tutte le altre pietre, senza bisogno di alcun collante ma soltanto sfruttando la forza di gravità. Senza quella piccola pietra, l’intero arco crollerebbe.
L’espressione tentata soluzione è stata introdotta dai ricercatori del Mental Research Institute di Palo Alto che fondarono il Brief Therapy Center che aveva l’intento di avviare un progetto di studio focalizzato sulla possibilità di produrre significativi cambiamenti clinici, in soggetti interessati da alterazioni psicologiche, in un massimo di dieci sedute.
Si tratta di quanto mettiamo in atto per affrontare il problema che ci riguarda e che viviamo con difficoltà. Comportamenti, emozioni, cognizioni, risposte somatiche.
Le soluzioni disfunzionali sono il cuore pulsante della psicoterapia strategica che non si focalizza sulle cause del problema bensì sulle soluzioni agite per risolverlo. I problemi, secondo la logica strategica, sono meccanismi complessi il cui funzionamento non presenta un nesso di causalità scontato con ciò che li ha generati.
Il bersaglio del lavoro psicoterapico sarà quella pietra, in apparenza piccola ma che mantiene in equilibrio l’intero sistema. Uno dei compiti del terapeuta strategico sarà quello di individuare la pietra e accompagnare la persona nel percorso di riconoscimento e smantellamento del meccanismo.
Henry Ford, imprenditore americano, tra i fondatori del celebre marchio Ford, affermava “ Non trovare la colpa. Trova il rimedio”. Un mantra da tenere a mente perché capace di rovesciare completamente la visione classica che abbiamo di un problema.
Come funzionano?
Le tentate soluzioni disfunzionali sono il modo attraverso cui il soggetto costruisce la propria realtà. Rispondere cioè a un disagio, a un problema con agiti o pensieri che si ripetono e che però non allontanano quel problema bensì lo mantengono.
Pensiamo ad un uccellino che inavvertitamente entra in casa (vivo in campagna e questa situazione l’ho vissuta molte volte!). Quell’uccellino cercherà di uscire dirigendosi sempre verso il punto da cui è entrato, magari una finestra. Tenterà più e più volte, ferendosi ma ostinatamente continuando a puntare a quella finestra. Potrai aprirgli la porta o un’altra via d’uscita ma invano. Solitamente l’avventura finisce accompagnando l’uccellino verso il punto che gli permetterà di riprendere il suo volo in libertà.
Perché l’uccellino punta sempre a quella finestra?
Perché noi valutiamo sempre e solo quell’unica possibilità?
Forse quelle sono le situazioni che ci danno sicurezza, le uniche che conosciamo. Quelle che abbiamo già sperimentato e ci hanno portato alla soluzione, ma sappiamo bene che una stessa chiave non può aprire tutte le serrature.
La psicoterapia punterà all’acquisizione di nuovi strumenti che consentiranno di aprire nuovi scenari e valutare nuove possibilità.
Lamentarsi
Significa trasferire ad altri ciò che ci fa stare male, cercando in chi ci ascolta accoglienza e comprensione. Ravviviamo in questo modo tutte le sensazioni legate al nostro disagio, nutrendole e arricchendole di nuovi punti di forza. In più inneschiamo un meccanismo secondo cui il sostegno altrui è presente perché non siamo in grado di fare da soli e questo aumenterà il nostro senso di frustrazione.
Il contrario della lamentela è il tacere, il tenersi dentro le emozioni e le sensazioni ma poiché in medio stat virtus, si lavorerà per cercare di rendere questa tentata soluzione non più un eccesso dietro cui si cela un difetto.
Rinunciare
Significa alzare bandiera bianca quando la battaglia è stata solo annunciata. Parafrasando Nelson Mandela, rinunciando non saremo più quei sognatori che non si sono arresi. La rinuncia può apparire come una strada semplice da percorrere ma in realtà è la più irta di ostacoli perché comporta l’astensione da tutto quanto rappresenta un piacere o uno svago. La rinuncia è l’ombrello che ci tiene al riparo dall’acquazzone, facendoci perdere il gusto di imparare a ballare sotto la pioggia.
Delegare
Significa rinunciare a fare e chiedere ad altri di farlo per noi. Questa soluzione racchiude in sé sia la lamentela che la rinuncia ed è un modo per sentirci tranquilli e protetti nel nostro nido mentre gli altri si espongono al nostro posto. Il messaggio è non sono capace!
Come può esserti d’aiuto la Terapia Breve?
Ti sei riconosciuto in uno dei tre meccanismi descritti?
Pensi di aver appeso le scarpette al chiodo e di aver chiuso con il gioco per paura di perdere la partita?
Innanzitutto vorrei precisare che lamentarsi, rinunciare e delegare sono meccanismi che si innescano in modo quasi automatico nel momento in cui viviamo una situazione di malessere e di abbattimento.
Poter contare sugli altri ci rassicura e ci tiene al riparo dall’investire su noi stessi e sulle nostre capacità.
A parole sembra facile, ma nei fatti?
Potresti cominciare a riconoscere la presenza di uno di questi tre fattori nella tua storia, perché avere la consapevolezza significa iniziare a tracciare un percorso che non deve essere fatto di mete lontane ma di luoghi vicini da visitare.
La logica dei piccoli passi può accompagnare la consapevolezza e guidarti verso piccoli obiettivi da fissare e raggiungere ogni giorno.
“Abbandona le grandi strade, prendi i sentieri”, diceva Aristotele.
Se ti rendi conto di aver bisogno di rivolgerti ad un professionista, non esitare a farlo così costruirai un nuovo arco scegliendo con cura la tua pietra portante!
Ogni martedì dalle 18.00 alle 20.00, i terapeuti del nostro team One Session si rendono disponibili per degli incontri online gratuiti utilizzando la Terapia a Seduta Singola. Contattaci per maggiori inviando una email a info@onesession.it oppure visita la nostra pagina Fb OneSession.it
Bibliografia
Lowen A. (1980) – La depressione e il corpo – Roma: Astrolabio Ubaldini
Leonardi F. (2018) – La psicoterapia tra miti e realtà–Roma: Armando Editore
Psicologa, Mediatrice Familiare, Esperta in Scienze Forensi
Come migliorare l’intesa con il partner e riaccendere la passione
L’intesa sessuale è la cartina al tornasole della coppia.
Dalle vicende che accadono in camera da letto (o sulla lavatrice, perché no?) si può monitorare il suo stato di salute e prosperità.
Purtroppo non è raro constatare quanto la passione erotica risenta dei momenti di stanchezza o difficoltà sperimentati nella vita quotidiana. E accade che coppie ben affiatate si ritrovino una temperatura “tiepidina” sotto le lenzuola.
La carenza di passione può essere la grigia anticamera al corridoio che porta alla separazione, ma ci sono altre porte che si possono aprire.
Come tutti i momenti di crisi, la diminuzione dell’eros può essere usata per riaccendere l’intesa e rinvigorire l’energia e la passione al cammino comune.
In termini di sviluppo evolutivo, saper custodire e promuovere rinnovate forme di intesa sessuale è uno dei compiti di sviluppo propri della coppia stabile.
L’intesa sessuale nella coppia stabile
“L’amore. Certo, l’amore. Fuoco e fiamme per un anno, cenere per trenta.”
(Tomasi di Lampedusa)
Questa citazione colta del Gattopardo fa eco alle tante battute popolari rassegnate alla morte del desiderio nei rapporti che vogliano durare a lungo.
Ma non è detto che del fuoco iniziale debba rimanere solo la cenere.
L’intesa sessuale è la centrale termica dell’edificio della coppia. Si può mantenerne la fiamma sempre viva, rimuovendo la cenere in eccesso che rischia di soffocarla e aggiungendo legna opportunamente.
L’alimento della passione erotica va ricercata nell’ambito della relazione a 360° tra i partner.
Una ricerca svolta dall’Interdisciplinary Center in Herzliya, Israele, pubblicato sul Journal of Personality and Social Psychology, ha analizzato coppie di lunga durata. Lo scopo era di evidenziare se ci fossero elementi relazionali in grado di migliorarne la passione erotica.
E’ emerso che l’intesa e il desiderio sessuale in un partner aumentavano in seguito alla messa in atto quotidiana di comportamenti sensibili e ricettivi dell’altro partner nei propri confronti.
L’incremento era maggiore quando questi specifici atteggiamenti comunicavano il giudizio di essere persone di valore e permettevano di sperimentare l’appartenenza ad una relazione speciale.
Atteggiamenti propri di coloro che sanno di vivere una storia d’amore e riescono a comunicarlo.
Passione erotica e routine
Il desiderio sessuale non è influenzato solo da questioni di coppia. E una funzione della persona che risente del contesto di vita generale e della tappa evolutiva che si sta attraversando.
Sia gli uomini che le donne nei diversi eventi di vita (ad es. matrimonio, gravidanza, menopausa, licenziamenti, promozioni, pensionamento, malattie, lutti, ecc.) sperimentano una oscillazione dell’intensità del desiderio. Anche lo stress legato alla vita lavorativa, familiare e sociale incide fortemente sulla passione.
Può accadere che l’intesa sessuale di coppia, specie se datata, diminuisca o svanisca del tutto a causa di una minore intimità tra i partner. La conseguente minore comunicazione, a causa degli impegni e delle responsabilità quotidiane rischia di sottrarre l’investimento di tempo ed energie dalla sfera sessuale.
Riaccendere la passione
“Nel grande amore erotico non si cercano e si uniscono solo i corpi, si cercano e si completano anche le intelligenze.” Francesco Alberoni
Quale legna aggiungere per alimentare la passione erotica di coppia specie se di lunga durata? Vediamo 5 possibili azioni.
1. Iniziare con il parlare
Può sembrare banale, ma una delle differenze più marcate tra la coppia di nuova formazione e quella datata è proprio la quantità di tempo e spazio dedicato allo scambio reciproco di ascolto e attenzione.
Parlate del calo del desiderio, dei dubbi, delle preoccupazioni.
Magari parlandone potrete scoprire che il partner si sente come voi e vi potrete sentire più complici e intimi.
2. La seduzione passa dal corpo, dagli sguardi e dagli atteggiamenti
Sono essi a comunicare, oltre le parole, la propria attenzione al valore della presenza dell’altro mentre si segnala anche quanto sia importante conquistare a propria volta la sua.
Il riaffermare coi gesti e gli atteggiamenti (e il tipo di vestito o di linguaggio) quanto si ritiene desiderabile l’altro, è forse il combustibile più efficace per riaccendere la fucina della passione.
3. Prendersi il giusto tempo
Un contatto sereno e consapevole con il proprio corpo è la base necessaria per una altrettanto consapevole apertura all’altro e alle sue esigenze.
Ricentrarsi in termini di tempi da dedicare a sé (sport, alimentazione e svaghi ma anche autoerotismo) permette di alimentare il bacino di riserve energetiche da riversare poi nella vita di coppia.
Solo da un’adeguata cura della propria soddisfazione personale può scaturire la creatività e la motivazione alla ricerca attiva di spazi comuni.
4. Favorire l’intimità
Se si considera l’intesa di coppia importante e significativa per l’espressione personale allora occorre ritagliare spazi riservati ad essa, magari calendarizzati e tenuti ritualisticamente distinti da altri spazi che si condividono in altre vesti.
Ad esempio decidere una specifica serata settimanale riservata ad una cena di coppia in cui sia vietato il parlare dei figli o del lavoro o della salute, ecc. Ritornate a sognare insieme, non tutto è già stato fatto o detto.
5. Riandare al passato e rilanciare il futuro
Generalmente l’inizio della relazione racchiude una maggiore intesa sessuale e costituisce la maggiore fonte di apprendimento reciproco.
Riprendere da dove si era arrivati può fornire indicazioni per il prosieguo del discorso.
In questo dinamico spostarsi avanti ed indietro nel tempo può essere più facile cogliere l’invito ad una maggiore flessibilità laddove si fosse instaurata una certa monotonia e ripetitività.
Ricordando che il cambiamento non sta tanto nel panorama ma nello sguardo di chi lo ammira.
Se questi piccoli accorgimenti non bastassero, o sembra impossibile metterli in atto, potrebbe essere utile un colloquio con uno psicologo. Anche in una sola seduta si possono sbloccare situazioni ferme da tempo.
Troverai psicologi qualificati ogni martedì sulla pagina Facebook di OneSession per il servizio di consulenze on line gratuite.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Birnbaum, G. E., Reis, H. T., Mizrahi, M., Kanat-Maymon, Y., Sass, O., & Granovski-Milner, C. (2016). Intimately connected: The importance of partner responsiveness for experiencing sexual desire., Journal of Personality and Social Psychology 111(4), 530-546.
Tomasi di Lampedusa, G. (1958). Il Gattopardo. Feltrinelli
Mi sono laureata in Psicologia ad indirizzo Applicativo nel 1990 presso la facoltà di Psicologia dell’Università “La Sapienza” di Roma. Ho maturato esperienza oltre che nello studio libero professionale, anche nell’ambito dei Consultori Familiari, acquisendo competenze nel sostegno psicologico, sostegno genitoriale, percorsi di educazione affettiva e sessuale.
Come superare un tradimento?
“Non sono turbato perché mi hai tradito,
ma perché non potrò più fidarmi di te” – Jim Morrison
Perdonare o non perdonare, è questo il dilemma.
Nonostante il tempo passi, la paura di subire un tradimento dal proprio partner resta una delle fobie più profonde e radicate.
Nessuno infatti accetta l’idea di stare in coppia e essere tradito.
Con i social network, scoprire il tradimento è diventato più semplice, nonostante entri in gioco il conflitto interiore per la violazione della privacy altrui.
La sete di conoscenza è più forte del senso di colpa in alcuni casi e in altri è il partner stesso a vuotare il sacco e confessare il tradimento.
Cosa fare a quel punto?
Ogni persona è diversa, ma se c’è un sentimento forte e una progettualità di coppia, sicuramente nella maggioranza dei casi non si accetta di buon grado la notizia del tradimento.
Come reagire?
Non è affatto facile.
Nel momento in cui si è traditi, al di là dei motivi (che possono essere tanti), si perde la fiducia nell’altro.
E si sa che un coppia senza la fiducia, stenta a sopravvivere.
Infatti nella maggior parte dei casi, ciò che succede è il partner che ha subito il tradimento, decide di perdonare; tuttavia il suo comportamento cambia, virando verso l’ipervigilanza e il monitoraggio costante del partner.
Questo genera ulteriore conflitto nella coppia diversi “ruoli”.
Il traditore è costantemente sotto processo e qualsiasi azione compia per redimersi non ha effetto; fa di tutto per rimediare all’errore commesso e ripristinare il rapporto di coppia. Fornisce spiegazioni dettagliate, scusandosi di continuo e avvertendo un forte senso di colpa.
Il tradito invece non riesce né a fidarsi del tutto, né a lasciare il partner. Vorrebbe ricostruire il rapporto ma è ripensa costantemente all’evento e al passato, probabilmente dandosi anche in parte la colpa di quanto successo. Rimugina sull’umiliazione subita, cerca segnali che gli dicano che il partner è sinceramente pentito e che non sta ancora tradendo. Il dubbio si è insinuato in lui e fatica a scacciarlo.
Bada bene, mi riferisco alla coppia che ha deciso di restare insieme, dove il partner che ha tradito si è pentito dell’atto.
Puoi passarci sopra?
Non esiste una strategia univoca o un consiglio efficace per il tradimento; si tratta più che altro di una decisione tua personale.
Nn ci sono vie di mezzo in questi casi, ma ciò che devi fare è scegliere se perdonare o no il tuo partner.
Voglio farti riflettere su cosa significa la parola perdono: “Assolvere qlcu. per qlco. che ci ha offeso o danneggiato, rinunciando alla vendetta”[1]
Significa che scegli di dimenticare quanto accaduto, come se non fosse mai successo per poter guardare avanti privo di rancore e vendetta. Altrimenti non funziona. So che non è facile e avrai bisogno di tempo affinché la ferita si rimargini ma non si può costruire su qualcosa di rotto; bisogna spazzare via tutto e ricominciare.
- Parla con il tuo partner di come ti senti e di quelle che sono le tue emozioni
- Ridefinite i confini e i ruoli all’interno della coppia
- Pensa tutti i giorni a comportarti “Come se” il tradimento non è mai avvenuto, scegliendo la cosa più piccola che puoi mettere in atto. Provaci!
- Rivolgiti a un professionista per una terapia di coppia.
La Terapia a Seduta Singola è utile anche in questi casi perché ti aiuta a focalizzare l’attenzione su ciò che non funziona o su quello che ti servirebbe per ricostruire la coppia.
Sei interessato alla Terapia a Seduta Singola?
Puoi rivolgerti ai nostri psicologi e psicoterapeuti, disponibili ogni martedì dalle 18.00 alle 20.00, per una consulenza gratuita online.
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Riferimenti Bibliografici
Algeri D., Guarasci V., Lauri S. (2019), La coppia strategica. Guida per un sano rapporto di coppia. Roma: EPC Editore.
Sono una psicologa che si occupa di consulenze brevi e di TSS: il mio obiettivo è ridurre i tempi della terapia e massimizzare l’efficacia della seduta, offrendo un sostegno focalizzato e concreto per affrontare sia le piccole che le grandi difficoltà della vita
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5 consigli per superare le feste in leggerezza
Di seguito alcuni semplici consigli:
Psicologa, laureata all’Università “La Sapienza” di Roma, mi sto formando come psicoterapeuta ad approccio Breve Sistemico-Strategico.
Lavoro da anni in Servizi rivolti a persone con disabilità e con disturbi psichiatrici, occupandomi di sostegno psicologico individuale, di coppia e alle famiglie, favorendo processi di crescita personale e la costruzione di percorsi volti a migliorare la qualità di vita.
Terapia a Seduta Singola e fobia sociale
Ci sono persone molto disinvolte quando si trovano in mezzo ad altra gente, quando devono esporsi o parlare in pubblico, quando fanno nuove conoscenze; altre invece sono più riservate, meno espansive.
C’è chi poi ha il vero e proprio terrore di ogni situazione sociale, e al solo pensiero entra nel panico.
Se ti riconosci in quest’ultima descrizione, forse soffri della cosiddetta fobia sociale.
Fobia sociale: caratteristiche
Il DSM 5, il Manuale Statistico e Diagnostico dei Disturbi Mentali, descrive la fobia sociale come una “marcata e persistente paura di affrontare situazioni o performance sociali in cui si può essere esposti al giudizio altrui”.
Chi soffre di fobia sociale teme (anzi, è certo) di venir giudicato negativamente dagli altri, di essere deriso, rifiutato, per ogni suo comportamento o parola.
Le situazioni temute non sono solo quelle di grande esposizione, come il tenere un discorso davanti ad un pubblico, ma riguardano ogni minima interazione con altre persone: mangiare con altri, camminare dove c’è altra gente, intervenire in una riunione, sostenere una semplice conversazione o anche solo chiedere delle indicazioni.
Questo tipo di fobia è quindi molto invalidante. Ogni situazione temuta è in grado di innescare sensazioni di ansia e paura molto intense, sproporzionate rispetto alla situazione e persistenti.
Le tentate soluzioni disfunzionali della fobia sociale
Per ripararsi da queste terribili sensazioni, chi soffre di fobia sociale mette in atto dei comportamenti che, in realtà, non fanno che mantenere o peggiorare il problema. Vediamo quali sono:
- È la soluzione più semplice da mettere in atto e la più praticata. Il pensiero di chi evita è “se quella situazione mi fa paura, non esponendomici non avrò paura”.
In realtà il meccanismo tenuto in piedi da questa soluzione è più complicato. Se da una parte protegge la persona da quelle forti e terribili sensazioni, dall’altra le conferma il fatto che effettivamente le circostanze che si stanno evitando sono pericolose, e che non si hanno le capacità di affrontarle.
- Comportarsi con diffidenza. Il fatto che chi soffre di fobia sociale sia certo del giudizio negativo che gli altri gli riservano, lo porta a comportarsi in maniera diffidente e circospetta. Se costretto ad avere a che fare con altre persone, il fobico sociale si comporta in modo guardingo, mantenendo le distanze.
Conseguenza di questo tipo di comportamento è che gli altri lo guardino con sospetto a sua volta. Questo andrà ad alimentare le convinzioni di partenza. “Mi guardano male, mi stanno giudicando; lo sapevo!”
Superare la fobia sociale
Superare la fobia sociale è possibile, e qui di seguito puoi trovare due piccoli stratagemmi se vuoi iniziare a metterti in gioco autonomamente:
- Anticipa il tuo imbarazzo. Questa è un’arma potentissima che può aiutarti ad evitare…di evitare!
Invece che privarti di esperienze in compagnia altrui, ammetti agli altri il tuo disagio! Puoi usare frasi come “Quello che sto per dirti potrà sembrare sciocco, ma…” oppure “Mi imbarazza dire questa cosa, ma io penso che…”. Se hai manifestazioni fisiche di imbarazzo, come l’arrossamento delle guance, fallo presente! - Comportati “come se”. Cosa faresti di diverso, se fossi sicuro che gli altri non ti giudicassero e fossi una persona molto capace nelle relazioni sociali? Prova a prenderti ogni mattina qualche minuto per pensarci e, quotidianamente, scegli la più piccola azione che ti è venuta in mente, quella che ti comporta uno sforzo minimo, e prova a metterla in atto durante la giornata. Sperimenta cosa succede di diverso!
Come può aiutarti la terapia a seduta singola?
La Terapia a Seduta Singola ti garantisce il supporto di un professionista, che saprà darti un aiuto “sartoriale”, cucito su misura per te!
Insieme andrete ad individuare quali tentate soluzioni stanno mantenendo in vita il problema e quali strategie funzionali adottare al loro posto, basandosi sulle tue risorse.
Se sei interessato alla Terapia a Seduta Singola, puoi rivolgerti ai nostri psicologi e psicoterapeuti, disponibili ogni martedì dalle 18.00 alle 20.00, per una consulenza gratuita online.
Scrivici sulla pagina Facebook OneSession.it.
Bibliografia
Nardone G. (1993), Paura, panico, fobie. La terapia in tempi brevi, Firenze: Ponte delle Grazie
Nardone G. (2007), Non c’è notte che non veda il giorno. La terapia in tempi brevi per gli attacchi di panico, Milano: TEA Pratica
Il mio lavoro è orientato al futuro e alla valorizzazione delle risorse delle persone che si rivolgono a me, in ottica di totale collaborazione.
Quando bere è la soluzione (disfunzionale)
Quando parliamo di alcol spesso ci viene in mente la dipendenza da questa sostanza. Di questo, certamente, se ne occupano in modo efficace ed efficiente i servizi addetti.
Esistono, però, oltre ai casi più gravi ed invalidanti, delle situazioni in cui il bere diventa un problema: quando è l’unico modo per divertirsi, per distrarsi, per risolvere un problema.
In questo caso parliamo di abuso di alcol o di uso problematico, che può essere trattato e risolto in tempi brevi senza necessariamente rivolgersi ad un servizio.
Ma facciamo chiarezza.
Quand’è che siamo di fronte ad una dipendenza?
Secondo il DSM-5 (il manuale di classificazione dei disturbi mentali) si può parlare di dipendenza da alcol se sono presenti almeno 2 di questi criteri:
- L’alcol è spesso assunto in quantità maggiori o per periodi più prolungati rispetto a quanto previsto dalla persona
- La persona desidera spesso ridurre o controllare l’uso dell’alcol, ma non riesce a farlo, i suoi tentativi sono sempre fallimentari
- La persona spende una grande quantità di tempo in attività necessarie a procurarsi l’alcol (per es. guidando per lunghe distanze), ad assumerla (per es., passando il tempo ad ingerire una grande quantità di acolici), o a riprendersi dai suoi effetti
- La persona prova una forte smania, un forte desiderio di bere (craving)
- Usa in modo ricorrente l’alcol, con conseguente fallimento nell’adempimento dei principali obblighi di ruolo sul lavoro, a scuola, a casa
- Beve in modo continuativo nonostante la presenza di persistenti o ricorrenti problemi sociali o interpersonali causati o peggiorati dagli effetti dell’alcol
- Compromissione di importanti attività sociali, lavorative o ricreative che vengono interrotte o ridotte a causa del bere
- Beve spesso in situazioni nelle quali farlo è fisicamente pericoloso
- Beve di continuo nonostante la consapevolezza di un problema persistente o ricorrente, fisico o psicologico, che è stato probabilmente causato o intensificato dall’alcol
- Sperimenta la “tolleranza”, cioè: a) il bisogno di bere quantità sempre maggiori di alcol per raggiungere l’effetto desiderato; b) un effetto notevolmente diminuito con l’uso continuativo della stessa quantità di alcol
- Sperimenta i sintomi di astinenza, cioè: a) vive la caratteristica sindrome di astinenza per la sostanza; b) l’alcol (o un’altra sostanza strettamente correlata) è assunto per attenuare o evitare i sintomi dell’astinenza stessa.
Bere è il problema o la soluzione?
L’alcol ed in generale il bere può essere considerato come la soluzione disfunzionale che la persona mette in atto per risolvere un problema o una difficoltà.
Che significa “soluzioni disfunzionali”?
Sono tutti quei comportamenti che hai messo in atto per risolvere il problema, e che non sono non lo hanno risolto, ma lo hanno addirittura peggiorato.
Facciamo degli esempi.
- Hai iniziato a bere per sentirti più rilassato?
- Per riuscire a socializzare meglio con gli altri?
- Per non pensare e non affrontare una difficoltà della tua vita?
- Per mettere a tacere delle emozioni spiacevoli?
Qualunque sia il motivo che ti ha spinto a bere, quello diventa l’arma per far fronte a qualcosa che non riesci a gestire, controllare o affrontare.
Ed è proprio la soluzione che diventa il problema. Perché effettivamente quando bevi ti senti più rilassato, socializzi in modo più spigliato, non pensi ai problemi e non senti le emozioni.
Solo che…bere non ha davvero risolto la tua difficoltà!
Come può aiutarti la Terapia a Seduta Singola?
Lo scopo principale è quello di far vedere alla persona che c’è uno scenario oltre il problema in cui è rimasta intrappolata e, contemporaneamente, bloccare tutte quelle azioni che mette in atto e che non risolvono il problema.
Infatti, più la persona beve e utilizza questo comportamento come soluzione ai suoi problemi di altra natura, più conferma a se stessa che senza l’alcol non è in grado di risolverli.
Se tu pensi che per essere più spigliato con gli altri hai bisogno dell’alcol, ti stai confermando che senza l’alcol non sei capace di farlo. Ed ecco che la soluzione diventa il problema.
Quindi, bloccare queste soluzioni disfunzionali sarà utile per rapportarsi in modo diverso a quelle situazioni che creano disagio e malessere e trovare un modo più funzionale e, soprattutto risolutivo, per affrontarle e superarle.
Spesso si parte proprio dalle risorse della persona, per individuare quali sarebbero le prime cose che potrebbe fare per cambiare il proprio rapporto col bere.
Smettere di abusare dell’alcol è possibile. Ricerche condotte nel campo dell’abuso di sostanze e delle dipendenze hanno mostrato come spesso anche una sola seduta porta dei concreti miglioramenti.
Se sei interessato alla Terapia a Seduta Singola ogni martedì per un periodo limitato, dalle 18:00 alle 20:00 gli Psicologi e gli Psicoterapeuti del nostro team One Session si rendono disponibili per degli incontri gratuiti aperti a tutti.
Bibliografia
Barry, K. L. (1999). Brief Interventions and Brief Therapies for Substance Abuse: Treatment Improvement Protocol (TIP) Series 34. Rockville: U.S. Department of Health and Human Services.
Berg, I. K. & Miller, S. (1992). Quando bere diventa un problema. Milano: Ponte alle Grazie, 2001.
Sono una Psicologa, specializzata in Dipendenze da sostanze, comportamentali (gioco d’azzardo, shopping, ecc) e relazionali (dipendenza affettiva). Sono formata all’utilizzo della Terapia a Seduta Singola (TSS) e della Terapia Centrata sulla Soluzione, per aiutare le persone a risolvere i loro problemi e tornare al benessere nel più breve tempo possibile, imparando a scoprire e sfruttare al meglio tutte le loro risorse.
L’ipocondria: dalla paura delle malattie ai “falsi” rimedi
Ipocondria è un termine che, negli ultimi tempi, è sempre più inflazionato.
Del resto, è più che naturale.
Durante questi mesi è cresciuta molto la paura delle malattie: il continuo richiamo a mantenere comportamenti prudenti e la condizione di sostanziale incertezza in cui viviamo hanno reso sempre più labile il confine tra ciò che ci sembra il giusto comportamento e l’eccessiva preoccupazione.
Fino a qualche tempo fa si definiva l’ipocondriaco un malato immaginario e come tale se ne sottovalutava la sofferenza.
In realtà l’ipocondriaco vive una sofferenza reale poiché è da lui percepita e vissuta come tale.
Per parlare di ipocondria, però, non bisogna far riferimento ad un generico timore: la preoccupazione verso la propria salute, la paura di contrarre una malattia o di presentare dei sintomi devono essere costanti e pervasive.
Cos’è dunque l’ipocondria?
Nel panorama scientifico il termine ipocondria è solo un retaggio, questo perché nel nuovo manuale diagnostico, DSM 5, corrisponde alla dicitura di disturbo da ansia da malattia ed è affiancato dal disturbo da sintomi somatici.
In quest’ultimo, i soggetti hanno livelli molto elevati di preoccupazione verso la malattia. Valutano in maniera sproporzionata i sintomi fisici, realmente presenti, percependoli come “minacciosi” per la propria salute. In questi casi, dunque, il bersaglio della paura è il sintomo che porta ad amplificare la preoccupazione per il proprio stato di salute.
Quando si parla di ansia di malattia, invece, la preoccupazione della persona è quella di avere o poter contrarre una grave malattia, anche in assenza di sintomi somatici o con presenza di sintomi molto lievi. In questi casi, il malessere della persona non proviene dal sintomo ma dal costante stato di ansia e paura.
Le “false” soluzioni
L’ipocondriaco vive una costante preoccupazione per la propria salute ed è quindi iperattento ai “segnali” corporei che vengono percepiti in modo amplificato. Per liberarsi dall’ansia e dalla paura che questa propensione genera, e per razionalizzare l’aspetto emotivo, spesso attua soluzioni non sempre funzionali. Eccone alcune:
1. Il Dott. Google
Quasi tutti nella vita siamo andati a cercare su Google le spiegazioni di un sintomo o quali potrebbero essere i sintomi per diagnosticare una malattia.
Non sempre questa si rivela una buona strategia, anzi spesso conduce ad aumentare il livello di confusione e ad amplificare l’ansia e la paura per la propria condizione di salute.
Questo perché le informazioni sono utili quando si possiedono le conoscenze per interpretarle. Quando invece tali conoscenze mancano, troppe informazioni piuttosto che chiarire i dubbi, finiscono con l’alimentarli.
2. L’Ipercontrollo
La persona tende a monitorare costantemente il proprio stato di salute (es. battiti cardiaci, pressione, ecc.). Ciò altro non fa che amplificare le paure, poiché prestare attenzione in modo costante al sintomo ne amplifica la percezione sia a livello di intensità che di frequenza di comparsa.
3. La lamentela
Si avverte il bisogno di condividere la propria paura, le preoccupazioni che rimbalzano nella mente e allora si asseconda questo bisogno parlandone con la convinzione di “liberarsi”. Questo è ciò che accade in un primo momento, ma poi le paure si risvegliano e si innesca un vero e proprio circolo vizioso che condiziona la quotidianità della persona e di chi l’ascolta.
Se stai vivendo un momento di preoccupazione per la tua salute e senti l’esigenza di avere un confronto con un professionista sappi che ogni martedì, per un periodo limitato, dalle 18:00 alle 20:00 i terapeuti del nostro team One Session si rendono disponibili per degli incontri aperti a tutti utilizzando la Terapia a Seduta Singola.
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Bibliografia
Nardone, G.;Bartoletti, A. (2018). La paura delle malattie. Psicoterapia breve strategica dell’ipocondria. Ponte alle grazie.
American Psychiatric Association (2013). Diagnostic and statistical manual of mental disorders. Washington, DC.
Psicologa e picoterapeuta in formazione. Utilizzo la terapia a seduta singola per permettere alla persone di raggiungere i propri obiettivi e massimizzare l’efficacia di ogni singolo incontro.
Ricevo a Caserta e On-line (Skype).
Come affrontare la dipendenza da cocaina ed uscirne in tempi brevi?
A., è un uomo di 37 anni che vive con una compagna da cui ha avuto una figlia che oggi ha 4 anni. La loro relazione è buona e stabile. A. lavora come cuoco in un noto ristorante della sua città. In passato aveva provato ad aprire una propria attività sempre nell’ambito della ristorazione, ma ci sono state numerose complicazioni ed ora si trova con molti debiti da pagare ai fornitori e alle banche.
La chiusura dell’attività è stata per A. un durissimo colpo ed ha iniziato ad avvicinarsi alla cocaina proprio in seguito a quell’evento. Mi dice che quando fa uso di cocaina ha la sensazione di dedicarsi effettivamente a se stesso, di essere “immune” agli eventi circostanti. La cocaina per lui è un modo di interrompere il flusso dei pensieri, le emozioni, gli stati d’animo negativi e mollare tutto il resto.
Vorrebbe smettere perché si rende conto di quanto il suo consumo sia inutile, sbagliato e di quanto stia facendo soffrire la sua compagna…ma tutti i tentativi che ha fatto sono andati in fumo perché ogni volta ci è ricascato, perdendo fiducia in se stesso e nella possibilità di smettere.
Mi dice che è come se la cocaina gli servisse sia per “staccare la spina”, sia per mantenere la sua performance lavorativa. Afferma di non aver mai perso il controllo rispetto all’uso della sostanza e che non si sente un “tossico” come chi consuma eroina o altre droghe.
Prima di dirti come ho aiutato A….
…Facciamo una premessa
La cocaina è usata e diffusa nelle più varie fasce sociali e di età. Se ne fa spesso un uso pubblico e disinvolto, incontrando una valutazione “positiva” nei più diversi ambienti e contesti socioculturali.
I consumatori di cocaina, spesso, hanno la percezione che non solo la sostanza sia compatibile con la loro normale quotidianità, ma anche che essa sia una opportunità per migliorare se stessi e le proprie capacità, soprattutto a livello lavorativo. Inoltre, la cocaina può anche essere considerata come una non-droga da chi la consuma, tanto da non ritenersi un dipendente e differenziandosi nettamente da chi consuma altre sostanze.
Quindi, nell’aiutare A. ho dovuto tenere in considerazione queste premesse, che si riflettevano in lui come convinzioni (erronee) rispetto all’uso della sostanza.
4 linee guida per l’intervento in terapia
Tutte le dipendenze oltre ad avere in comune gli aspetti di tolleranza, astinenza e perdita di controllo rispetto alle aree della propria vita, sono accomunate da un unico grande fattore che spinge il consumatore ad iniziare e mantenere un comportamento di consumo: il piacere.
Il piacere è una delle sensazioni base nell’uomo, ma può anche diventare il trampolino di lancio per un disturbo e, in questo caso, una dipendenza.
Dal mio punto di vista, reputo efficaci 4 strategie per l’intervento con una persona che ha una dipendenza:
- diminuire il valore gratificante della sostanza e sostituire quell’esperienza di piacere (effimero) ad un’altra esperienza sana;
- indebolire i comportamenti che danno il calcio di avvio al consumo;
- potenziare il controllo sulle proprie azioni;
- immaginare uno scenario oltre il problema, procedendo a piccoli passi
In che modo ho aiutato A.?
Sulla base del lavoro fatto in seduta sui 4 punti appena elencati, ho inviato A. ad eseguire alcuni semplici compiti fino all’incontro successivo.
“Fino al nostro prossimo incontro vorrei che tu facessi attenzione e notassi tutti i segnali della tua vita, a casa, a lavoro, nel tempo libero, che ti fanno dire che sei un gradino più in su nei prossimi giorni. Tutti quelli che noterai e che ti ricorderai, me li racconterai e questo sarà ciò che ti chiederò la prossima volta.
Oltre a questo ti chiedo di comprare un quadernino che userai nel momento in cui ti sta salendo la voglia di consumare, né prima né dopo, ma nel momento stesso in cui ti sta venendo. È molto importante per me che tu lo compili in questo modo, scrivendo data e ora, luogo, situazione specifica, persone presenti, pensieri, sintomi e reazioni. Ci servirà per capire la frequenza e l’intensità della tua voglia di consumare. Per questo ti chiedo di portarlo sempre con te ed utilizzarlo ogni volta che avrai voglia di cocaina.”
Se anche tu hai un problema di dipendenza, puoi provare a fare questi semplici compiti per due settimane e dirmi come sta andando.
Se, invece, ti rendi conto di aver bisogno di un aiuto in più, puoi sempre contattare uno Psicologo formato in Terapia a Seduta Singola che può aiutarti già dopo un unico incontro.
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Bibliografia
Nardone G., De Santis G. (2011). Cogito Ergo soffro. Milano: Ponte alle Grazie
Rigliano P. (2004). Piaceri drogati. Psicologia del consumo di droghe. Milano: Feltrinelli
Sono una Psicologa, specializzata in Dipendenze da sostanze, comportamentali (gioco d’azzardo, shopping, ecc) e relazionali (dipendenza affettiva). Sono formata all’utilizzo della Terapia a Seduta Singola (TSS) e della Terapia Centrata sulla Soluzione, per aiutare le persone a risolvere i loro problemi e tornare al benessere nel più breve tempo possibile, imparando a scoprire e sfruttare al meglio tutte le loro risorse.
Il disturbo Ossessivo Compulsivo: muovere i primi passi verso la soluzione!
Ti capita di lavarti le mani molto frequentemente?
Di controllare e ricontrollare più volte durante la giornata se hai chiuso la porta di casa, spento i fornelli e chiuso il gas?
Oppure hai pensieri ricorrenti, rimugini continui, costanti, invasivi?
Ecco, è probabile che tu abbia un DOC, un Disturbo ossessivo compulsivo!
Che cos’è Il DOC?
Il disturbo ossessivo compulsivo è un disturbo caratterizzato “dall’irrefrenabile bisogno di mettere in atto comportamenti o pensieri in modo ripetitivo e ritualizzato, sovrastando ogni altra attività” (Nardone, 2013)
Si caratterizza per le:
- Ossessioni: pensieri costanti, ripetuti o immagini che invadono la mente e che percepisci come intrusive, fastidiose ma cui non sei in grado di resistere. Ci pensi sempre, occupando la maggior parte del tuo con un rimugino continuo (paura dello sporco, fare del male agli altri, l’ordine)
- Compulsioni: sono i comportamenti che metti in atto. Le azioni che fai, ripetute e ritualizzate che, una volta eseguite, ti fanno provare piacere e soddisfazione e a cui non sai dire di no (pulirsi le mani; controllare e ricontrollare; accumulare oggetti)
E’ l’ossessione a scatenare la compulsione.
Bada bene che non mi riferisco a qualche pensiero intrusivo o azione ripetuta nel corso della giornata che scapita a qualsiasi persona: può accadere infatti di avere dei propri rituali (come la penna più fortunata da portare all’esame) essere ordinati e puliti o avere paura di germi e virus e per questo praticare una sana igienizzazione. Cosi come può accadere di avere “brutti pensieri “ nei confronti di noi stessi o degli altri a cui poi non diamo seguito.
La differenza nel Disturbo Ossessivo compulsivo sta nell’intrusività di queste immagini mentali ricorrenti e continue che occupano letteralmente la tua mente e di comportamenti per mettere in atto i quali perdi, sottrai tempo a tutto il resto.
Inoltre più metti in atto i comportamenti, più ne hai bisogno: l’ansia e l’angoscia che provi vengono alleviate dall’agire che comporta una reiterazione del comportamento che ti dona piacere.
Tenti si risolvere il problema ma non funziona!
- Eviti ciò che ti spaventa: evitare per paura è un toccasana momentaneo, ma se ti chiedessi come stai dopo aver evitato, cosa mi risponderesti? Il problema si è risolto? La tua ansia è sparita?Probabilmente stai pensando che non è cosi e che anzi, dopo aver evitato, hai ancora più paura ad affrontare quella determinata situazione.
- Cerchi rassicurazioni: chiedi aiuto a chi ti sta vicino perché pensi che da solo non ce la fai. Al contempo ti lamenti del problema con i tuoi amici o i tuoi cari, in cerca di consigli utili e rassicurazioni. Eppure anche in questo caso, sono sicura che il chiedere aiuto e rassicurazione non ha funzionato. Sbaglio?
- Rituali, rituali, rituali: per placare la tua ansia hai ritualizzato dei comportamenti che se all’inizio erano sporadici, sono piano piano aumentati fino a occupare del tutto il tuo tempo. Ti senti vittima di queste azioni ma al contempo non ne puoi fare a meno.
Cosa puoi iniziare a fare?
- Stop alle richieste di aiuto!
Ogni volta che chiedi aiuto confermi a te stesso da un lato che sei circondato da persone che ti vogliono bene, dall’altro di non essere in grado di farcela, che non sei capace e il tuo senso di efficacia diminuisce.
Pensa che ogni volta che chiedi aiuto ricevi questo duplice messaggio.
- Parlare, parlare, parlare: Il parlare agisce sulla paura come l’acqua agisce sulle piante: più innaffi, più la pianta cresce, allo stesso modo più ne parli e più la paura cresce.
Smetti immediatamente!
- Evita…di evitare: più eviti e più confermi a te stesso la pericolosità della situazione e di non essere in grado di affrontarla.
So che smettere da un giorno all’altro di evitare certe cose sembra impossibile, ma il consiglio è questo: comincia dalla cosa più piccola, facendo il primo piccolo passo.
- Prova a rimandare: ogni volta che senti il bisogno di mettere in atto il comportamento (che sia controllare o pulire o lavarti le mani e cosi via), rimandalo di 15 minuti più tardi. Al termine dei 15 minuti, puoi fare tutto come al solito. Semplicemente puoi provare a posticipare il bisogno per poi agire come fai sempre. Provaci!
Pensi di non farcela?
Puoi rivolgerti a uno specialista in questi casi.
La terapia a seduta singola è utile per ottenere vantaggi anche in una sola seduta con lo psicologo per aiutare a risolvere problemi come il DOC in tempi brevi, attraverso la definizione di un obiettivo da raggiungere e l’individuazione delle tue risorse.
Beatrice Pavoni
Bibliografia:
Bartoletti, A (2019) Pensieri Brutti e Cattivi. Ossessioni tabù: come superarli. Francoangeli.
Nardone, G. Portelli, C. (2013) Ossessioni, Compulsioni, Mani. Capirle e sconfiggerle in tempi brevi. Ponte delle grazie.
Sono una psicologa che si occupa di consulenze brevi e di TSS: il mio obiettivo è ridurre i tempi della terapia e massimizzare l’efficacia della seduta, offrendo un sostegno focalizzato e concreto per affrontare sia le piccole che le grandi difficoltà della vita