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Tags Archives: Terapia Seduta Singola

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Come studiare in modo efficace

Nell’articolo di oggi andremo a capire cosa significa studiare e come imparare a farlo in modo efficace.

Lo studio

Esiste un corpus ampio di indagini sui processi di studio (Hartley,1998). Queste hanno affrontato tematiche quali il rapporto fra lo studio e contesto sociale, differenze di genere, relazione con gli stili cognitivi, implicazioni del contesto, abitudini di studio, idee che lo studente sviluppa sullo studio e il ruolo di specifiche strategie.

Le analisi di tipo evolutivo hanno evidenziato inoltre che i bambini piccoli posseggono un repertorio di strategie di studio più limitato di quello a disposizione di ragazzi più grandi.

Hartley (1998, pp.65) osservava che gli studenti maturi si caratterizzerebbero anche per comportamenti meglio organizzati ai fini dello studio. Per esempio organizzerebbero meglio il loro tempo e orienterebbero maggiormente la loro attenzione verso una comprensione approfondita.

Gli aspetti motivazionali ed emotivi ricoprono una notevole importanza. Un atteggiamento di apertura, curiosità e conoscenza facilita il processo di apprendimento accrescendo l’impegno e la volontà.

Il bambino che ha iniziato da poco la scuola primaria può essere avvantaggiato rispetto allo studente adolescente, poiché avendo avuto meno associazioni studio-insuccesso può sperimentare una più elevata percezione di efficacia (Cornoldi, 2008).

Abilità e crescita

Shneider e Pressley (1989) hanno caratterizzato per punti il progresso che si riscontra fra i 7 e i 18 anni nelle modalità di elaborazione dell’informazione da parte di uno studente.

In particolare aumentano le risorse cognitive di memoria di lavoro necessarie per l’utilizzazione di strategie complesse di studio.

Diventa maggiore la coerenza e la sistematicità di elaborazione, che consente- per esempio- di cercare di recuperare le informazioni memorizzate tenendo conto delle modalità attraverso cui erano state studiate.

E’ presente una capacità superiore di trasferire le strategie conosciute di studio a situazioni nuove.

Si verifica una migliore integrazione fra strategie e tipo di materiale da apprendere ed aumenta il livello metacognitivo generale dello studente.

Questi elementi sono fondamentali per poter apprendere nel percorso di crescita e maturazione dello studente una serie di buone abitudini per poter studiare in modo efficace.

La definizione del termine “studio”, infatti, ci ricorda che esso è l’insieme delle tecniche e delle strategie messe in atto da un soggetto per appropriarsi della conoscenza di una data disciplina e/o delle relazioni intercorrenti fra di essa e le altre conoscenze.

Quindi lo studente se provvisto di tali strumenti e riuscendo ad utilizzarli in modo consapevole potrebbe migliorare il proprio studio.

Strategie

Di seguito suggerimenti pratici per migliorare il proprio metodo di studio ed essere più efficaci.

  • Organizzare il luogo di studio. Risulta fondamentale per predisporre un ambiente favorevole e privo di fonti di distrazione. L’ambiente deve essere ben illuminato ed areato.
  • Pianificare la sequenza del materiale da elaborare. Assegnare priorità, aiutandosi con una “to do list”, semplifica e crea ordine.
  • Decidere il tempo da dedicare allo studio. è fondamentale perché aiuta a dare ritmo alle proprie attività senza sprecare il tempo utile. Una riflessione sulle pause sarà indispensabile per dosare le energie e dunque i tempi di concentrazione sul compito (utilizzare sveglie e timer può essere un ottimo strumento di monitoraggio).
  • Utilizzare strumenti per velocizzare il lavoro. E’ un buon modo per non affaticarsi troppo ed essere più efficaci. E’ utile dedicare nella giusta dose il tempo per: scrivere, rileggere, ripetere, appuntare, ricercare.
  • Quando ci si approccia ad un testo bisogna elaborarlo in modo attivo. Ciò significa fare delle azioni concrete che aiutino a comprendere effettivamente ciò che si sta elaborando. Sarà utile una sottolineatura attenta, focalizzando le parole chiave, la trascrizione di elementi salienti del testo (sottoforma di elenchi puntati, schemi, riassunti, tabelle).
  • Dedicare uno spazio alla verifica delle conoscenze acquisite sarà indispensabile per fornire sicurezza e controllo su ciò che è stato compreso. In questa fase si può utilizzare un audio registratore, ripetizioni orali ed esecuzione di esercizi di ripasso.

E’ importante avere un approccio flessibile per ogni materia e negli strumenti da utilizzare.

Sperimentarsi e fare esperienza sarà il modo per conoscersi meglio.

Pensare di essere sempre in evoluzione darà margine di miglioramento e possibilità di cambiamento.

L’allenamento sarà indispensabile per acquisire nuove competenze!

Se senti il bisogno di un aiuto in più, prenota il tuo appuntamento gratuito con One Session! Ci trovi tutti i martedì dalle 18.00 alle 20.00. I nostri terapeuti ti aiutano ad ottenere un cambiamento immediato e duraturo, fornendoti strumenti pratici, concreti ed utilizzabili fin da subito per uscire dalla situazione problematica grazie alle tue stesse risorse!
Per prendere appuntamento, scrivi a info@onesession.it o alle nostre pagine Facebook e Instagram.

 

Riferimenti bibliografici

https://www.efficacemente.com (consultato in data 25/01/2022)

https://www.studenti.it (consultato in data 03/01/2022)

C. Cornoldi, R. de Beni, Gruppo MT (2008). Imparare a studiare 2. Strategie, stili cognitivi, metacognizione e atteggiamenti nello studio. Trento: Erickson.

 

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La Terapia a Seduta Singola per la paura di arrossire

“Arrossire è il colore della virtù” (Diogene)

Che cos’è la paura di arrossire?

L’“ereutofobia o eritrofobia” deriva dal greco éruthros cioè “rossore”. Consiste nel provare ansia e paura anticipatoria rispetto alla possibilità di diventare rossi in situazioni di socialità (ad esempio quando ci si trova a dover parlare in pubblico, a chiedere informazioni, ad affrontare un appuntamento importante…).

La paura di arrossire rientra tra le fobie specifiche sociali, che nel DSM V indicano una paura marcata o ansia provata da una persona rispetto ad una o più situazioni sociali in cui si è esposti al giudizio degli altri, con timore di essere valutati negativamente per questo.

Il problema causa disagio significativo dal punto di vista clinico nel funzionamento sociale e lavorativo della persona e persiste per almeno 6 mesi.

Come si manifesta l’ereutofobia?

Arrossire è una reazione naturale guidata dal nostro sistema nervoso simpatico.

Esso aumenta il flusso di sangue e la temperatura della pelle del viso, del collo e della parte superiore del corpo causando un cambiamento evidente del nostro colorito, che appare più rosso del solito.

Può manifestarsi quando ci sentiamo al centro dell’attenzione e proviamo emozioni positive oppure quando sperimentiamo emozioni negative come la vergogna, il senso di colpa o l’imbarazzo.

Sarà capitato a tutti di fare una “figuraccia” e di sentirsi avvampare improvvisamente.

Arrossire può farci sentire molto esposti al giudizio degli altri, che possono accorgersi di come ci sentiamo semplicemente guardandoci in viso.

A quel punto, ci sentiamo letteralmente “allo scoperto”, soprattutto se qualcuno ce lo fa notare, magari prendendoci in giro.

La paura di essere “sorpresi” ad arrossire in altre situazioni sociali può quindi diventare una costante preoccupazione e una vera e propria paura.

Oltre alle fastidiose sensazioni fisiche dovute all’ansia, infatti, si possono provare anche pensieri negativi di auto-svalutazione. Questi pensieri possono essere: “arrossirò e quindi penseranno tutti che sono stupido/a, che non valgo niente, che sono debole e incapace, nessuna persona mi vorrà come partner…”.

Abbiamo già parlato in altri articoli precedenti della definizione di “paura” (clicca qui se vuoi approfondire) e di come questa nostra emozione primaria possa essere protettiva da un lato, quando ci difende da un imminente e reale pericolo, oppure possa risultare limitante per noi e dannosa se invece finisce per bloccarci ed impedirci lo svolgimento delle nostre attività quotidiane.

Come viene gestita la paura di arrossire?

Molte persone prima di rivolgersi ad uno psicologo provano a fare qualcosa per gestire da soli il problema.

Una delle azioni che inizialmente può sembrare efficace per provare a gestire l’ereutofobia è quella di evitare tutte le occasioni sociali in cui si potrebbe rischiare di arrossire.

Questa scelta, che inizialmente può farci sentire al sicuro e protetti, alla lunga rischia di isolarci e di rendere difficile se non impossibile lo svolgimento delle nostre attività quotidiane.

Si evita quindi di andare a scuola o al lavoro, di uscire con gli amici, di esporsi nel parlare di fronte agli altri. Un’altra soluzione di solito adottata è quella di provare a nascondere il viso con sciarpe, occhiali grandi o alterarne il colore con trucco pesante e lampade solari.

Purtroppo, spesso questi tentativi di gestire il problema paradossalmente finiscono per peggiorarlo!

L’evitamento sociale ci chiude in una solitudine opprimente che ci impedisce di vivere normalmente e ci fa sentire ancora peggio.

Rinunciare inoltre a mostrare liberamente il nostro volto può farci sentire limitati, inadeguati e insicuri (oltre a rischiare di rovinare la pelle!).

Come liberarsi della paura di arrossire con la Terapia a Seduta Singola?

La paura di arrossire si può affrontare fin dalla prima seduta con uno dei nostri psicologi innanzitutto definendo insieme fin nei minimi dettagli il tuo modo soggettivo ed unico di vivere questo problema.

Si potrà quindi ragionare insieme su tutto quello che hai provato a fare per fronteggiare la paura di arrossire e sui risultati ottenuti: le cose sono effettivamente migliorate oppure sono peggiorate?

Infine, si potranno sperimentare già in seduta alcune nuove soluzioni da poter metter in pratica quotidianamente.

Una strategia utilizzabile fin da subito è provare a rivelare al proprio interlocutore che durante la conversazione si potrebbe arrossire, magari stemperando con una battuta.

Oppure cercare di spostare l’attenzione al di fuori di noi stessi quando parliamo con qualcuno.

Come? Prova a tornare all’inizio di questo articolo e a rileggere l’aforisma di Diogene che ho citato: hai mai pensato che a volte gli altri potrebbero non accorgersi del tuo rossore o addirittura pensare che sia una virtù e non un segno di debolezza?

E se invece di concentrarti su te stesso provassi a vedere se il tuo interlocutore inizia ad arrossire prima di te mentre parlate?

Ricordati che se invece vuoi provare ad affrontare la tua paura di arrossire con uno specialista, quest’anno il nostro team di “One session” ti offre la possibilità di una sessione gratuita di consulenza psicologica a seduta singola della durata di 30 minuti, ogni Martedì dalle 18:00 alle 20:00.

Per prendere appuntamento, scrivi a info@onesession.it o alle nostre pagine Facebook e Instagram.

Lasciaci un commento se ti va di farci sapere come stai provando a gestire la tua eritrofobia!

Riferimenti bibliografici

American Psychiatric Association. (2013). Diagnostic and statistical manual of mental disorders (5th ed.)

Drummond, P. D., Shapiro, G. B., Nikolić, M., & Bögels, S. M. (2020). Treatment Options for Fear of Blushing. Current psychiatry reports, 22(6), [28]. https://doi.org/10.1007/s11920-020- 01152-5

Nardone, G. (2000). Oltre i limiti della paura. Bur, Rizzoli.

Veale, D. (2003). Treatment of social phobia. Advances in Psychiatric Treatment, 9(4), 258-264. doi:10.1192/apt.9.4.258

 

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Come gestire le abbuffate? 3 consigli utili

Come gestire le abbuffate?

“Il miglior modo per resistere a una tentazione, è cedervi”

Oscar Wilde dà voce a una verità sempreverde nel campo dell’alimentazione.

Ti è mai capitato di mangiare più del necessario?

Oppure di sentire quell’impulso irrefrenabile verso qualcosa di dolce e una volta addentato non sapere come fermarti?

Ok, nella maggior parte dei casi succede e basta. Hai bisogno di concederti degli “eccessi”, dei piaceri alimentari altrimenti privandotene rischi di aumentarne il desiderio.

Tuttavia, ci sono casi in cui questo impulso diventa incontrollabile al punto che gli eccessi si trasformano in abbuffate vere e proprie.

In questo articolo andremo a capire come gestire le abbuffate.

Che cosa sono le “abbuffate”?

Non sto parlando semplicemente di concedersi la pizza o mangiare di più perché è Natale, ma sto parlando di episodi ben precisi che si manifestano nell’arco di una settimana, senza una causa apparente:

  • mangi rapidamente
  • mangi grandi quantità di cibo anche se non hai fame;
  • mani da solo, lontano da occhi indiscreti e spesso compir il cibo appositamente per mangiarlo, perché sei imbarazzato nel permettere agli altri di vederti mangiare con così tanta foga;
  • dopo aver mangiato fino a sentirti male, ti senti in colpa per averlo fatto.

Ripeto non si tratta di una tantum, ma di episodi ricorrenti che si presentano sempre con le stesse caratteristiche.

Questo comportamento non è salutare perché ti impedisce di conquistare un equilibrio alimentare; non sto parlando di stare a dieta, ma di avere uno stile di vita sano e funzionale all’età, allo tipo di vita che conduci e a quanta attività fisica fai.

L’obiettivo è stare bene e in salute, mangiando tutto nelle giuste quantità.

Cosa ti impedisce di farlo?

Spesso utilizzi delle scorciatoie che pensi saranno risolutive alle tue abbuffate:

  • Digiunare
  • Vomitare
  • Fare attività fisica esagerata
  • Usare condotte compensative come i lassativi

Devo dissuaderti: sono tutti comportamenti che mantengono in vita il tuo rapporto complicato con il cibo senza farti raggiungere i risultati sperati.

Per esempio, se vomiti, pensi di aver trovato la strategia giusta per mangiare e al contempo non prendere peso; in realtà stai creando un circolo vizioso dal quale sarà difficile uscire e che comprometterà la tua salute.

Cosa puoi fare?

Ecco tre consigli per imparare a gestire le abbuffate, che abbiamo compreso non essere funzionali al tuo benessere.

  1. Ritagliati del tempo:

La vita di tutti i giorni lascia poco tempo per dedicarti a te stesso.

Ritagliati dei momenti tutti i giorni in cui decidi di compiere un gesto d’amore nei tuoi confronti, una piccola coccola per te stesso, che sia un buon libro, una passeggiata o una maschera per il viso.

 

  1. Lasciati andare alla fantasia:

Soffermati volontariamente sul piacere che deriva dal cibo, accarezzandolo prima con la mente e poi con il corpo. L’immaginazione è un mezzo potentissimo da cui spesso dimentichiamo di attingere.

Per cinque lunghi minuti ogni mattina, immergiti nella tua fantasia culinaria e immagina cosa vorresti mangiare in quella giornata.

 

  1. Impara a controllarti, lasciandoti andare:

«Niente è piu’ irresistibile di un divieto da trasgredire» O. Wilde

Spesso ci imponiamo divieti assoluti verso alcuni cibi. Più ce li vietiamo però, più in realtà li desideriamo. Finiamo per cedere alla tentazione, eccedendo.

Concediti ciò che vuoi mangiare, senza pretendere alcuna forma di controllo sul cibo. Impara a concedertelo, MA solo e soltanto all’interno dei tre pasti principali.

Se pensi di aver bisogno di un supporto in più, puoi rivolgerti a un professionista.

La Terapia a Seduta Singola può aiutarti anche in un solo incontro con lo psicologo perché ti permette di eliminare i comportamenti che mantengono in vita il problema e ottenere concreti benefici.

Sei interessato alla Terapia a Seduta Singola? Puoi al servizio di consulenza gratuita online con i nostri psicologi e psicoterapeuti, disponibili ogni martedì dalle 18.00 alle 20.00.

Per prendere appuntamento, scrivi a info@onesession.it o alle nostre pagine Facebook e Instagram.

Riferimenti bibliografici:

Nardone, G (2007). La Dieta Paradossale: sciogliere i blocchi psicologici che impediscono di dimagrire e mantenersi in forma, Ponte delle Grazie

 

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Come migliorare la comunicazione con i figli adolescenti

Comunicare con i figli adolescenti sembra essere un’impresa ardua. Nell’articolo di oggi andremo a vedere delle strategie di comunicazione efficaci.

L’adolescenza

L’adolescenza, dal latino “adolescere” che significa “ crescere”, è il momento della vita in cui l’individuo ottiene le competenze e le abilità utili ad assumersi le responsabilità rispetto alla futuro divenir adulto.

Questo periodo di transizione prevede un continuo mutamento e trasformazione.  Talvolta viene interpretato come squilibrio, instabilità e insofferenza.

Il ragazzo sente il bisogno di separarsi dal genitore, individualizzarsi, ma allo stesso tempo desidera la sicurezza di sentirsi amato e accolto.

In adolescenza i ragazzi si trovano quindi in una fase dello sviluppo in cui ricercano continuamente la loro identità, interfacciandosi con i diversi contesti nei quali si trovano ad interagire.

Quotidianamente prendono distanza dalle figure genitoriali, cercando di imporre il loro punto di vista e pretendendo maggiore autonomia ed indipendenza.

Quando il genitore cerca di instaurare un dialogo non è sempre facile avere la predisposizione del proprio figlio a confrontarsi, esprimersi ed aprirsi.

Genitori di adolescenti

I genitori si ritrovano a gestire un forte cambiamento nei comportamenti dei propri figli.

Ciò li porta a riflettere sul concetto di perdita, che si ripercuote sulla relazione e dunque sulla difficoltà di comunicare.

I genitori si ritrovano a gestire la perdita della relazione intima, vissuta con il proprio figlio nel periodo dell’infanzia.

Nella perdita della sicurezza, si ha difficoltà a comprendere il comportamento proprio e le reazioni altrui.

Si fatica ad essere sicuri di quello che dice e di quello che si fa.

Si creano dubbi, perplessità sulle metodologie di interazione, mettendo in discussione anche il tempo dedicato alla comunicazione.

I genitori si ritrovano a pensare alla perdita della soddisfazione di essere indispensabili a qualcuno.

“Perdita della sensazione di essere dei difensori dagli immensi poteri, in grado di tenere i figli al riparo di ogni male”. (A.Faber e E.Mazlish, 2005)

Infine c’è la paura, di dire la cosa giusta, di comprendere, di essere d’aiuto nel momento giusto, di non essere abbastanza presenti, di sbagliare.

Strategie di comunicazione

  • Mostrarsi accoglienti e disponibili nel dialogo.

Essere accoglienti significa ascoltare in modo silente il flusso di parole del proprio interlocutore senza avere pregiudizio, senza valutare e giudicare.

  • Il tono della voce deve essere sereno e privo di prediche.
  • Cercate di porre più domande. Evitate di esprimere giudizi e sentenze.

Le domande possono riguardare un particolare della situazione che vi stanno raccontando, oppure può essere utile chiedere conferma di aver compreso bene quello che vi hanno esposto.

In questo modo si sentiranno capiti, ascoltati e saranno avranno la certezza di essere stati ascoltati e compresi.

  • Evitare confronti generazionali, si verrebbe a creare troppo disequilibrio.

Nel confronto, involontariamente, si possono creare dei malintesi fra ciò il genitore ha fatto di buono e cosa invece c’è di sbagliato nel comportamento del proprio figlio.

  • Non sminuite ciò che loro vi raccontano. Ponete domande sui particolari, cercate di non farvi prendere dall’ansia e dalle preoccupazioni.
  • Ascoltare sarà un buon modo per darsi il tempo giusto per comprendere.
  • Ponete domande sul loro stato emotivo: come si sono sentiti, i loro desideri, obiettivi. Accettate i sentimenti e sappiate cogliere lo stato d’animo che in quel momento provano.
  • Non perdetevi in un eterno monologo, finiranno per non ascoltarvi .
  • Cercate di mettervi nei loro panni, essere empatici aiuta a comprendere meglio il punto di vista dell’altro.

E’ necessario avere tanta pazienza, comprensione e dare per primi l’esempio con le parole.

Se senti il bisogno di un aiuto in più, prenota il tuo appuntamento gratuito con One Session! Ci trovi tutti i martedì dalle 18.00 alle 20.00. I nostri terapeuti ti aiutano ad ottenere un cambiamento immediato e duraturo, fornendoti strumenti pratici, concreti ed utilizzabili fin da subito per uscire dalla situazione problematica grazie alle tue stesse risorse!
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Riferimenti bibliografici:

https://www.adolescienza.it (consultato in data 12/01/2022)

https://viverepiusani.it (consultato in data 12/01/2022)

https://www.psicoterapiarca.it (consultato in data 12/01/2022)

https://www.vivavoceinstitute.com (consultato in data 12/01/2022)

https://www.federicabenassi.com (consultato in data 12/01/2022)

A.Faber,E.Mazlish (2005). Come parlare perché i ragazzi ti ascoltino, e come ascoltare perché ti parlino. Milano: Mondadori.

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Come superare un trauma

Come superare un trauma? Quando possiamo definire un’esperienza come traumatica? Cosa ci mantiene incastrati in quel limbo tra ciò che era prima e ciò che è stato dopo il trauma?

Cos’è un trauma?

Se consultiamo un vocabolario, la parola trauma verrà definita come lesione improvvisa e violenta. A livello psichico ci si riferisce ad un turbamento determinato da un episodio dotato di una notevole carica emotiva.

Il trauma apre una profonda ferita a livello psichico, e fa da spartiacque a quello che per la persona che lo ha vissuto sarà il “prima” e il “dopo”.

Il trauma è causato da un evento con una grande carica emotiva, dicevamo. Si è soliti pensare che vi siano degli eventi oggettivamente traumatici, ed eventi invece che non possano causare alcun trauma.

Non è così. Un’esperienza viene definita traumatica in base agli effetti che produce nella persona.

Il disturbo post traumatico da stress

Secondo il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali DSM-5, il disturbo post traumatico da stress può insorgere in seguito ad eventi stressanti tali da comportare una gravità oggettiva estrema, con minaccia per la vita o l’integrità fisica propria o di altri (Cagnoni e Milanese, 2009).

Il disturbo post traumatico da stress può insorgere sia che questi eventi siano vissuti direttamente, sia che siano vissuti come testimoni, ma può anche bastare il semplice venire a conoscenza di eventi accaduti a terzi.

Le caratteristiche del disturbo post traumatico da stress includono i seguenti vissuti:

  • Ricordi intrusivi dell’evento traumatico
  • Ricorrenti incubi riguardanti l’evento traumatico o le emozioni ad esso collegate
  • Episodi di flashback, in cui la persona sente o agisce come se l’evento traumatico si stesse ripresentando
  • Intensa sofferenza psicologica in presenza di eventi o fattori che possono ricordare l’evento traumatico
  • Reazioni fisiologiche intense a seguito di fattori scatenanti che possono ricordare l’evento traumatico

Vivere nel trauma

È chiaro come tutti i sintomi tipici del disturbo post traumatico da stress siano estremamente spiacevoli ed invalidanti.

Per questo i tentativi delle persone che si trovano in una condizione simile sono tutti volti ad evitare di dover avere a che fare con pensieri, situazioni e sensazioni che hanno a che fare col trauma vissuto.

Spesso però, sono proprio questi tentativi di liberarsi dal problema che lo mantengono vivo, o addirittura lo esacerbano.

Comportamenti che ti tengono incastrato nel trauma

  • Cercare controllare i propri pensieri. La persona che ha vissuto l’esperienza traumatica cerca in tutti i modi di dimenticare il trauma vissuto cercando di non pensare. Ma “pensare di non pensare è pensare ancora di più”: cercando di scacciare pensieri e immagini legate al trauma, la persona si vincola ad un circolo vizioso paradossale, finendo per intensificare proprio ciò che si vuole estinguere.
  • Evitare tutte le situazioni potenzialmente collegare all’evento traumatico. Si comincerà ad evitare il luogo in cui è avvenuto il trauma, le persone ad esso collegate, fino ad evitare situazioni ed eventi che in un qualche modo possono essere ad esso associate. Quale effetto si otterrà? Questi evitamenti arriveranno a confermare la pericolosità di situazioni che non sono in alcun modo collegate al trauma. La paura incrementerà e la persona finirà per non credere più nelle proprie risorse, aumentando le proprie paure e rendendo il disturbo sempre più invalidante.
  • Richiesta di aiuto e rassicurazioni. La persona sente il bisogno di essere sempre accompagnata, in modo da avere con sé qualcuno che possa intervenire in caso di pericolo o di crisi. Il fatto di affidarsi ad altri non farà però che confermare la propria incapacità di affrontare in autonomia le situazioni temute, rendendo la persona dipendente dagli altri.

La scrittura per superare il trauma

Uno strumento molto potente per riuscire a superare le conseguenze psicologiche di un’esperienza traumatica è la scrittura.

Narrare ogni giorno per iscritto, come se fosse la prima volta, l’evento traumatico, andando nei dettagli di ricordi, sensazioni ed emozioni che l’episodio ha scatenato va esattamente contro quello che chi ha vissuto un trauma cerca di fare: eliminare i ricordi dolorosi.

Abbiamo visto però che il tentativo di eliminarli non fa altro che incrementarli. Dovremo quindi agire seguendo una logica diversa, cioè passandoci in mezzo volontariamente.

Rivivere quotidianamente per iscritto l’esperienza traumatica (senza rileggere) farà in modo che la persona possa esternalizzare i ricordi e le sensazioni che quotidianamente la affliggono, permettendole di prenderne le distanze, mettendo fuori di sé ciò che di solito è dentro.

One Session Center

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Riferimenti Bibliografici

Cagnoni F., Milanese R. (2009). Cambiare il passato. Superare le esperienze traumatiche con la terapia strategica. Firenze: Ponte alle Grazie.

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La Terapia a Seduta Singola per la paura della morte

E’ possibile superare la paura della morte con una Terapia a Seduta Singola? Scopriamolo nell’articolo di oggi.

Il significato della morte

Ciascuna società si è occupata, nel suo tempo, della morte con riti e tradizioni diversi da una cultura all’altra.

Il concetto di morte è parte integrante del concetto di vita. È il riflesso stesso del culto della vita.

Eros e Thanatos hanno ispirato poeti, artisti, pensatori. Amore e morte.

“Forte come la morte è l’amore, tenace come gli inferi è la passione” recita il Cantico dei Cantici nella tradizione biblica.

La paura della morte accompagna l’uomo da sempre.

Ha provato a spiegarcelo Aristotele: “La cosa più paurosa è la morte. Essa è infatti il nostro termine”.

Hanno provato a spiegarlo le religioni. Da qui l’idea della vita dopo la morte, della reincarnazione e di tante altre credenze affascinanti e mistiche.

Hanno provato a spiegarlo la filosofia e la scienza attraverso miti e teorie.

La paura della morte riguarda molti individui in momenti particolari della loro esistenza.

La pre-adolescenza in cui si inizia a prendere coscienza del fatto che la morte è parte del percorso di vita di ciascuno.

La gravidanza, momento in cui si teme per la propria vita e quella del bambino.

La vecchiaia in cui si avverte che il tempo di lasciare andare è vicino.

La perdita traumatica di persone amate.

La morte richiama l’ignoto, l’ineluttabilità, la mancanza di controllo. Possiamo temere per la nostra vita o quella di chi amiamo.

I balsami che hanno addolcito la paura di morire sono stati nel tempo la religione, il culto dei morti, il pensiero filosofico, l’arte, la cultura, la poesia.

La paura della morte viene esorcizzata e addomesticata dall’uomo attraverso il potere, la guerra, il decidere della vita e della morte stessa.

La paura della morte in psicologia

Molte persone hanno paura di morire. Di certo non sempre questa paura assume una connotazione patologica.

In psicologia, la paura della morte è un disturbo spesso associato alla depressione, ai disturbi di ansia, ai disturbi da ansia di malattia, agli attacchi di panico.

Chi soffre di ansia o di panico, infatti, spesso ha sperimentato questa sensazione.

La paura di morire diventa patologica quando crea ansia e/o pensieri ossessivi. Quando limita, in parte o del tutto, la vita e le abitudini delle persone.

L’irrazionalità e la mancanza di controllo, associate a questa paura, ne rappresentano gli elementi caratteristici ed esasperanti. La perdita dei legami, di ciò che abbiamo costruito nel tempo, è un pensiero che crea angoscia.

Il momento storico, sociale e sanitario che stiamo vivendo ha visto e vede questa paura protagonista nel vissuto di molti.

Chi di noi nel periodo acuto della pandemia non ha pensato almeno una volta alla morte?

Abbiamo visto stare male persone care. Siamo stati bombardati da immagini di malattia e morte. Morti senza corpi, senza riti che ne celebravano il trapasso. Morti senza la condivisione degli affetti e della famiglia.

Un tema dunque molto attuale in questo periodo di incertezza ed emergenza.

La paura della morte nasce con la nascita dell’uomo. È un tema esistenziale. L’uomo, da un certo momento in poi (dai 4 – 5 anni di vita), inizia a fare i conti con la perdita di persone vicine e care e dunque a riflettere e ragionare su di essa.

Il percorso di accettazione della morte, come condizione inevitabile, contribuisce al percorso di crescita. Tuttavia fattori ambientali, fisiologici e psicologici possono anche contribuire ad alimentare questa paura e molto spesso a costruire fobie ben strutturate.

Quando la paura diventa invalidante e condizionante, sarà possibile scontrarsi con un disturbo di personalità.

Terapia a seduta singola e la paura della morte

La Terapia a Seduta Singola si focalizza sui bisogni urgenti della persona.

Manovre e interventi che possono, anche in un solo incontro, rendere utile e concreto l’intervento del professionista.

Soluzioni su misura, capaci di rendere possibile il cambiamento anche in una sola seduta.

Sarà poi la persona a valutare se pensa di poter affrontare da sola la difficoltà che lo ha portato in terapia oppure scegliere di varcare nuovamente quella “porta” che resterà sempre aperta.

La paura spinge la persona a mettere in atto comportamenti che altro non fanno che alimentare il problema. Il disturbo diventa così più strutturato e il cambiamento più difficile da realizzare.

“Guardare in faccia” la paura può aiutare a ridimensionare l’angoscia e l’ansia che essa provoca.

Quali sono le tue paure? Di cosa potresti morire o di cosa potrebbero morire le persone che ami?

Bene. Potresti appuntarlo su un diario, la mattina appena sveglio e la sera, finita la giornata, spuntare quale di quelle paure si è realizzata.

Metterai quella spunta o l’avrai “spuntata”?

Le paure possono essere superate anche da soli. Molto spesso però questo può essere molto difficile e allora non bisogna esitare a chiedere l’aiuto di un professionista. Varcare la porta per ritrovare la propria strada.

Ogni Martedì dalle 18:00 alle 20:00 gli psicologi del team “One session” sono a tua disposizione per una sessione gratuita di consulenza psicologica a seduta singola di 30 Minuti.

Per maggiori informazioni, puoi inviare una email a info@onesession.it o visitare le nostre pagine Facebook o Instagram.

Bibliografia e sitografia:

Cannistrà F., Piccirilli F. (2021). Terapia Breve Centrata sulla Soluzione. Roma: EPC Editore https://www.lostudiodellopsicologo.it/disturbi/paura-di-morire-scardinarla-con-la-terapia-breve/

 

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3 anni ago Umore

Winter blues: 10 rimedi per la tristezza d’inverno

“D’inverno mi sento triste, freddo, stanco, giù…come le foglie”

Ci sono persone particolarmente sensibili alle stagioni fredde, durante le quali manifestano sintomi di down psicofisico, per poi sentirsi “rinascere” con le stagioni calde.

Queste persone sono affette dal Disturbo Affettivo Stagionale (SAD) invernale, detto anche Winter Blues. Tutti possiamo sentirci avvolti da tristezza e malumore, è normale, ma se i sintomi durano oltre due settimane si parla di Disturbo.

Il Winter Blues è più frequente:

  • nelle donne,
  • in coloro che, nella loro storia familiare, presentano forme di Depressione, Disturbo Bipolare o Disturbo Affettivo Stagionale,
  • in chi ha bassi livelli di vitamina D e di Folati,
  • nelle persone che vivono in Paesi lontani dall’equatore o abitano in case poco illuminate.

Molte ricerche, svolte per comprendere le cause del Disturbo Affettivo Stagionale Invernale, hanno dimostrato che i livelli dell’ormone del buonumore (Serotonina), diminuiscono in assenza di luce e che il sistema neuroendocrino si modifica in base alla lunghezza delle giornate. Dunque la luce solare e le stagioni, influenzano le funzioni organiche, tra cui metabolismo e ritmo sonno-veglia, e l’umore. Quest’ultimo è legato alla Vitamina D, che a sua volta dipende dalla luce solare. Cosa accade quindi nel periodo autunno/inverno? Diminuiscono le ore di sole delle giornate.

Quali conseguenze?

Il cervello vedendo buio dice: “È notte, andiamo a dormire”, così aumenta l’ormone del sonno, diminuisce l’ormone attivante e la Serotonina. Per cui abbiamo:

Ø scarsa presenza di Serotonina, quindi più tristezza e malumore;

Ø alterazione degli ormoni sonno-veglia, perciò sonnolenza, stanchezza o al contrario insonnia e stress (meno frequente).

Tutti soffrono di Winter Blues? No.

È stata rilevata, in coloro che non sono soggetti al Disturbo Affettivo Stagionale, un’attività equilibrata del sistema neuroendocrino per tutto l’inverno. Siamo tutti soggetti alle variazioni stagionali, tuttavia in alcune persone le modificazioni neurochimiche e conseguenze connesse, sono disfunzionali.

Le caratteristiche sintomatologiche del Winter Blues.

  • Il Tono dell’umore è basso. Spesso ingiustificato. Varia dal semplice malumore, alla tristezza, melanconia, fino a uno stato depressivo. Curioso che l’acronimo SAD, sia anche una parola inglese che significa Triste.
  • La mancanza di piacere, soprattutto in ciò che generalmente lo provoca, e di energia e stimoli, con difficoltà a svolgere attività quotidiane.
  • Aumento di peso finanche all’Obesità, o al contrario perdita di peso, per un alterato stimolo della fame e del desiderio di carboidrati o grassi.
  • Ipersonnia e astenia (mentale e fisica) o al contrario insonnia.
  • Irritabilità, ansia e senso di colpa
  • Isolamento sociale

La gravità dei sintomi è variabile. Ci sono forme lievi, dette anche Subsindromi di Disturbo Affettivo Stagionale, ed altre più severe.

Il Winter Blues di frequente rientra nelle Subsindromi.

La persona è tendenzialmente in grado di condividere gioie ed eventi positivi, quando li vive e, anche se con molta difficoltà, riesce a gestire il quotidiano. Purtroppo per questi motivi, il disagio non severo delle persone con il Disturbo Affettivo Stagionale, è molto spesso sottovalutato sia da

chi ne è affetto, spesso colpevolizzandosi e peggiorando il suo stato, che dagli altri, anche dai medici.

Ma la ricorrenza degli episodi depressivi nelle stagioni autunno/inverno, può portare a un peggioramento nel tempo.

Cosa fare?

Prevenire.

Affrontare l’inverno in stato depressivo, o similare, non è affatto semplice. È possibile però prevenirlo, gestirlo e superarlo. Ecco alcuni rimedi che, se agiti tutto l’anno, possono aiutare a ridurre l’insorgenza di recidive.

1. L’uso di antidepressivi utile in presenza di sintomi severi. Non è la prima scelta dei medici nei casi di Subsindromi di Disturbo Affettivo Stagionale. Il primo antidepressivo è la luce.

2. Light therapy o fototerapia.

Esponiti alla luce di una lampada medica solare, soprattutto se il tempo è cupo. Trenta minuti per un totale di due ore al giorno. Mai la sera, avresti l’effetto contrario. Questa lampada genera un effetto sull’organismo quasi pari a quello del sole. Purtroppo non è adatta per chi soffre di Disturbo Bipolare, di Emicranie e fa uso di psicofarmaci. Né può essere usata nei mesi estivi per prevenzione. Meglio parlarne con un professionista.

Il rimedio più naturale per tutti? La luce solare. Uscire all’aria aperta almeno un’ora, anche se nuvoloso. Stare a contatto con la natura e la luce naturale. Assaporare dettagli, colori e profumi.

3. Assumere cambiamenti nello stile di vita e nella dieta, eliminando nicotina, caffeina e alcool.

4. Esercizio fisico regolare, antistress e antidepressivo efficace. Meglio all’aperto. Se al chiuso svolgetelo davanti alla finestra. L’attività fisica va evitata di sera, altera il ritmo sonno-veglia.

5. Routine dei piccoli piaceri. Un bagno o una doccia calda, una tazza di tè o latte caldo, un incontro tra amici, sorprendersi davanti a un panorama, un massaggio, un libro, un sms… Sollevano dalla tristezza e aiutano a svegliarsi col buon umore, in fondo “il bello deve ancora venire”. E poi…

6. Ridere.

7. Scopri la bellezza delle stagioni fredde. Paesaggi innevati, anche inaspettati come una spiaggia. Avere più tempo per riflettere su cosa lasciar andare (come le foglie) e cosa trattenere (come linfa).

8. Scrivere un diario, in cui appuntare i sintomi, quando iniziano, l’intensità, come evolvono, cosa sta funzionando, cosa no. Cosa ti mantiene il sorriso, cosa ti fa ridere. Valutare il tuo livello di stagionalità, sarà utile per prepararti ad affrontare la stagione invernale successiva. Anticipando l’insorgenza del Winter Blues e rafforzando le tue risorse.

9. Tecniche di respirazione e di meditazione. Se hai già constatato con un professionista quali, e se, sono adatte alla tua persona, potrai praticarle gestendo i sintomi della tristezza invernale.

10. Terapia psicologica. Ricerche hanno evidenziato l’utilità del supporto psicologico, preventivo e non solo in emergenza, per ridurre le recidive stagionali e l’insorgere della Depressione Maggiore.

Ti trovi in difficoltà nel quotidiano? Ti senti giù di morale senza apparente motivo? Vuoi imparare a trovare le strategie più adatte a te per gestire la tristezza? Vuoi affrontare un inverno all’insegna del benessere?

Chiedi aiuto a One Session!

One Session è il nostro servizio di ascolto psicologico attivo il martedì dalle 18.00 alle 20.00,

Ti aiuteremo fornendoti strumenti e tecniche che ti permetteranno di rimetterti in gioco e sbloccare comportamenti non funzionali al tuo benessere. Scrivi a info@onesession.it e consulta le nostre pagine social di Facebook e di Instagram.

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Come superare la fine di una relazione in età adulta

Come superare la fine di una relazione in età adulta, quando tutti i tuoi sogni e i tuoi progetti sono ridotti in frantumi e quando viene percepita come un fallimento personale?

È davvero possibile trasformare una fine in un percorso di rinascita e crescita personale?

La fine di una relazione

In un’interessante studio del professor Edward Smith della Columbia University (Kross et al., 2011) viene evidenziato come il dolore per la fine di una relazione stimoli le stesse aree cerebrali deputate alla percezione del dolore fisico.

Viene quindi da sé che tale evento può generare un’intensa sofferenza psico-fisica.

Non si sa la ragione di una tale associazione, ma si è ipotizzato che sia da ricondursi al naturale e istintivo bisogno di socializzazione dell’essere umano.

Il risultato è che la fine di una relazione, sia voluta che subita, porta spesso con sé un vissuto di dolore e rabbia, capace di intrappolarci in labirinti senza uscita.

Di fronte ad un dolore così grande è difficile riuscire e vedere cosa poter fare per trasformare una fine in opportunità.

Anzi, il nostro stesso futuro diventa un’idea vaga e lontana, e il solo pensare di riuscire a superare questo momento sembra un’offesa al dolore profondo che si sta provando.

Pensare di ricostruirsi una vita diventa, quindi, semplicemente impensabile.

Cosa cambia con l’età adulta

Con l’età adulta la reazione a queste esperienze si complica ulteriormente.

Da un lato perché la rabbia e il dolore sfociano spesso in un vissuto molto intenso di fallimento personale. Dall’altro perché la paura per il futuro e per la possibilità di costruirsi una famiglia sono più forti ed emotivamente più coinvolgenti.

Vivere la rottura come un fallimento personale ci da la sensazione di aver sprecato il proprio tempo, di aver sbagliato a valutare qualcosa e ci porta alla convinzione definitiva che ricostruirsi una vita sia impossibile.

Queste recriminazioni possono diventare delle vere e proprie accuse verso noi stessi e possono minare in maniera profonda la nostra autostima.

Da qui il forte senso di solitudine che ci fa vivere la mancanza del partner con un senso di profondo abbandono.

Anche le paure per il futuro giocano un ruolo fondamentale.

Con l’età adulta, infatti, il cosiddetto “orologio biologico” e le aspettative riguardo la nostra vita relazionale influenzano in maniera diretta la percezione delle nostre esperienze.

Una rottura può farci sprofondare nell’idea di dover ricominciare da capo e di non aver più tempo per ricostruirsi una vita!

Com’è possibile allora non rimanere travolti dalla fine della nostra relazione?

Come ricostruirsi una vita, anche in età adulta

Ricostruirsi una vita dopo una rottura, specie se in età adulta, sembra davvero difficile.

I sentimenti che proviamo e che generano confusione sono forti e connaturati ad un esperienza dal forte impatto emotivo

E allora cosa possiamo fare?

Il primo passo da compiere e ristrutturare la percezione di ciò che stiamo vivendo.

Invece di chiuderci nel labirinto del fallimento personale, dobbiamo muoverci sul piano della crescita personale.

Non siamo persone che hanno perso tempo e che devono ricominciare da zero.

Sei una persona che ha una storia ed un vissuto e devi “ri-scoprire” la tua vita oggi e rimodellarla sulla base di ciò che sei ora.

Cosa ti dice questa esperienza di te? Che cosa hai imparato dopo questo ostacolo? Di Quale insegnamento positivo o negativo puoi fare tesoro?

Tre azioni pratiche da poter implementare nella tua nuova vita da single.

  • Dai sfogo alle emozioni

Reprimere le emozioni non è mai una buona strategia. È molto più efficace trovare il tuo modo per far uscire ciò che hai dentro.

Puoi scrivere, senza rileggerle, le emozioni che stai provando, per distanziarti dai pensieri e arrivare alla consapevolezza che essi sono, appunto, pensieri.

Oppure piangi, lasciando che il corpo faccia uscire anche fisicamente il dolore che stai provando.

Semplicemente, puoi ritagliarti un’ora al giorno nel quale ripensare al dolore che provi. Alla fine di quell’ora, ti lavi la faccia con acqua fresca, ti asciughi il viso e torni alle tue attività.

Non importa la strategia che utilizzi, ciò che conta è far fluire l’emozione negativa che hai dentro.

 

  • Ridi in compagnia

Ridere genera una droga naturale, l’endorfina, mentre intrattenere rapporti sociali riduce lo stress dato dal carico emotivo della rottura.

Dopo gli “enta” o dopo una lunga storia, la rete sociale si riduce e spesso la pigrizia porta ad avere meno voglia di uscire.

Superare questo senso di isolamento e conoscere nuove persone ti aiuterà a ritrovare una tua dimensione e a sviluppare entusiasmo nella possibilità di sperimentarti in nuove relazioni.

Ricorda che non devi fare “tutto e subito”. Mettiti in gioco con dei piccoli passi.

Prima in situazioni più confortevoli e poi aumentando gradualmente la tua esposizione.

In questo modo riuscirai a gestire meglio lo stress e le emozioni che proverai.

 

  • Prenditi cura di te.

È prevedibile che tutto questo dolore, il tentativo di affrontarlo e le azioni di crescita personale generino in te forte ansia e stress. Per questo non devi dimenticarti di sviluppare un atteggiamento non giudicante nei tuoi confronti e accettare l’idea di chiedere aiuto, se ne senti il bisogno.

Le persone che amiamo possono darti un aiuto fondamentale, in questo senso, così some il sostegno di uno specialista può indirizzarti verso la strada giusta.

L’obiettivo finale sarà quello di ricostruire ciò che sei e riprendere in mano la tua vita.

Conclusioni

Ricostruirsi una vita dopo una rottura non è mai facile. Quando questo avviene in età adulta, il coinvolgimento emotivo, le energie spese ed i progetti futuri mettono un ulteriore pressione e rendono tutto il processo più complesso.

Se ti trovi in questa situazione, chiedi aiuto a One Session!

One Session è il nostro servizio di ascolto psicologico attivo il martedì dalle 18.00 alle 20.00,

Ti aiuteremo fornendoti strumenti e tecniche che ti permetteranno di rimetterti in gioco e sbloccare comportamenti non funzionali al tuo benessere. Scrivi a info@onesession.it e consulta le nostre pagine social di Facebook e di Instagram.

Bibliografia

Dunbar, R.I.M. et al. (2012). Social laughter is correlated with an elevated pain threshold. Proceedings of The Royal Society B: Biological Sciences, 279(1731), 1161-7.

Frattaroli, J. (2006). Experimental Disclosure and Its Moderators: A Meta-Analysis. In Psychological Bulletin, Vol. 132, n° 6, pp. 823–865.

Pennebaker, J.W. (2004). Scrivi cosa dice il cuore. Milano: Erickson

Stathopoulou, G. et al (2006). Exercise Interventions for Mental Health: A Quantitative and Qualitative Review. In Clinical Psychology: Science and Pratice, Volume 13, Issue 2, 179–193.

 

Sitografia https://www.lostudiodellopsicologo.it/psicologia/uscire-storia-finita-male/ https://www.lostudiodellopsicologo.it/psicologia/superare-fine-storia/ https://www.starbene.it/benessere/psicologia/quando-finisce-amore-come-stare-meglio/ https://www.crescita-personale.it/articoli/relazioni/amore/fallimento-in-amore-superare-la-fine-di-una-relazione.html https://www.ipsico.it/news/fine-di-un-amore-termine-di-una-relazione/

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3 anni ago Altro

Come ritrovare la motivazione

Oggi parliamo di motivazione.

Cos’è la motivazione? E’ possibile ritrovare la motivazione? E come?

La Motivazione: etimologia e teorie

Il termine motivazione dal punto di vista etimologico deriva dal latino “motus” movimento e “agere” spinta all’azione.

La motivazione è lo stato interiore che orienta l’organismo, attiva il nostro comportamento e direziona l’uomo verso un obiettivo.

In questa semplice definizione la motivazione viene descritta come il nostro carburante e allo stesso tempo l’essenza che ci fa andare avanti e tendere al raggiungimento di un obiettivo e al perseguimento di uno scopo.

Il costrutto psicologico della motivazione non è un costrutto semplice, pertanto sono state prodotte innumerevoli teorie in psicologia e lo stato motivazione può essere analizzato secondo livelli di complessità diversi.

Per semplificare estremamente mi limiterò solo ad esplicitare la distinzione tra motivazione primaria e secondaria e tra motivazione intrinseca ed estrinseca.

Le motivazioni primarie sono basilari per la sopravvivenza dell’individuo e sono dovute a meccanismi fisiologici, quelle secondarie non sono legate a dimensioni biologiche ma a dei meccanismi psicologici.

La motivazione intrinseca è determinata da cause interne e la motivazione estrinseca da cause esterne.

Per cause esterne si intendono fattori esterni all’individuo pensiamo per esempio alle ricompense, ai premi, ai fattori sociali, comunque dipendenti dall’ambiente.

Per cause interne ci riferiamo ai bisogni dell’individuo come i desideri, le passioni, i piaceri.

Perché è fondamentale avere motivazione?

Se la motivazione è il carburante della nostra vita, se è la spinta propulsiva all’azione capiamo che perderla ha un effetto bloccante sul nostro agire quotidiano.

Se sei motivato impiegherai più energie, affronterai i tuoi impegni che siano scolastici o lavorativi con grinta e determinazione.

A tutti può però succedere di avere una battuta d’arresto, passare un periodo pesante, sentirsi svuotati e passare situazioni difficili.

La stanchezza e lo stress incidono fortemente sul nostro livello di motivazione.

Come ritrovare la motivazione?

Con un percorso di terapia breve e anche con una sola seduta con ad esempio la Terapia a Seduta Singola si può lavorare per ricostruire un atteggiamento positivo, imparare ad abbandonare o modificare quegli atteggiamenti che vengono messi in atto inconsapevolmente e che stanno portando ad una situazione di stallo.

E’ possibile ristrutturare i nostri pensieri e rimodulare gli obiettivi e gestire diversamente l’ansia, la preoccupazione e la stanchezza ponendo attenzione sulle proprie risorse con un nuovo mindset.

Vorresti lavorare sulla motivazione? Ti trovi in un momento difficile in cui hai la sensazione di essere imprigionato? La tua performance e il tuo rendimento non sono quelli che vorresti avere o che hai sempre avuto? Vuoi ottenere un cambiamento?

Chiedi aiuto a One Session.

One Session è il nostro servizio di ascolto psicologico attivo il martedì dalle 18.00 alle 20.00,

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Pensieri ossessivi: come liberarsene?

I pensieri ossessivi sono pensieri ricorrenti, rimuginii continui, frequenti ed invasivi.

Hai presente quando ti dicono: smettila di pensarci, rischi di farla diventare un’ossessione?

Ecco. Non siamo molto lontani dalla realtà di chi, come te, si è accorto di avere pensieri costanti che invadono la mente e la occupano per un tempo decisamente eccessivo.

Si tratta di pensieri ossessivi e se accompagnati anche da compulsioni, potrebbero far parte di un quadro più ampio di DOC, un Disturbo ossessivo compulsivo!

Di che stiamo parlando esattamente?

 Ti spiego un po’ meglio quello a cui mi sto riferendo, senza che i spaventi e inizia a pensare che il tuo rimuginare continuo sia a tutti gli effetti un’ossessione.

Ce ne essa di acqua sotto di ponti, però è bene conoscere la differenza.

Il pensiero ossessivo viene definito come “l’irrefrenabile bisogno di mettere in atto pensieri in modo ripetitivo e ritualizzato, sovrastando ogni altra attività” (Nardone, 2013)

Le ossessioni sono pensieri o immagini ripetuti e costanti che invadono la mente e che percepisci come intrusive e fastidiose ma cui non sei in grado di resistere. Ci pensi costantemente, occupando la maggior parte del tuo tempo (paura dello sporco, fare del male agli altri, l’ordine, paura della morte…)

Ciò a cui devi fare attenzione è che ciò che distingue un semplice rimugino da un pensiero ossessivo è il fatto che invalida il tuo funzionamento negli ambiti di vita, occupando tutto il tuo tempo. Sono immagini intrusive e cicliche a cui se rispondi non riesci a sottrarti.

Cosa fai per risolvere il problema?

  1. Eviti ciò che ti spaventa: evitare la paura non la risolverà; al contrario incrementerà la tua convinzione di non essere in grado di superare quell’ostacolo. Più eviti e più eviterai.
  2. Cerchi rassicurazioni: chiedi aiuto a chi ti sta vicino perché da solo non pensi di farcela oppure ti lamenti di ciò che non va con chi ti sta intorno. Eppure anche in questo caso, sono sicura che il chiedere aiuto e rassicurazione non ha funzionato. Sbaglio?
  3. Rispondi al pensiero: rispondi a pensieri che non hanno risposta, ma un infinità di risposte possibili. Scateni così un circolo vizioso in cui rimani intrappolato.

Cosa puoi fare di diverso?

  • Frena le richieste di aiuto!

Ogni volta che chiedi aiuto confermi a te stesso da un lato che sei circondato da persone che ti vogliono bene, dall’altro  di non essere in grado di farcela, che non sei capace e il tuo senso di efficacia diminuisce.

Pensa che ogni volta che chiedi aiuto ricevi questo duplice messaggio.

  • Basta evitare: più eviti e più confermi a te stesso la pericolosità della situazione e di non essere in grado di affrontarla.

So che smettere da un giorno all’altro di evitare certe cose sembra impossibile, ma il consiglio è questo: comincia dalla cosa più piccola, facendo il primo piccolo passo.

  • Schiocca le dita: ogni volta che senti arrivare il pensiero, anziché dargli corda, schiocca le dita e grida a gran voce il tuo nome accompagnato dal “torna qui” – Beatrice, torna qui- Riporta la tua mente al qui e ora, lasciando andare il pensiero intrusivo.

Ci vorrà un po’ affinché tu abbia successo perché rimuginare per te è diventata un abitudine.

Non puoi smettere di pensare, ma puoi smettere di rimuginare, schioccando le dita.

Ti faranno male le dita all’inizio e soprattutto lo farai più volte del necessario perché il pensiero sarà li pronto a tormentarti. Inoltre spesso capiterà che te lo dimentichi; non importa, fallo appena riesci.

Pensi di non farcela?

Puoi ottenere un aiuto immediato, concreto e duraturo, rivolgendoti a One Session!
Ti forniremo strumenti pratici e utilizzabili fin da subito per uscire da questa difficile situazione con le tue stesse risorse!

Ci trovi ogni martedì dalle 18.00 alle 20.00. Prendi appuntamento scrivendo a info@onesession.it o contattandoci sulle nostre pagine Facebook e Instagram

 

Riferimenti bibliografici

Bartoletti, A (2019). Pensieri Brutti e Cattivi. Ossessioni tabù: come superarli. Francoangeli.

Nardone, G. Portelli, C. (2013). Ossessioni, Compulsioni, Mani. Capirle e sconfiggerle in tempi brevi. Ponte delle grazie.

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Conflitti a lavoro? Collaborazione come strategia vincente.

Pensando al conflitto, l’immagine che ho avuto è stata il fungo atomico ad Hiroshima e Nagasaki.

Il mondo del lavoro può essere un campo di battaglia, con un effetto distruttivo, causato da un bombardamento, in questo caso emotivo, di rabbia e frustrazione.

Emozioni che montano sempre più nelle persone, che tra l’altro non si sono scelte e debbono convivere sotto lo stesso tetto lavorativo.

Una condivisione psicofisica che richiede energie non indifferenti, in uno spazio in cui regna spesso la competizione più che la collaborazione.

Affrontare discussioni

Affrontare una discussione genera molta tensione, ansia e paura di trovarsi di fronte a divergenze di opinioni.

Inoltre la conflittualità è valutata in modo negativo (non solo in ambito lavorativo), tanto da danneggiare spesso chi la attiva.

Per questi motivi difficilmente ci si espone nel manifestare conflitti e intavolare discussioni.

“La nostra mente evita di confrontarsi con ciò che ci minaccia. Il problema è che, facendo gli struzzi e non affrontando i problemi, si rischia di ingigantirli a dismisura dentro la nostra testa” (Rampin M. 2018).

In sostanza, tranne in pochi casi di pura ingiustizia o particolari patologie mentali, un conflitto nasce principalmente quando sorgono differenze e si ha difficoltà ad accordarsi. La mancanza di flessibilità e collaborazione diventa una delle cause dei conflitti relazionali e interiori.

A scapito della professionalità, si procrastina un confronto maturo, che offre possibili risoluzioni dei problemi e la prevenzione delle conseguenze del disaccordo.

Eppure i conflitti sono parte della vita, ed imparare ad affrontarli è necessario.

I conflitti sul lavoro

Quando il luogo di lavoro diventa costellato di conflittualità, si trasforma in un ambiente scomodo e disagiato. Uno spazio sociale in cui i conflitti interpersonali possono essere vissuti attaccando in modo evidente, o subdolamente, oppure in silenzio, sopportando e covando.

Entrambi i casi sono accompagnati da diffidenza, sguardi inaspriti od evitanti, pensieri frustranti, rimuginii, ansia e insoddisfazione, che spesso rimangono ancoràti nelle maglie emotive delle persone, tanto da essere portati anche a casa e permanere a lungo come effetti indesiderati.

Le conseguenze più comuni sono la riduzione della produttività, della qualità del lavoro e del benessere personale, con un aumento dello stress e del barn out.

Le manifestazioni psicofisiche e comportamentali che ne derivano, sono diverse e a vari livelli. Ad esempio:

  1. minore attenzione e concentrazione
  2. aumento del sospetto e di emozioni negative
  3. impazienza e inquietudine
  4. somatizzazioni: emicrania, mal di schiena, alterazione del sistema digestivo e del ritmo sonno-veglia
  5. isolamento, rottura dei rapporti ostili, abuso di ansiolitici e sostanze (cibo, alcol …)

Superare i conflitti

È possibile prevenire e trasformare un conflitto, in una condizione funzionale e utile?

Si, attivando la collaborazione e strategie per favorirla.

La Oxford Languages descrive il conflitto così: “contesa rimessa alla sorte delle armi, guerra; urto, contrasto, opposizione”.

Se il concetto di guerra lo abbiamo visto, è importante soffermarci un momento sulla parola opposizione, la quale non implica necessariamente incompatibilità.

Basti pensare alla capacità dei poli + e – di attrarsi e condividere spazi in equilibrio.

Ebbene, anche da differenti personalità, possono nascere condivisione e sinergia, dando vita a confronti ed opportunità, anche piccoli ma significativi.

Il “con-fronto” per definizione implica che ci si ponga uno difronte all’altro, in posizione opposta. Si può scegliere se attaccarsi o se cercare la risorsa per poter lavorare assieme, in un ambiente più favorevole per tutti.

Come si può agire la Collaborazione?

Alcuni suggerimenti.

  •  Focalizzate l’attenzione sulla persona e non sul problema relazionale.

Anche l’altro vive il conflitto e probabilmente è stanco quanto voi di questa situazione, ma forse non sa da dove partire per migliorarla. Ascoltatelo, potrebbe dire cose interessanti.

Nel confronto rimanete ancorati all’obiettivo di lavoro/argomento di cui vi state occupando, senza andare sul personale.

L’attacco alla persona genera solo muri di difesa, tensioni e rigidità sulle proprie convinzioni. E se l’altro lo fa con voi, allora in modo assertivo, fatelo presente.

  •  Abbiate perciò chiaro l’obiettivo.

Voglio “con-frontarmi” o prevalere sull’altro? Per risolvere un problema, è essenziale ascoltare l’altro e il suo punto di vista.

L’ascolto permette di focalizzarsi su ciò che dice, non dice e come lo dice. Se le emozioni sono “hot”, fermatevi. Prendetevi un momento.

  •  Dunque usate una comunicazione efficace ed empatica, e create un clima positivo.

Lasciate andare le provocazioni. Usate parole ben pesate, un tono di voce e un ritmo pacato, perché favoriscono il clima sereno, senza mai alzare l’indice come una spada da sguainare.

Partite con dei commenti positivi e con ciò che vi accomuna, per poi confrontarvi su ciò che vi differenzia. A volte l’autoironia spegne dardi infuocati, ma è bene evitare il cinismo.

Non lamentatevi e non parlate male di altri, rimanete sui fatti.

Abbiate un sincero interesse nella sua opinione, e fiducia che dal confronto potreste raggiungere un accordo comune, tale da favorire la collaborazione ed entrare in sinergia di idee e risorse.

Proponete una soluzione da rivedere assieme, ma non scegliete mai per l’altro.

  •  Valorizzate abilità e talenti di ognuno.
  •  Fate autocritica, per riconoscere cosa ostacola in voi la cooperazione.

In conclusione

Ricordate che essere differenti non significa essere per forza oppositivi e incompatibili, ma che si può scegliere di essere collaborativi.

Essere collaborativi, per creare un ambiente professionale più vivibile, aumentare e mantenere il proprio benessere e raggiungere obiettivi, non significa diventare amici.

È naturale che non ci piacciano tutti.

Ma certamente crescere nella capacità di collaborare, di gestire i conflitti e affrontare una discussione, significa fare un salto di qualità personale che si rifletterà in tutte le relazioni.

 

Se stai vivendo una situazione di conflittualità a lavoro, e vuoi ottenere un aiuto immediato, concreto e duraturo, chiedi aiuto a One Session!
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Riferimenti bibliografici

Funes C. (2014), Come gestire i conflitti. Risolvere i contrasti al lavoro per migliorare la produttività. Ed. De Vecchi, Milano

Rampin M., Mattiolo G. (2018), Con occhi di tigre, Ed. Sperling & Kupfer, Milano

Hollweck I. (2016), Conflict coaching: Allenarsi ad affrontare i conflitti di tutti i giorni con maggiore fiducia, Ed. Franco Angeli, Milano

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5 suggerimenti per superare la paura dell’abbandono

La paura dell’abbandono, come tutti i sentimenti, si presenta in modo diverso da persona a persona.

Per alcune persone il timore di essere abbandonate si manifesta come una costante in tutte le relazioni intime o nella maggior parte di esse.

Chi ne soffre sa che si “innesca” dopo determinate situazioni: una telefonata promessa dal partner ma che tarda ad arrivare o quando viene in mente un pensiero particolarmente negativo, per esempio: “Cosa farei se questa storia finisse?”.

La paura dell’abbandono è di solito associata alla sensazione che le persone importanti siano instabili o non affidabili.

Per questo motivo non continueranno nel tempo a offrire sostegno, supporto, presenza e affetto, abbandonando la persona o addirittura “sostituendola” con qualcun altro “migliore” di lei.

Tale vissuto è associato all’incapacità di poter prendere in considerazione la possibilità che le relazioni possano finire, che l’altro possa allontanarsi, o addirittura lasciarci.

Così, ogni comportamento della persona sarà orientato al mantenimento della relazione, magari nella convinzione che questo significhi “amare”.

Oggi, in questo articolo voglio darvi 5 suggerimenti da mettere in atto fin da subito per imparare a gestire e superare la paura dell’abbandono.

SUGGERIMENTO 1: Riconosci e accetta le tue paure

Le paure non sono sempre qualcosa di negativo, ci aiutano a stare all’erta nei problemi di difficoltà. Studiare, comprendere e accettare le nostre paure è il primo passo per elaborarle e superarle.

Ricordati che in natura il coraggio non esiste. Ma esiste la paura.

La paura che, se guarda in faccia e affrontata, diventa coraggio. Hai mai sentito un eroe che, senza combattere alcuna battaglia è stato definito coraggio?

SUGGERIMENTO 2 – Agire nel presente affinché certe modalità relazionali non si riattivino costantemente

Quindi, fare qualcosa per cambiare e modificare concretamente il tuo agire, soprattutto nelle relazioni. Questo implica il rendersi conto, nella quotidianità, delle dinamiche che si attivano. Serve fare un passo indietro per farne uno in avanti. Qualcosa di alternativo a ciò che, automaticamente, hai la tendenza a mettere in atto.

Chiediti: quali sono le cose che sto mettendo in atto e che anziché risolvere la mia paura dell’abbandono, la stanno mantenendo in vita o addirittura peggiorando?

Ad esempio, in una situazione nella quale il partner sta tardando ad un appuntamento senza avvisare, potrebbe essere utile allenarsi a riconoscere i propri pensieri e le proprie emozioni che ne derivano.

Si può poi scegliere di adottare comportamenti che siano più funzionali per sé (e forse per la relazione stessa). Chiediti sempre: cosa potrei fare di diverso e più funzionale?

SUGGERIMENTO 3 – Esporti, gradualmente, alle situazioni e alle sensazioni che temi di più

Talvolta il timore dell’allontanamento dell’altro è legato anche al timore di non potercela cavare da soli. Può quindi essere utile fare esperienze da sola che ti permettano di sentirti più competente e autonoma. Che incrementino il tuo senso di efficacia personale.

SUGGERIMENTO 4 – Conoscerti davvero

Se nella tua storia relazionale hai avuto spesso la tendenza ad annullarti per allinearti a quelli che erano i desideri degli altri, è importante imparare a conoscerti davvero. Serve riscoprirsi: chi sono io oggi? cosa mi piace davvero? di cosa ho bisogno? cosa non mi piace? Parti dalle piccole cose.

SUGGERIMENTO 5 – Prenditi cura di te

Riconosciti come una persona meravigliosa e meritevole di essere amata. Non inseguire chi non è disponibile o scappa. Le vere relazioni si creano a partire da persone che vogliono partecipare alla relazione perché vogliono conoscerti. Molto spesso chi fugge ha problemi a vivere le relazioni o non è interessato e pertanto meglio lasciarlo andare via senza rimpianti o paranoie.

Tutti questi suggerimenti, consentendoci di vedere meglio noi stessi (e l’altro) per quel che davvero si è, diventano importanti per poter sperimentare una relazione che sia veramente appagante e soddisfacente.

Non è facile sperimentarsi in modalità così diverse da quelle cui siamo abituati. E non è facile tollerare le emozioni che questo comporta. Ma è possibile farlo a piccoli passi.

La terapia a seduta singola può essere un utile mezzo per incrementare la consapevolezza di certe dinamiche, per dare loro un significato ed anche in un singolo incontro si possono trovare strategie efficaci per mettere a tacere la tua paura dell’abbandono. Aiuta a contenere le esperienze emotive dolorose che le accompagnano e sperimentarsi in nuove modalità, nonostante la comprensibile paura, in tempi brevi.

Ti ricordo che ogni martedì dalle 18.00 alle 20.00 gli Psicologi del One Session Center sono al tuo servizio online e gratuitamente.

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Riferimenti bibliografici

Cabras E., Saladino V. (2019). La dipendenza affettiva. Testimonianze e casi di manipolazione e violenza. Roma: Carocci Editore.

Secci E.M. (2015). I narcisisti perversi e le unioni impossibili. Youcanprint Self-Publishing

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3 anni ago Altro

Insonnia: 3 consigli per superarla

Di insonnia soffre una grande fetta di Italiani. Secondo uno studio condotto nel 2019 un italiano su 7 dorme male, e 3 su 10 dormono poco.

Quando parliamo d’insonnia?

Secondo il DSM 5 (Manuale Diagnostico e Statistico per i Disturbi Mentali), l’insonnia è caratterizzata da una soggettiva insoddisfazione rispetto la quantità o qualità del sonno.

L’insonnia può riguardare diverse fasi del ciclo del sonno. Si può avere un insonnia iniziale, con difficoltà all’addormentamento. Altri soffrono di insonnia centrale, cioè la difficoltà a mantenere il sonno. Altri ancora vengono disturbati dall’insonnia tardiva, che si manifesta con risveglio precoce e incapacità di riaddormentarsi.

Quali sono le conseguenze dell’insonnia?

Una cattiva qualità e quantità del sonno produce inevitabilmente una serie di conseguenze nella quotidianità della persona.

Chi soffre di insonnia avrà frequenti preoccupazioni rispetto relative al proprio sonno, che generalmente aumentano nelle ore serali. La persona ha paura di passare un’ulteriore notte in bianco e questo pensiero sarà fonte di ansia e stress.

La scarsa qualità e quantità del sonno, inoltre, renderà chi soffre di insonnia piuttosto irritabile. Ecco che quindi ne risentiranno anche i rapporti interpersonali, oltre che la propria soddisfazione personale.

Un’altra conseguenza dell’insonnia si potrebbe verificare anche a livello fisico. Forti mal di testa, sintomi gastrointestinali e formicolii tengono frequentemente compagnia a chi dorme male.

Ultimo ma non ultimo, le capacità attentive e di concentrazione si riducono. Questo avrà un effetto negativo sul rendimento delle varie aree di vita della persona.

Perché per quanto mi sforzo l’insonnia non mi abbandona?

Chi soffre di insonnia generalmente mette in atto una serie di tentativi per riuscire a dormire, che purtroppo spesso si rivelano controproducenti. Il fatto di non ottenere risultati attraverso questi tentativi, poi, aumenta il senso di frustrazione e stress.

Il primo tentativo è quello di sforzarsi di addormentarsi. Peccato che però il sonno sia un’attività spontanea che prescinde dalla nostra volontà. Cercare di rendere volontario un gesto che è spontaneo non farà altro che togliere spontaneità all’addormentamento. I nostri tentativi non faranno altro che rendere sempre più difficile addormentarsi.

Un altro tentativo controproducente è quello di rimanere a letto pur non avendo sonno, anche quando ormai si è svegli. L’errore di questo tentativo sta nel fatto che, reiterando questo comportamento, il nostro cervello non sarà più abituato ad associare il letto alla sola attività del dormire. A lungo andare quindi verrà sovvertita l’associazione letto – sonno. Il letto, per il nostro cervello, diventerà luogo di svolgimento di diverse attività, come il leggere o guardare film.

3 consigli per superare l’insonnia

Partendo dai tentativi controproducenti spiegati poco sopra, vediamo quali possono essere 3 buone abitudini per riuscire ad alzare la propria qualità e quantità di sonno.

  1. Coricati a letto solo quando senti sonno. Riprendi ad utilizzare il letto solo per il dormire. Questo aiuterà il tuo cervello a ricostruire il collegamento tra il luogo letto e l’attività dormire.
  2. Se non riesci ad addormentarti, non rimanere a letto. Sappiamo che sei stanco, che dormire è una necessità, che non ne puoi più delle notti insonni. Ma rimanere a letto anche quando non riesci a dormire non ti aiuterà. Ti può aiutare, invece, spostarti in un altro luogo della casa e dedicarti ad un’altra attività, come la lettura. Finché non senti che il sonno sta tornando. Quello è il momento per tornare a letto. Ma se, una volta tornato a letto ti rendi conto che ancora non riesci ad addormentarti, ripeti quanto appena fatto. Alzati, dedicati ad altro, e solo quando torna il sonno coricati.
  3. A prescindere da quanto hai dormito, mantieni la sveglia allo stesso orario. Non cercare di compensare il mancato sonno notturno ritardando la sveglia o con dei riposi durante il giorno. Questa compensazione in realtà non farà altro che ripercuotersi alla sera, quando difficilmente sarai in grado di addormentarti.

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In un solo colloquio aiutiamo le persone che si sentono bloccate in un problema che impedisce loro di vivere la vita che vorrebbero ad ottenere un risultato immediato e duraturo, fornendo strumenti pratici, concreti e utilizzabili fin da subito per farle uscire da questa situazione grazie alle loro stesse risorse.

Siamo attivi tutti i martedì dalle 18.00 alle 20.00.

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Riferimenti Bibliografici:

https://www.lostudiodellopsicologo.it/disturbi/soffrire-insonnia/ (consultato in data 05/11/2021)

https://www.iss.it/news/-/asset_publisher/gJ3hFqMQsykM/content/come-dormono-gli-italiani-uno-su-sette-dorme-male-e-tre-su-10-dormono-poco (consultato in data 05/11/2021)

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Sindrome da corridoio: 3 consigli per uscirne

Con “Sindrome da corridoio” ci riferiamo a quella condizione in cui le persone non riescono a tenere distinte situazione lavorativa e vita privata. Questo genera elevato stress in entrambi gli ambienti.

Perché il nome “Sindrome da corridoio”?

Il corridoio è la parte della casa dove le varie stanze si affacciano, dove avvengono gli scambi tra un ambiente e l’altro.

Metaforicamente, può accadere che si crei un corridoio tra vita privata e lavoro.

In questo corridoio, non vi sono argini o confini che mantengono separati i vari ambiti.

Il corridoio può crearsi a livello mentale, quando i problemi lavorativi ci accompagnano anche a casa e viceversa, autoalimentandosi.

Può essere anche un problema di spazi fisici. Abbiamo visto come con l’arrivo della pandemia da Covid-19 tanti lavoratori abbiamo intrapreso la strada dello smartworking, e stiano ancora continuando così.

Questo ha portato ad avere fisicamente l’ufficio in casa, facendosi spazio nelle proprie aree relax, o sul tavolo della cucina, quando non in camera da letto.

Il rimanere fisicamente nello stesso ambiente per tutte le attività che dobbiamo svolgere durante la giornata, alimenta la fatica a distinguere quando una problematica o un evento stressogeno appartiene alla categoria “vita personale” o alla categoria “lavoro”.

Quali sono le conseguenze della sindrome da corridoio?

La sindrome da corridoio ha diverse conseguenze, a livello fisico, familiare e lavorativo.

A livello lavorativo produce un calo della produttività. Il fatto di non sapersi concentrare sulla mansione da portare a termine in quel momento perché preoccupato per problematiche domestiche incide indubbiamente sulla qualità del lavoro. Lavoro che, se non verrà svolto in un certo modo, sarà causa di malumori che sicuramente verranno riportati all’interno della famiglia, andando ad alimentare un circolo vizioso.

A livello familiare si inaspriranno le discussioni e le incomprensioni. Aumenteranno i vissuti di rabbia e frustrazione. Trovandoci in un corridoio, questi vissuti incideranno senza dubbio anche sul lavoro, aggiungendo altra legna al fuoco rispetto alla frustrazione lavorativa.

Infine, non sono da sottovalutare le conseguenze fisiche. La forte tensione creata dal bagaglio emotivo che non si riesce più a gestire può infatti rendere più vulnerabili ad incidenti ed infortuni.

Prevenire la sindrome da corridoio

La sindrome da corridoio non è quindi una problematica da sottovalutare.

Oggi vogliamo fornirti 3 consigli per riuscire a prevenirla.

1. Metti dei paletti tra vita privata e lavoro.

Questa è la forma di prevenzione più efficace che puoi attuare. Ottimizza ambienti e orari lavorativi. Chiudi quindi le porte che si affacciano sul corridoio. Per esempio, una volta terminato l’orario di lavoro, spegni il telefono aziendale, non controllare le mail.

2. Dedicati quotidianamente del tempo.

Individua delle attività che ti piacciono e ti rilassano e assicurati di dedicarvi un po’ di tempo giornalmente. Ti può essere utile metterle in agenda, per obbligarti a farle e non farti soffocare dal lavoro. Ne trarrai vantaggio in tutte le sfere della tua vita.

3. Tieni un diario.

La scrittura ha un grande potere terapeutico e, soprattutto nelle situazioni di stress, è una valida alleata per abbassare i livelli di frustrazione. Prenditi una decina di minuti al giorno per scrivere i tuoi pensieri, le tue sensazioni, il tuo stato fisico.

Se senti che non riesci a distinguere sfera privata e lavorativa e che questa cosa non ti permette di vivere la tua vita in modo soddisfacente, chiedi aiuto a One Session.

Siamo attivi tutti i martedì dalle 18.00 alle 20.00 per aiutarti ad ottenere un cambiamento immediato e duraturo, fornendoti strumenti pratici, concreti e utilizzabili fin da subito per uscire grazie alle tue stesse risorse da questa situazione, anche dopo un unico incontro.

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Timidezza o introversione: qual è la differenza?

Timidezza ed introversione sono due termini che, nel parlare comune, sono spesso usati come sinonimi.

Questo accade perché, pur rappresentando due tendenze nettamente diverse, sono simili nei comportamenti espressi.

L’introversione si traduce spesso nel preferire la calma e le situazioni con pochi stimoli ambientali. La timidezza, invece, riguarda la paura del giudizio altrui e si manifesta come tendenza al parlare poco ed al preferire situazioni più intime e raccolte.

Qual è allora la differenza?

Introversione

Il termine introversione venne teorizzato, per la prima volta, da Jung negli anni ’20, in opposizione al termine estroversione, per identificare due tratti di personalità.

Semplificando molto, si può dire che gli estroversi sono solitamente socievoli e assertivi, mentre gli introversi più riservati e riflessivi.

Una delle funzioni peculiari di questa dicotomia è che, capire se sei estroverso o introverso, ti permette di capire anche come ti ricarichi, ossia come recuperi forza ed energia.

Infatti i tratti di personalità sono legati al benessere mentale ed influenzano il modo in cui facciamo fronte agli eventi stressanti.

Banalmente, un introverso ha bisogno dei suoi spazi e di ritagliarsi, appunto, dei momenti dedicati a sé.

Mentre un estroverso, invece, ha bisogno dell’aspetto sociale, quindi di passare del tempo con gli altri e fare esperienze di gruppo.

Contestualizzando questi dati con la situazione pandemica, è facile immaginare come persone estroverse abbiano avuto più difficoltà nell’adattarsi alle misure di distanziamento sociale. I caratteri introversi, al contrario, possono averne tratto maggior beneficio.

Questi dati sono confermati anche da una ricerca sull’impatto delle restrizioni, svolta su un gruppo di studenti dell’Università del Vermont a Burlington, negli Stati Uniti e pubblicata sulla rivista scientifica Plos One.

I tratti di personalità, introversione ed estroversione, hanno mostrato ripercussioni nettamente diverse sull’umore e sullo stress percepito dai soggetti.

Timidezza

La timidezza è una condizione in cui abbiamo paura del giudizio e dell’esposizione all’altro.

È qualcosa di circoscritto alla sola presenza delle altre persone e può diventare invalidante se non ci permette di comunicare efficacemente o di mettere in pratica quei comportamenti che, altrimenti, potremmo agire tranquillamente.

Spesso la timidezza si associa ad un forte senso di inadeguatezza sociale, ma non per questo va confusa con una bassa autostima, che riguarda l’opinione che si ha di sé stessi.

La letteratura a riguardo è concorde nell’affermare che la nostra timidezza nasce e si sviluppa in base alle esperienze che viviamo, anche se i fattori biologici e genetici possono rappresentare importanti fattori di rischio.

La timidezza è quindi una credenza, appresa e mantenuta dalle credenze che la persona ha riguardo sé stessa e gli altri.

Cosa significa tutto questo e come può aiutarti?

I tratti di personalità, come l’introversione, sono tendenzialmente più stabili nel tempo e, inoltre, essere un introverso non vuol dire aver paura degli altri, né provare qualche sorta di disagio.

Al contrario, la timidezza è qualcosa di connaturato ad eventi specifici e si associa ad un malessere importante, spesso anche invalidante.

Per questo è importante sapere che puoi imparare a non subire la tua timidezza, ovvero a non farti invalidare da pensieri limitanti e catastrofici.

Il primo passo è interrompere quelle che sono le principali tentate soluzioni disfunzionali del timido, ossia l’evitamento e il chiedere aiuto.

Sono soluzioni disfunzionali perché, anche se evitare la situazione che ti mette a disagio in un primo momento ti tranquillizza, poi ti conferma una tua credenza errata: ciò che vuoi fare è troppo difficile per te.

Chiedere aiuto, allo stesso modo, ti fa sentire al sicuro, ma ti lega anche all’aiuto ricevuto, dimostrandoti, una volta di più, che non puoi farcela da solo. Il paradosso dei paradossi: ciò che ti aiuta ti rende più debole.

Bloccare queste Tentate Soluzioni Disfunzionali è il primo passo per accettare la propria timidezza ed imparare a gestirla, senza esserne sopraffatti.

Tre stretegie per superare la timidezza

Per aiutarti a gestire la tua timidezza ti proponiamo tre strategie molto semplici da mettere in pratica nella tuo quotidianità.

La prima strategia riguarda l’accettazione: accettare la tua timidezza come qualcosa che fa parte di te.

Soprattutto perché continuare a negare, ignorandola, rischia di far montare una tensione interna che non puoi reprimere e che ti travolgerà.

La seconda strategia è quella di verbalizzare ciò che provi.

Come abbiamo detto, nascondere l’emozione rischia di farla aumentare sempre più.

Esprimere ciò che provi in quel momento, dicendo “sono molto emozionato” o “sono preoccupato”, farà uscire immediatamente questa tensione e ti permetterà di calmare istantaneamente il tuo stato d’ansia.

La terza strategia è quella di imparare a vivere la tua timidezza.

Un metodo molto valido è quello di esporti, ogni giorno, in maniera progressiva e controllata, ad una piccolissima situazione che ti genera imbarazzo e disagio.

E’ fondamentale che sia tu a sceglierla e che sia davvero piccola, così che tu possa mantenere il controllo della situazione, pur trovandoti a disagio.

Conclusioni

Timidezza ed introversione rappresentano due aspetti ben distinti, ma hanno una caratteristica comune: essere introverso o essere timido non è MAI sbagliato!

Dato che i tratti di personalità sono tendenzialmente stabili nel tempo, si può cercare di agire sulla tua timidezza, ma solo se questa ti fa stare male e ti fa soffrire.

Se la tua timidezza non ti crea problemi o se il tuo essere riservato ti piace, non c’è alcun motivo per cui tu non possa goderti il tuo spazio ed i tuoi momenti di serenità personale.

Se hai bisogno di un aiuto concreto, i terapeuti del One Session Center sono a tua disposizione per una Consulenza Psicologica a Seduta Singola totalmente Gratuita, ogni martedì dalle 18:00 alle 20:00.

Per maggiori informazioni, puoi inviare una email a info@onesession.it o visitare le nostre pagine Facebook e Instagram.

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Come capisco se sono vittima di Gaslighting?

Cosa è il Gaslighting?

Dare un nome a qualcosa significa dare vita ad una realtà.

Il termine gaslighting, letteralmente illuminazione a gas, richiama alla memoria l’immagine del lavoratore che nell’800 girovagava per le strade con un’asta lunga con all’estremità una fiammella che dava luce alle strade e un’asta con un cono capovolto con cui spegneva le fiammelle dei lampioni alle prime luci dell’alba.

Una luce intensa e di lunga durata quella prodotta dal processo di combustione.

Una luce, la cui accensione e il cui spegnimento dipendevano da un uomo che gestiva il giorno e la notte.

Altrettanto intense e durature sono le caratteristiche del fenomeno psicologico che viene identificato con tale termine e che fa riferimento ad una classe di problemi al centro tra il mondo giuridico e quello della clinica psicologica.

Un fenomeno dipendente da un soggetto, il gaslighter, capace di avere il controllo sul complesso meccanismo psicologico di un altro individuo.

Cos’è di preciso il gaslighting?

Potremmo definirlo come una forma di abuso psicologico.

Una tecnica manipolatoria capace di soggiogare al proprio volere la volontà di qualcun altro, sia esso partner, familiare o persona legata da una relazione amicale, affettiva o lavorativa.

Una forma di violenza psicologica, subdola, lenta e sottile.

Un sopruso, spesso complesso da individuare, riconoscere e dimostrare.

Come si manifesta il gaslighting?

Attraverso la manipolazione mentale, con una modalità costante e infida.

La vittima, preda di raggiri e bugie, è portata a dubitare di tutto, di tutti e persino di se stessa spesso senza accorgersene e pertanto senza denunciare.

Un gioco di inganni capace di creare nella vittima una paralisi emotiva che la spinge a vedere una realtà distorta e a vivere un profondo senso di inadeguatezza e smarrimento.

La violenza psicologica ha come caratteristica principale quella di disorientare, portando la persona a credere a false informazioni e a dubitare così della propria memoria e della propria percezione.

Chi è il gaslighter?

La letteratura clinica ha provato a definire e spiegare il fenomeno, analizzandone caratteristiche e aspetti fondamentali.

Fenomeno, quello del gaslighting, che ha ispirato anche la letteratura cinematografica che ha raccontato nel tempo diverse storie di sopraffazione psicologica.

Tormento e potere nel film Gaslight (in italiano Angoscia) del 1946, ispirato all’omonima opera teatrale del 1938.

Racconta la storia di Paula, una donna che verrà portata alla pazzia dal marito capace di controllarla fino anche a manipolare i più piccoli dettagli della loro vita.

Sarà questa pellicola ad ispirare quelle successive, tra cui ricordiamo anche La ragazza del treno del 2016 che ha come protagonista Rachel, una donna a cui il marito ha minato le sicurezze spingendola a non fidarsi neanche di sé stessa.

Cosa ricava il manipolatore dal suo comportamento?

Scopo del gaslighter è quello di ottenere una serie di vantaggi di natura relazionale, materiale, economica che mirano al controllo totale sull’altro. Un desiderio di potere e ti affermazione della propria superiorità.

Si tratta di un disturbo psicologico che definisce una personalità patologica che va ad inserirsi in un quadro relazionale altrettanto patologico, difficile per la vittima da riconoscere e quindi da denunciare.

Il gaslighter riesce a demolire tutti i punti di vista e di riferimento della sua vittima. In che modo?

  •  svalutandone sentimenti, sensazioni e agiti;
  •  insinuando dubbi sul suo sistema valoriale, affettivo, emotivo;
  •  mettendo in dubbio i ricordi che la persona ha e sostituendoli con nuove credenze;
  •  isolando in maniera totale la persona dalle sue passioni, i sui interessi, le sue relazioni.

Questo metterà la vittima in condizione di non potersi confrontare con l’esterno e pertanto di non riconoscere come sbagliate o dannose determinate dinamiche relazionali.

Come in una caccia, la vittima diventa preda di chi se ne impadronisce seguendone tracce e movimenti. Si crea un incastro relazionale soffocante che porta la vittima a sperimentare uno stato di totale sudditanza psichica.

Per comprendere come si crea un rapporto così distruttivo, manipolatorio e invasivo dal punto di vista emotivo, psicologico ed esistenziale bisogna tenere conto della natura inquietante del gaslighting che è dato da una forte pulsione al possesso e al controllo da parte di chi lo esercita.

Come capire se si è vittima di gaslighting?

Il gaslighting è un processo lento.

Una goccia d’acqua che cade incessante da un lavandino malfunzionante.

Un processo perverso che si consuma giorno dopo giorno.

Una vera e propria tecnica di manipolazione mentale che distrugge l’autostima e consiste in:

  •  raccontare bugie in maniera convincente per destabilizzare la vittima e insinuare un dubbio costante;
  •  negare la realtà e affermarne una propria per portare la persona a dubitare dei fatti e delle proprie convinzioni;
  •  fare leva su ciò che si conosce dell’altro per entrare più facilmente nella sfera emotiva e sentimentale;
  •  mirare alla confusione per distruggere gli equilibri dell’altro;
  •  mettere le altre persone contro la vittima per fare in modo che questa non sappia più a chi rivolgersi o a chi credere;
  •  convincere gli altri che la vittima non è affidabile e quindi gli altri avranno dubbi circa le sue eventuali richieste di aiuto;
  •  convincere che tutti mentono e portare la persona a fidarsi solo del manipolatore.

Giunta al suo apice, la manipolazione diventerà cronica e porterà la vittima a vedere il suo abusatore come colui che potrà salvarla dalle bugie e dalla cattiveria del mondo esterno.

Quali sono le conseguenze del gaslighting per la vittima?

Le conseguenze sono diverse e possono portare la vittima a sentirsi in un costante stato confusionale, di stanchezza e di vergogna.

L’isolamento rappresenterà pertanto una via di fuga dalla realtà e una risposta al senso di inadeguatezza fisica ed emotiva.

Nei casi più gravi la via di fuga può essere anche rappresentata dalla messa in atto di azioni suicidiarie.

Paura e dipendenza rendono difficile la denuncia di tali condotte, spesso mascherate da atteggiamenti di attenzione e protezione.

Talvolta si arriva alla richiesta di aiuto per altri motivi (ansia, depressione, etc.) e quindi di fondamentale importanza sarà l’attenzione degli amici, familiari o del clinico per indirizzare la persona verso il reale problema.

Ogni Martedì dalle 18:00 alle 20:00 gli psicologi del team “One session” sono a tua disposizione per una sessione gratuita di consulenza psicologica a seduta singola di 30 Minuti.

Per maggiori informazioni, puoi inviare una email a info@onesession.it o visitare la nostra pagina FB OneSession.it

 

Riferimenti bibliografici

Filippini S. (2005). Relazioni perverse. La violenza psicologica nella coppia. Milano: Franco Angeli

Angeli F., Radice E.. (2009). Rose al veleno, stalking. Storie d’amore e d’odio. Milano: Bompiani

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Disfunzione erettile: perché può essere utile lo psicologo?

Che cosa è e come si manifesta la disfunzione erettile

Si definisce disfunzione erettile l’incapacità ricorrente di mantenere un’erezione adeguata fino al completamento del rapporto sessuale.

Secondo il DSM-5 (ovvero il Manuale Diagnostico Statistico dei Disturbi Mentali) per poter ipotizzare una disfunzione erettile, deve manifestarsi almeno una delle seguenti condizioni:

1. Marcata difficoltà nell’ottenere un’erezione durante l’attività sessuale

2. Marcata difficoltà nel mantenere un’erezione sino al completamento dell’attività sessuale

3. Marcata diminuzione della rigidità erettile.

Inoltre, sempre secondo il DSM-5, i sintomi devono essere presenti da almeno sei mesi e causare disagio clinicamente significativo nell’individuo.

Perché si possa parlare di disfunzione erettile, la problematica non deve essere attribuibile all’effetto di una sostanza/farmaco o ad un’altra condizione medica generale.

La problematica può essere permanente o acquisita. Si tratterà di un disturbo permanente se è comparso quando l’individuo ha iniziato ad essere sessualmente attivo, mentre sarà acquisito se sopraggiunto in seguito, dopo un periodo di attività sessuale normale.

Si tratta di un disturbo organico o psicologico? Ed in quali contesti si manifesta con maggiore frequenza?

Una delle prime cose che ci si chiede è se si tratta di un problema fisico o psicologico.

Purtroppo non esiste una risposta che vada bene per tutti! Ogni persona dovrebbe rivolgersi ad un professionista per valutare la propria situazione nel modo più appropriato.

Alcune volte potrebbe trattarsi di un problema fisico, altre volte potrebbe essere determinante la componente psicologica.

Esclusa la causa medica (es. miopatia cavernosa, malattia di Peyronie etc), la cosa migliore da fare sarebbe rivolgersi ad un professionista. Insieme si valuterà la situazione e si interverrà in ambito psicologico per risolvere il problema.

Molti uomini potrebbero esserne sorpresi, ma la disfunzione erettile può manifestarsi in contesti e momenti di vita differenti.

La problematica può manifestarsi sia in giovani alle prime esperienze sessuali, sia in uomini con una discreta esperienza alle spalle.

Allo stesso modo, può esserne colpito l’uomo che vive una relazione stabile e duratura, ma anche l’uomo che ha appena iniziato una nuova relazione.

In alcuni casi, quando il disturbo si manifesta già dall’inizio della relazione, le coppie cercano di gestirlo a “modo loro”, rinunciando a rapporti sessuali completi.

Perché è importante cercare di risolvere la situazione?

Nonostante sia una problematica più diffusa di quanto si pensi, sono tanti gli uomini che rinunciano ad affrontarla, sperando che questa si risolva magicamente un giorno o l’altro.

Un po’ per imbarazzo, un po’ per sfiducia nella possibilità di risolverla, spesso si tende a sottovalutare la disfunzione erettile, aumentando lo stress ed il disagio ad essa collegati.

In questo modo, però, il problema rischia di peggiorare ulteriormente, perché il pensiero di non essere all’altezza della situazione, unito alla paura di deludere la partner (o il partner!), rendono ancora più difficoltosa l’eccitazione.

Proprio la paura di deludere la partner, anche quando questa si dimostra comprensiva e disposta ad aiutare a risolvere il problema, può essere fonte di profonda frustrazione per l’uomo, che spesso sperimenta sentimenti di rabbia e delusione.

Anche negli uomini che non hanno un partner fisso la problematica può essere motivo di grande frustrazione, perché potrebbe portare l’individuo ad evitare di sperimentarsi in nuove relazioni per non doversi confrontare con il problema.

Se anche tu stai convivendo con una disfunzione erettile, e non vedi l’ora di sistemare la situazione per tornare (o iniziare) a vivere con serenità la tua sessualità, contattare uno psicologo potrebbe essere il primo passo.

Se credi sia arrivato il momento di fare qualcosa, ogni martedì dalle 18:00 alle 20:00 i terapeuti del team One Session si rendono disponibili per degli incontri online gratuiti. Contattaci inviando una email a info@onesession.it oppure visita la nostra pagina Facebook OneSession.it.

 

Riferimenti Bibliografici

American Psychiatric Association (2013). Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Fifth Edition, DSM-5. Arlington, VA. (Tr. it.: Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Quinta edizione, DSM-5. Raffaello Cortina Editore, Milano, 2014)

Cannistrà F., Piccirilli F. (2018), Terapia a Seduta Singola. Principi e pratiche. Giunti Psychometrics.

San Martin, C., Simonelli, C., Sønksen, J., & Patel, S. 2012. Perceptions and opinions of men and women on a man’s sexual confidence and its relationship to ED: results of the European Sexual Confidence Survey. International Journal of Impotence Research, 24, 234–241.

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Come far funzionare una dieta

Ok, lo ammetto. Ho scelto questo titolo perché sto cercando la risposta a questa domanda da tutta una vita. E non si tratta di disturbi alimentari patologici che tanto ci spaventano, ma di quella capacità costante di prendersi cura di noi stessi, alla ricerca di un equilibrio tra immagine sociale e immagine interiore che ci soddisfi.

Viviamo in un contesto sociale esigente. Uomini e donne sono chiamati a conformarsi alle attese collettive alimentate da riviste di moda, fashion blog, modelli e modelle perfetti come statue. Non greche però…perché quelle spesso avevano la pancetta.

D’altro canto, nell’epoca dell’abbondanza (di cibo) e della scarsità (di tempo) è fin troppo facile ripiegare su alimenti rapidi, subito pronti, carichi di zuccheri non necessari.

Alla velocità si aggiunge la convivialità. Gli italiani spesso, se non sempre, si ritrovano festosamente attorno ad una tavola fin troppo ricca.

Così la trappola è completa ed è un attimo vedere il girovita crescere e i pantaloni andare stretti.

Come far funzionare una dieta?

C’è chi parte in quarta. “Da lunedì dieta, e poi corsa 5 volte a settimana, esercizi al risveglio e sfida plank!”. Peccato che dopo una o due settimane, alla prima pioggia, al primo problema lavorativo o familiare, ci ritroviamo senza energie e i buoni propositi periscono miseramente.

C’è chi sceglie il fai da te, ci sono fantastiche App che aiutano a tenere traccia di cosa si mangia e fanno il conto delle calorie ingerite.

Anche qui il problema è portare avanti l’inserimento costante. Succede che siamo costretti ad andare ad una cena di lavoro, poi c’è il week end… ci diciamo “lasciamo stare il fine settimana, ricomincio la prossima…”

Mia nonna diceva sempre che “la strada dell’inferno è lastricata di buone intenzioni”. Nel mio caso, su questo tema, spesso è andata così.

Qual è la dieta giusta?

Se si digita su internet la parola dieta si trova ogni tipologia di proposta: paleo, zona, chetogenica, dissociata, mediterranea. Difficile capire qual è quella giusta e in effetti una risposta univoca non c’è.

Confesso: le ho provate quasi tutte e ho visitato valenti professionisti, biologi nutrizionisti e coach alimentari. In alcuni casi ho avuto qualche risultato, ma il punto non è questo.

Perché la parola dieta ha un significato preciso che non è privazione. Bensì significa “modo di vivere” e riguarda l’alimentazione l’esercizio fisico, il riposo. Si tratta quindi di un approccio che solo in parte coincide con l’alimentazione e che al contrario riguarda la persona nel suo complesso.

Ed eccoci dunque a come far funzionare una dieta intesa come modo di vivere.

Scomponiamo la parola DIETA

  • D come Determinazione – il desiderio di stare bene deve essere forgiato nella fucina della volontà, reso acciaio nella tensione verso l’obiettivo che ci siamo prefissati. Determinazione ed Esercizio vanno a braccetto e si alimentano vicendevolmente
  • I come Immaginazione – l’immaginazione serve per definire il nostro obiettivo. Una cosa che ho imparato bene è che un obiettivo ha mille sfaccettature e bisogna considerarle tutte. Qual è il significato di star bene? Cosa comprende? Tra le cose identificate quali sono quelle prioritarie? Come mi sentirò una volta raggiunto questo obiettivo?
  • E come Esercizio – la pratica è maestra. Ci insegna che tutto può essere appreso e che i grandi cambiamenti sono composti da piccole, talvolta piccolissime, azioni, reiterate e ripetute nel tempo. Coltiviamo quindi la pratica sfidandoci in piccole cose come bere il caffè senza zucchero, fare il saluto al sole, dedicarci 10 minuti per una camminata ad alta intensità.
  • T come Talento – siamo sicuri di conoscere i nostri punti di forza? Ci riconosciamo quali abilità, capacità e risorse abbiamo? Quali tra i nostri tanti talenti possiamo mettere al servizio dello star bene? Ad esempio siamo molto ben organizzati nel lavoro eppure non applichiamo questa abilità nel momento in cui facciamo la spesa.
  • A come Accettazione – quanto siamo tolleranti verso noi stessi? Non sempre riconosciamo i nostri sforzi e finiamo per essere i peggiori giudici di noi stessi. Un modo di vivere sano passa soprattutto attraverso l’amore verso noi stessi, accogliendoci in tutte le sfaccettature. Magari siamo stati bravi tutta la settimana e poi una sera ci sale un incredibile voglia di dolce e non c’è niente da fare, affondiamo il cucchiaino nella nutella di nostro figlio… piuttosto che biasimarci per questo chiediamoci come possiamo coccolarci in modo diverso, di cosa esattamente sentiamo la mancanza. Magari non si tratta di dolce.

In definitiva dovrei sostituire il titolo di questo articolo da “come far funzionare una dieta” a “come riequilibrare il mio modo di vivere”. Perché non si tratta di cibo, ma di volerci bene. E talvolta essere affiancati da uno psicologo aiuta ad accelerare questo processo.

Se senti il bisogno di un aiuto in più, ogni martedì dalle 18.00 alle 20.00, i terapeuti del nostro team One Session si rendono disponibili per degli incontri online gratuiti utilizzando la Terapia a Seduta Singola. Contattaci per maggiori inviando una email a info@onesession.it oppure visita la nostra pagina Fb OneSession.it.

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4 Consigli per far funzionare una relazione a distanza

Le relazioni a distanza funzionano?

Una canzone diceva: “La lontananza sai è come il vento, che fa dimenticare chi non s’ama”.

E’ vero, quando due persone che stanno insieme vivono separate da chilometri di distanza, il detto “lontano dagli occhi, lontano dal cuore” può trasformarsi in una realtà e la relazione può essere destinata a finire. 

Il periodo trascorso di quarantena ha messo a dura prove molte relazioni che sono state obbligate a rimanere a distanza per andare in contro alla normativa in atto. 

C’è chi è sopravvissuto alla mancanza e chi invece ha ceduto e ha deciso di mettere la parola fine. 

Cosa vuol dire vivere distanti da chi si ama?

A quanti di voi è capitato di trovarsi lontano dal proprio partner? 

Non parlo ovviamente di una separazione temporanea, ma chi per un motivo o per un altro, viveva in un posto diverso rispetto al proprio compagna/o. 

Questa condizione tanto temuta da alcuni non è in realtà la fine del mondo, nel senso che molte coppie sono riuscite a far funzionare la relazione nonostante la lontananza. 

Ogni relazione comporta delle riflessioni su come gestire il rapporto, su quante volte vedersi, sullo stare insieme e sull’organizzare il proprio tempo. 

A maggior ragione, se si parla di relazioni a distanza che sono uno scenario alquanto interessante. 

Infatti i partner non sono fisicamente disponibili “ al bisogno” e quindi l’organizzazione del tempo diventa più serrata e organizzata di quanto sarebbe nella quotidianità. 

Bisogna interfacciarsi con alcune problematiche: 

  • la modalità di comunicare è relegata a una sola: online. Non c’è modo di “ prendersi un caffè al volo per parlare”. Manca la fisicità dell’altro. 
  • La sfera sessuale è relegata a momenti ben precisi e può diventare preponderante in alcuni casi (per la mancanza e l’affetto) rispetto ai conflitti e/o bisogni della coppia.
  • Si vivono due vite diverse: i partner non condividono lo stesso ambiente sociale e si costruiscono un identità del tutto assestante in questo senso. Spesso sono soli negli eventi o si privano di altri proprio per poter stare insieme. Diventa difficile organizzare la vita sociale e riuscire a venire a patti con le proprie necessità, perché spesso si va incontro a un sacrifico che non sempre è ricambiato e/o compreso.
  • I conflitti, i problemi, la rabbia sono l’aspetto più difficoltoso da gestire a distanza: spesso si va incontro a fraintendimenti, lunghi silenzi e problemi tecnici di comunicazione. 

Cosa puoi fare se hai una relazione a distanza?

L’importante è riuscire a creare un identità comune di coppia, anche se la distanza ci mette lo zampino. 

I presupposti per una relazione funzionante sono gli stessi che per qualsiasi altra relazione, con la differenza che è richiesto un impegno maggiore dai partner poiché i problemi più semplici vengono spesso amplificati. 

1. Create una routine

Decidete quando sentirvi o vedervi. Stabilitelo con chiarezza, creando una routine che vi faccia sentire più vicino, più sicuri e non vi faccia cadere in frustrazione. 

2. Condividete

Solo perché lontano, il partner non deve essere escluso dalla vostra vita; al contrario, coinvolgetelo il più possibile, rendendolo partecipe di ciò che vi succede, di quello che pensate, sentite e fate. In questo modo non solo avrete sempre di che parlare, ma vi permetterà di costruire un intimità più profonda. 

3. Non lasciatevi rodere dai dubbi

E’ facile cadere preda di dubbi e domande poiché il partner non è “sotto il vostro controllo”; la distanza infatti non aumenta o diminuisce la fiducia che riponete in una persona. Se vi rendete conto che siete sospettosi, gelosi o preoccupati, probabilmente è perché non avete costruito delle valide fondamenta di fiducia in principio e/o perché il comportamento del partner è dubbio o poco chiaro. 

In questi casi la miglior strategia è la comunicazione. 

4. Non perdete di vista la vostra vita 

Come in ogni coppia che funzioni, oltre all’identità comune, è sempre importante costruirsi una propria identità con amici, attività, lavoro e quant’altro. 

Solo perché lontani, non rinunciate a ciò che vi piace e non perdete di vista i vostri obiettivi. Ne risentirà anche la relazione. 

Se ti rendi conto che hai bisogno di un sostegno in più, puoi decidere di intraprende un percorso psicologico: in questi casi la Terapia a Seduta Singola è utile per risolvere il problema anche in una sola seduta, definendo l’obiettivo, individuando le risorse e utilizzando strategie mirate per il problema in questione. 

In alternativa puoi usufruire del nostro centro di ascolto psicologico One Session Center che offre una consulenza gratuita di 30 minuti ogni martedì con uno dei nostri professionisti specializzati nella Terapia a Seduta Singola. Contattaci alla pagina Facebook OneSession.it.

 

Riferimenti bibliografici

Algeri, D., Guarasci, V., Lauri, S., (2019). La coppia strategica. EPC Editore

Nardone, G. (2018). Psicotrappole ovvero le sofferenze che ci costruiamo da soli: imparare a riconoscerle e a combatterle. Ponte alle Grazie

 

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Come prendere una decisione?

Ti sei mai chiesto come prendere una decisione?

Prendere decisioni è qualcosa che tutti fanno e hanno fatto nella vita, eppure questo non lo rende più facile.

C’è chi ha paura delle conseguenze.

Chi si trova a dover scegliere tra opzioni ugualmente positive o, peggio, ugualmente negative.

E infine c’è chi, dovendo prendere una decisione, si trova in una situazione talmente complessa da non riuscire a capire che cosa vuole davvero.

Le possibilità sono pressoché infinite.

Ma allora cosa possiamo fare? Come si può prendere una decisione?

Facciamo un po’ di chiarezza

La prima cosa da fare è distinguere tra decisioni difficili, decisioni critiche e decisioni complesse.

Le decisioni difficili sono quelle che, oltre ai ricercati risultati positivi, comportano anche delle conseguenze negative.

La difficoltà della scelta, in questo caso, è data proprio dalle emozioni suscitate da queste conseguenze indirette.

Le decisioni critiche sono, invece, quelle in cui ci si trova di fronte a diverse possibilità, tutte positive o negative, e la difficoltà consiste proprio nel capire quale sia la scelta più vantaggiosa, o, nel secondo caso, la meno svantaggiosa!

Infine le decisioni complesse sono quelle che comportano molteplici ragionamenti logici ed organizzativi.

In questi casi è proprio l’intricato processo del ragionamento che rischia di intrappolare la persona in un labirinto d’interrogativi, in cui ogni risposta porta una nuova domanda.

Quindi, cosa fare?

La prima cosa da fare è identificare ed evitare tutti quei comportamenti che, se in un primo momento sembrano aiutarci nel decidere, in realtà poi ci rinchiudono in un labirinto di dubbi e continue domande.

Per esempio, come abbiamo detto, quando ci si trova di fronte ad una decisione difficile, la difficoltà è data dalle conseguenze indirette della scelta e, in particolare, dalle emozioni che queste fanno emergere.

Uno degli errori più comuni, in questi casi, è il tentativo di controllare il processo decisionale, che porterà la persona a cercare di controllare anche gli eventi e le persone coinvolte, spesso in modo ossessivo.

Un tentativo che risulterà fallimentare perché si scontrerà, inevitabilmente, con l’oggettiva difficoltà di poter controllare tutto e tutti, portando la persona a cadere preda dei dubbi e dell’incertezza.

Diversamente, invece, di fronte ad una decisione critica, la difficoltà è quella di capire quale azione sia la più vantaggiosa tra i vari scenari positivi possibili.

In questi casi l’errore comune porta la persona a ripercorrere ripetutamente tutte le fasi del processo decisionale con il rischio innescare un circolo vizioso, in cui si ricontrolla compulsivamente ogni passaggio, senza mai arrivare a prendere una decisione.

Nell’ultimo caso, infine, di fronte ad una decisione complessa la difficoltà è data proprio dal districarsi nei ragionamenti logici.

In queste situazioni il soggetto è portato a ricercare continue spiegazioni e valutazioni oggettive, con il rischio di ritrovarsi invischiati in una compulsione mentale che genera continui dubbi sulla validità della decisione presa.

Il tentativo di controllo ossessivo, la revisione compulsiva ed il rimuginio continuo sono i tre comportamenti disfunzionali che rischiano di intrappolarci in un labirinto di domande e dubbi dal quale può essere difficile uscire.

Conclusioni

Identificare il tipo di decisione da prendere e le tentate soluzioni disfunzionali ti permetterà di gestire il processo decisionale in maniera più serena e ti eviterà di cadere nei tranelli tipici di queste situazioni.

Qualunque sia la tua scelta, infine, ricorda che nessuna è definitiva e che ci sarà sempre modo di modificare il tuo percorso di vita.

Ovviamente, se pensi di aver bisogno di un aiuto maggiore, puoi rivolgerti ad uno specialista o accedere al servizio del One Session Center, ogni martedì sera dalle 18:00 alle 20:00, contattandoci alla pagina facebook OneSession.it

Riferimenti bibliografici

Bohart, A. C. & Tallman, K. (1999). How Clients Make Therapy Work: The Process of Active Self-Healing. Washington, DC: American Psychological Association.

Nardone, G. (2014). La paura delle decisioni. Come costruire il coraggio di scegliere per sé e per gli altri. Milano: Ponte alle Grazie.

Nardone, G., De Santis, C. (2011). Cogito ergo soffro. Quando pensare troppo fa male. Milano: Ponte alle Grazie

Nardone G.(2014). La paura di decidere. Milano. Ponte alle Grazie

https://www.lostudiodellopsicologo.it/ossessioni/come-smettere-di-pensare-e-prendere-una-decisione/ (Consultato in data 09/09/2021)

https://www.lostudiodellopsicologo.it/ossessioni/quando-laltro-ha-gia-deciso-prendere-decisioni-importanti-a-fronte-delle-decisioni-altrui/ (Consultato in data 09/09/2021)

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