La Terapia a Seduta Singola per la paura degli aghi
Che cosa si intende per “belonefobia” o “paura degli aghi”?
La “paura” rappresenta di per sé un’emozione fondamentale per il nostro adattamento al contesto circostante.
Essa ci mette in allarme di fronte a un pericolo imminente ed aumenta la nostra capacità di farvi fronte.
Quando tuttavia una persona entra in uno stato di allarme nei confronti di una situazione reale o immaginata in modo limitante per la propria vita, la paura rischia di diventare una gabbia in cui si rimane intrappolati.
Non amare particolarmente la vista o la sensazione di venir trafitti da un ago è piuttosto comune.
Ciò non rappresenta di per sé un problema, se ci consente comunque di condurre la nostra vita senza limitazioni.
Se però questa paura diviene sproporzionata rispetto al rischio reale, al punto da non riuscire più a controllare questa emozione e a rimanerne bloccati, potremmo trovarci di fronte ad una fobia specifica.
La “belonefobia” ( dal greco “ago” e “paura”), per poter essere ritenuta tale deve essere sperimentata dalla persona in modo marcato e persistente per almeno 6 mesi di fronte ad una specifica situazione o oggetto e scatenare una reazione immediata di ansia e paura, che compromette la propria vita (DSM-5).
Questa fobia può riguardare ad esempio la vista degli aghi, la sensazione di esserne trafitti o anche l’avvicinarsi a contesti dove si possono trovare (ad es. studi medici, ospedali, negozi di tatuaggi…).
Quali sono le conseguenze?
Ogni persona vive la belonefobia in modo del tutto soggettivo.
Tra i sintomi fisici più frequenti, si possono riscontrare aumento del battito cardiaco, sudorazione improvvisa fino ad arrivare a nausea e svenimento di fronte agli aghi.
Altre persone sperimentano pensieri pervasivi di preoccupazione intensa, angoscia e reazioni di fuga.
Di fronte a questo limitante problema, ciascuno può quindi trovare il suo modo per poter ridurre al minimo questo disagio.
La soluzione maggiormente adottata per la belonefobia è l’evitamento di tutte quelle situazioni che possono mettere a rischio di entrare a contatto con gli aghi.
Questo si può esprimere ad esempio con la scelta di non sottoporsi a indagini, controlli e terapie mediche (come le analisi del sangue o andare dal dentista) arrivando anche a rifiutare interventi e ricoveri necessari per la propria salute.
Uno studio recente nel Regno Unito ha riscontrato ad esempio che nella popolazione adulta oggetto dello studio, la belonefobia potrebbe spiegare circa il 10% dei casi di esitazione al vaccino COVID-19 (Freeman D. et al (2021).
Un’altra modalità adottata per provare a gestire da soli la belonefobia è condividere con amici e parenti i propri vissuti.
Paradossalmente, parlare in continuazione del problema non fa che ingigantirlo ed amplificarne le conseguenze negative.
Anche pensare ripetutamente all’evento stressante in solitudine rischia di farci affondare nelle sabbie mobili della paura ancora di più.
Come può aiutarti la Terapia a Seduta Singola ad affrontare la paura degli aghi?
Se leggendo questo articolo hai pensato “ehi, ma anche a me succede! Sono proprio io!” sappi che la Terapia a Seduta Singola può risultare efficace nella risoluzione della belonefobia.
Fin dalla prima seduta lo psicologo esplorerà con te il tuo problema, cercando di identificare in quali circostanze specifiche e con quali modalità peculiari si presenta.
Lo psicologo potrà poi aiutarti ad individuare e sperimentare delle strategie alternative per fronteggiarlo.
A diverse persone può risultare funzionale iniziare ad esporsi in maniera graduale alla propria paura.
L’uso di immagini, video o prove sul campo può aiutare ad abbassare il livello di ansia e ad aumentare la propria capacità di sentirsi a proprio agio nel contesto inizialmente evitato.
Se hai trovato un modo efficace per vincere la tua belonefobia e hai voglia di condividerla con noi, raccontaci la tua esperienza nei commenti.
Ricordati inoltre che se preferisci affrontare la tua paura degli aghi con uno specialista, il team di psicologi di “One session” ti offre la possibilità di una sessione gratuita di consulenza psicologica a seduta singola della durata di 30 minuti, ogni Martedì dalle 18:00 alle 20:00.
Per prenotare, puoi inviare una email a info@onesession.it o contattarci sulla nostra pagina FB OneSession.it
Riferimenti bibliografici
Freeman D. et al (2021). Injection fears and COVID-19 vaccine hesitancy. Psychological Medicine 1–11.
McLenon J., Rogers M. (2019). The fear of needles: A systematic review and meta-analysis. Journal of Advanced Nursing 2019, 75 (1): 30-42. 301
Nardone, G. (2000). Oltre i limiti della paura. Milano: BUR Rizzoli.
Sono una Psicologa iscritta all’Albo A degli Psicologi del Lazio e all’Istituto ICNOS: Scuola di Psicoterapie Brevi Sistemico-Strategiche.
Nel mio lavoro integro le mie competenze multidisciplinari per offrire ai miei clienti soluzioni personalizzate ed aiutarli a raggiungere i propri obiettivi in tempi brevi. Utilizzo la TSS per ottenere il massimo da ogni singolo incontro.
Come migliorare le relazioni sociali
L’importanza delle relazioni sociali
In psicologia il bisogno è la percezione della mancanza totale o parziale di uno o più elementi che costituiscono il benessere della propria persona.
Può la relazione con gli altri essere considerato un bisogno imprescindibile?
Tra il 1943 e il 1954 lo psicologo statunitense Abraham Maslow concepì il concetto di “Hierarchy of Needs” (gerarchia dei bisogni o necessità) e la divulgò nel libro Motivation and Personality del 1954.
Questa scala di bisogni è suddivisa in cinque differenti livelli, dai più elementari (necessari alla sopravvivenza dell’individuo) ai più complessi (di carattere sociale). L’individuo si realizza passando per i vari stadi, i quali devono essere soddisfatti in modo progressivo.
Questa scala è internazionalmente conosciuta come “piramide di Maslow”.
Partendo da questi presupposti riflettiamo sul pensiero di Aristotele.
Il filosofo greco (IV secolo A.C.) sostenne che l’uomo è un animale sociale poiché tende a formare e stare con gruppi di individui.
Dunque se il bisogno è esclusività per l’uomo e quindi anche la sua socialità, possiamo considerare questa come un bisogno primario dell’uomo che per necessità differenti la utilizza per il suo benessere psicologico.
Strategie per migliorare le relazioni sociali
E’ possibile allenare le relazioni sociali?
Ogni comportamento può essere migliorato attraverso la messa in atto di strategie che possono favorire il legame con l’altro.
Siamo immersi in ambienti differenti e ci comportiamo con le persone in modo diverso a seconda del ruolo, gerarchia, legame che instauriamo con gli altri.
Molte variabili intercorrono per promuovere la nostra socialità, dagli aspetti culturali, l’educazione, dalle nostre emozioni e temperamento.
Ognuno di noi porta con sé delle risorse, dobbiamo scoprirle ed utilizzarle al meglio.
Il nostro atteggiamento deve essere curioso ed aperto all’altro.
Ascoltiamo in modo attento ed interessiamoci all’altro modulando in modo corretto le interazioni comunicative.
Essere gentili ed accoglienti aiuta a creare un buon clima di fiducia.
Più il linguaggio è diretto e privo di contraddizioni meglio verranno recepiti i messaggi che si vogliono trasmettere.
Essere empatici aiuta a comprendere i bisogni dell’altro ed accettare le critiche costruttive può migliorare la nostra percezione e dunque il porsi in relazione all’altro.
Uscire dal proprio egocentrismo e prevedere più punti di vista aiuta ad essere flessibili e dunque a saperci adattare con persone diverse che hanno pensieri differenti.
“L’altro” può essere una risorsa e un arricchimento per noi stessi e per noi in relazione a lui. Il confronto è strumento principe per entrare in contatto e scambiare idee, opinioni e riflessioni.
Benefici di buone relazioni
Avere una buona rete di relazioni sociali permette di poter esplorare altri stili di vita e questa conoscenza arricchisce i nostri comportamenti.
Creare situazioni nuove di apprendimento sociale aiuta ad ampliare le nostre vedute e ci consente di rimodularci ogni volta con l’altro trovando equilibri diversi.
Esplorare ambienti, ci permette di fare esperienze nuove che ci possono immettere in un nuovo processo di conoscenza di noi stessi.
L’altro e la relazione con lui può aiutarci a conoscere meglio noi stessi, riconoscere le nostre mancanze e colmarle grazie alle scoperte che le relazioni sociali ci offrono.
Essere liberi da ogni forma di pregiudizio o credenza sia su noi stessi che sugli altri aiuta a essere più sereni ad aperti nella relazione e nella ricerca di relazioni.
Essere predisposti al cambiamento è la formula vincente per apprendere dalle relazioni, mettersi in movimento è il primo passo.
Se sentissi il bisogno di parlare con uno specialista, non esitare a chiedere aiuto: ogni Martedì dalle 18:00 alle 20:00 gli psicologi del team “One session” sono a tua disposizione per una sessione gratuita di consulenza psicologica a seduta singola di 30 minuti.
Per maggiori informazioni, puoi inviare una email a info@onesession.it o visitare la nostra pagina FB OneSession.it
Riferimenti bibliografici
http://www.societapartecipativa.it/blog/ (consultato in data 23/06/2021) http://dentrolatanadelconiglio.com/relazioni-interpersonali.html (consultato in data 24/06/2021 https://www.psicologiadellavoro.org/(consultato in data 28/07/2021)
Psicologa & Psicoterapeuta in formazione. Specializzata in Potenziamento Cognitivo e Psicologia Scolastica. Ordine degli Psicologi della Lombardia n.03/13262
5 suggerimenti per avere una relazione di coppia sana
La relazione di coppia è un legame paritario, tra due persone, basato sulla scelta reciproca di amarsi e rispettarsi con fiducia.
Amore, parità, autonomia, reciprocità, rispetto, fiducia e piacere solo sono alcuni degli ingredienti base per vivere un rapporto sano.
La parola Relazione, dal latino Relatum= “portare indietro”, “ricambiare”, “rinnovare”, ci india un movimento, un dinamismo interiore ed esteriore, dei partners.
La dinamicità è elemento essenziale e imprescindibile alla vita, e in una relazione sana e vitale non poteva mancare… In fondo, chi vuole morir di noia?? Un rapporto fermo perde il piacere di esistere.
In una relazione di coppia c’è uno scambio di elementi, così come all’interno della persona stessa.
Ogni partner porta con sé risorse e limiti, esperienze, tradizioni e amicizie del passato, ma anche credenze ed emozioni costruite nel presente, desideri e aspettative per il futuro personale e della coppia.
Questa molteplicità di dimensioni che si intrecciano, va valorizzata e al contempo confinata nel giusto ordine, per costruire un rapporto sano e piacevole.
Ma, non basta l’amore? Si… e no. È necessario che il sentimento sia accompagnato da scelte e comportamenti concreti e reciproci per essere alimentato.
Vediamone alcuni.
1. Fare squadra
La vita di relazione è un po’ come una partita, in cui ogni giocatore fa la sua parte, concordata, al meglio.
L’avversario non è l’altro, ma la noia e l’abitudine. Il dare tutto per scontato.
Quando una squadra pensa già di vincere, di conoscere ogni mossa, smette di comunicare e guardarsi per decidere una comune strategia. Abbassa la guardia. I componenti si muovono come isole. Risultato, il più delle volte perde.
Siate complici, supportandovi reciprocamente. Aiutatevi nella gestione della casa. Ognuno scelga dei servizi secondo le proprie abilità e passioni. E ruotate per i rimanenti. Condividete le vostre difficoltà, prima che diventino insormontabili, e confrontatevi.
2. Ringraziare
Due volte a settimana ringraziatevi per ciò che l’altro si è proposto di fare, per ciò che ha condiviso, per l’attenzione mostrata, soprattutto per le piccole cose.
Fatevi complimenti, ed esprimete le vostre emozioni positive e negative. A turno, l’altro ascolti senza pregiudizio.
Questo alimenterà la soddisfazione e il piacere di aver pensato all’altro e quindi alla coppia. Soprattutto ci si sentirà accettati e rispettati per ciò che si è, per le differenze che uniscono e non allontanano. E anche la sessualità ne beneficerà.
3. Effetto sorpresa
Essenziale è alimentare la piacevolezza in una relazione di coppia. Dedicate del tempo a voi.
La quotidianità può far credere di passare già troppo tempo insieme o di non averne affatto. Il tram tram può abbassare il desiderio sessuale e l’intimità emotiva e fisica. L’abitudine spegne la voglia di aprirsi alla novità. Non mollate! Puntate all’obiettivo della coppia.
A sorpresa l’uno decida un’attività da fare insieme all’altro, organizzi tutto nei dettagli. E l’altro accolga fiduciosamente. Anche in questo caso, benessere ed equilibrio nascono dall’attenzione e scambio reciproci!
4. Piccoli aggiustamenti
Ognuno è diverso e unico, così come ogni coppia, e incastrarsi non è sempre automatico. Ma soprattutto non è necessario esserlo, non su tutto… anzi! Ciò che è importante è trovare il giusto equilibrio all’interno della coppia. Non aspettare che le cose cambino da sole, o che l’altro cambi.
Si possono fare piccoli aggiustamenti reciproci. Accomodamenti per trovare la vostra conformazione. Diversamente, si possiede la persona, si usa un potere che distrugge la parità e la reciprocità. Elementi fondanti una relazione di coppia sana.
Ricordate, l’opposto dell’amore è il possesso, il potere, non l’odio. Un modo per non cadere in questa trappola è riconfermare la propria scelta, ogni giorno.
5. Autonomia e priorità
La priorità è la coppia.
È vero che ogni partner porta con sé un passato che non va rinnegato, ma deve avere il suo giusto posto nella storia della coppia. È opportuno svincolarsi dalla famiglia d’origine, soprattutto quando per mille motivi interferisce con le scelte della coppia e la sua intimità.
A volte il partner interessato non mette dei confini e l’altro subisce l’invasione. Il risultato? Liti e Separazione.
Tra le priorità non dimenticate i progetti comuni e quelli personali, da supportare e non da ostacolare! La coppia necessita di spazi propri per nutrirsi e crescere, staccando dalla quotidianità. Al contempo è composta da individui che devono coltivare interessi personali.
Prendersi cura di sé e dei propri spazi, non significa escludere l’altro, ma contribuisce ad arricchire la coppia stessa. L’autonomia favorisce l’accettazione delle differenze, dunque a riconfermare la propria scelta e ad evolvere. Diversamente la frustrazione di perdere parti di sé, a lungo andare produce allontanamento, rancori, apatia.
Laddove non ci sia stata evoluzione nella relazione, si avrà un rapporto conflittuale, silente oppure simbiotico.
Se sentissi il bisogno di parlare con uno specialista, non esitare a chiedere aiuto: ogni Martedì dalle 18:00 alle 20:00 gli psicologi del team “One session” sono a tua disposizione per una sessione gratuita di consulenza psicologica a seduta singola di 30 minuti.
Per maggiori informazioni, puoi inviare una email a info@onesession.it o visitare la nostra pagina FB OneSession.it
Riferimenti Bibliografici
Algeri, D. (2018). La coppia strategica: Guida pratica per un sano rapporto di coppia. Roma- EPC Srl Socio Unico.
Watzawick, P., Beavin, J.H., Jackson, D.D. (1967). Pragmatica della comunicazione umana. Studio dei modelli interattivi, delle patologie e dei paradossi. Astrolabio, Roma.
Compare A., Molinari E., Ruiz J., Hamann H., Coyne J. (2007) Contesto interpersonale e qualità della relazione di coppia come fattore di protezione/rischio in pazienti con malattia cardiaca. In: Mente e cuore. Springer, Milano.
https://www.ansa.it/sito/notizie/cronaca/2014/09/18/cassazione-nulle-le-nozze-del-marito-mammone_53e6df00-b5ee-4947-b754-421239bdef9c.html (consultato in data 22/7/2021)
Come superare la separazione dei propri genitori?
La separazione
Nel sistema famiglia possiamo individuare una conflittualità cosiddetta “normale”, caratteristica del ciclo evolutivo di un nucleo.
Una conflittualità che permette al sistema di muoversi ed evolversi verso nuove mete e nuove armonie. De Bono, nel 1993, definiva il conflitto “una situazione che richiede uno sforzo progettuale”.
Questa conflittualità fisiologica può degenerare nel momento in cui si presentano alla famiglia sfide o problemi complessi e meno scontati.
Si pensi ai comportamenti devianti in adolescenza, alla malattia, al lutto, ai problemi di dipendenza dal gioco, da droghe o da alcool.
Attraversare momenti critici o conflittuali accade a tutte le famiglie. Momenti ai quali si risponde con un riadattamento alla nuova situazione o ai nuovi ruoli.
La conflittualità coniugale è uno di questi eventi che mette in crisi l’intero sistema familiare, tenendo in ostaggio i figli dal punto di vista emotivo e relazionale.
Le relazioni possono renderci incredibilmente felici o profondamente infelici.
Esse richiedono negoziazione, compromesso, accettazione delle differenze, comunicazione.
La separazione è una risposta ipotizzabile alle relazioni infelici e caratterizzate da conflitti profondi e complessi da affrontare.
Si tratta di un evento non improvviso ma risultato di un processo più o meno lungo, che vede il deterioramento di sentimenti e rapporti.
La differenza tra chi resta insieme e chi sceglie di separarsi, in situazioni di analoga conflittualità, può talvolta essere nella modalità con cui il conflitto viene affrontato.
Ovviamente questo esclude problemi oggettivamente insanabili, come ad esempio la violenza.
Se affrontato e gestito correttamente, il conflitto può portare crescita e cambiamento. La crescita significa, assunzione di responsabilità, scelta del dialogo e del confronto.
La famiglia scandisce le diverse fasi della nostra vita, attraverso esperienze ed eventi che si imprimono nella memoria di ciascuno.
La separazione rappresenta una frattura in questi tempi. Frattura che costringe inevitabilmente ad un cambio di passo, ridisegnando individui e relazioni.
Essere figli nel conflitto
Si discute da sempre delle conseguenze della separazione dei coniugi sui figli.
È innegabile che il dissolversi del legame di coppia non sia indolore per i figli ma allo stesso tempo non siamo in presenza di una tragedia senza rimedio.
Il punto della questione è anche nella trasformazione dei costumi e dei valori.
Il tema famiglia infatti ha molteplici implicazioni sociologiche, psicologiche, giuridiche, religiose, etiche.
Di fatto la fine della coppia muove un cambiamento dei punti di riferimento di bambini o giovani.
Cambiamento che può provocare in loro incertezza, paura di perdere uno o entrambi i genitori.
Timori spesso alimentati anche dalla scarsa attenzione da parte degli adulti, concentrati sui loro problemi e dinamiche.
Separazioni e divorzi sono diventati ormai sempre più frequenti.
L’esperienza in tal senso dimostra che il disagio è passeggero se mamma e papà riescono a venir fuori dal vortice del conflitto e a tenere presente l’importanza della genitorialità che continua anche se il legame coniugale si è spezzato.
In caso contrario il disagio si cronicizza quando l’ex coppia trascina i figli nelle conflittualità, caratteristiche del momento della separazione.
Accettare che si è, nonostante tutto, genitori significa mettere in discussione atteggiamenti, scelte, comportamenti.
Significa rivedere o superare dei meccanismi di adattamento alla realtà consolidati, ma ormai inutili in questa nuova fase.
L’accettazione comporta un lavoro mentale intenso che talvolta modifica la propria identità, sia come genitore che come persona.
Non tutti potrebbero essere disposti a rivedere il proprio “copione”.
Non tutti potrebbero essere disposti a uscire dal meccanismo del senso di colpa o dell’attribuire la responsabilità all’altro.
La separazione è certamente un evento stressante e delicato in una storia familiare, in quanto comporta una riorganizzazione del percorso familiare.
Tale riorganizzazione dipenderà sia dalle risorse che dalle potenzialità di cui dispone ciascun singolo componente del gruppo famiglia.
La separazione è un processo evolutivo, dinamico che cambia le forme delle interazioni familiari, senza dissolverle (Cigoli, Gulotta, Santi, 1983).
Uno degli obiettivi del processo di rielaborazione di tale evento è proprio quello di conservare le interazioni familiari alla luce dei nuovi assetti.
Le difficoltà a creare nuovi equilibri sono da ricercarsi nella constatazione che la nascita di una coppia e la separazione di questa sono momenti nei quali entrano in gioco emozioni forti e potenti, complicate sia da riorganizzare che da accettare.
Quale aiuto dal percorso terapeutico?
La qualità della relazione tra ex coniugi influenza l’adattamento dei figli al nuovo scenario familiare.
La cooperazione, amichevole e spontanea avrà, nonostante i genitori siano in contrasto su altri aspetti, effetti positivi sui figli.
Il lavoro terapeutico deve essere improntato ad una gestione cooperativa del conflitto e ad una ridefinizione di ruoli e confini che consentirà una riorganizzazione emotiva, oltre che fisica.
Scelta per il futuro e apertura al cambiamento sono i due obiettivi essenziali a cui puntare per offrire ai figli l’opportunità di poter contare su entrambe le figure genitoriali.
Superare e integrare nel nuovo ciò che è accaduto.
La separazione è infatti allo stesso tempo, fine e inizio.
La principale paura dei figli, rispetto alla separazione e al divorzio, è pensare al futuro come ad un domani caratterizzato da angoscia e sospensione.
La sicurezza e le abitudini infatti sono venute a mancare. Se la separazione, prima e poi, viene preparata con attenzione tenendo conto degli aspetti sia educativi che relazionali di coinvolgimento dei figli allora potrà produrre effetti meno dolorosi.
La risposta ad un evento può fare una grande differenza e permettere ai figli di mantenere un legame significativo con entrambi i genitori.
Parlare e ascoltare, andando oltre le parole per evitare di chiudersi in dubbi e paure.
Un’adeguata e onesta comunicazione affettiva consentirà a genitori e figli di andare con serenità verso un nuovo stare insieme.
Consentirà inoltre agli ex coniugi di dare valore ai sentimenti dei figli, senza considerarli vittime o mezzo.
La sofferenza non verrà risparmiata, ma sarà possibile risparmiare il dolore nelle sue forme più dannose ed estreme.
Nella famiglia apprendiamo i sentimenti e le emozioni, anche quelli negativi.
L’amorevole genitorialità deve fare i conti e andare a braccetto con la disamorevole coniugalità al fine di permettere alla famiglia di continuare ad essere un solido riferimento educativo.
Ogni Martedì dalle 18:00 alle 20:00 gli psicologi del team “One session” sono a tua disposizione per una sessione gratuita di consulenza psicologica a seduta singola di 30 Minuti.
Per maggiori informazioni, puoi inviare una email a info@onesession.it o visitare la nostra pagina FB OneSession.it
Riferimenti bibliografici:
Cigoli V. (1998). Psicologia della separazione e del divorzio. Bologna: Il Mulino
Iori V. (2006). Separazioni e nuove famiglie . Milano: Raffaello Cortina Editore
Psicologa, Mediatrice Familiare, Esperta in Scienze Forensi
La terapia a seduta singola per l’acrofobia
Immagina di essere sul piano più alto di un grattacielo di New York e guardare la distesa attorno a te: le macchine sono così lontane da sembrare formiche, i pedoni si vedono a stento.
Chi soffre di acrofobia può sentirsi molto a disagio e provarne i sintomi tipici anche solo immaginando una situazione del genere.
Acrofobia: cos’è
L’acrofobia, o paura delle altezze, si manifesta con paura e ansia marcate nelle situazioni in cui si è lontani dal contatto col suolo.
Queste situazioni possono essere l’ultimo piano di un grattacielo, appunto, o un trekking in montagna, o ancora salire su una scala a pioli.
Nel momento in cui perde il contatto con il suolo, chi soffre di acrofobia sviluppa una serie di sintomi tipici: sudorazione eccessiva, battito cardiaco accelerato, sensazione di nausea e vertigini e voglia di fuggire.
Il timore di chi soffre di acrofobia è quello di poter cadere, di essere risucchiato nel vuoto o anche di avere l’impulso a buttarsi giù autonomamente.
Questo tipo di fobia non va confusa con le vertigini.
Sebbene molti sintomi possano essere simili, come i giramenti di testa o il disorientamento, le vertigini hanno origine organica. L’acrofobia ha un’origine tutta psicologica.
Le soluzioni che complicano il problema
Se “le hai provate tutte” per superare l’acrofobia senza successo, molto probabilmente è proprio perché tutto ciò che hai provato è ciò che ha mantenuto in vita il problema finora!
Si possono infatti individuare alcuni comportamenti tipici in chi soffre di acrofobia (e di fobia in generale) che pur sembrando utili, non fanno che mantenere il problema.
Elenchiamoli brevemente, in modo che tu possa riconoscerli.
- Evitare tutte le situazioni dove non hai “i piedi per terra”.
L’evitamento è una forma di prevenzione che ci preserva dalle situazioni spiacevoli e spaventose.
Purtroppo l’evitamento si rivela una trappola perché se effettivamente siamo rassicurati dal fatto di tenerci lontani dalle situazioni temute, così facendo stiamo solo validando la pericolosità della situazione evitata, e la nostra incapacità di fronteggiarla.
- Controllare le proprie reazioni ed imporsi di non aver paura.
Così facendo si cerca di mettere sotto un controllo volontario delle manifestazioni che sono totalmente spontanee, finendo per ottenere l’effetto totalmente opposto.
La terapia a seduta singola per l’acrofobia
Anche un solo colloquio può rivelarsi molto utile per iniziare a superare l’acrofobia. Attraverso un’attenta descrizione del problema, il terapeuta ti aiuterà ad individuare i comportamenti che lo stanno mantenendo.
Il lavoro sarà focalizzato a rintracciare, amplificare e utilizzare le tue risorse indirizzandole verso il miglioramento e la risoluzione della situazione.
Sei interessato alla Terapia a Seduta Singola? Puoi rivolgerti ai nostri psicologi e psicoterapeuti, disponibili ogni martedì dalle 18.00 alle 20.00, per una consulenza gratuita online. Scrivi sulla pagina Facebook One Session.it
Riferimenti bibliografici
Nardone, G. (2000). Oltre i limiti della paura. BUR Biblioteca Univ. Rizzoli
https://www.treccani.it/enciclopedia/acrofobia_%28Enciclopedia-Italiana%29/
Il mio lavoro è orientato al futuro e alla valorizzazione delle risorse delle persone che si rivolgono a me, in ottica di totale collaborazione.
Gelosia: ecco 3 suggerimenti per imparare a gestirla
La gelosia è il disagio che si prova all’idea di perdere l’affetto o l’attenzione di una persona che conta ed è un fenomeno normale in tutti i rapporti umani.
È presente sia nell’amicizia, sia nella coppia, ed è legata all’idea di poter essere messi al secondo posto da un amico o dal partner, vedendosi quindi preferire qualcun altro.
Se moderata e, soprattutto, se limitata ad una situazione specifica e ad un tempo specifico, le gelosia è normale e sana.
Diverso è quando è presente spesso o sempre e quando non è legata ad una situazione specifica, ma a generalizzata a qualsiasi tipo di situazione.
Qualcuno diceva “Se una scintilla è in grado di illuminare una stanza, una fiammata rischia di bruciarne il suolo” ed è questo che fa la gelosia estrema: rade al suolo la tua relazione.
Perciò, è necessario che tu impari a gestirla.
Perché dico gestirla e non eliminarla?
Perché la gelosia è un’emozione come tutte le altre, è certamente più complessa di quelle di base (come la paura, rabbia, felicità e tristezza) ma è sempre una emozione.
Si tratta quindi non di una “cosa fissa” ma di un processo! Per cui se pensavi di eliminare la gelosia mi dispiace dirti che non è possibile così come non è possibile eliminare la tristezza.
Ecco però 3 suggerimenti per gestirla.
1. La profezia che si autoavvera
I continui sospetti, le accuse, i litigi e le ostilità, non fanno altro che aumentare la distanza tra te ed il tuo partner. Immagino che al solo pensiero di perderlo hai paura, ansia ed inizi a controllarlo per sapere tutto sulla sua vita, a spiarlo, a chiedere continue rassicurazioni: devi per forza sciogliere ogni dubbio.
Questo è il paradosso della gelosia: quello di ottenere proprio ciò che più si teme. Stremato dai continui litigi e dalle continue giustificazioni che è costretto a trovare per appianare le discussioni, il partner tenderà a tenerti all’oscuro da certe informazioni, nel tentativo disperato di evitare scenate e non rovinare questo clima di apparente tranquillità. Ma, paradossalmente, il partner geloso diverrà ancora più sospettoso, trovando conferma ai dubbi che lo attanagliano.
Quindi, ciò di cui devi avere veramente paura è di continuare a sottoporre il partner alle tue pressioni, perché è proprio questo che potrebbe indurlo a fare ciò che vuoi evitare che accada.
2. Stop ai confronti!
Questo atteggiamento è indice di bassa autostima e non porterà mai delle risposte utili al vostro rapporto; al contrario, finirà per esaltare i tuoi lati negativi realizzando le tue paure e allontanando l’altro da te.
Focalizzati piuttosto su di te: se non siete sicuri del vostro valore personale, qualsiasi cosa venga fatta per dimostrare amore non sarà mai abbastanza.
Ha scelto voi, esprimete i vostri dubbi quando sono sensati e lasciatevi andare.
Più crederete in voi stesse e più vivrete meglio la relazione.
3. Agisci!
Se davvero vuoi imparare a gestire la tua gelosia, allora devi agire!
È inutile che rimani rinchiuso in casa a rimuginare, ad arrabbiarti da solo, a immaginare gli scenari peggiori del tuo partner con chissà chi.
Smettila di evitare le situazioni dove potresti sentirti “geloso” ed inizia ad affrontarle.
Prima di metterti alla prova può esserti utile tenere un diario di bordo della gelosia: Metti per iscritto gli episodi in cui hai agito spinta dalla gelosia e chiediti: cosa ho fatto, quali sono state le conseguenze nell’immediato e dopo qualche tempo. Sono state conseguenze positive per il rapporto di coppia?
Cerca delle alternative e sperimentale nella quotidianità partendo da quella che percepisci come più semplice e procedendo un piccolo passo alla volta.
Se pensi di aver bisogno di un supporto in più, puoi rivolgerti a un professionista.
La Terapia a Seduta Singola può aiutarti anche in un solo incontro con lo psicologo perché ti permette di eliminare i comportamenti che mantengono in vita il problema e ottenere concreti benefici.
Sei interessato alla Terapia a Seduta Singola? Puoi rivolgerti ai nostri psicologi e psicoterapeuti, disponibili ogni martedì dalle 18.00 alle 20.00, per una consulenza gratuita online. Scrivi sulla pagina Facebook One Session.it
Riferimenti bibliografici
Nardone, G. (2005). Correggimi se sbaglio. Milano: Ponte alle Grazie.
Zeig, J., Kulbatski, T. (2012). I dieci comandamenti della coppia. Milano: Ponte alle Grazie.
Sono una Psicologa, specializzata in Dipendenze da sostanze, comportamentali (gioco d’azzardo, shopping, ecc) e relazionali (dipendenza affettiva). Sono formata all’utilizzo della Terapia a Seduta Singola (TSS) e della Terapia Centrata sulla Soluzione, per aiutare le persone a risolvere i loro problemi e tornare al benessere nel più breve tempo possibile, imparando a scoprire e sfruttare al meglio tutte le loro risorse.
5 strategie di comunicazione che danneggiano la tua relazione di coppia
La Comunicazione di coppia è uno degli ingredienti fondamentali per fare in modo che la coppia funzioni.
A volte pensiamo, erroneamente, che debbano accadere sempre grandi eventi – tradimenti, bugie, problemi nell’educare i figli – perché all’interno di una coppia si creino attriti, incomprensioni e litigi.
In realtà dimentichiamo uno degli aspetti fondamentali di una relazione, del vivere l’uno accanto all’altra: mi riferisco al fatto che la coppia, interagendo, prima di qualsiasi altra cosa comunica, dialoga, potremmo dire ‘vive nella comunicazione’.
Proprio per questo motivo è importante riconoscere quali errori comunicativi sono presenti nella comunicazione di coppia per modificarli ed eliminarli.
Vediamo in questo articolo quali sono.
1. Puntualizzare
Come scriveva Oscar Wilde, ‘con le migliori intenzioni si ottengono gli effetti peggiori’. Ed è quello che succede nel momento in cui puntualizzi costantemente qualcosa al partner.
Puntualizzare, significa chiarire, specificare e precisare, anche in modo eccessivo e pesante, le situazioni e le condizioni, le sensazioni e le emozioni nel rapporto con l’altro.
“Guarda che si fa così…”, “Mi raccomando…”, “Guarda che in realtà…”
Puntualizzare è un tipo di comunicazione che apparentemente può far pensare ad una strategia per evitare quegli equivoci e quelle incomprensioni che potrebbero trasformarsi in attriti e conflitti. In realtà avviene esattamente il contrario: è proprio il puntualizzare che prepara il terreno per i conflitti. È, infatti, fastidioso sentirsi sempre dire e spiegare come stanno i fatti o come dovrebbero essere per funzionare meglio.
2. Recriminare
È sicuramente un ingrediente altamente velenoso!
Recriminare fa leva sui sensi di colpa dell’altro, ponendo sul banco degli imputati in un processo infinito. E qualsiasi persona, quando si trova sotto processo, reagirà attaccando o fuggendo.
Le accuse sono facilmente riconoscibili: sono sempre alla seconda persona singolare “TU” e contengono parole come “sempre” e “mai”.
3. Rinfacciare
“Mi sono sacrificato per te!”, “Non sai quanto mi è costato venire a quella cena!”
Colui che rinfaccia si pone come vittima dell’altro e, da questa posizione di dolore, usa la propria sofferenza per indurre il partner a correggere quei comportamenti che l’hanno generata. Spesso con scarsi risultati.
4. Predicare
Questa strategia disfunzionale consiste nel proporre ciò che è giusto o sbagliato a livello morale e, sulla base di questo giudizio, esaminare e criticare il comportamento dell’altro. Ma si sa…l’effetto sermone non fa altro che aumentare la voglia di trasgredire alle regole.
5. Biasimare
Biasimare è una forma di comunicazione che non contiene una critica diretta, diversamente dalle altre forme di comunicazione che abbiamo visto sopra.
Chi biasima solitamente utilizza in un primo momento dei complimenti, ma subito dopo essersi complimentato aggiunge una seconda parte in cui afferma che avrebbe potuto fare di più o fare meglio o fare qualcosa di diverso.
Chi riceve questa comunicazione rimane interdetto perché riceve due messaggi contrastanti.
Biasimare è una strategia incredibilmente efficace per creare problemi quando non ce n’è nemmeno l’ombra!
Altri atti comunicativi fallimentari
“Te l’avevo detto!” una sentenza in grado di scatenare le furie anche della persona più mansueta.
“Lascia…faccio io” che appare come una gentilezza ma che in realtà nasconde una forma di sottile squalifica delle capacità dell’altro.
“Lo faccio solo per te” sacrificandosi per l’altro in modo unidirezionale, facendolo sentire in debito e inferiore poiché bisognoso di tale gesto di “generosità”.
In conclusione…
Parafrasando Wittgenstein: “le parole sono come pallottole”, dobbiamo quindi imparare a usarle accuratamente, per non creare danno a noi stessi e agli altri.
E tu quale tipo di comunicazione rintracci all’interno della tua coppia?
Se sentissi il bisogno di parlare con uno specialista, non esitare a chiedere aiuto: ogni Martedì dalle 18:00 alle 20:00 gli psicologi del team “One session” sono a tua disposizione per una sessione gratuita di consulenza psicologica a seduta singola di 30 minuti.
Per maggiori informazioni, puoi inviare una email a info@onesession.it o visitare la nostra pagina FB OneSession.it
Riferimenti bibliografici
Nardone, G. (2005). Correggimi se sbaglio. Milano: Ponte alle Grazie.
Zeig, J., Kulbatski, T. (2012). I dieci comandamenti della coppia. Milano: Ponte alle Grazie.
Sono una Psicologa, specializzata in Dipendenze da sostanze, comportamentali (gioco d’azzardo, shopping, ecc) e relazionali (dipendenza affettiva). Sono formata all’utilizzo della Terapia a Seduta Singola (TSS) e della Terapia Centrata sulla Soluzione, per aiutare le persone a risolvere i loro problemi e tornare al benessere nel più breve tempo possibile, imparando a scoprire e sfruttare al meglio tutte le loro risorse.
Andare avanti dopo un lutto
Che cos’è il lutto?
Il lutto è il processo di elaborazione di un evento da noi vissuto come drammatico e fortemente doloroso, in cui viviamo la perdita di qualcuno o qualcosa su cui contavamo nella nostra vita.
La scomparsa di una persona cara o del proprio animale domestico ma anche la perdita del proprio lavoro, la fine di una relazione importante o una diagnosi di una grave malattia, possono rappresentare per ognuno di noi la perdita di una nostra certezza.
Il lutto ci mette a confronto con il senso stesso della vita e con l’impossibilità da parte nostra di controllarne tutti gli eventi.
Questo ci chiama a dare nuovi significati alla nostra esistenza: il lutto rappresenta infatti un cambiamento inevitabile, una trasformazione verso qualcosa di diverso da quanto finora vissuto.
Come possiamo trovare la forza di andare avanti dopo un lutto?
1. Prendersi il proprio tempo
Per prima cosa, concediamoci il nostro tempo per elaborare quanto ci è accaduto.
Se provi sofferenza e difficoltà a riprendere la tua vita di prima a poche settimane di distanza da quanto successo, non c’è nulla di anormale in te. Il lutto è come una profonda ferita: la cicatrizzazione è un processo lungo e soffrire purtroppo è inevitabile.
Quello che possiamo fare però, è cercare di incanalare questo dolore in modo che non sia distruttivo per noi.
2. Esprimere le emozioni
Quando viviamo un lutto, concederci di esprimere quanto proviamo verso chi o cosa abbiamo perduto può essere funzionale per accettare il cambiamento.
Anche qui, ognuno ha la sua modalità. Alcune persone sentono il bisogno di piangere, altre ancora trovano conforto nella scrittura o nel parlare con qualcuno di quanto accaduto.
Qualsiasi sia il tuo modo per vivere la sofferenza, concediti uno spazio ogni giorno per “sentire” il dolore, accogliendolo in te.
3. Accettare il qui ed ora
Nell’importanza di esprimere tutto il dolore che provi, ti suggerisco però di non perdere il contatto con il “qui ed ora”: si intende la nuova condizione di vita in cui ti trovi nel momento presente.
Nel lutto infatti, potrebbe accadere di voler rifiutare quanto è accaduto e di venir travolti dalla rabbia, dal senso di colpa o dalla paura.
Alcune persone si rinchiudono nel ricordo di quello che è stato, coltivando l’idea irrealistica che quello che hanno perduto possa magicamente tornare.
Sarebbe bello se avessimo questo potere, ma sfortunatamente di fronte a certi accadimenti non c’è nulla che possiamo fare per ripristinare lo stato precedente. Fa male dirlo eppure l’accettazione di quanto accaduto è un passo importante da compiere per poter andare avanti.
Piuttosto che rifiutare la nostra nuova vita possiamo cercare di guardarla con occhi nuovi, provando a concentrarci su quanto ci può comunque offrire.
4. Fare ciò che ci fa stare meglio
A questo scopo, puoi provare ogni giorno a coltivare anche un piccolo spazio di tempo da dedicare a ciò che ti fa stare bene nel presente.
Non pensare a qualcosa di grandioso: scegli invece piccole azioni che possono darti sensazioni ed emozioni positive in cambio di uno sforzo minimo.
Concediti un bagno caldo, abbraccia una persona cara, ascolta la tua canzone preferita.
Anche qui, trova il tuo modo per fare esperienza di emozioni positive, da poter affiancare a quelle negative che provi. Facendo un piccolo passo dopo l’altro, potrà essere meno ripida la salita verso il superamento del tuo lutto.
5. Creare una nuova routine
Provare da subito a dare un ritmo regolare alle giornate può essere d’aiuto per superare un lutto.
Per quanto difficile, cerca di curare il tuo sonno, l’igiene personale e l’alimentazione.
Per invogliarti, puoi provare ad utilizzare i tuoi prodotti preferiti, come se fossero delle piccole coccole che ti concedi.
L’importanza di questi comportamenti apparentemente semplici, sta nel condurti gradualmente a ritrovare delle abitudini positive in grado di ancorarti al momento presente.
6. Nuotare nei ricordi senza affogarci dentro
Prova a pensare che quello che stai provando sia come un mare in tempesta: non puoi negare che ci siano le onde, puoi però imparare a nuotarci dentro senza affogare.
I ricordi possono aiutarti ad accettare che a tutto quello che succede possiamo dare un senso nuovo.
Cerca di stringere forte a te questi ricordi e pensare che niente e nessuno potrà mai portarteli via.
Puoi cercare di aiutarti con semplici azioni concrete: ad esempio, puoi provare a raccogliere le fotografie della persona cara che hai perduto e riorganizzarle in un album da tenere con te, che potrai guardare ogni sera.
Oppure potresti scrivere ogni giorno una o più pagine di un diario sulla tua perdita, per esprimere quello che provi ogni volta che ne sentirai la necessità.
Ad alcune persone aiuta, dopo aver vissuto una perdita, cercare “una nuova alba”: ad esempio impegnarsi per trovare un nuovo lavoro o iniziare a fare volontariato per dedicarsi agli altri.
Ognuno di noi ha i suoi modi e i suoi tempi per superare un lutto e ritrovare il proprio equilibrio.
Se non dovessi riuscire ad andare avanti dopo un lutto o sentissi il bisogno di parlare con uno specialista, non esitare a chiedere aiuto: ogni Martedì dalle 18:00 alle 20:00 gli psicologi del team “One session” sono a tua disposizione per una sessione gratuita di consulenza psicologica a seduta singola di 30 Minuti.
Per maggiori informazioni, puoi inviare una email a info@onesession.it o visitare la nostra pagina FB OneSession.it
BIBLIOGRAFIA
Aragno, B., e Maggi, M. (2020). Parole e gesti per dire addio. Strategie e strumenti operativi per sostenere bambini, adolescenti e adulti di fronte a una perdita o un lutto. Milano: Franco Angeli Edizioni.
Oliverio Ferraris, A. (2003). La forza d’animo. Milano: Rizzoli.
Nardone, G., e Selekman, M. D. (2011). Uscire dalla trappola. Milano: Ponte delle Grazie.
Sono una Psicologa iscritta all’Albo A degli Psicologi del Lazio e all’Istituto ICNOS: Scuola di Psicoterapie Brevi Sistemico-Strategiche.
Nel mio lavoro integro le mie competenze multidisciplinari per offrire ai miei clienti soluzioni personalizzate ed aiutarli a raggiungere i propri obiettivi in tempi brevi. Utilizzo la TSS per ottenere il massimo da ogni singolo incontro.
Terapia a Seduta Singola: Terapia al Bisogno
Nuovi bisogni nel nostro tempo
Cercando nel vocabolario il significato della parola bisogno, possiamo notare che viene dal termine germanico bisundhi che significa lavoro, cura.
Non solo necessità di procurarsi qualcosa che manca, ma impegno e capacità di fare e costruire.
L’idea che fare un percorso di psicoterapia comporti un enorme dispendio di tempo e di denaro si discosta molto dalle nostre vite così smart e rapide.
Il nostro tempo, infatti, è caratterizzato dalla velocità, dall’accelerazione della Storia che pone nuove emergenze, nuove condizioni, nuove scelte da compiere.
Il rischio nel non stare a passo con questo rapido andare è di sentirsi smarriti, senza riferimenti sicuri, e di rinunciare a dare il proprio contributo costruttivo.
Questa velocità ci vede desiderosi di raggiungere traguardi, sogni, oggetti in maniera semplice e immediata. In questo desiderio rientra anche l’attenzione alla salute mentale.
La sfida di poter dare risposta ad un disagio in maniera istantanea è di certo allettante.
Questa sfida impone oggi allo psicologo la ricerca di nuovi strumenti per aiutare le persone nel momento in cui ne hanno bisogno, accompagnandole nel raggiungimento dell’obiettivo di cui hanno bisogno, nel tempo in cui ne hanno bisogno.
L’emergenza pandemica ci ha prepotentemente insegnato che qualsiasi certezza può sgretolarsi. Abbiamo accettato un cambiamento epocale in tempi molto brevi.
Il digitale e la socialità on line si sono rivelati strumenti potenti e alla portata di tutti.
Cena, spesa, acquisti, tutto direttamente sul pianerottolo di casa.
Anche lo psicologo è entrato nelle nostre case, attraverso le sedute on-line ed è più vicino alle nostre necessità.
Il tempo ha rallentato la sua corsa ma il vivere si è accelerato.
Il coronavirus ha ridisegnato una nuova normalità.
Nuovi bisogni, anche nella salute mentale.
Una risposta efficace a queste nuove necessità è data dalla Terapia a Seduta Singola.
Una risposta al bisogno nel momento del bisogno.
Cosa è la Terapia al Bisogno
La Terapia a Seduta Singola mette a disposizione delle persone la possibilità di un numero limitato di incontri. Concentrando il lavoro su ciò di cui hanno bisogno in quel momento.
Talvolta il numero degli incontri può anche essere uno soltanto.
Ciascuno di noi ha dei bisogni.
La possibilità di soddisfarli in un tempo breve, può diventare una grande conquista sia temporale che materiale.
La Terapia a Seduta Singola affonda le sue radici teoriche nel costruttivismo, dando alla persona la possibilità di cercare e costruire nuove realtà e di innescare un cambiamento consequenziale.
Un cambiamento nella percezione di se stessi, degli altri e del mondo.
Un terapeuta al bisogno offre un aiuto immediato ed efficace.
Massimizza tempi e risultati di ogni singolo incontro e lo fa non perdendo mai di vista la persona e le sue necessità.
La persona viene coinvolta in un processo fatto su misura per lei.
Penso alla realizzazione di un abito sartoriale. L’abito sarà cucito sulla persona, seguendo le linee del suo corpo.
Sarà pertanto unico nel taglio e nello stile. Quello stesso abito non potrà calzare a pennello su nessun altro.
Questo farà sentire chi indossa quell’abito, a proprio agio. Comodità e senso di appartenenza, oltre alla soddisfazione di aver partecipato alla realizzazione di un capo fatto su misura.
La partecipazione farà sentire la persona parte attiva di un processo al quale si sentirà profondamente legata.
Costruire insieme rappresenta un elemento di distinzione per il terapeuta nella enorme offerta di professionisti presenti nel mercato della salute mentale.
Per la persona invece costituisce una linea guida nella scelta tra i tanti servizi offerti.
Un servizio psicologico al bisogno che si adegua ad una società profondamente cambiata.
Una società in cui i bisogni delle persone e le persone stesse sono in continua evoluzione. Non possiamo, come operatori sanitari, restare fermi a guardare.
Pensare che il nostro metodo sia universale e che siano i fruitori dei nostri servizi a doversi adeguare, altro non farà che allontanare da noi i clienti o i potenziali clienti.
Perché scegliere una Terapia a Seduta Singola?
I motivi possono essere molteplici:
- lo psicologo ha un ruolo diverso rispetto a quello che culturalmente hanno in mente le persone.
Non è colui che risolve i problemi.
Non ha nessun superpotere o pozione magica.
Semplicemente aiuta a risolvere un problema, tenendo conto di diversi obiettivi e proponendo al cliente diverse possibilità.
Tra queste verrà poi individuata, in un processo di co costruzione, quella più calzante sulla persona.
Il tutto all’interno di un servizio capace di sposare le logiche e le nuove tendenze del nostro tempo, per andare incontro alle esigenze di costi e di tempi di ciascuno.
- uno psicologo può sbloccare la persona, avviando un processo di cambiamento.
Tale processo avrà il potere di innescare un meccanismo a catena.
Un piccolo passo, richiamerà a sè altri passi fino a raggiungere la meta finale.
La richiesta è quella che lo psicologo aiuti a premere il tasto di avvio, dia la spinta giusta affinchè la persona continui da sola il percorso e diventi artefice del proprio cambiamento.
- Rivolgendoti ad uno psicologo puoi dare una nuova chiave di lettura del problema.
Questo permetterà un cambio di prospettiva e la possibilità di intravedere nuove soluzioni.
Il parere dell’esperto viene ricercato per comprendere meglio e tranquillizzarsi rispetto ad una determinata situazione.
- lo psicologo offre uno spazio all’interno del quale sentirsi liberi di esprimersi. Senza critica o giudizio.
La ricerca di un momento per liberarsi di pensieri, emozioni, preoccupazioni.
L’idea di una terapia al bisogno può sembrare forte e rivoluzionaria ma in realtà la applichiamo in tanti ambiti della nostra vita.
Lo facciamo senza accorgercene.
Andiamo dall’oculista perché ci dia una nuova prescrizione di lenti, dal momento che notiamo di non vedere bene da lontano.
Oppure dal gommista per sostituire la ruota bucata.
O ancora dal dentista per curare una carie.
Funziona così anche per i bisogni psicologici.
Certo ci saranno situazioni che necessiteranno di tempi maggiori, ma allo stesso tempo ci saranno problemi risolvibili in tempi brevi.
A fare la differenza sono sia la persona con le sue risorse che lo psicoterapeuta con la sua capacità di porre al centro la persona.
E se dovessi aver bisogno “al bisogno” di un professionista formato in Terapia a Seduta Singola, ogni Martedì dalle 18:00 alle 20:00 gli psicologi del team “One session” sono a tua disposizione per una sessione gratuita di consulenza psicologica a seduta singola di 30 Minuti.
Per maggiori informazioni, puoi inviare una email a info@onesession.it o visitare la nostra pagina FB OneSession.it
Riferimenti bibliografici
Cannistrà F., Piccirilli F. (2021). Terapia Breve Centrata sulla Soluzione. Roma: EPC Editore
Psicologa, Mediatrice Familiare, Esperta in Scienze Forensi
Sono omosessuale? Il dubbio ossessivo di essere gay
Oggi sappiamo che l’omosessualità è semplicemente una variante non patologica della sessualità umana.
Ma sappiamo anche che non esiste un modo univoco di essere gay o lesbica.
I confini si fanno ancora più complessi se si pensa alle tendenze bisessuali o asessuali.
In una situazione così variegata, come capire qual è il proprio orientamento?
Orientamento e identità sessuale
Iniziamo con il dire che l’orientamento sessuale è una caratteristica tendenzialmente stabile che indica verso chi è diretta l’attrazione sessuale.
- Verso le persone dell’altro sesso (eterosessualità)
- Verso le persone dello stesso sesso (omosessualità)
- Verso le persone di entrambi i sessi (bisessualità)
- Verso nessuno (asessualità)
Diversamente, l’identità sessuale è l’ esperienza psicologica del proprio orientamento sessuale vissuta come componente della propria identità.
Se l’identità definisce chi siamo e ci consente di rispondere alla domanda “ Chi sono io?”, l’identità sessuale ci permette di rispondere alla domanda “Chi mi piace? Da chi sono attratto?” e definirci in base a questo.
Quando orientamento ed identità sessuale sono riconosciuti ed accettati, la persona vive, in maniera più o meno serena, la propria sessualità.
Quando questi due aspetti non sono “allineati” la persona può sentirsi confusa e disorientata, fino ad avere dei dubbi profondi sulla propria identità.
Il pensiero ossessivo
Nonostante gli enormi progressi fatti dalla società, spesso l’eterosessualità è considerata ancora come l’unico orientamento “normale”.
L’omosessualità è ritenuta una condizione negativa, spesso soggetta a pregiudizi e discriminazioni.
Questa immagine sociale può essere interiorizzata dalla persona e condizionare, in modo più o meno evidente e consapevole, pensieri e atteggiamenti.
Così, magari partendo da un evento da nulla, uno sguardo o un pensiero avuto in passato, il dubbio s’insinua. Inizia a girarti in testa lo stesso pensiero ossessivo: sono gay?
Scopri che la domanda “Come capire se sono gay?” è una delle più digitate sul motore di ricerca Google.
C’è addirittura una guida di Wikihow su come capire se sei gay o, ancora peggio, come capire se lo è un tuo amico.
Consigli, suggerimenti e osservazioni che, più che chiarirti le idee, ti confondono e rendono le tue certezze sempre più insicure e vacillanti.
Quella che era una semplice domanda fatta per conoscerti e capirti, diventa un pensiero ossessivo che mette in dubbio la tua stessa identità!
Ma allora qual è il problema e come faccio ad uscirne?
Nel momento in cui ti domandi ripetutamente “Come faccio ad essere sicuro di non essere gay?” potresti essere finito in una dinamica di pensiero ossessivo.
Dinamica molto lontana dalla fase di scoperta della tua identità sessuale.
Questo non vuol dire che i tuoi dubbi non vadano ascoltati. Spesso il problema non è se sei gay o meno, ma il pensiero ossessivo legato all’idea che hai della sessualità stessa.
La prima cosa da fare in questi casi è smettere di metterti alla prova: basta ricerche su internet, video informativi o articoli che propongono le soluzioni più disparate.
Tutto questo non fa altro che alimentare il pensiero ossessivo, rinforzando i dubbi e confondendoti la mente.
La sessualità non è una questione di bianco e nero e il logorio del pensiero ossessivo ci fa costruire un labirinto mentale nel quale possiamo solo perderci.
Inizia a dar pace ai tuoi pensieri e smetti di cercare forzatamente delle risposte che spesso servono solo ad accrescere dubbi ed incertezze, senza fare alcuna chiarezza.
Se sentissi il bisogno di parlare con uno specialista, non esitare a chiedere aiuto.
Ogni Martedì dalle 18:00 alle 20:00 gli psicologi del team “One session” sono a tua disposizione per una sessione gratuita di consulenza psicologica a seduta singola di 30 Minuti.
Per maggiori informazioni, puoi inviare una email a info@onesession.it o visitare la nostra pagina FB OneSession.it
Riferimenti Bibliografici
https://nicolanardelli.it/psicologo/identita-e-orientamento-sessuale (consultato in data 02/06/2021)
https://www.lostudiodellopsicologo.it/ossessioni/come-capire-se-sono-gay/ (consultato in data 02/06/2021)
Nardone G. (2011), Cogito ergo soffro. Firenze: Ponte alle Grazie.
Coppia e primo figlio: quando l’amore (si) trasforma
La nascita del primo figlio costituisce un punto di non ritorno nella traiettoria esistenziale sia delle persone che della coppia stessa.
L’identità delle persone viene arricchita dal ruolo genitoriale ed anche la coppia cambia, assumendo connotazioni di famiglia macroscopicamente più rilevanti.
Il passaggio da due a tre può essere tra i più desiderati da entrambi i componenti della coppia, ma costituisce una transizione impegnativa che richiede un alto livello di investimento, un giro di boa che scopre alle persone e alla coppia stessa scenari che saranno definitivamente differenti da tutto ciò che si è vissuto fino a quel momento.
“Un figlio è una granata”
Così affermava Nora Ephron, la regina della commedia romantica, nella sceneggiatura del film Heartburn.
E continuava “Questa è la verità che nessuno ti dice.
Quando hai un figlio, inneschi un’esplosione nel tuo matrimonio.
Quando finalmente la polvere si placa, la tua coppia non è più quella di prima.
Non peggiore, necessariamente.
Non migliore, necessariamente. Ma diversa, per sempre”.
Come il passaggio al cinema, dal bianco e nero al colore, o in musica, dal canto gregoriano alla polifonia, l’arrivo del primo figlio è una svolta epocale per la relazione di coppia che deve modificare i precedenti equilibri. L’armonia originale deve essere ripristina adeguandola alle nuove dimensioni di accudimento e cura.
Lo psicologo americano Jay Belsky già nel 1984 rilevò come le tre dimensioni portanti della relazione di coppia venissero trasformate in maniera sostanziale dall’arrivo del primo figlio.
Negli anni seguenti ha continuato a documentare con ricerche longitudinali che hanno seguito le coppie poi divenute famiglie, come la qualità percepita del rapporto di coppia fosse notevolmente influenzata dall’evento “diventare genitori”.
L’arrivo di un figlio amplifica le dimensioni di solidarietà e comune impegno a scapito della dimensione romantico-erotica e di quella amicale che subiscono un brusco ridimensionamento. E che potrebbe risultare fatale.
Ma l’amore?
Potrebbe venire a crearsi così il paradosso che il frutto dell’amore, quel figlio desiderato e accolto con tanto entusiasmo e disponibilità dalla coppia, si ritrovi a crescere senza più la linfa vitale dell’albero che lo ha generato.
Perché magari i neo genitori, sopraffatti dalle nottate insonni, i budget ridimensionati, le nuove responsabilità, sperimentano un’insoddisfazione crescente e potenzialmente usurante del rapporto di coppia.
Per evitare questo inaridimento e contribuire ad una equilibrata ridistribuzione delle energie, possono essere messe in atto alcune semplici strategie per custodire ed avere cura del rapporto di cui il figlio generato è espressione carnale.
(Continuate a) Fare l’amore non la guerra
La prima attenzione deve essere portata alla componente romantico-erotica.
All’inizio della fase di “transizione a genitori”, spesso si registra una specie di asfissia erotica: tutte le attenzioni sono concentrate verso l’accudimento e non si trovano più il tempo ed le energie per i rapporti.
Quello che si può fare è ripristinare già da subito un confine spazio temporale per la coppia: individuare un momento quotidiano o almeno settimanale in cui ci si possa ritrovare senza avere l’incombenza dell’accudimento del figlio ma si possano curare l’intimità e la confidenza reciproca.
Per riuscire occorrerà attivare una serie di risorse di rete quali eventuali nonni, amici, persone di fiducia che sono essenziali alla coppia per poter continuare ad individuarsi come tale.
Il secondo aspetto da curare è la dimensione dell’amicalità.
I due partner devono continuare a poter esercitare quella curiosità benevolente, quell’interessamento particolare che avevano portato alla formazione della coppia stessa quando ci si era scelti e preferiti.
Guardarsi negli occhi e chiedersi con sincerità almeno una volta al giorno “Come stai?” aspettando il tempo della risposta dell’altro è una strategia necessaria perché la familiarità di coppia non venga meno ma si possa approfondire ed arricchire di tutte le nuove esperienze in corso.
Tante più energie si riuscirà a convogliare in queste direzioni, tanto maggiore sarà la possibilità che l’asse della coppia non si sbilanci eccessivamente sulle dimensioni genitoriali e rimanga invece ben equilibrato sulla caratura di intima reciprocità che le è propria.
In conclusione…
Passare da coppia a famiglia è una fase impegnativa della vita.
Se desideri un confronto con uno psicologo che possa fornirti indicazioni più mirate alla tua situazione, sulla pagina Facebook di OneSession puoi trovare ogni martedì psicologi qualificati in Terapia a Seduta Singola per un servizio di Consulenze online gratuite.
Anche in una sola seduta si possono sbloccare situazioni ferme da tempo o individuare bacini di risorse che sembravano non esistere.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Belsky J., (1984). The Determinant of Parenting: A process Model, in “Child Development, 55, pp.83-96.
Mi sono laureata in Psicologia ad indirizzo Applicativo nel 1990 presso la facoltà di Psicologia dell’Università “La Sapienza” di Roma. Ho maturato esperienza oltre che nello studio libero professionale, anche nell’ambito dei Consultori Familiari, acquisendo competenze nel sostegno psicologico, sostegno genitoriale, percorsi di educazione affettiva e sessuale.
Ansia da esami? Ecco gli errori tipici che probabilmente compi!
È maggio, l’estate si sta avvicinando, si comincia a respirare aria di vacanza.
Ma c’è una categoria di persone che vive questo mese con ansia e tensione.
Parliamo degli studenti che a breve dovranno affrontare la sessione estiva, o l’esame di maturità.
Questi vedono il tempo scorrere velocemente mentre sono ancora sommersi di argomenti da ripassare o iniziare a studiare.
Nell’articolo di oggi andremo ad analizzare alcuni degli errori più comuni che uno studente in ansia per gli esami commette, e forniremo delle indicazioni per affrontare questo periodo al meglio.
Intrappolarsi nel perfezionismo
L’ansia per gli esami può essere accompagnata, ed esacerbata, dall’esigenza di dover studiare tutto perfettamente.
Se dedizione ed impegno sono caratteristiche auspicabili in uno studente, portate all’estremo diventano fonte di problemi.
Il tempo dedicato all’organizzazione, programmazione ed esecuzione dei compiti impegna lo studente perfezionista per la maggior parte del tempo.
Egli finirà per intrappolarsi in questa ragnatela del perfezionismo sempre più fitta. Ci sarà sempre, infatti, un compito successivo per cui doversi preparare al meglio.
L’esito sarà quello di una costante ansia, che porterà a mano a mano alla rinuncia di attività ricreative e ludiche.
Questo tipo di ansia potrà arrivare ad esprimersi anche con attacchi di panico, crisi di pianto e somatizzazioni.
Come affrontare l’ansia da perfezionismo?
Allenati a sbagliare! Inserisci nella tua routine quotidiana un momento in cui, volontariamente, inserire degli errori in quello che stai studiando. Così facendo imparerai a regolare le tue reazioni di fronte agli sbagli e acquisirai un controllo maggiore su eventuali errori che ti capiterà di commettere in futuro.
Evitare (e confermare di essere impreparati)
Che si sia spinti dal perfezionismo o dall’ansia per l’eventualità di fare brutta figura e bloccarsi durante l’esame, il “salto dell’appello” è uno sport frequentemente praticato dagli studenti universitari.
L’idea che tanto ci possa essere un’ulteriore possibilità tranquillizza apparentemente gli studenti che potranno così placare la propria ansia e paura di essere impreparati, convincendosi che arriveranno all’appello successivo con maggiore sicurezza.
Ma funziona?
Niente affatto.
L’evitamento è una dei tentativi di liberarsi dell’ansia più messi in atto in assoluto. I suoi effetti sono però controproducenti.
Più evitiamo, infatti, e più ci stiamo confermando di non essere in grado di affrontare la situazione che ci crea ansia. Questo farà sì che all’appello successivo non ci sentiremo affatto più pronti.
Che fare quindi?
Evita di evitare!
Anche se non ti senti sufficientemente pronto per l’appello imminente, mettiti alla prova. Piuttosto, rifiuta il voto. Non vedere il brutto voto come un fallimento, ma come l’occasione di imparare dove e cosa puoi migliorare.
Se invece eviti per paura di bloccarti, arrossire, balbettare, quello che puoi fare è “dichiarare il tuo perturbante segreto”.
Cosa significa?
Se sei una persona che, in situazioni di ansia, tende ad arrossire o balbettare quando interrogata, fallo presente al tuo esaminatore! Negare le proprie fragilità le rende ingestibili, mentre dichiararle farà in modo di annullare i loro effetti negativi.
Parlare sempre e solo della tua ansia
Se stai cercando di placare la tua ansia da esami sfogandoti costantemente con chi ti circonda, sappi che ti stai dando la zappa sui piedi da solo!
Sfogarsi fa sentire la persona in ansia apparentemente svuotata dalla tensione. In realtà, prova a farci caso, l’effetto è opposto.
Lo sfogo funziona con l’ansia come un fertilizzante per una pianta infestante: la fa crescere e prendere più spazio di quanto meriterebbe!
Se ti sei reso conto che effettivamente ami parlare di quanto sei in ansia, ecco l’indicazione giusta per te: la congiura del silenzio.
D’ora in poi parla di qualsiasi argomento con chiunque tu voglia, tranne che della tua ansia per gli esami!
Buttando la tua ansia fuori di te stai delegando agli altri la gestione della stessa. È invece di imparare a gestirla, e non a subirla.
Se ritieni di avere bisogno di un aiuto in più, prendi in considerazione l’idea di chiedere aiuto ad un professionista!
Ogni martedì dalle 18.00 alle 20.00, i terapeuti del nostro team One Session si rendono disponibili per degli incontri online gratuiti utilizzando la Terapia a Seduta Singola. Contattaci per maggiori inviando una email a info@onesession.it oppure visita la nostra pagina Fb OneSession.it.
Riferimenti bibliografici
Alessandro Bartoletti (2013). Lo studente strategico. Come risolvere rapidamente i problemi di studio. Firenze: Ponte delle Grazie.
Il mio lavoro è orientato al futuro e alla valorizzazione delle risorse delle persone che si rivolgono a me, in ottica di totale collaborazione.
Superare la paura di guidare con la Terapia a Seduta Singola
Che cos’è e come si manifesta la paura di guidare?
La paura di guidare l’automobile è una problematica molto più comune di quanto si potrebbe pensare. Definita in gergo tecnico amaxofobia, dal greco amaxos (“carro”), fa riferimento alla forte ansia al pensiero di mettersi alla guida.
L’amaxofobia colpisce sia uomini che donne, anche se sembrerebbe essere più frequente in queste ultime.
La paura di guidare, oltre ad essere fastidiosa, può diventare invalidante per chi ne soffre, causando disagio e rinunce.
A causa della forte ansia, infatti, alcune persone finiscono per rinunciare a partecipare ad eventi sociali o limitare le proprie possibilità lavorative.
Non esiste un solo tipo di amaxofobia.
Al contrario, la paura di guidare può presentarsi in svariati modi. Alcune persone possono sperimentare solo una lieve ansia prima di mettersi al volante, altre invece possono essere colpite da un’ansia così forte da sfociare in attacchi di panico.
Chi presenta amaxofobia può sperimentare reazioni sia psicologiche sia fisiche, che da un fastidio sporadico possono diventare sempre più invalidanti. Inoltre, la paura di guidare potrebbe manifestarsi sempre, oppure solo in alcune circostanze.
Guidare in autostrada, guidare di notte o con particolari condizioni metereologiche, attraversare gallerie, sono alcune delle situazioni che possono provocare l’amaxofobia.
Può anche capitare, se la problematica viene sottovalutata, che possa generalizzarsi, passando da una situazione specifica ad altre sempre più numerose.
Cosa facciamo solitamente per combatterla e perché questo non aiuta realmente?
Spesso, quando qualcosa ci spaventa, la prima cosa che facciamo per controllare e far diminuire l’ansia è evitarla.
Nel caso della paura di guidare, evitare di salire in macchina e girare la chiave potrebbe sembrare la soluzione.
Magari dicendo a sé stessi che non è così importante raggiungere quel luogo, e che andrà meglio la prossima volta.
Ma è davvero una strategia efficace?
La risposta, purtroppo, è no.
Evitare di mettersi alla guida, oltre ad esporre al rischio reale dell’isolamento sociale, non fa altro che ritardare l’ansia e farla tornare più forte la volta successiva.
Un’altra strategia spesso usata per controllare l’ansia della guida è chiedere a qualcuno di fare da accompagnatore durante i tragitti.
L’accompagnatore può essere una persona specifica, che ispiri sicurezza, oppure un accompagnatore generico.
L’importante, in questa logica, è non avventurarsi da soli ed avere qualcuno che aiuti a gestire la paura.
Anche in questo caso, purtroppo, questa strategia non è realmente utile ad affrontare efficacemente la paura.
Infatti, chiedendo costantemente ad un’altra persona di accompagnarci, non facciamo altro che rimandare il momento in cui poter dimostrare a noi stessi di essere capaci di viaggiare da soli.
Come può aiutare la Terapia a Seduta Singola?
La Terapia a Seduta Singola può rappresentare un valido aiuto per affrontare efficacemente la paura di guidare.
In che modo?
Un primo motivo per scegliere la Terapia a Seduta Singola è che sarai tu a scegliere il tuo obiettivo.
Nessun terapeuta cercherà di proporti la sua visione sulla risoluzione della problematica.
Dopo averti attentamente ascoltato, tu e il terapeuta deciderete quali obiettivo porvi e come cercare di raggiungerli.
Inoltre, durante l’incontro, avrai modo di riflettere sulle tue risorse e farne emergere di nuove.
Utilizzando il terapeuta come uno strumento a tua disposizione, potrai scoprire risorse inaspettate e valutare come poterle utilizzarle.
La Terapia a Seduta Singola potrà anche aiutarti nel cercare momenti in cui il problema non si è manifestato nel passato.
In questo modo, potrai esaminare la situazione da un punto di vista più ampio.
A questo punto, con nuova consapevolezza, potrai trovare e sperimentare nuovi modi per affrontare efficacemente la paura di guidare.
Sei curioso di provare?
Ogni martedì dalle 18.00 alle 20.00, i terapeuti del nostro team One Session si rendono disponibili per degli incontri online gratuiti utilizzando la Terapia a Seduta Singola. Contattaci per maggiori inviando una email a info@onesession.it oppure visita la nostra pagina Fb OneSession.it
Riferimenti bibliografici
Cannistrà F., Piccirilli F. (2018), Terapia a Seduta Singola. Principi e pratiche. Giunti Psychometrics
Nardone G. (2007), Non c’è notte che non veda il giorno. La terapia in tempi brevi per gli attacchi di panico. Milano: TEA Pratica
Nardone G. (1993), Paura, panico, fobie. La terapia in tempi brevi. Firenze: Ponte delle Grazie
Sono una psicologa, mi occupo di sostegno psicologico attraverso l’uso della Terapia a Seduta Singola per poter aiutare le persone a risolvere i propri problemi in tempi brevi. Ricevo a Cosenza e On Line (Skype).
Autostima cercasi!
Che cos’è l’autostima?
Se ti chiedo di pensare a quanta autostima hai di te stesso, a cosa pensi esattamente?
Quali, delle tue caratteristiche fai rientrare nella tua definizione di autostima?
L’autostima è un costrutto psicologico: William James (cit. in Bascelli e all, 2008) la definisce come il risultato che scaturisce dal confronto tra i successi che l’individuo ottiene realmente e le aspettative in merito ad essi.
Per dirla in parole povere, si tratta della percezione che hai di te stesso, delle tue risorse, delle tue capacità, delle tue attitudini declinate nei vari contesti di vita.
Che voto ti dai?
Quando ci chiedono cosa pensiamo di noi stessi, non facile essere oggettivi: a seconda del campo di riferimento, del momento di vita, delle esperienza vissute, ci valutiamo diversamente.
Non è una percezione costante, ma in continua evoluzione.
Quali sono i processi che determinano la tua autostima?
- Il confronto con gli altri
- Giudizio degli altri: “cosa dicono di te gli altri?”
- Auto osservazione: tu valuti e confronti te stesso rispetto agli altri
Sono tre le variabili che entrano in gioco nel determinare la nostra autostima, e vien da se che non avranno sempre la stessa influenza o lo stesso peso sulla percezione di te stesso, poiché saranno soggette a cambiamenti.
Non puoi controllare, soprattutto perché i dati che ottieni non sono mai realmente oggettivi.
Il risultato di queste tre variabili ti porta a valutarti o a svalutarti:
Quando ti svaluti, ti senti incapace, al di sotto delle tue reali capacità. Non credi potercela fare, non senti di avere il controllo sulle tue decisioni, non rincorri i tuoi obiettivi. Hai bisogno degli altri per trovare sicurezza in te.
Quando ti sopravvaluti, ti ritieni più capace rispetto agli altri; dimostri quanto vali e non hai bisogno del confronto per sapere che sei bravo.
Cosa puoi fare per accrescere la tua autostima?
- Basta evitare
Se ti svaluti, vuol dire che hai poca fiducia in te stesso.
Così, anziché affrontare le situazioni le eviti, per perché non ti senti capaci.
Ti dico che devi smetterla: più eviti, e più confermi a te stesso la tua incapacità.
Inizia ad affrontare le tue paure, un passo alla volta.
- No alle rassicurazioni
cerchi sempre il confronto con glia altri per prendere decisioni o per rassicurarti che stai sulla strada giusta.
Inizia ad agire, affidandoti al tuo istinto.
Chiedere costantemente aiuto e riceverlo, ti conferma ogni volta che ne hai effettivamente bisogno. Butta le stampelle e comincia a camminare da solo.
- Impara a dire NO
Soffri della sindrome del San Bernardo e dici sempre si a tutti?
E’ ora di smettere, perché l’unico che ci rimette sei tu.
Esserci per tutti è un attività che ti stressa e ti toglie spazio e rispetto a te stesso.
Impara a dire di no e a stare lontano da ciò che ti sottrae a te stesso.
Se pensi di aver bisogno di un supporto in più, puoi rivolgerti a un professionista.
La Terapia a Seduta Singola può aiutarti anche in un solo incontro con lo psicologo perché ti permette di eliminare i comportamenti che mantengono in vita il problema e ottenere concreti benefici.
Sei interessato alla Terapia a Seduta Singola? Puoi rivolgerti ai nostri psicologi e psicoterapeuti, disponibili ogni martedì dalle 18.00 alle 20.00, per una consulenza gratuita online.
Scrivi sulla pagina Facebook One Session.it
Riferimenti Bibliografici
Nardone, G. (2013). Psicotrappole. Milano: Adriano Salani.
Rampin, M. (2014). Nel mezzo del casin di nostra vita. Milano: Ponte alle Grazie.
Sellin, R. (2015). Le persone sensibili sanno dire no. Milano: Feltrinelli.
Sono una psicologa che si occupa di consulenze brevi e di TSS: il mio obiettivo è ridurre i tempi della terapia e massimizzare l’efficacia della seduta, offrendo un sostegno focalizzato e concreto per affrontare sia le piccole che le grandi difficoltà della vita
Scrivere per superare la fine di una relazione
Perché le relazioni finiscono? Perché ad un certo punto la persona che credevamo sarebbe stata al nostro fianco per tutta la vita esce di scena?
Le motivazioni per cui una relazione finisce sono molteplici. Talvolta le cause possono essere degli eventi esterni che portano la coppia a separarsi, forzatamente. Altre volte invece ci si accorge di non condividere più gli stessi valori, perché si è cambiati. Altre volte ancora i partner non riescono più a fidarsi l’uno dell’altro, dopo tradimenti o bugie.
Qualsiasi sia la causa della rottura, entrambi i partner saranno invasi da una serie di vissuti ed emozioni, talvolta difficili da gestire.
Le fasi della fine di una relazione
La fine di una relazione porta con sé la perdita di una persona molto cara. Proprio per questo motivo questo evento può essere paragonato ad un lutto.
E come nel lutto, si passa attraverso una serie di fasi che, dopo rabbia e sofferenza, permetteranno ai protagonisti di riprendere in mano la loro vita. Vediamo quali:
- La relazione è finita, ma si fa fatica a crederlo. I protagonisti si rifiutano di credere che la persona amata non condivida più con noi gran parte della nostra quotidianità.
- In questa fase si comincia a rendersi conto della fine della relazione. La rabbia può essere rivolta contro se stessi, per non aver fatto funzionare la storia, o contro il patner per averci lasciati. Spesso è rivolta anche contro tutti quelli che vediamo felici, pensando che al loro posto dovremmo esserci noi.
- È la fase dei “se”. “E se quella volta mi fossi comportato diversamente? E se potesse esserci un’ulteriore possibilità?” In questa fase si cercano dei modi di ricongiungersi con l’ex partner, rimanendo così ancorati al passato.
- Indietro non si può tornare, si prende consapevolezza della fine della relazione. Ci si rifugia così nei ricordi di un passato che è stato anche positivo, soffrendo incredibilmente.
- Dopo le prime quattro difficili fasi, ora si diventa consapevoli che indietro non si tornerà. Si custodiscono i momenti positivi della tua storia d’amore, ma è arrivato il momento di dedicarsi a se stessi. Ripensare alla storia finita non trascina più nello sconforto.
Ricominciare a vivere dopo la fine di una relazione
Nella teoria sembra tutto facile, ma a volte il dolore è così insopportabile da non riuscire a credere che prima o poi si supererà. I ricordi della relazione passata tengono costantemente compagnia, al punto da credere che non si sarà mai più felici.
Ecco quindi un piccolo, semplice ma potentissimo esercizio che puoi fare in autonomia per dare spazio al tuo dolore e pian piano farlo defluire.
In una semplice parola: scrivi.
Ogni sera, prima di coricarti, prenditi del tempo (almeno 15 minuti) per mettere nero su bianco i tuoi pensieri, i tuoi ricordi, il tuo dolore. Dev’essere un momento solo per te, il foglio e la penna. Non importa la forma, quanto il contenuto. Lasciati andare, esprimi sul foglio tutto ciò che ti tormenta, i pensieri che durante il giorno ti attanagliano e che cerchi di evitare. Una volta finito, è importante che tu non rilegga quanto hai scritto!
Se ti accorgi che il dolore persiste, prova ad affidarti ad un terapeuta. Anche un solo incontro può bastare!
Ogni martedì dalle 18:00 alle 20:00, gli psicologi del nostro team One Session si rendono disponibili per degli incontri online gratuiti utilizzando la Terapia a Seduta Singola. Per avere maggiori informazioni e prenotare il tuo incontro, puoi contattarci inviando una e-mail a info@onesession.it oppure visitala nostra pagina Fb OneSession.it.
Riferimenti Bibliografici
Pennebaker, J. W. (2017). Il potere della scrittura. Tecniche nuove edizioni.
https://www.psychologytoday.com/us/blog/in-flux/201911/5-tips-respectfully-end-intimate-relationship
Il mio lavoro è orientato al futuro e alla valorizzazione delle risorse delle persone che si rivolgono a me, in ottica di totale collaborazione.
Rimuginare: Come smettere di avere pensieri fissi e invadenti?
Rimuginare: che cosa significa?
Rimuginare significa pensare in modo ciclico e ripetitivo agli stessi pensieri. Spesso il contenuto di questi pensieri è triste e focalizzato sui problemi.
La nostra mente funziona come un risolutore di problemi quando si trova ad affrontare problemi logici.
Se ad esempio mi si rompe la macchina e rischio di arrivare in ritardo a lavoro la mia mente elaborerà la situazione. Dopo di che cercherà di individuare l’alternativa che mi permetterà di arrivare a lavoro nel minor tempo possibile.
Purtroppo non tutti i problemi hanno una soluzione logica, spesso ci troviamo ad affrontare disagi legati al mondo emotivo che non possono essere risolti con del semplice problem solving.
In questi casi la convinzione che rimuginare possa esserci utile in qualche modo per risolvere il problema può farci restare focalizzati su di esso. Inoltre con il passare del tempo questo processo potrebbe diventare un’abitudine che ci porterà ad avere sempre i soliti pensieri fissi che monopolizzano la nostra quotidianità.
Eventi di vita particolarmente stressanti possono aumentare la possibilità di innescare pensieri fissi e ricorrenti negativi.
La rimuginazione è anche molto frequente nelle persone che hanno tratti di personalità come il nevroticismo e il perfezionismo.
Le conseguenze della rimuginazione
La rimuginazione può essere pericolosa per il nostro benessere psicologico e può aumentare il rischio di sviluppare problematiche psicopatologiche.
Le ricerche ci suggeriscono che rimuginare ossessivamente è associato a sintomi depressivi e ansiosi. Più il nostro benessere diminuisce, più la tendenza a rimuginare aumenta. Si genererà perciò una sorta di circolo vizioso che alimenta il problema e rende sempre più difficile interromperlo.
Molte persone per placare il disagio crescente scaturito da pensieri fissi e invadenti finiscono per cercare di “automedicarsi,” utilizzando strategie disfunzionali come il consumo eccessivo di alcool e droghe.
I pensieri fissi rendono anche più difficile avere un sonno regolare. Infatti è piuttosto difficile dormire e spegnere il cervello quando continua ad essere focalizzato sull’attività di rimuginazione.
Come smettere di rimuginare
Dopo esserci soffermati sulle conseguenze negative della rimuginazione, cerchiamo di capire come possiamo fare per non alimentare questo meccanismo.
Esistono molti modi per affrontare questo problema e la Terapia a Seduta Singola può essere molto utile nell’aiutarti a individuare delle strategie efficaci.
Vediamo insieme alcuni consigli che puoi provare a mettere in atto fin da subito.
1. Impara a distinguere tra rimuginazione e problem solving
Molte persone hanno la convinzione che ripensare continuamente a una situazione problematica possa essere utile per risolverla. In realtà rimuginazione e problem solving sono processi diversi.
A differenza del problem solving, quando rimuginiamo continuiamo semplicemente a ripensare alla situazione senza cercare di elaborare un piano per risolverla.
Perciò se ti rendi conto che i tuoi pensieri fissi non ti stanno portando da nessuna parte, chiediti se effettivamente continuare a rimuginare possa essere utile in qualche modo a risolvere il problema.
Spesso ti renderai conto che continuare a ripensare non ti porta a nessuna soluzione. In questi casi anche semplicemente prendere atto del fatto che stai rimuginando, può essere un passo utile per ridurre questo processo.
2. Crea un kit di distrazione
Le ricerche suggeriscono che in molti casi anche semplicemente distrarsi per pochi minuti può aiutare a ridurre la tendenza a rimuginare. Perciò individua 2 o 3 attività da mettere in atto ogni volta che ti rendi conto di iniziare a rimuginare.
Scegli attività semplici che puoi eseguire in qualsiasi momento e luogo: scrivere, leggere, ascoltare musica, o qualsiasi altra cosa possa funzionare per te.
Una volta che avrai individuato 2 o 3 attività avrai il tuo kit di distrazione pronto all’uso ogni volta che ne hai bisogno.
3. Ritagliati del tempo per rimuginare
Ogni giorno prenditi 20 minuti per chiuderti in una stanza, possibilmente dove puoi essere comodo e nessuno ti disturberà. Imposta il timer della sveglia a 20 minuti.
In questi 20 minuti sforzati il più possibile di portare alla mente tutti quei pensieri invadenti che arrivano durante il giorno. In questi 20 minuti qualsiasi cosa succeda non interrompere l’esercizio fino al suono della sveglia.
Questo esercizio potrebbe sembrare controintuitivo, ma in realtà se eseguito correttamente è molto efficace.
4. Chiedi un supporto psicologico
In alcuni casi i pensieri fissi possono diventare un’importante fonte di malessere e chiedere un supporto psicologico potrebbe essere la scelta migliore.
Per questo, ogni martedì dalle 18:00 alle 20:00, gli psicologi del nostro team One Session si rendono disponibili per degli incontri online gratuiti utilizzando la Terapia a Seduta Singola. Per avere maggiori informazioni e prenotare il tuo incontro, puoi contattarci inviando una e-mail a info@onesession.it oppure visitala nostra pagina Fb OneSession.it.
Bibliografia
Dorthe K. T. et al. (2003). Rumination—relationship with negative mood and sleep quality.
Personality and Individual Differences, 34(7), 1293-1301. https://doi.org/10.1016/S0191-8869(02)00120-4.
Law, B. M. (2005). Probing the depression-rumination cycle. Monitor on Psychology, 36(10). http://www.apa.org/monitor/nov05/cycle (consultato in data 08/04/2021).
Michl, L. C. et al. (2013). Rumination as a mechanism linking stressful life events to symptoms of depression and anxiety: longitudinal evidence in early adolescents and adults. Journal of abnormal psychology, 122(2), 339–352. https://doi.org/10.1037/a0031994.
Sono uno psicologo e mi occupo soprattutto di consulenze brevi e di psicologia del benessere. Utilizzo la Terapia a Seduta Singola per diverse problematiche, in particolare per aiutare le persone ad affrontare ansia e momenti particolarmente stressanti.
Come sradicare le cattive abitudini con la Terapia a Seduta Singola
“Se continui a fare quello che hai sempre fatto, continuerai ad ottenere ciò che hai sempre avuto.”
WARREN G. BENNIS
Che cosa si intende per cattive abitudini?
Per “abitudine” si intende la tendenza a ripetere in modo continuativo e frequente un’azione o un’esperienza in determinate situazioni.
Si tratta di comportamenti che mettiamo in atto con un minimo sforzo cognitivo.
Con il tempo, queste azioni diventano automatiche. Le mettiamo in atto senza rendercene conto.
Ognuno di noi riflettendo sulla propria vita, potrebbe facilmente individuare le sue personali “cattive abitudini”. Sono quelle azioni che inizialmente ci sembrano positive per affrontare la quotidianeità. Nel lungo periodo, invece, risultano dannose per noi.
Mangiare in modo sregolato, rimuginare sul passato e fumare sono alcuni esempi di “cattive abitudini” per molte persone.
Quali sono le conseguenze delle cattive abitudini?
Il problema delle cattive abitudini consiste nel fatto che con il tempo diventano per noi automatiche. Talmente tanto da non renderci più conto dei loro effetti negativi per noi.
Questo rende molto difficile sradicarle una volta che sono diventate parte della nostra vita.
Facciamo un esempio.
Proviamo ad immaginare un bel fiore in un vaso pieno di terra.
Cosa accadrebbe se mettessimo il seme di una pianta infestante nello stesso vaso?
Se nessuno interverrà, quel seme inizierà a crescere fino a quando le sue radici non soffocheranno il fiore.
La stessa cosa può accadere alla nostra vita quando viene invasa dalle cattive abitudini.
Come uscirne?
La Terapia a Seduta Singola è un metodo che può aiutarti a sradicare le tue cattive abitudini in un solo incontro.
In che modo?
1. Diventa consapevole delle tue cattive abitudini
Il primo passo per cambiare le proprie cattive abitudini è…renderti conto di avere delle cattive abitudini!
Prova a scrivere un diario delle tue giornate e a sottolineare le azioni che tendi a ripetere. Potresti notare se ci sono alcuni comportamenti che non ti fanno stare bene e che potresti provare a modificare.
2. Rifletti sulle circostanze in cui metti in atto le cattive abitudini
Prendi un foglio bianco e prova a riflettere:
QUANDO: in quale momento della giornata metti in atto le tue cattive abitudini?
QUANTO: da quanto tempo hai queste cattive abitudini?
DOVE: in quale luogo, situazione o contesto le metti in atto?
Potresti renderti conto che le tue cattive abitudini (ad es. fumare) aumentano o diminuiscono in base alla situazione in cui ti trovi.
CHI: queste cattive abitudini tendi a metterle in pratica quando sei in compagnia oppure no? c’è qualcuno che potrebbe aiutarti a sradicare le tue cattive abitudini?
3. Prova a fare qualcosa di diverso
Chiediti se ti è mai successo nelle stesse circostanze di fare qualcosa di differente che ha funzionato.
Concentrati sulle emozioni positive che hai provato in quel momento.
Potresti scoprire di avere già in te delle risorse e delle soluzioni nuove da provare per sradicare le tue cattive abitudini.
4. Comincia da un piccolo passo positivo
Non commettere l’errore di focalizzarti subito sull’obiettivo finale da raggiungere.
Piuttosto, prova a procedere per piccole azioni positive che ti facciano sentire bene nell’immediato.
Ad esempio se vuoi smettere di avere uno stile di vita sedentario, non porti come obiettivo quello di correre oggi una sfiancante maratona di 40 km.
Prova invece ogni giorno ad uscire per fare una piacevole passeggiata a piedi di 10 minuti.
Così facendo, inizierai delle nuove abitudini positive per te.
Se queste indicazioni ti sono state utili, lasciaci un tuo commento per farci sapere come è andata!
Cosa fare se invece senti di non farcela?
Non preoccuparti: le cattive abitudini, come abbiamo detto, possono essere davvero difficili da sradicare da soli.
Per questo, ogni martedì dalle 18:00 alle 20:00, per un periodo di tempo limitato, gli psicologi del nostro One Session Center sono disponibili per un incontro gratuito online utilizzando la terapia a seduta singola.
Il tuo primo passo per sradicare le tue cattive abitudini potrebbe essere questo.
Per avere maggiori informazioni e prenotare il tuo incontro, puoi inviare una e-mail a info@onesession.it oppure visitare la nostra pagina Fb OneSession.it.
Bibliografia
Schwartz, M. J. & Gladding, R. (2011). You Are Not Your Brain: The 4-Step Solution for Changing Bad Habits, Ending Unhealthy Thinking, and Taking Control of Your Life. New York: Avery.
Jager, W. (2003). Breaking ‘Bad Habits’: A Dynamical Perspective on Habit Formation and In L. Hendrickx, W. Jager, & L. Steg (Eds.), Human decision making and environmental perception: Understanding and assisting human decision making in real-life settings: liber amicorum for Charles Vlek. University of Groningen.
Mazzucchelli, L. (2019). Fattore 1%. Piccole abitudini per grandi risultati. Giunti Psychometrics.
Sono una Psicologa iscritta all’Albo A degli Psicologi del Lazio e all’Istituto ICNOS: Scuola di Psicoterapie Brevi Sistemico-Strategiche.
Nel mio lavoro integro le mie competenze multidisciplinari per offrire ai miei clienti soluzioni personalizzate ed aiutarli a raggiungere i propri obiettivi in tempi brevi. Utilizzo la TSS per ottenere il massimo da ogni singolo incontro.
I tre meccanismi della depressione: lamentela, rinuncia, delega
Come già abbiamo visto nel precedente articolo lo stato depressivo appare di frequente caratterizzato da alcuni fattori che hanno la peculiarità di mantenere vivo il nostro disagio.
Potremmo pertanto parlare delle tre soluzioni disfunzionali “regine” della depressione.
Lamentela, rinuncia e delega.
Ma cosa sono le tentate soluzioni disfunzionali?
Sono la chiave di volta del problema. La chiave di volta, sistema inventato dagli antichi Etruschi, è la pietra che posta al vertice dell’arco mantiene tutte le altre pietre, senza bisogno di alcun collante ma soltanto sfruttando la forza di gravità. Senza quella piccola pietra, l’intero arco crollerebbe.
L’espressione tentata soluzione è stata introdotta dai ricercatori del Mental Research Institute di Palo Alto che fondarono il Brief Therapy Center che aveva l’intento di avviare un progetto di studio focalizzato sulla possibilità di produrre significativi cambiamenti clinici, in soggetti interessati da alterazioni psicologiche, in un massimo di dieci sedute.
Si tratta di quanto mettiamo in atto per affrontare il problema che ci riguarda e che viviamo con difficoltà. Comportamenti, emozioni, cognizioni, risposte somatiche.
Le soluzioni disfunzionali sono il cuore pulsante della psicoterapia strategica che non si focalizza sulle cause del problema bensì sulle soluzioni agite per risolverlo. I problemi, secondo la logica strategica, sono meccanismi complessi il cui funzionamento non presenta un nesso di causalità scontato con ciò che li ha generati.
Il bersaglio del lavoro psicoterapico sarà quella pietra, in apparenza piccola ma che mantiene in equilibrio l’intero sistema. Uno dei compiti del terapeuta strategico sarà quello di individuare la pietra e accompagnare la persona nel percorso di riconoscimento e smantellamento del meccanismo.
Henry Ford, imprenditore americano, tra i fondatori del celebre marchio Ford, affermava “ Non trovare la colpa. Trova il rimedio”. Un mantra da tenere a mente perché capace di rovesciare completamente la visione classica che abbiamo di un problema.
Come funzionano?
Le tentate soluzioni disfunzionali sono il modo attraverso cui il soggetto costruisce la propria realtà. Rispondere cioè a un disagio, a un problema con agiti o pensieri che si ripetono e che però non allontanano quel problema bensì lo mantengono.
Pensiamo ad un uccellino che inavvertitamente entra in casa (vivo in campagna e questa situazione l’ho vissuta molte volte!). Quell’uccellino cercherà di uscire dirigendosi sempre verso il punto da cui è entrato, magari una finestra. Tenterà più e più volte, ferendosi ma ostinatamente continuando a puntare a quella finestra. Potrai aprirgli la porta o un’altra via d’uscita ma invano. Solitamente l’avventura finisce accompagnando l’uccellino verso il punto che gli permetterà di riprendere il suo volo in libertà.
Perché l’uccellino punta sempre a quella finestra?
Perché noi valutiamo sempre e solo quell’unica possibilità?
Forse quelle sono le situazioni che ci danno sicurezza, le uniche che conosciamo. Quelle che abbiamo già sperimentato e ci hanno portato alla soluzione, ma sappiamo bene che una stessa chiave non può aprire tutte le serrature.
La psicoterapia punterà all’acquisizione di nuovi strumenti che consentiranno di aprire nuovi scenari e valutare nuove possibilità.
Lamentarsi
Significa trasferire ad altri ciò che ci fa stare male, cercando in chi ci ascolta accoglienza e comprensione. Ravviviamo in questo modo tutte le sensazioni legate al nostro disagio, nutrendole e arricchendole di nuovi punti di forza. In più inneschiamo un meccanismo secondo cui il sostegno altrui è presente perché non siamo in grado di fare da soli e questo aumenterà il nostro senso di frustrazione.
Il contrario della lamentela è il tacere, il tenersi dentro le emozioni e le sensazioni ma poiché in medio stat virtus, si lavorerà per cercare di rendere questa tentata soluzione non più un eccesso dietro cui si cela un difetto.
Rinunciare
Significa alzare bandiera bianca quando la battaglia è stata solo annunciata. Parafrasando Nelson Mandela, rinunciando non saremo più quei sognatori che non si sono arresi. La rinuncia può apparire come una strada semplice da percorrere ma in realtà è la più irta di ostacoli perché comporta l’astensione da tutto quanto rappresenta un piacere o uno svago. La rinuncia è l’ombrello che ci tiene al riparo dall’acquazzone, facendoci perdere il gusto di imparare a ballare sotto la pioggia.
Delegare
Significa rinunciare a fare e chiedere ad altri di farlo per noi. Questa soluzione racchiude in sé sia la lamentela che la rinuncia ed è un modo per sentirci tranquilli e protetti nel nostro nido mentre gli altri si espongono al nostro posto. Il messaggio è non sono capace!
Come può esserti d’aiuto la Terapia Breve?
Ti sei riconosciuto in uno dei tre meccanismi descritti?
Pensi di aver appeso le scarpette al chiodo e di aver chiuso con il gioco per paura di perdere la partita?
Innanzitutto vorrei precisare che lamentarsi, rinunciare e delegare sono meccanismi che si innescano in modo quasi automatico nel momento in cui viviamo una situazione di malessere e di abbattimento.
Poter contare sugli altri ci rassicura e ci tiene al riparo dall’investire su noi stessi e sulle nostre capacità.
A parole sembra facile, ma nei fatti?
Potresti cominciare a riconoscere la presenza di uno di questi tre fattori nella tua storia, perché avere la consapevolezza significa iniziare a tracciare un percorso che non deve essere fatto di mete lontane ma di luoghi vicini da visitare.
La logica dei piccoli passi può accompagnare la consapevolezza e guidarti verso piccoli obiettivi da fissare e raggiungere ogni giorno.
“Abbandona le grandi strade, prendi i sentieri”, diceva Aristotele.
Se ti rendi conto di aver bisogno di rivolgerti ad un professionista, non esitare a farlo così costruirai un nuovo arco scegliendo con cura la tua pietra portante!
Ogni martedì dalle 18.00 alle 20.00, i terapeuti del nostro team One Session si rendono disponibili per degli incontri online gratuiti utilizzando la Terapia a Seduta Singola. Contattaci per maggiori inviando una email a info@onesession.it oppure visita la nostra pagina Fb OneSession.it
Bibliografia
Lowen A. (1980) – La depressione e il corpo – Roma: Astrolabio Ubaldini
Leonardi F. (2018) – La psicoterapia tra miti e realtà–Roma: Armando Editore
Psicologa, Mediatrice Familiare, Esperta in Scienze Forensi
Come superare la fobia sociale con la Terapia a Seduta Singola
Magari sei una persona estroversa, amichevole e che non fa fatica a conoscere nuove persone.
O magari sei una di quelle spaventate a morte all’idea di interfacciarsi con gente nuova, esibirsi di fronte a un pubblico o semplicemente aprire il proprio cuore a qualcuno.
Non sto parlando di semplice introversione ma di una vera e propria fobia sociale!
Che cos’è la Fobia Sociale?
Ci sono persone che sono timide per loro natura e che sono incapaci di sottostare alle situazioni sociali per paura di un giudizio negativo ; ci sono poi persone introverse che, a differenza dei timidi, preferiscono in percentuale maggiore la solitudine rispetto alla socialità.
Chi soffre di Fobia sociale, invece, vive una condizione di disagio significativa per tutte le situazioni sociali.
Il DMS 5, il Manuale Statistico e Diagnostico dei Disturbi Mentali descrive la fobia sociale come la persistente paura di venire giudicato negativamente dagli altri.
Il che vuol dire che nelle occasioni sociali, la persona ha il timore di essere rifiutata o derisa dagli altri.
Ciò che temono di più sono:
- Occasioni di performance: tutti quegli eventi in cui la persona verrò esaminata o sottoposta a valutazione.
- Situazioni “egocentriche”: tutti i momenti in cui si esprime la propria opinione o posizione. P
- Le occasioni in cui si è al centro dell’attenzione, sotto il focus degli altri.
- Situazioni intime: tutte le volte in cui si parla di se stessi, dei propri fatti personali e si fanno rivelazioni private agli altri.
Cosa fai per combattere la Fobia sociale?
Ci sono una serie di comportamenti che sicuramente metti in atto per tentare di combattere la Fobia Sociale ma anziché risolvere il problema, lo peggiorano o lo mantengono così com’è.
Le tentate soluzioni sono:
- Ti sforzi di essere spontaneo o diverso da ciò che sei e questo ti porta a commettere più gaffe del solito.
- Eviti tutte le situazioni sociali e questo aumenta la tua ansia ogni volta che sei obbligato ad andarci.
- Eviti di mostrare le tue emozioni per no creare rapporti intimi con gli altri
- Chiedi aiuto, hai bisogno di una spalla che ti sostenga ma questo ti porta a sentirti più ansioso di quanto in realtà tu non sia.
- Usi farmaci per tranquillizzarti.
- Hai bisogno di alcool che ti distenda i nervi durante gli incontri sociali.
Tutto questo purtroppo non sta funzionando!
Cosa puoi fare invece?
Prendi la paura per le corna! La paura si sconfigge affrontandola, passo dopo passo.
- Evita…di evitare: ogni volta che confermi da un lato la pericolosità della situazione, dal’altro confermi a te stesso di non essere in grado di affrontare la situazione. Inizia a smettere di evitare ciò che ti spaventa e ad affrontare giorno per giorno la tua più piccola paura.
- Rivela il tuo imbarazzo: è lo stratagemma che usano i public speaking quando si trovano di fronte alla platea; per evitare che l’ansia prenda il sopravvento, dichiarano ad alta voce ciò che li turba. In questo caso puoi anticipare che ti senti in imbarazzo “premetto che sono in imbarazzo, però vorrei dire che…”
- Come se: cosa faresti di diverso se non sofrissi di fobia sociale? Se fossi sicuro di te, se gli altri non ti spaventassero e non ti sentissi in imbarazzo, cosa faresti di diverso rispetto ad adesso? Pensaci e l’azione più semplice che ti viene in mente, la metti in atto.
- Sottoponiti a piccole interazioni quotidiane: provaci, buttati, sperimentati…ma ricordati a piccoli passi. Non devi gettarti giù dal burrone ma semplice iniziare gradualmente co piccole interazioni che ti mettono a tuo agio per sperimentarti e acquisire sicurezza.
Se pensi di aver bisogno di un supporto in più, puoi rivolgerti a un professionista.
La Terapia a Seduta Singola può aiutarti anche in un solo incontro con lo psicologo perché ti permette di eliminare i comportamenti che mantengono in vita il problema e ottenere concreti benefici.
Sei interessato alla Terapia a Seduta Singola? Puoi rivolgerti ai nostri psicologi e psicoterapeuti, disponibili ogni martedì dalle 18.00 alle 20.00, per una consulenza gratuita online.
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Riferimenti Bibliografici
Nardone G. (1993), Paura, panico fobie. La terapia in tempi brevi. Firenze: Ponte delle Grazie.
Nardone G.(2007), Non c’è notte che non veda il giorno. La terapia in tempi brevi per gli attacchi di panico, Milano: TEA Pratica.
Sono una psicologa che si occupa di consulenze brevi e di TSS: il mio obiettivo è ridurre i tempi della terapia e massimizzare l’efficacia della seduta, offrendo un sostegno focalizzato e concreto per affrontare sia le piccole che le grandi difficoltà della vita
Una fine senza inizio: il lutto perinatale
“Il bambino nasce dentro di noi molto prima del concepimento.
Ci sono gravidanze che durano anni di speranza,
eternità di disperazione”
(Marina Ivanovna Cvetaeva)
Cosa è il lutto perinatale
Molti sono sia gli uomini che le donne che, ad un certo punto della loro vita, sognano e desiderano per il loro futuro di diventare genitori.
Non sempre però il momento della gravidanza e dell’attesa si presenta così come viene sognata, e non si è mai preparati abbastanza e fino in fondo.
Siamo soliti parlare della gravidanza solo nel suo aspetto più tenero e meraviglioso. Da qui l’uso del termine “lieto evento”. Troppo poco si tiene in considerazione l’altra faccia della medaglia, quando la morte arriva prima della vita.
Parliamo di tutti quei genitori che sono pronti ad accogliere un bambino conosciuto dalle ecografie. Genitori felici di coronare il loro sogno con quella nuova vita. Genitori che vengono, però, bruscamente scaraventati in un dramma difficile da accettare, elaborare e trasformare: quello della morte di quel piccolo essere.
Nonostante l’alta incidenza di questo fenomeno nel nostro paese (circa il 20% delle gravidanze avviate) ancora troppo poco si parla e si conosce il significato del termine “lutto perinatale”, rimanendo così un fenomeno ampiamente sottorappresentato e socialmente negato.
Con il termine di “lutto perinatale” si fa riferimento a quella perdita causata dalla morte di un bambino che può avvenire sia nelle ultime settimane gestazionali, ma anche alla nascita o nel corso della prima settimana di vita.
Il lutto perinatale è caratterizzato “dalla perdita del bambino nato a livello immaginario, percepito come realmente presente e scomparso però prima di essere davvero conosciuto” (Simona di Paolo, 2018). Inoltre, si colloca “come fallimento della capacità di conservare e mettere al mondo la vita” (Simona di Paolo, 2018) e come evento di assoluta innaturalità, in quanto la morte la precede.
Il dolore per il lutto perinatale
È possibile prendersi cura di questo dolore inatteso? Cosa succede nei genitori quando un processo naturale come la nascita di un bambino si interrompe inaspettatamente?
La perdita di un figlio è l’evento più straziante, traumatico e paradossale a cui si possa assistere. Contraddice il naturale corso degli eventi che caratterizzano le relazioni. È uno shock emotivo di grande intensità che produce un lutto profondo e pervasivo.
Nel corso di studi sono stati individuate 4 fasi dell’elaborazione del lutto da parte delle persone che hanno perso un proprio caro:
- disperazione acuta
- struggimento
- disorganizzazione e disperazione
- riorganizzazione
Le stesse reazioni sono state rintracciate a seguito di un lutto perinatale, nonostante il legame fra i genitori e il bambino si stia ancora formando e la relazione non sia stata ancora instaurata.
In cosa si differenzia il lutto perinatale?
Il lutto perinatale, oltre a configurarsi come perdita affettiva con la morte dell’embrione o del feto, rappresenta anche una perdita simbolica. Questo perché va a intaccare la realizzazione del desiderio di avere un figlio e lo status sociale di maternità/paternità.
La coppia genitoriale si ritrova all’interno di un vortice emotivo. Se un attimo prima viveva emozioni di gioia per l’attesa di una nuova vita, ora viene sorpresa dall’improvvisa sofferenza per l’inatteso vissuto di morte.
La perdita di un figlio mai nato per la coppia genitoriale viene vissuta come la perdita di una nuova fase della vita o di un sogno, una gravidanza che non si conclude con la nascita di un bambino vivo.
Per tale motivo i genitori devono dare forma al proprio dolore e costruire uno spazio biografico e psichico per quella gravidanza e per quel bambino.
Convivere con il dolore e ricostruire la coppia
Il lutto perinatale va a toccare la coppia non solo individualmente, ma anche nelle relazioni, nella comunicazione e nella sfera intima, con la possibilità di sviluppare problematiche che possono portare alla fine del rapporto.
I genitori possono affrontare il dolore in modo differente, esprimendolo su più livelli. Questa differenza nell’espressione del dolore può portare, però, al sorgere di incomprensioni. Spesso l’altro viene valutato come “non abbastanza sofferente” solo perché ha una reazione diversa.
Affinché le incomprensioni vengano superate al meglio e il dolore dell’altro considerato e accettato così per come viene espresso, bisognerebbe lasciarsi la libertà di viverlo senza regole prestabilite.
In questo modo vi sarà la possibilità di creare un equilibrio tra il sostenere e l’essere sostenuto. È necessario trovare momenti e spazi di condivisione, di consigli e di ascolto, ma è giusto, anche, ritagliare, per chi lo necessita, momenti di maggiore solitudine (senza che questi vengano percepiti come un distacco). L’importante è, dunque, che nessuno venga mai giudicato e colpevolizzato per le proprie reazioni emotive.
In conclusione…
Se sentite che il dolore diventa insostenibile, o se percepite di star arrivando alla deriva e volete rafforzare in questo delicato momento la vostra relazione e comunicazione affinché possiate comprendervi meglio per superare insieme il traumatico evento che vi ha travolto, non esitate a rivolgervi ad uno specialista.
Grazie alla Terapia a Seduta Singola è possibile già dal primo incontro ritrovare e far emergere nuove risorse che supportano raggiungimento di un maggiore benessere.
Se sei interessata alla Terapia a Seduta Singola, puoi rivolgerti ai nostri psicologi e psicoterapeuti, disponibili ogni martedì, per un periodo limitato, dalle 18.00 alle 20.00, per una consulenza gratuita online.
Riferimenti bibliografici
Quartaro, RS., e Grussu, P. (2018). Psicologia clinica perinatale: dalla teoria alla pratica. Collana di psicologia della maternità. Trento: Erickson
Ravaldi, C., Vannacci, A., Farmacologo, M., & Onlus, A. C. (2009). La gestione clinica del lutto perinatale Strategie di intervento e linee guida internazionali. Lacare in perinatologia, 3.
Marco, D. (2013). Le madri interrotte. Affrontare e trasformare il dolore di un lutto pre e perinatale: Affrontare e trasformare il dolore di un lutto pre e perinatale(Vol. 75). FrancoAngeli.
Di Paolo, S. (2018). Il non riconoscimento del lutto nell’aborto precoce, possibili interventi terapeutici. State of mind (ID:157936)