Come migliorare il rapporto con il tuo capo
Perché è importante avere relazioni serene nell’ambiente di lavoro?
Riuscire ad instaurare un rapporto soddisfacente con il proprio capo, e con i colleghi, è il desiderio di tantissime persone. Sul luogo di lavoro, infatti, è indispensabile poter contare su un ambiente tranquillo in cui poter lavorare con serenità. E’ ormai da diversi anni noto che, quando le persone si sentono tranquille e senza troppe pressioni addosso, il rendimento lavorativo e la soddisfazione personale aumentano!
Viceversa, un rapporto altalenante o scadente con il proprio superiore, può spesso essere collegato ad una soddisfazione minore verso il proprio lavoro, che può andare a ripercuotersi negativamente anche su altri ambiti di vita.
Qualche dritta per migliorare la situazione
Ottenere una relazione distesa con il capo può non essere un processo immediato, ma ecco qualche suggerimento per riuscire al meglio nella costruzione di rapporto nuovo e più sereno:
1. Sii proattivo
Se pensi di avere la soluzione per un problema, esponila! I suggerimenti, se dati con educazione e rispetto, faranno capire al tuo capo quanto tu sia dedito al lavoro e competente.
2. Presta attenzione alle scadenze
Anche se può essere difficile, soprattutto quando si è sommersi di lavoro, è molto importante rispettare le scadenze, perché sarà una prova formidabile della tua affidabilità.
3. Chiedi feedback
Quando te ne capita l’occasione, chiedere al capo dei feedback sul lavoro svolto ti farà apparire come una persona desiderosa di migliorarsi e fare bene il proprio lavoro. Non avere paura di eventuali riscontri negativi, se dovessero esserci saranno uno spunto per migliorare le tue prestazioni!
4. Ricorda che, oltre ad essere il tuo superiore, è una persona
Come tutti, anche il tuo capo avrà una vita fuori dall’ambiente lavorativo. Cercare di conoscerlo, mostrandoti autentico e rispettoso, potrebbe migliorare notevolmente il vostro rapporto!
Presta attenzione alla comunicazione
Un ultimo suggerimento per rendere il rapporto con il capo più sereno è quello di prestare molta attenzione alla comunicazione.
Il nostro modo di comunicare con gli altri è davvero importante, perché può influenzare direttamente la relazione con la persona che abbiamo davanti.
Quando si tratta di un superiore, è fondamentale adattarsi al suo stile comunicativo e al suo registro linguistico.
Cerca di mantenere questo stile anche nella comunicazione via e-mail, soprattutto se usate spesso questo strumento.
Inoltre, se possibile, cerca di prediligere gli scambi dal vivo a quelli telefonici o via e-mail, perché questi danno una possibilità maggiore di comprendersi e approfondire l’argomento di conversazione.
Riuscire a costruire un rapporto sereno con il proprio capo è possibile, anche se può richiedere qualche sforzo.
Tuttavia, l’impegno iniziale sarà ricompensato da un ambiente lavorativo più disteso, nel quale fare emergere le proprie competenze professionali.
E se credi di avere bisogno di un po’ di aiuto, la soluzione potrebbe essere chiedere aiuto ad un professionista, che ti aiuterà con un incontro di Terapia a Seduta Singola a trovare le risorse e comprendere come usarle per affrontare il problema.
Se sei interessato alla Terapia a Seduta Singola ogni martedì per un periodo limitato, dalle 18:00 alle 20:00 gli Psicologi e gli Psicoterapeuti del nostro team One Session si rendono disponibili per degli incontri gratuiti aperti a tutti.
Prenota la tua consulenza gratuita.
Bibliografia
Cannistrà F., Piccirilli F. (2018), Terapia a Seduta Singola. Principi e pratiche. Giunti Psychometrics
Sono una psicologa, mi occupo di sostegno psicologico attraverso l’uso della Terapia a Seduta Singola per poter aiutare le persone a risolvere i propri problemi in tempi brevi. Ricevo a Cosenza e On Line (Skype).
Christmas Blues ovvero la Depressione Natalizia: come superarla?
Natale: che stress!
Happy days. Ma anche no.
5 consigli per superare le feste in leggerezza
Di seguito alcuni semplici consigli:
Psicologa, laureata all’Università “La Sapienza” di Roma, mi sto formando come psicoterapeuta ad approccio Breve Sistemico-Strategico.
Lavoro da anni in Servizi rivolti a persone con disabilità e con disturbi psichiatrici, occupandomi di sostegno psicologico individuale, di coppia e alle famiglie, favorendo processi di crescita personale e la costruzione di percorsi volti a migliorare la qualità di vita.
La fame nervosa: un rifugio dal quale uscire
Può capitare che vi troviate a sbirciare dentro al frigorifero, o ad aprire ogni singolo sportello di dispensa che contiene cibo, sentendo il desiderio di dover smangiucchiare senza in realtà non avere neanche troppa fame, magari avendo consumato il normale pasto neanche troppo tempo prima.
Perché succede questo?
Una breve definizione
In psicologia la fame nervosa è definita come il desiderio incontrollabile, tale per cui presi da un raptus, si sente di dover mangiare anche senza fame, quindi senza un bisogno fisiologico vero e proprio.
Può questa, piuttosto, subentrare a causa di uno stato emotivo (solitamente negativo) caratterizzato da noia, ansia, tristezza, ecc.
La fame nervosa ci porta a sostituire il bisogno di fare qualcosa, di gestire l’ansia e di colmare la tristezza attraverso il cibo.
Quando la fame parte da questo presupposto il cibo scelto, solitamente, è un alimento che ha il potere psicologico di creare uno stato di benessere momentaneo in chi lo mangia.
Quindi è possibile, già da queste poche righe, notare come la voglia di cibo sia un’esperienza multidimensionale che comprende aspetti cognitivi (il pensiero verso di esso), emotivi (il desiderio), comportamentali (la ricerca) e fisiologici.
Il cibo come rifugio: da protettivo a problematico
Una forma di comunicazione
Il cibo è una forma di comunicazione con noi stessi e con gli altri, un modo per sentirsi in relazione e per vivere gli incontri.
Ma quando la relazione perde il suo equilibrio, si può rischiare di utilizzare il cibo come rifugio, cadendo in comportamenti poco sani per la salute.
Di fatti, il cibo potrebbe diventare un pensiero persistente e costante, in cui la parte gradevole e piacevole associata alla sua assunzione viene soppiantata da connotazioni negative.
L’improvviso attacco di fame, dettato dal cervello e non dallo stomaco, serve a riempire un vuoto, a sfogare dispiaceri, a colmare dolori ed a gestire le situazioni di preoccupazione e stress.
Una disperata fame d’amore che vede nel cibo un mezzo, un segnale per comunicare uno stato di disagio, una carenza d’affetto devastante.
Le esperienze di fame nervosa sono comuni, e non riflettono un comportamento alimentare anomalo di per sé.
Quando può diventare un problema?
Quando il comportamento alimentare è spinto ripetutamente da fame nervosa, raggiungendo un’intensità ed una frequenza tale da causare disagio o compromissione significativa della qualità di vita.
Inoltre, quando provoca una vera perdita di controllo nel rapporto con il cibo (per esempio vi è la sensazione di non essere in grado di riuscire a smettere di mangiare o a controllare quanto si stia mangiando), con conseguenze sulla salute.
Questo tipo di comportamento può sfociare in un disturbo da alimentazione incontrollata (Binge Eating Disorder), caratterizzato da pasti consumati in modo più rapido e in maggiori quantità rispetto al normale, fino a sentirsi spiacevolmente pieni, e invasi, subito dopo l’episodio, da sentimenti di colpa verso se stessi.
Le emozioni collegate alla fame nervosa non dipendono necessariamente da una condizione psicopatologica o da situazioni particolarmente ingravescenti, ma possono scaturire da numerose circostanze della vita quotidiana che generano uno squilibrio emotivo.
Così, anche quando non raggiunge livelli patologici, la fame nervosa può procurare un certo tipo di disagio, poiché dopo l’iniziale ed illusoria sensazione di benessere ottenuta mangiando, si ricade in quelle emozioni negative da cui si cercava di fuggire.
Questa re-invasione di emozioni negative, aggiunte al senso di colpa, innescano nuovamente lo stimolo nel desiderio di cibo “consolatorio”, inducendo alla possibile creazione di un circolo vizioso, caratterizzato da comportamenti automatici inerenti al mangiare, all’interno dei quali non si riesce a scorgere via di fuga.
Cosa fare per placare la fame nervosa
“Magari potessi placare la fame, stropicciandomi il ventre.” (Diogene di Sinope)
Esiste un modo per placare la fame nervosa?
Ecco alcuni suggerimenti utili che possono aiutare nel placare il desiderio e la ricerca di cibo “consolatorio” ed uscire da quel rifugio creato:
1. Evitare di comprare cibi consolatori
Il primo suggerimento, per quanto scontato possa sembrare, è quello di evitare di comprare cibi “consolatori” (o ridurne la quantità) che possono stimolare maggiormente il desiderio di spuntini extra. Qualcuno direbbe: “lontano dagli occhi, lontano dal cuore”…o in questo caso lontano dalla bocca!
2. Impegna il tempo in attività che ti facciano star bene
Chiacchierare con persone a te care, uscire, fare passeggiate, attività fisica, scrivere, e tutto quello che ti viene in mente. Non esistono attività ideali da fare, ma impiega il tuo tempo in quelle che ti più ti piacciono e ti consentono di rifugiarti in luoghi più salutari rispetto ad un frigorifero!
3. Dividi i pasti durante la giornata
Idealmente bisogna fare 5 pasti (3 principali e 2 spuntini) durante tutto il giorno. Organizzali scadenzandone tempo e preferenze di alimenti. Concediti, però, qualche tentazione sulle scelte, purché rimangano all’interno dei pasti consentiti! Qualcuno suggerirebbe che: “l’unico modo di liberarsi di una tentazione è cedervi”.
Se vedi che questi piccoli suggerimenti non ti aiutano a ridurre la fame nervosa e pensi di aver bisogno di un supporto in più, rivolgiti ad un professionista.
La Terapia a Seduta Singola può aiutarti anche in un solo incontro eliminando i comportamenti che mantengono in vita il problema e ottenendo concreti benefici.
Sei interessato alla Terapia a Seduta Singola?
Puoi rivolgerti ai nostri psicologi e psicoterapeuti, disponibili ogni martedì, per un periodo limitato, dalle 18.00 alle 20.00, per una consulenza gratuita online.
Scrivi sulla pagina Facebook One Session.it
Bibliografia
Nardone G. (2015). La dieta paradossale. Firenze: Ponte alle grazie
Nardone G. (2013). Al di là dell’amore e dell’odio per il cibo. Bur psicologia
Biondi M (2014). DSM-5. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Raffaello Cortina Editore
Terapia a Seduta Singola e fobia sociale
Ci sono persone molto disinvolte quando si trovano in mezzo ad altra gente, quando devono esporsi o parlare in pubblico, quando fanno nuove conoscenze; altre invece sono più riservate, meno espansive.
C’è chi poi ha il vero e proprio terrore di ogni situazione sociale, e al solo pensiero entra nel panico.
Se ti riconosci in quest’ultima descrizione, forse soffri della cosiddetta fobia sociale.
Fobia sociale: caratteristiche
Il DSM 5, il Manuale Statistico e Diagnostico dei Disturbi Mentali, descrive la fobia sociale come una “marcata e persistente paura di affrontare situazioni o performance sociali in cui si può essere esposti al giudizio altrui”.
Chi soffre di fobia sociale teme (anzi, è certo) di venir giudicato negativamente dagli altri, di essere deriso, rifiutato, per ogni suo comportamento o parola.
Le situazioni temute non sono solo quelle di grande esposizione, come il tenere un discorso davanti ad un pubblico, ma riguardano ogni minima interazione con altre persone: mangiare con altri, camminare dove c’è altra gente, intervenire in una riunione, sostenere una semplice conversazione o anche solo chiedere delle indicazioni.
Questo tipo di fobia è quindi molto invalidante. Ogni situazione temuta è in grado di innescare sensazioni di ansia e paura molto intense, sproporzionate rispetto alla situazione e persistenti.
Le tentate soluzioni disfunzionali della fobia sociale
Per ripararsi da queste terribili sensazioni, chi soffre di fobia sociale mette in atto dei comportamenti che, in realtà, non fanno che mantenere o peggiorare il problema. Vediamo quali sono:
- È la soluzione più semplice da mettere in atto e la più praticata. Il pensiero di chi evita è “se quella situazione mi fa paura, non esponendomici non avrò paura”.
In realtà il meccanismo tenuto in piedi da questa soluzione è più complicato. Se da una parte protegge la persona da quelle forti e terribili sensazioni, dall’altra le conferma il fatto che effettivamente le circostanze che si stanno evitando sono pericolose, e che non si hanno le capacità di affrontarle.
- Comportarsi con diffidenza. Il fatto che chi soffre di fobia sociale sia certo del giudizio negativo che gli altri gli riservano, lo porta a comportarsi in maniera diffidente e circospetta. Se costretto ad avere a che fare con altre persone, il fobico sociale si comporta in modo guardingo, mantenendo le distanze.
Conseguenza di questo tipo di comportamento è che gli altri lo guardino con sospetto a sua volta. Questo andrà ad alimentare le convinzioni di partenza. “Mi guardano male, mi stanno giudicando; lo sapevo!”
Superare la fobia sociale
Superare la fobia sociale è possibile, e qui di seguito puoi trovare due piccoli stratagemmi se vuoi iniziare a metterti in gioco autonomamente:
- Anticipa il tuo imbarazzo. Questa è un’arma potentissima che può aiutarti ad evitare…di evitare!
Invece che privarti di esperienze in compagnia altrui, ammetti agli altri il tuo disagio! Puoi usare frasi come “Quello che sto per dirti potrà sembrare sciocco, ma…” oppure “Mi imbarazza dire questa cosa, ma io penso che…”. Se hai manifestazioni fisiche di imbarazzo, come l’arrossamento delle guance, fallo presente! - Comportati “come se”. Cosa faresti di diverso, se fossi sicuro che gli altri non ti giudicassero e fossi una persona molto capace nelle relazioni sociali? Prova a prenderti ogni mattina qualche minuto per pensarci e, quotidianamente, scegli la più piccola azione che ti è venuta in mente, quella che ti comporta uno sforzo minimo, e prova a metterla in atto durante la giornata. Sperimenta cosa succede di diverso!
Come può aiutarti la terapia a seduta singola?
La Terapia a Seduta Singola ti garantisce il supporto di un professionista, che saprà darti un aiuto “sartoriale”, cucito su misura per te!
Insieme andrete ad individuare quali tentate soluzioni stanno mantenendo in vita il problema e quali strategie funzionali adottare al loro posto, basandosi sulle tue risorse.
Se sei interessato alla Terapia a Seduta Singola, puoi rivolgerti ai nostri psicologi e psicoterapeuti, disponibili ogni martedì dalle 18.00 alle 20.00, per una consulenza gratuita online.
Scrivici sulla pagina Facebook OneSession.it.
Bibliografia
Nardone G. (1993), Paura, panico, fobie. La terapia in tempi brevi, Firenze: Ponte delle Grazie
Nardone G. (2007), Non c’è notte che non veda il giorno. La terapia in tempi brevi per gli attacchi di panico, Milano: TEA Pratica
Il mio lavoro è orientato al futuro e alla valorizzazione delle risorse delle persone che si rivolgono a me, in ottica di totale collaborazione.
Tu e il tuo corpo siete in una relazione complicata?
Il corpo è lo strumento con cui comunichiamo e interagiamo con il mondo esterno.
Prendersene cura, significa migliorare il rapporto con gli altri, la percezione che abbiamo di noi stessi e costruire una solida identità personale.
Ognuno custodisce un immagine di sé che spesso è in disaccordo con l’immagine riflessa nello specchio.
L’accettazione del proprio corpo è un processo lungo che per alcuni di noi non ha fine, per altri si soddisfa con la realizzazione di un obiettivo.
E’ nella libertà di ciascuno di noi modellarlo e modificarlo a proprio piacimento, investire su di esso, progettarlo per ottenere ciò che vorremmo: tuttavia, dobbiamo anche imparare ad amarlo, senza pretendere che diventi ciò che non può assolutamente essere.
Avere cura del proprio aspetto, si ripercuote positivamente sulla fiducia e sull’autostima personale, apportando modifiche positive sull’umore e sulla disposizione favorevole verso l’esterno.
Sentirci belli, cambia il nostro atteggiamento, la percezione che abbiamo di noi stessi e delle nostre capacità.
Sappiamo bene che al di là di aspetti meramente genetici, tutto ciò su cui possiamo lavorare per ottenere benefici concreti sono l’attività fisica e una buona alimentazione.
Lo sport aiuta il corpo a mantenersi giovane e forte, a contrastare eventuali patologie fisiche, a migliorare la concentrazione e la memoria oltre ad ottenere un fondoschiena perfetto.
Mangiare bene stabilizza l’umore, fornisce al corpo il carburante giusto, migliora la pelle, contrasta la cellulite e ti mantiene in forma.
Cibo e sport sono due condizioni imprescindibili per stare bene. Non sto parlando necessariamente di stare a dieta, ma di prendersi cura di sé.
Cosa ti impedisce di farlo?
Spesso utilizziamo delle scorciatoie che pensiamo saranno risolutive:
- Digiunare
- Vomitare
- Fare attività fisica esagerata
- Usare condotte compensative come i lassativi
- Restringere l’alimentazione
Non è così.
Al contrario mantengono il nostro rapporto complicato con il cibo senza farci raggiungere i risultati sperati.
Per esempio, se vomitiamo, pensiamo di aver trovato la strategia giusta per mangiare e al contempo non prendere peso: crea in realtà un circolo vizioso dal quale sarà difficile uscire.
Quali sono le tentate soluzioni più comuni nella ricerca di un equilibrio alimentare?
1. La trasgressione:
«Niente è piu’ irresistibile di un divieto da trasgredire» O. Wilde
Spesso ci imponiamo divieti assoluti verso alcuni cibi. Più ce li vietiamo però, più in realtà li desideriamo. Finiamo per cedere alla tentazione, eccedendo.
2. Una lotta continua:
Facciamo sport a livelli estremi per consumare più di quanto mangiamo. Questa errata convinzione fa si che si sviluppi una vera e propria ossessione che ci porta a risultati contrari: più incrementiamo l’attività fisica e più abbiamo fame; di conseguenza per smaltire dovremmo ulteriormente incrementare l’attività fisica. E’ un tunnel da cui non usciamo se non smettendo e ingrassando.
3. Scorciatoie:
Stare a dieta è stancante, così cerchiamo degli escamotage.
Pensiamo di non essere in grado di stare a dieta oppure che sia troppo lungo come percorso e poco sostenibile e finiamo per affidarci a “metodi alternativi” come farmaci, sostanze miracolose e coì via. Deleghiamo ad altro il nostro successo.
Non esiste “pillola magica” in grado di sostituirsi a noi e alla nostra forza d’animo.
Primi piccoli passi
1. Ritagliati del tempo:
La vita di tutti i giorni lascia poco tempo per dedicarci a noi stessi.
Ritagliati dei momenti tutti i giorni in cui decidi di compiere un gesto d’amore nei tuoi confronti, una piccola coccola per te stesso, che sia un buon libro, una passeggiata o una maschera per il viso.
2. Lasciati andare alla fantasia:
Soffermati volontariamente sul piacere che deriva dal cibo, accarezzandolo prima con la mente e poi con il corpo. L’immaginazione è un mezzo potentissimo da cui spesso dimentichiamo di attingere.
Per cinque lunghi minuti, immergiti e immagina cosa vorresti mangiare in quella giornata.
3. Impara a controllarti, lasciandoti andare:
Mangia ciò che vuoi, senza pretendere alcuna forma di controllo sul cibo. Impara a concedertelo, all’interno dei tre pasti principali.
Se pensi di aver bisogno di un supporto in più, puoi rivolgerti a un professionista.
La Terapia a Seduta Singola può aiutarti anche in un solo incontro con lo psicologo perché ti permette di eliminare i comportamenti che mantengono in vita il problema e ottenere concreti benefici.
Sei interessato alla Terapia a Seduta Singola? Puoi rivolgerti ai nostri psicologi e psicoterapeuti, disponibili ogni martedì dalle 18.00 alle 20.00, per una consulenza gratuita online.
Scrivi sulla pagina Facebook One Session.it
Dott.ssa Beatrice Pavoni
Bibliografia:
Nardone, G (2007) La Dieta Paradossale: sciogliere i blocchi psicologici che impediscono di dimagrire e mantenersi in forma, Ponte delle Grazie
Sono una psicologa che si occupa di consulenze brevi e di TSS: il mio obiettivo è ridurre i tempi della terapia e massimizzare l’efficacia della seduta, offrendo un sostegno focalizzato e concreto per affrontare sia le piccole che le grandi difficoltà della vita
Terapia a Seduta Singola e Binge Eating Disorder
Il rapporto tra l’uomo è il cibo è un rapporto complicato.
Sappiamo quanto sia importante fisicamente e psicologicamente avere una corretta alimentazione e al contempo sappiamo quanto sia difficile mantenerla.
Il rapporto con il cibo è spesso controverso: alcuni si concedono gli eccessi, altri se ne privano del tutto; c’è chi non svolge attività fisica e chi al contrario ne abusa.
Mangiare è un piacere e al contempo una maledizione, soprattutto se consideriamo che non mangiamo solo “per fame” ma anche per socializzare; sono tanti i momenti in cui il cibo può trasformarsi in un premio o in una punizione e per alcuni strutturarsi come un problema.
Che cos’è il Binge Eating Disorder (BED)?
Quando parliamo di Disturbo Alimentare, ci riferiamo a un alterazione delle abitudini alimentari che comportano conseguenze sia fisiche che psicologiche, a causa dell’eccessiva preoccupazione rispetto al peso o alla forma del proprio corpo.
Il BED insorge tardi, tra i 25 e i 35 anni.
Il Binge Eating Disorder è stato inserito tardi nei Disturbi della nutrizione e della alimentazione; solo con il sopraggiungere del DSM-5.
Ciò che caratterizza questo disturbo è l’abbuffata: si presenta almeno 1 o 2 volte a settimana, senza che la persona ricorra in seguito a condotte di eliminazione.
L’abbuffata si alterna poi a periodi di digiuno e di restrizione alimentare piuttosto rigida che conducono ad abbuffarsi nuovamente.
Il comportamento cardine è la difficoltà nel controllare l’impulso a mangiar, motivo che spesso porta le persone che soffrono di BED all’obesità.
Ma cosa significa abbuffarsi?
L’abbuffata deve soddisfare alcuni parametri per essere ritenuta valida: non sto descrivendo infatti un momento di “sgarro” o cui la concessione di un alimento in più del necessario; al contrario l’abbuffata è riconoscibile per:
- Una quantità di cibo ingerita in un tempo limitato che è decisamente superiore al quantitativo normale che si ingerirebbe in quello stesso arco di tempo
- Una sensazione di totale perdita di controllo nei confronti del cibo.
L’abbuffata compulsiva presenterà almeno tre di questi tratti:
- Mangiare molto più rapidamente del normale;
- Mangiare fino ad avere una sensazione dolorosa;
- Mangiare grandi quantità di cibo pur non sentendo fame;
- Mangiare in solitudine a causa dell’imbarazzo per le quantità di cibo ingerite;
- Provare disgusto di sé, intensa colpa o disagio dopo aver mangiato troppo.
Ricapitolando, chi soffre di BED avrà difficoltà a controllare l’impulso a mangiare e 1 o 2 volte a settimana sarà vittima di un abbuffata compulsiva, alternata a periodi di rigido controllo alimentare.
Il controllo che fa perdere il controllo.
Il problema fondamentale è l’impossibilità di trovare un equilibrio tra il controllo e la perdita dello stesso; questo circolo vizioso infatti mantiene in vita il problema stesso.
«Niente è piu’ irresistibile di un divieto da trasgredire» O. Wilde
Pensaci! Più tenti di controllarti e più hai difficoltà nel farlo. Se hai deciso di vietare rigorosamente la cioccolata, incontrerai forti difficoltà a resisterle –quando avrai la possibilità di mangiarla- a causa di un crescente desiderio scatenato dall’auto imposizione.
Finirai per mangiarne più del necessario.
Come diceva Oscar Wilde: “ il miglior modo per resistere a una tentazione, è cedervi”
Cosa puoi fare?
Il primo passo è riprendere il controllo sul cibo e modificare le convinzioni errate che sono alla base dei tuoi divieti e delle tue paure rispetto a particolari cibi.
In secondo luogo, ridurre le abbuffate, costruendo un equilibrio alimentare.
- Controlla il cibo concedendotelo:
Ho appena spiegato come i divieti accrescono il desiderio. Anziché avere un controllo eccessivo e restrittivo del cibo, è importante che impari a concedertelo ed evitare di assumere un atteggiamento di totale e rigido rifiuto.
- Restringere senza restrizioni:
Prova a mangiare quanto vuoi e quello che vuoi ma all’interno dei tre pasti principali. Circoscrivi l’atto del mangiare in un tempo ben definito, concedendoti però tutto quello che vuoi.
- Fai una lista:Ogni mattina ti alzi e puoi scrivere una rapida lista pensando: “se oggi volessi peggiorare le mie abitudini alimentari, cosa dovrei fare?”
Fai una lista con tutti i comportamenti che ti vengono in mente come “mangiare schifezze”, “mangiare più del solito” e cosi via.
A fine giornata riprendi la lista e sbarri i comportamenti che hai messo in atto.
Come può esserti d’aiuto la Terapia a Seduta Singola?
In primo luogo se pensi di aver bisogno di un supporto in più, puoi rivolgerti a uno specialista in questi casi, uno psicologo e un nutrizionista.
La Terapia a Seduta Singola è utile perché consente individuare le tue tentate soluzioni, ovvero i comportamenti che mantengono in vita il problema, e di bloccarli.
Si lavora partendo dalle risorse della persona, per capire quale sarebbe il primo passo per modificare in meglio il rapporto con il cibo e decidere che obiettivo si intende raggiungere.
Dopodichè si concorda una strategia insieme e come procedere.
Smettere di abbuffarsi è possibile e anche in un solo incontro con lo psicologo è possibile ottenere concreti benefici.
Sei interessato alla Terapia a Seduta Singola? Puoi rivolgerti ai nostri psicologi e psicoterapeuti, disponibili ogni martedì dalle 18.00 alle 20.00, per una consulenza gratuita online.
Scrivi sulla pagina Facebook One Session.it
Beatrice Pavoni
Bibliografia:
Nardone, G (2007) La Dieta Paradossale: sciogliere i blocchi psicologici che impediscono di dimagrire e mantenersi in forma, Ponte delle Grazie
Nardone, G. Verbitz, T. Milanese, R. (1980). Le prigioni del cibo. Vomiting, anoressia, bulimia. La terapia in tempi brevi.Tea
Sono una psicologa che si occupa di consulenze brevi e di TSS: il mio obiettivo è ridurre i tempi della terapia e massimizzare l’efficacia della seduta, offrendo un sostegno focalizzato e concreto per affrontare sia le piccole che le grandi difficoltà della vita
Quando bere è la soluzione (disfunzionale)
Quando parliamo di alcol spesso ci viene in mente la dipendenza da questa sostanza. Di questo, certamente, se ne occupano in modo efficace ed efficiente i servizi addetti.
Esistono, però, oltre ai casi più gravi ed invalidanti, delle situazioni in cui il bere diventa un problema: quando è l’unico modo per divertirsi, per distrarsi, per risolvere un problema.
In questo caso parliamo di abuso di alcol o di uso problematico, che può essere trattato e risolto in tempi brevi senza necessariamente rivolgersi ad un servizio.
Ma facciamo chiarezza.
Quand’è che siamo di fronte ad una dipendenza?
Secondo il DSM-5 (il manuale di classificazione dei disturbi mentali) si può parlare di dipendenza da alcol se sono presenti almeno 2 di questi criteri:
- L’alcol è spesso assunto in quantità maggiori o per periodi più prolungati rispetto a quanto previsto dalla persona
- La persona desidera spesso ridurre o controllare l’uso dell’alcol, ma non riesce a farlo, i suoi tentativi sono sempre fallimentari
- La persona spende una grande quantità di tempo in attività necessarie a procurarsi l’alcol (per es. guidando per lunghe distanze), ad assumerla (per es., passando il tempo ad ingerire una grande quantità di acolici), o a riprendersi dai suoi effetti
- La persona prova una forte smania, un forte desiderio di bere (craving)
- Usa in modo ricorrente l’alcol, con conseguente fallimento nell’adempimento dei principali obblighi di ruolo sul lavoro, a scuola, a casa
- Beve in modo continuativo nonostante la presenza di persistenti o ricorrenti problemi sociali o interpersonali causati o peggiorati dagli effetti dell’alcol
- Compromissione di importanti attività sociali, lavorative o ricreative che vengono interrotte o ridotte a causa del bere
- Beve spesso in situazioni nelle quali farlo è fisicamente pericoloso
- Beve di continuo nonostante la consapevolezza di un problema persistente o ricorrente, fisico o psicologico, che è stato probabilmente causato o intensificato dall’alcol
- Sperimenta la “tolleranza”, cioè: a) il bisogno di bere quantità sempre maggiori di alcol per raggiungere l’effetto desiderato; b) un effetto notevolmente diminuito con l’uso continuativo della stessa quantità di alcol
- Sperimenta i sintomi di astinenza, cioè: a) vive la caratteristica sindrome di astinenza per la sostanza; b) l’alcol (o un’altra sostanza strettamente correlata) è assunto per attenuare o evitare i sintomi dell’astinenza stessa.
Bere è il problema o la soluzione?
L’alcol ed in generale il bere può essere considerato come la soluzione disfunzionale che la persona mette in atto per risolvere un problema o una difficoltà.
Che significa “soluzioni disfunzionali”?
Sono tutti quei comportamenti che hai messo in atto per risolvere il problema, e che non sono non lo hanno risolto, ma lo hanno addirittura peggiorato.
Facciamo degli esempi.
- Hai iniziato a bere per sentirti più rilassato?
- Per riuscire a socializzare meglio con gli altri?
- Per non pensare e non affrontare una difficoltà della tua vita?
- Per mettere a tacere delle emozioni spiacevoli?
Qualunque sia il motivo che ti ha spinto a bere, quello diventa l’arma per far fronte a qualcosa che non riesci a gestire, controllare o affrontare.
Ed è proprio la soluzione che diventa il problema. Perché effettivamente quando bevi ti senti più rilassato, socializzi in modo più spigliato, non pensi ai problemi e non senti le emozioni.
Solo che…bere non ha davvero risolto la tua difficoltà!
Come può aiutarti la Terapia a Seduta Singola?
Lo scopo principale è quello di far vedere alla persona che c’è uno scenario oltre il problema in cui è rimasta intrappolata e, contemporaneamente, bloccare tutte quelle azioni che mette in atto e che non risolvono il problema.
Infatti, più la persona beve e utilizza questo comportamento come soluzione ai suoi problemi di altra natura, più conferma a se stessa che senza l’alcol non è in grado di risolverli.
Se tu pensi che per essere più spigliato con gli altri hai bisogno dell’alcol, ti stai confermando che senza l’alcol non sei capace di farlo. Ed ecco che la soluzione diventa il problema.
Quindi, bloccare queste soluzioni disfunzionali sarà utile per rapportarsi in modo diverso a quelle situazioni che creano disagio e malessere e trovare un modo più funzionale e, soprattutto risolutivo, per affrontarle e superarle.
Spesso si parte proprio dalle risorse della persona, per individuare quali sarebbero le prime cose che potrebbe fare per cambiare il proprio rapporto col bere.
Smettere di abusare dell’alcol è possibile. Ricerche condotte nel campo dell’abuso di sostanze e delle dipendenze hanno mostrato come spesso anche una sola seduta porta dei concreti miglioramenti.
Se sei interessato alla Terapia a Seduta Singola ogni martedì per un periodo limitato, dalle 18:00 alle 20:00 gli Psicologi e gli Psicoterapeuti del nostro team One Session si rendono disponibili per degli incontri gratuiti aperti a tutti.
Bibliografia
Barry, K. L. (1999). Brief Interventions and Brief Therapies for Substance Abuse: Treatment Improvement Protocol (TIP) Series 34. Rockville: U.S. Department of Health and Human Services.
Berg, I. K. & Miller, S. (1992). Quando bere diventa un problema. Milano: Ponte alle Grazie, 2001.
Sono una Psicologa, specializzata in Dipendenze da sostanze, comportamentali (gioco d’azzardo, shopping, ecc) e relazionali (dipendenza affettiva). Sono formata all’utilizzo della Terapia a Seduta Singola (TSS) e della Terapia Centrata sulla Soluzione, per aiutare le persone a risolvere i loro problemi e tornare al benessere nel più breve tempo possibile, imparando a scoprire e sfruttare al meglio tutte le loro risorse.
Come migliorare la convivenza con il partner… tra una lavatrice e l’altra?
L’antropologo Gregory Bateson descrive come, in natura, le coppie di ricci, per abitare comodamente nella propria tana ed evitare di pungersi, trovino un reciproco accomodamento.
Il riccio maschio aspetta che la compagna si adagi, per sistemarsi poi di conseguenza. Successivamente la compagna si risistema meglio a seconda della posizione del compagno e così via.
Alla fine i due arrivano a stare vicini, a riscaldarsi reciprocamente e ad addormentarsi.
Allo stesso modo la vita di coppia, e la convivenza in particolare, richiedono continue e differenti fasi di aggiustamento, non prive di difficoltà.
Eppure, come l’esempio delle coppie di ricci insegna, è possibile costruire una confortevole convivenza con il proprio partner, se ciascuno riesce a modularsi, adattarsi, ma anche ingegnarsi, per poter raggiungere nuovi obiettivi.
Convivenza e faccende domestiche
Molto spesso le coppie che si rivolgono ad uno psicologo, arrivano con la speranza e l’obiettivo di riuscire a far cambiare i comportamenti o gli atteggiamenti dell’altro partner.
Nella maggior parte dei casi, infatti, la richiesta di un percorso di coppia nasce da uno solo dei partner, che decide, di “portare” l’altro in terapia, ritenendo che siano i suoi comportamenti ad essere la causa di tutti i problemi!
Tuttavia, secondo una recente ricerca di Ochs e Kremer-Sadlik, l’elemento chiave per garantire una convivenza felice, oltre ad una buona comunicazione tra i partner, è l’equa distribuzione, quasi matematica, delle faccende domestiche.
Se all’interno della casa ogni partner sa esattamente cosa fare e cosa aspettarsi dall’altro, le cose vanno, secondo i ricercatori, decisamente meglio.
La coppia in ordine
In Italia, secondo l’indagine ISTAT del 2008- 2009, si rileva che il lavoro domestico risulta ancora per lo più a carico delle donne (76%).
Le differenze territoriali sono più marcate nelle coppie in cui lei non lavora.
L’indice assume valori inferiori al 70% solo nelle coppie settentrionali in cui lei lavora e non ci sono figli, e nelle coppie in cui la donna è una lavoratrice laureata (67,6%)”, si legge nel rapporto.
Anche la più recente indagine del 2020, condotta dall’ISTAT dopo la fase di lock-down, ha registrato solo una minima flessione rispetto ai dati precedenti.
La soluzione dunque per migliorare la convivenza, sarebbe quella di rendersi interscambiabili, pur mantenendo ciascuno i propri “stili” nell’eseguire certi compiti (ad esempio il diverso stile nello stendere i panni, nel preparare i pasti, nel riordinare la casa ecc.).
Quando però questo non è possibile, per creare complicità e collaborazione tra i partner, diventa utile trovare un accordo attribuendosi ciascuno dei compiti fissi, seguendo le proprie naturali inclinazioni.
Convivenza: suggerimenti per l’uso
Per distribuire la giusta leggerezza e armonia alla convivenza, può esservi di aiuto seguire qualche piccolo consiglio:
- Scrivete entrambi una lista: i lavori di casa che vi vanno bene e quelli che invece odiate fare. Cercate di trovare un accordo rispetto a diverse “aree”: pulizie, bucato, cucina, gestione dei figli, mantenimento dell’ordine nelle stanze e funzionalità della casa;
- Accordatevi su una o due faccende di cui vi occuperete sempre e solo voi;
- Scegliete almeno una cosa da fare insieme;
- Una volta scelta la vostra “area”, accordatevi con il partner per scambiarla con regolarità (ad esempio: lavare i piatti, una sera l’uno, una sera l’altra);
- Fatevi i complimenti a vicenda, cercate di comunicare al partner quanto vi renda felici questa continua collaborazione nella convivenza.
Se invece le indicazioni sopra descritte vi sembrano impossibili da raggiungere, se pensate di vivere all’interno di incomprensioni difficilmente sanabili, la cosa migliore prima di prendere decisioni avventate, è rivolgersi alla consulenza di uno psicologo.
Attraverso la Terapia a Seduta Singola ad esempio è possibile intervenire sul problema ed ottenere benefici in tempi brevi, ricavando il massimo anche da un singolo incontro.
Puoi chiedere una consulenza scegliendo il terapeuta vicino a te o che faccia consulenza anche on-line, cliccando sul sito www.onesession.it.
Singolarmente o come coppia, potete ottenere risultati significativi già dal primo (e forse unico) incontro, restituendo equilibrio alla vostra relazione.
Dott.ssa Monica Patrizi
Bibliografia
Algeri D., Guaraschi V., Lauri, S. (2019) “La coppia strategica”, EPC Editore
Nardone G. (2019) “Correggimi se sbaglio”, Ponte alle Grazie Editore
Sitografia
http://dati.istat.it.
Psicologa, laureata all’Università “La Sapienza” di Roma, mi sto formando come psicoterapeuta ad approccio Breve Sistemico-Strategico.
Lavoro da anni in Servizi rivolti a persone con disabilità e con disturbi psichiatrici, occupandomi di sostegno psicologico individuale, di coppia e alle famiglie, favorendo processi di crescita personale e la costruzione di percorsi volti a migliorare la qualità di vita.
Quando una sola seduta può essere sufficiente
Quanto dura un percorso psicologico?
Un mese?
Un anno?
Di più?
E se una sola seduta fosse sufficiente?
Il numero più frequente di sedute in psicoterapia è 1
Intorno agli anni ’90 lo psicologo Moshe Talmon fece una scoperta casuale. Gli capitò di analizzare il numero di accessi dei pazienti seguiti al Kaiser Permanente, il centro dove lavorava.
Talmon si rese conto che, confrontando l’attività di una trentina di operatori tra psichiatri, psicologi e operatori sociali, il numero più frequente di sessioni di terapia era uno.
Spinto da questa scoperta condusse una ricerca più strutturata che portò ai seguenti risultati:
- uno è il numero più frequente di sedute in psicoterapia
- tra il 20 e il 50% delle persone sceglie di fare una sola seduta
- fino all’80% delle persone che scelgono di fare una sola seduta ritiene di stare meglio o di aver risolto il suo problema.
Questi risultati sono stati confermati in diverse parti del mondo: una recentissima ricerca ha potuto estendere questi dati anche alla realtà italiana (Cannistrà et al., 2020).
Col lavoro pioneristico di Talmon si è quindi messa in dubbio l’idea comune che i cambiamenti psicologici abbiano bisogno di lunghi periodi per avvenire.
A scardinare ancora di più questa idea ci pensa lo psicologo Michael Hoyt, il quale ritiene che il numero più frequente di sedute in psicoterapia sia addirittura zero!
Che significa?
Prova a pensare: quante volte nella tua vita hai dovuto affrontare dei problemi? E quante volte ti sei rivolto ad uno psicologo per risolverli?
Generalmente le persone risolvono i propri problemi da sole, perché hanno le risorse per poterlo fare!
Trarre il massimo da ogni singolo incontro grazie alle risorse della persona
La terapia a seduta singola è una tecnica che permette di massimizzare l’efficacia di ogni singolo incontro.
Per farlo, sfrutta al meglio le risorse di tipo cognitivo, emotivo, sociale ed esperienziale che l’individuo già possiede ma che in quel momento magari non riesce ad usare al meglio o non riesce a vedere.
In un incontro di Terapia a Seduta Singola ogni seduta è concepita come completa in sé: ci si focalizza su un problema specifico portato dalla persona e si lavora fin da subito per raggiungere un obiettivo concordato.
L’interesse di una Terapia a Seduta Singola non è tanto ricercare le cause del problema quanto focalizzare l’obiettivo e identificare le risorse e capacità che possono facilitare l’individuo nel suo raggiungimento, eventualmente bloccando comportamenti controproducenti che mantengono vivo il problema.
Quindi posso risolvere tutti i miei problemi in un solo incontro?
Sebbene le ricerche dimostrino che una sola seduta può essere sufficiente, non è possibile stabilire a priori se sarà così. Alcune persone beneficiano di un solo incontro, altre hanno la necessità di intraprendere un percorso (anche breve). Va bene in ogni caso, esistono persone e persone, problemi e problemi.
Che basti un incontro o che ne servano altri, con la Terapia a Seduta Singola si lavora come se quel primo incontro fosse potenzialmente l’unico, massimizzandone quindi l’efficacia.
Per quali problemi e situazioni funziona?
La Terapia a Seduta Singola è efficace per ampissimo numero di problemi, quali ansia e attacchi di panico, depressione, disturbo post traumatico da stress, insonnia, disturbi dell’infanzia e dell’adolescenza.
Può essere utile anche tutte quelle situazioni dove non esiste un problema o un disturbo conclamato, ma si ricorre allo psicologo ed alla Terapia a Seduta Singola per prendere una decisione o per migliorare degli aspetti di se stessi.
Il fatto che ogni incontro sia completo in sé, inoltre, permette di pensare allo psicologo come al medico di famiglia: un professionista a cui rivolgersi al bisogno.
Se sei interessato alla Terapia a Seduta Singola ogni martedì per un periodo limitato, dalle 18:00 alle 20:00 gli Psicologi e gli Psicoterapeuti del nostro team One Session si rendono disponibili per degli incontri gratuiti aperti a tutti.
Bibliografia
Cannistrà, F. Piccirilli (2018), Terapia a Seduta Singola. Principi e pratiche. Giunti Psychometrics
Cannistrà et al. (2020), Examining the Incidence and Clients’ Experiences of Single Session Therapy in Italy: A Feasibility Study, Australian and New Zealand Journal of Family Therapy
Il mio lavoro è orientato al futuro e alla valorizzazione delle risorse delle persone che si rivolgono a me, in ottica di totale collaborazione.
L’ipocondria: dalla paura delle malattie ai “falsi” rimedi
Ipocondria è un termine che, negli ultimi tempi, è sempre più inflazionato.
Del resto, è più che naturale.
Durante questi mesi è cresciuta molto la paura delle malattie: il continuo richiamo a mantenere comportamenti prudenti e la condizione di sostanziale incertezza in cui viviamo hanno reso sempre più labile il confine tra ciò che ci sembra il giusto comportamento e l’eccessiva preoccupazione.
Fino a qualche tempo fa si definiva l’ipocondriaco un malato immaginario e come tale se ne sottovalutava la sofferenza.
In realtà l’ipocondriaco vive una sofferenza reale poiché è da lui percepita e vissuta come tale.
Per parlare di ipocondria, però, non bisogna far riferimento ad un generico timore: la preoccupazione verso la propria salute, la paura di contrarre una malattia o di presentare dei sintomi devono essere costanti e pervasive.
Cos’è dunque l’ipocondria?
Nel panorama scientifico il termine ipocondria è solo un retaggio, questo perché nel nuovo manuale diagnostico, DSM 5, corrisponde alla dicitura di disturbo da ansia da malattia ed è affiancato dal disturbo da sintomi somatici.
In quest’ultimo, i soggetti hanno livelli molto elevati di preoccupazione verso la malattia. Valutano in maniera sproporzionata i sintomi fisici, realmente presenti, percependoli come “minacciosi” per la propria salute. In questi casi, dunque, il bersaglio della paura è il sintomo che porta ad amplificare la preoccupazione per il proprio stato di salute.
Quando si parla di ansia di malattia, invece, la preoccupazione della persona è quella di avere o poter contrarre una grave malattia, anche in assenza di sintomi somatici o con presenza di sintomi molto lievi. In questi casi, il malessere della persona non proviene dal sintomo ma dal costante stato di ansia e paura.
Le “false” soluzioni
L’ipocondriaco vive una costante preoccupazione per la propria salute ed è quindi iperattento ai “segnali” corporei che vengono percepiti in modo amplificato. Per liberarsi dall’ansia e dalla paura che questa propensione genera, e per razionalizzare l’aspetto emotivo, spesso attua soluzioni non sempre funzionali. Eccone alcune:
1. Il Dott. Google
Quasi tutti nella vita siamo andati a cercare su Google le spiegazioni di un sintomo o quali potrebbero essere i sintomi per diagnosticare una malattia.
Non sempre questa si rivela una buona strategia, anzi spesso conduce ad aumentare il livello di confusione e ad amplificare l’ansia e la paura per la propria condizione di salute.
Questo perché le informazioni sono utili quando si possiedono le conoscenze per interpretarle. Quando invece tali conoscenze mancano, troppe informazioni piuttosto che chiarire i dubbi, finiscono con l’alimentarli.
2. L’Ipercontrollo
La persona tende a monitorare costantemente il proprio stato di salute (es. battiti cardiaci, pressione, ecc.). Ciò altro non fa che amplificare le paure, poiché prestare attenzione in modo costante al sintomo ne amplifica la percezione sia a livello di intensità che di frequenza di comparsa.
3. La lamentela
Si avverte il bisogno di condividere la propria paura, le preoccupazioni che rimbalzano nella mente e allora si asseconda questo bisogno parlandone con la convinzione di “liberarsi”. Questo è ciò che accade in un primo momento, ma poi le paure si risvegliano e si innesca un vero e proprio circolo vizioso che condiziona la quotidianità della persona e di chi l’ascolta.
Se stai vivendo un momento di preoccupazione per la tua salute e senti l’esigenza di avere un confronto con un professionista sappi che ogni martedì, per un periodo limitato, dalle 18:00 alle 20:00 i terapeuti del nostro team One Session si rendono disponibili per degli incontri aperti a tutti utilizzando la Terapia a Seduta Singola.
Contattaci per maggiori informazioni inviando una email a info@onesession.it oppure visita la nostra pagina Fb OneSession.it
Bibliografia
Nardone, G.;Bartoletti, A. (2018). La paura delle malattie. Psicoterapia breve strategica dell’ipocondria. Ponte alle grazie.
American Psychiatric Association (2013). Diagnostic and statistical manual of mental disorders. Washington, DC.
Psicologa e picoterapeuta in formazione. Utilizzo la terapia a seduta singola per permettere alla persone di raggiungere i propri obiettivi e massimizzare l’efficacia di ogni singolo incontro.
Ricevo a Caserta e On-line (Skype).
Perché mi capita sempre la stessa cosa?
Ti è mai capitato di sentirti “intrappolato” nel tuo problema?
Hai mai provato la sensazione che, per quanti sforzi tu possa fare, ti capiti sempre la stessa cosa?
Se hai risposto sì, forse è perché per affrontare le tue difficoltà stai mettendo in atto una tentata soluzione disfunzionale.
Quando la soluzione è il problema
Il concetto di Tentata Soluzione Disfunzionale è stato elaborato intorno agli anni ’70 dal Mental Research Institute di Palo Alto.
Questo gruppo di terapeuti si mise a studiare cosa fanno le persone quando devono affrontare un problema: ovviamente, cercano un modo per risolverlo.
Essi si accorsero, però, che spesso è proprio ciò che facciamo per migliorare una situazione a mantenerla uguale, se non addirittura a peggiorarla!
“Ma perché dovrei continuare a ripetere un comportamento che non mi aiuta?” ti starai chiedendo.
Perché la nostra mente funziona in modo schematico! Quindi, ogni volta che ci troviamo di fronte ad un problema e dobbiamo trovare una soluzione, tendiamo ad avere comportamenti che in passato hanno funzionato, generalizzandoli. Questo permette un gran risparmio a livello di energie cognitive: è molto più facile utilizzare un vecchio stratagemma che si è rivelato funzionale piuttosto che tentare nuove strade. (Nardone, 2013)
Schemi troppo rigidi
Il problema nasce quando la soluzione che in passato ha funzionato non si adatta alla situazione presente e non risolve il problema.
Che facciamo in quel caso?
Crediamo di non aver insistito abbastanza, di non aver applicato la soluzione nelle giuste dosi e quindi reiteriamo l’applicazione degli stessi schemi rigidi senza interrogarci sulla loro reale efficacia. Col fine di mantenere le cose come stanno, o di peggiorarle. (Watzlawick et al. 1974)
Facciamo un esempio
Maria teme i luoghi affollati, quindi li evita o, se proprio deve andarci, chiede di essere accompagnata.
Evitare e affidarsi all’aiuto altrui sono tentate soluzioni disfunzionali tipiche di chi soffre di stati ansiosi.
Evitare la situazione ansiogena avrà un effetto all’apparenza tranquillizzante per Maria. Dall’altra, però, è come se si stesse inviando da sola il messaggio che alcune situazioni sono troppo grandi per lei, o troppo minacciose. Allo stesso modo, chiedendo l’aiuto altrui, si racconterà di non essere in grado di potercela fare da sola.
Replicando queste soluzioni, che all’apparenza la preservano dagli stati d’ansia tanto temuti, Maria non fa altro che accumulare tensioni e messaggi negativi, con l’esito di esacerbare il suo problema.
Cosa fare quindi?
Quando le circostanze cambiano, è necessario adattarci e creare nuovi modi di affrontare le situazioni. Applicare vecchie soluzioni a nuovi problemi può venire spontaneo. Quando però notiamo che le modalità con cui affrontiamo la situazione non la migliorano, è bene interrogarsi sulle soluzioni che si stanno usando, per bloccare quelle disfunzionali e sostituirle con altre più efficaci.
Il team di Onesession è composto da psicologi formati in Terapia a Seduta Singola, che possono aiutarti ad individuare queste soluzioni disfunzionali e a trovare delle strategie di risoluzione del problema più adeguate.
Da questo mese di settembre, per un periodo limitato, ogni martedì dalle 18 alle 20 i terapeuti del nostro team One Session terranno degli incontri gratuiti aperti a tutti utilizzando la Terapia a Seduta Singola. Contattaci per maggiori informazioni https://www.onesession.it/
Riferimenti bibliografici
Nardone (2013), Psicotrappole, Ponte delle grazie
Watzawick, J.H. Weakland, R. Fisch (1974), Change, sulla formazione e la soluzione dei problemi, Casa Editrice Astrolabio, Roma
Il mio lavoro è orientato al futuro e alla valorizzazione delle risorse delle persone che si rivolgono a me, in ottica di totale collaborazione.
Coppia: Il cuore di chi si ama va allo stesso ritmo?
L’esperienza della coppia è una delle più coinvolgenti del panorama umano. Il coinvolgimento dei due partner tocca talmente le loro emozioni, pensieri e capacità di attenzione, che arriva a modellare i loro ritmi fisiologici.
Cuori all’unisono
In una ricerca del 2012, un gruppo di ricercatori americani dell’Università della California ha monitorato 32 coppie in relazioni romantiche.
I soggetti volontari venivano fatti sedere a circa un metro di distanza e venivano agganciati a specifici macchinari che misuravano la pressione, battito cardiaco e ritmo di respirazione.
I risultati mostrarono che il battito cardiaco dei membri della stessa coppia era all’unisono, così come il ritmo dell’inspirazione e dell’espirazione dell’aria.
I risultati non si replicavano quando i due soggetti monitorati non facevano parte della coppia originaria: in quel caso nessuna sincronizzazione.
E poi?
Purtroppo però sappiamo che la fisiologica fase romantica della coppia è altrettanto fisiologicamente destinata ad esaurirsi. Infatti se si fossero ritestate le stesse coppie a distanza di un certo lasso di tempo si sarebbe verificato che probabilmente in alcune (molte?) di loro la sincronia era scomparsa.
La storia della coppia è proprio lo svolgersi di tale processo trasformativo.
Ciò che all’inizio è regolato da modalità neurofisiologiche – il battito cardiaco all’unisono – ha bisogno di passare ad un diverso livello per reggere la sfida del tempo e vincere la partita vertiginosa della stabilità.
Una coppia che continua ad esserlo nel tempo è quella che sa trasporre a livello di relazione la sincronicità vissuta nella fase dell’innamoramento romantico.
E la relazione si esprime nella comunicazione tra i due partner.
La comunicazione è il cuore della coppia
Anche la comunicazione è caratterizzata da intensità, frequenza, ritmo. I problemi di comunicazione sono tra i più frequenti motivi di crisi e di rottura nelle coppie. La comunicazione è il cuore della relazione di coppia.
Lo stato di salute di una coppia e la sua vitalità è espressa e al tempo stesso determinata dal modo dei partner di comunicare tra loro. Maggiore sarà l’armonia, più stabile e duratura sarà l’esperienza di coppia.
Il lavoro di J. Gottman ci suggerisce alcune caratteristiche osservabili che misurano il grado di sintonia dei partner all’interno delle dinamiche di coppia.
Secondo le sue osservazioni, nelle coppie che comunicano in modo soddisfacente, nella maggioranza delle occasioni:
- Le differenze tra i partner sono accettate e perfino valorizzate,
- L’atteggiamento di fondo è volto a sostenersi, a supportarsi e a valorizzarsi reciprocamente
- Il clima emotivo è di curiosità e apertura verso l’altro e c’è interesse verso il suo punto di vista
- Non si smette mai di cercare occasioni di incontro e possibilità di ripresa
Le quattro modalità comunicative che risultano invece essere fortemente distruttive per la sincronicità dei cuori sono:
- La critica incondizionata alla persona piuttosto che alle azioni
- Il disprezzo, atteggiamento prevalente teso a svalutare e scoraggiare l’altro
- Stare sulla difensiva, concentrazione solo su di sé e le proprie ragioni
- Fare ostruzionismo, ritirando l’investimento nella relazione
Essi sono capaci di determinare la fine della coppia e la rottura sarà tanto più prossima quanto più la loro presenza è frequente nella relazione.
Fare il bilancio di salute della coppia significa valutare la presenza di tali “inquinanti” relazionali e trovare valide alternative comunicative attivando ed attingendo le risorse della coppia stessa.
La Terapia a Seduta Singola è l’ambito adatto a effettuare tale bilancio.
La TSS infatti si focalizza sulla risoluzione di problemi nel qui ed ora e ha lo scopo di sostenere e favorire l’autoguarigione del sistema coppia riconoscendone ed attivandone risorse e competenze già presenti.
Da questo mese di settembre, per un periodo limitato, ogni martedì dalle 18 alle 20 i terapeuti del nostro team One Session terranno degli incontri gratuiti aperti a tutti utilizzando la Terapia a Seduta Singola. Contattaci per maggiori informazioni https://www.onesession.it/
Riferimenti bibliografici
Helm, J.L., Jonathan, L., Sbarra, D., & Ferrer, E. (2012). Assessing cross-partner associations in physiological responses via coupled oscillator models. Emotion, 12(4):748-762.
- Gottman, J. Schwartz, Dieci principi per una terapia di coppia efficace, Cortina Raffaello, 2017.
Mi sono laureata in Psicologia ad indirizzo Applicativo nel 1990 presso la facoltà di Psicologia dell’Università “La Sapienza” di Roma. Ho maturato esperienza oltre che nello studio libero professionale, anche nell’ambito dei Consultori Familiari, acquisendo competenze nel sostegno psicologico, sostegno genitoriale, percorsi di educazione affettiva e sessuale.
La morte di un animale domestico: affrontare il lutto
Cosa rende diverso il lutto di una persona cara da quello di un animale domestico? Nulla. In entrambi i casi subiamo la perdita di un legame, perdiamo l’altro e la parte di noi legata all’altro
Tuttavia come mai il dolore per la perdita di un animale domestico è meno riconosciuto?
In occidente la morte è da sempre un tema spinoso e spesso negato. La morte di un animale, allo stesso modo, viene ignorata o addirittura considerata un evento di cui è possibile fare a meno di soffrire.
E’ davvero possibile evitare di soffrire?
La perdita della relazione con il nostro animale è equivalente, dal punto di vista psicologico, alla morte di una persona a noi cara.
Il lutto non prevede dolore di serie A e di serie B ma tuttavia, chi perde un animale d’affezione, si sente spesso delegittimato nella propria sofferenza.
Questa sorta di negazione sociale rende ancor più difficile l’elaborazione del lutto alla persona coinvolta che può sentirsi non compresa nel proprio dolore.
Una relazione speciale
Provare dolore per la morte del proprio animale domestico è una risposta sana e fisiologica essendo una perdita che coinvolge totalmente chi la subisce.
La relazione con il nostro l’animale rappresenta raramente situazioni conflittuali ma al contrario risulta essere un legame intenso, appagante e connotato d’amore incondizionato. Una relazione basata su condivisioni e abitudini giornaliere; una presenza costante che ci segue nelle nostre giornate e nel nostro percorso di vita senza chiedere nulla in cambio.
Queste caratteristiche possono rendere ancor più intenso e difficile il processo di separazione con l’animale
Cosa fare in questi casi
1. Permettiti di soffrire
Impara a sentire la sofferenza, attraversala senza nasconderla o opporvi resistenza. Bloccare il dolore non ha il potere di farlo cessare ma, al contrario, quello di aumentarlo. Non avere paura di soffrire.
2. Parlane con persone a te care
Non tacere il lutto, non vergognartene, non sentirti inadeguato/a nel tuo dolore. Rivolgiti a persone a te care che possono comprendere e ascoltare il tuo dolore. Per facilitare questa delicato passaggio esistono associazioni e gruppi di sostegno online e offline interamente dedicati alla tematica
3. Dai libero sfogo alle emozioni
Rabbia, paura, senso di vuoto e solitudine, senso di colpa, rimpianto. Ascoltati e ascolta con rispetto tutto quello che senti, accoglilo e trasformalo in qualcosa di utile per questo tuo momento.
4. Prenditi cura dei suoi effetti personali
Ciotole, cucce, giochi costituiscono una parte importante della separazione.
Nella fase iniziale è possibile radunarli in un posto protetto e circoscritto della casa in modo da non averli sempre sotto la tua attenzione per poi decidere, al tempo giusto, di donarne una parte oppure tenere qualcosa in suo ricordo.
5. Celebralo
Collegati alla morte esistono da sempre luoghi e rituali di passaggio specifici (funerale, chiesa, cimitero) che permettono alle persone di facilitare e legittimare le emozioni relative al lutto. Tuttavia per la morte del proprio animale domestico non esiste un sistema di rituali socialmente condivisi.
Per questa ragione è importante tu possa creare il tuo rituale che ti permetta di commemorare il tuo compagno di vita e favorire il passaggio attraverso cui lasciarlo andare essendogli grato/a per quello che ti ha donato
Qualora, col passare del tempo, il dolore per la perdita del tuo fidato compagno continuasse ad essere vivido, puoi rivolgerti a un professionista che possa accompagnarti in questa fase delicata.
Ogni martedì a partire da settembre, per un periodo limitato, dalle 18.00 alle 20.00, i terapeuti del nostro team One Session faranno degli incontri aperti a tutti utilizzando la Terapia a Seduta Singola.
Contattaci per maggiori informazioni.
Bibliografia
Pier Luigi Gallucci (2018), Il dolore negato. Affrontare il lutto per la morte di un animale domestico, Graphe.it Edizioni
Stefano Cattinelli & Daniela Muggia (2014), Tenersi per zampa fino alla fine. Accompagnamento empatico e cure palliative per gli animali alla fine della vita, Amrita Edizioni
Lui, lei e gli altri: come smettere di fare l’amante?
Il poeta e attore francese Jean Cocteau ci ha lasciato un bellissimo pensiero sull’amore:
“Il verbo amare è uno dei più difficili da coniugare: il suo passato non è semplice, il suo presente non è indicativo e il suo futuro non è che un condizionale”.
L’amore può essere coniugato in tanti modi differenti, ognuno dei quali ha le sue ragioni.
Ci sono coppie che condividono un progetto di vita insieme da diverso tempo, che gestiscono una vita coniugale ed una vita di coppia segreta, persone che si innamorano e intrattengono una relazione con un uomo o una donna non liberi, persone che soffrono per un tradimento subito.
Insomma un panorama vastissimo che ha come unico protagonista l’amore col suo tempo scandito da gioia e dolore, passione e gelosia, solitudine e condivisione.
Ma cosa accade a chi abbandona la ragione e il senso di morale comune e dà ascolto solo alla passione travolgente e al puro sentimento?
Non sta a noi di certo giudicare la scelta di vivere una vita in cui si è terzo rispetto ad una coppia e ad un progetto di vita altrui ma possiamo provare a pensare a come possa essere possibile e realizzabile l’interruzione di un meccanismo di ripetizione che vede una persona ricadere sempre in una relazione ambigua e in cui manca la concretezza dello stare insieme totalmente.
La storia di Barbara
Barbara ha 37 anni e da quando ne aveva 25 ha iniziato a collezionare una serie di storie “clandestine” con uomini impegnati e più grandi di lei.
È passata da una storia all’altra, in un crescendo di complicazioni e problemi da cui pare non riuscire a staccarsi.
Ha avuto solo due storie con persone coetanee e libere; la prima è stata la fugace avventura di una notte, la seconda un rapporto più duraturo: “un anno di noia” a suo dire.
Il lavoro con Barbara è appena cominciato e sta dando spunto a queste riflessioni.
Ma proviamo a capire cosa accade a chi sceglie di vivere, tra segreti e compromessi, nella veste dell’amante.
Un vero amore, che come tutti i grandi amori della letteratura, del cinema, dell’arte, della mitologia classica è ostacolato e quindi bisogna lottare e soffrire per tenerlo in vita. Una storia che diventa privilegio dunque, in quanto unica e speciale ma che vede il partner che vive nell’ombra reso fragile dall’attesa e dall’accettazione dei tempi e modi dell’altro. In pratica i classici amanti delle storie più belle e romantiche.
C’è poi chi ama vivere nell’ombra perché ne guadagna in termini di eccitazione e adrenalina che fanno da leitmotive ad un tempo sospeso tra ragione ed emozione. Ecco che la storia può diventare un rapporto duraturo nel tempo oppure un passare da una storia all’altra, alimentato dal desiderio, dalla speranza di rivivere le sensazioni che eccitano corpo e mente.
Paura dunque di investire in una storia importante? Un costume, un modo di essere o fare? Una consapevole rinuncia? Una fame di affetto e attenzioni? Un triste destino?
Chi è l’amante?
Una persona che sceglie di vivere nell’ombra accontentandosi di briciole di un amore che sembrano saziare una fame di attenzione e cura, perché crede di non poter ambire ad altro.
Un inconsapevole “terapeuta” della coppia in crisi, che con la sua presenza dà alla coppia, paradossalmente, nutrimento e nuova linfa in quanto fa da contenitore e riequilibratore.
Una persona che con leggerezza sceglie di vivere consapevolmente o inconsapevolmente una meravigliosa esperienza, a termine ma ricca di felicità e brio. Un modo quasi di tenersi lontano dal tempo che avanza e dal comune percorso del ciclo di vita.
Una realtà costante e parallela alla coppia ufficiale con la quale l’elemento tradito dovrà paradossalmente imparare a convivere per il bene della coppia stessa e il suo equilibrio.
Torniamo a Barbara…
Il suo racconto lascia intravedere una persona che preferisce vivere nell’ombra e accontentarsi pur di non dare voce ai suoi desideri e alle sue paure.
E’ stata ad oggi fatta una sola seduta che è iniziata con un lavoro di valorizzazione delle sue risorse e competenze in quanto appare forte in lei un senso di scarsa autostima che la porta a svalutare se stessa.
La terapia a seduta singola è venuta in soccorso a questo primo intervento in quanto, col suo approccio costruttivo minimalista, parte dal presupposto che la responsabilizzazione e l’incoraggiamento sono capaci di produrre nella persona un piccolo cambiamento positivo che può poi portare a cambiamenti più grandi.
Barbara mi consegna poi un’immagine molto bella che mi permette di avere in mano una chiave di lettura del suo vissuto. Insegna arte in un liceo. Pertanto utilizza un dipinto per descrivere la storia che attualmente sta vivendo e che l’ha portata qui perché ha riempito e fatto strabordare quel vaso già mezzo pieno di acqua.
Mi mostra lo screensaver del suo cellulare che ha come immagine “Il bacio” di Gustav Klimt, un dipinto sospeso nel tempo che ricordo di aver visto molti anni fa a Vienna. Una coppia stretta in un abbraccio molto appassionato in cui si vede l’uomo chinarsi sulla donna che riceve il suo bacio.
Per Barbara quel dipinto rappresenta il trionfo dell’eros e il suo grande potere di dare armonia ai conflitti tra uomo e donna; quel bisogno d’amore che la porta a mettere da parte gli aspetti negativi e a tenersi stretto un qualcosa a cui la sua insicurezza attribuisce un grande valore.
La storia di Barbara ha come obiettivo quello di interrompere un circuito di incertezza per puntare a nuove consapevolezze e nuovi obiettivi.
Barbara ha scelto di non procastinare più il suo cambiamento, di essere scelta e non alternativa.
Barbara ha scelto di coniugare il suo tempo al futuro.
Bibliografia
P.Watzlawick & G.Nardone – Terapia breve strategica
M.Recalcati – Mantieni il bacio
Psicologa, Mediatrice Familiare, Esperta in Scienze Forensi
Scusate il ritardo!
“A verità è che a te non ti smuovono nemmeno i miracoli!”
Questa la frase che la madre di Vincenzo il protagonista del film di Massimo Troisi “Scusate il ritardo” dice al figlio e forse questa è la frase che chi ritarda potrebbe sentirsi dire da chi aspetta 10 minuti, mezz’ora o addirittura anche un’ora o più.
È capitato a tutti noi un amico/a, un fidanzato/a o un membro della famiglia che è sempre in ritardo. O magari i ritardatari siamo proprio noi!
Il ritardo potrebbe diventare un tratto caratteristico della personalità. Questo potrebbe aumentare le probabilità di perdere parecchie opportunità come offerte di lavoro, attività divertenti, amicizie e molto altro.
Marylin Monroe ha detto una volta in una sua intervista: “Agli appuntamenti sono immancabilmente in ritardo, a volte anche di due ore. Ho provato a cambiare questi miei modi, ma i motivi che mi fanno ritardare sono troppo forti e troppo piacevoli”.
Quali sono i motivi, le situazioni che fanno andare in black out il tempo del ritardatario?
Non lasciarsi travolgere dall’ansia di far presto, di arrivare ad un appuntamento importante in tempo, non farsi prendere dallo stress di raggiungere quella situazione o quella persona ad un orario preciso e stabilito…insomma vivere in modo easy e slow il proprio tempo magari decidendo addirittura di non indossare l’orologio.
Una gran bella strategia…ma gli altri? Quelli che aspettano? Come si sentono? Cosa provano dinanzi ad una mancanza di rispetto e attenzione così evidente?
La pigrizia poi, un altro freno al tempo del ritardatario. Alzarsi dal letto al mattino all’ultimo minuto, arrivare in aereoporto o in stazione poco prima che chiuda il ceck-in o che il treno parta solo perché la forza di volontà non riesce a dominare il piacere di restare a poltrire. Una pigrizia rischiosa, adrenalinica fatta di corse, fiatone ed eccitazione.
Cosa dire poi degli eterni ottimisti; quelli che: “mica trovo traffico!”, “sicuramente mi aspetteranno…”, “certo che non chiudono in orario!”, “ma cosa potrebbe mai capitarmi?”.
Gli eterni ottimisti non considerano per nulla la possibilità di un imprevisto. Seguono il proprio e altrui tempo in maniera molto serena.
L’indecisione è un altro grande ostacolo…questa situazione ci riporta immediatamente agli occhi la scena di una donna in sottoveste o in biancheria intima dinanzi all’armadio aperto e stracolmo di abiti che disperata dice: “non so cosa mettermi!” e poi c’è chi non sa se andare in macchina o in moto, chi torna indietro perché non ricorda se ha chiuso la porta o se ha preso le chiavi.
Il ritardatario sembra quasi un ribelle del tempo, un eterno ottimista che sposa uno stile di vita tranquillo e rilassato ma allo stesso tempo fatto di accelerazioni e sensi di colpa.
Uno di stile di vita molto spesso accompagnato dalla speranza o dalla promessa di non rifarlo la volta successiva. Promessa e speranza che nella maggior parte dei casi vengono tradite da situazioni esterne, stranamente sempre indipendenti dalla propria volontà.
Esistono delle strategie per “fregare” questo tempo post datato?
Sarebbe innanzitutto opportuno osservare se il ritardo è dovuto a comportamenti specifici (distrazione, pigrizia, paura di andare sotto pressione…etc.) o se magari si fa tardi sempre e solo in una circostanza ben definita o per andare in un certo luogo.
Osservare il ripetersi di un certo atteggiamento può essere utile e può aiutare a individuare le eccezioni, orientandosi così alle risorse e ai punti di forza.
Siamo sicuri che arrivare puntuali ci farebbe star meglio? Che valore e senso diamo al nostro ritardo? Cosa ci guadagniamo a far tardi? Arrivare in orario ci fa sentire in ansia o sperduti? È possibile addomesticare il nostro tempo? Ci si può chiedere spesso se è il ritardatario che ha bisogno di cambiare o se chi attende ha bisogno di rilassarsi?
Se arrivare in ritardo per te è uno stile di vita che è diventato un peso, impara a organizzarti, a dare la priorità ai vari impegni che scandiscono il tempo.
Se il tuo processo di cambiamento diventa complicato e ti accorgi di non farcela da solo/a, affidati a un professionista oppure alla visione di un buon film:
Virginia: Come faccio a sapere che ci sarai?
Mac: Se ti dico che ci sarò, ci sarò. E sono sempre puntuale.
Virginia: Sempre?
Mac: Sempre. Se ritardo, vuol dire che sono morto.
(Sean Connery e Catherine Zeta Jones nel film Entrapment, 1999)
Bibliografia
Alfonso Signorini – Marilyn. Vivere e morire d’amore – Ed. Mondadori, 2010
Diana DeLonzor – Never Be Late Again – Ed. Post Madison Pub,2002
Flavio Cannistrà, Federico Piccirilli – Terapia a seduta singola – Ed. Giunti, 2018
Psicologa, Mediatrice Familiare, Esperta in Scienze Forensi
Come superare la fine di una relazione d’amore
Quando ci innamoriamo, è probabile, si crei in noi la speranza che quella relazione possa durare per sempre.
Speriamo che sia la volta buona, che ci sia qualcosa di diverso. Immaginiamo che nulla possa mai succedere a quel rapporto. Solo che a volte le cose possono succedere e così le storie, anche quelle che sembravano essere molto solide, giungono al termine.
Una rottura porta alla rovina di una perfetta fusione di idee, ideali e convinzioni condivise, divenendo dolorosa da superare. I piani sono cambiati e il futuro all’improvviso ha spazi vuoti lì dove c’erano cose felici.
La fine di una favola
La maggior parte delle persone avrà sperimentato almeno una volta nella vita la speranza che quella relazione potesse durare per sempre e il conseguente dolore di un finale diverso da quello atteso.
A seguito di una tale delusione è normale chiedersi quando e se tutto quel dolore potrà mai sparire e come, eventualmente, superarlo.
La fase in cui le relazioni romantiche giungono al termine è stata collegata ad una serie di impatti psicologici e psicosociali negativi, che compromettono la salute fisica e mentale. Poche cose feriscono come la fine di una relazione.
Rabbia, sofferenza, bassa autostima, insonnia, isolamento, paura, impotenza nel guardare ad un nuovo futuro, sono solo alcune delle possibili sensazioni che possono essere provate a prescindere dalle dinamiche con le quali avviene una rottura.
Nuovi inizi per te stesso
Esiste sempre, però, un’altra faccia della medaglia, ed è a quella che voglio invitarvi a rivolgere lo sguardo.
La fine di una storia d’amore può offrirci, infatti, nuove possibilità, tra cui quella di imparare lezioni su noi stessi, sulle relazioni, sull’amore, sul compromesso, sulla comunicazione e sulla fiducia.
Diverse ricerche hanno infatti evidenziato che la fine di un legame può essere vissuta anche come un’opportunità di regolare emozioni, affrontare lo stress relazionale e perseguire in relazioni future in cui i bisogni vengano soddisfatti.
La delusione, può spingerci a porci delle “corrette” domande e ci aiuta a conoscerci meglio rispetto alle nostre esigenze, favorendo una crescita personale.
Inoltre, essa aumenta la consapevolezza, grazie la quale possiamo evolvere e rinnovarci, cogliendo l’occasione per ritrovare l’unica persona che conta davvero nella vita, noi stessi!
Del resto, bisogna pur ricordarsi che “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori”.
Per cui anche un’esperienza traumatica e dolorosa come quella che si vive con la fine di una relazione può portare a nuovi scenari inaspettati e, perché no, delle volte anche migliori.
Ricominciare? Si può!
Ricominciare significa ripartire, trovare soluzioni efficaci e utili per dare il giusto peso nel presente, all’esperienza del passato. Di seguito alcuni consigli pratici per superare la fine di una relazione:
– Esprimere emozioni: non importa che siano negative, le emozioni vanno espresse. Ritagliare del tempo per vivere le emozioni, per soffrire, per piangere, permette anche di attraversarle e superarle. Reprimere le lacrime, soffrire in silenzio potrebbe solo aumentare la percezione del disagio.
Attenzione però!
È preferibile che ci siano dei momenti in cui dedicarsi all’espressione di queste emozioni, senza che invadano l’intera giornata.
– Confidarsi: trovare un amico, un familiare, una persona con cui confidarsi, che ci faccia sentire compresi, aiuta ad esternalizzare pensieri e idee che si hanno all’interno.
Parlare dell’accaduto e di quello che si prova, può, talvolta offrire anche un cambio di prospettiva, permettendo di vedere in modo più chiaro aspetti della relazione e di valutare che, forse, non era cosi perfetta come si credeva.
Anche qui però va fatta una precisazione.
Se parlare porta maggiori sentimenti di ansia e non fa andare avanti in una prospettiva di crescita personale, ma bensì lascia imprigionati solo al passato relazionale, allora è meglio non socializzare troppo la sofferenza.
– Un passo per volta: è importante cercare nuove fonti di interesse. Creare obiettivi personali, professionali, relazionali e concentrarsi per raggiungerli aiuta a sentirsi meno persi.
Per facilitare la ricerca di nuovi obiettivi può essere utile riflettere su quale possa essere il primo piccolo passo da fare per ritrovare se stessi.
Questo permette di immaginare man mano le diverse azioni da compiere (e se possiamo immaginarlo, possiamo anche farlo!).
Quando, però, si avverte che la fine di una relazione provoca una sofferenza talmente invalidante da condizionare la propria quotidianità fino a limitarla e in alcuni casi a bloccarla, può diventare necessario chiedere aiuto ad uno psicologo.
Le terapie brevi sono senz’altro un mezzo importante che consente di riprendere in mano la propria vita il prima possibile. Diverse ricerche mostrano che anche una sola seduta può essere sufficiente.
Sul sito di Onesession troverai diversi psicologi formati in terapia a seduta singola.
Bibliografia
– Harvey, A. B., & Karpinski, A. (2016). The impact of social constraints on adjustment following a romantic breakup. Personal Relationships, 23(3), 396-408.
– Carter, K. R., Knox, D., & Hall, S. S. (2018). Romantic breakup: Difficult loss for some but not for others. Journal of Loss and Trauma, 23(8), 698-714.
– Wrape, E. R., Jenkins, S. R., Callahan, J. L., & Nowlin, R. B. (2016). Emotional and cognitive coping in relationship dissolution. Journal of College Counseling, 19(2), 110-123.
– Field, T. (2017). Romantic Breakup Distress, Betrayal and Heartbreak: A Review. Int J Behav Res Psychol, 5(2), 217-225.
– Kazan, D., Calear, A. L., & Batterham, P. J. (2017). A Systematic Review of Controlled Trials Evaluating Interventions Following Non-Marital Relationship Separation. Journal of Relationships Research, 8.
La Sindrome del cane San Bernardo: come smettere di dire sempre “Sì”
Rifiutare le richieste, i favori, il supporto a chi te lo chiede…sono cose che ti mettono in grande difficoltà.
Anche se hai degli impegni personali non riesci a non accontentare gli altri e, piuttosto, rinunci tu ai tuoi piani. E così ti ritrovi spesso incastrato in situazioni da cui non riesci a svincolarti per la tua innata indole di aiutare gli altri, che ti porta inevitabilmente a dire sempre di “sì”.
Proprio come un cane San Bernardo dedito al soccorso e all’aiuto anche in condizioni estreme.
Però, a volte dire un “no” è necessario e oggi ti spiego come imparare a farlo.
Se anche a te capita di non riuscire a rifiutare le richieste, questo è l’articolo che fa per te e di seguito ti suggerirò alcune strategie per imparare a dire di no senza sentirti in colpa.
3 passi per imparare a dire di “no”
Prima di descrivere i 3 passi per imparare a dire “no”, vorrei fare chiarezza su un punto fondamentale: si dice di “no” ad una domanda non ad una persona. Questa precisazione che può sembrarti banale, in realtà è ciò che tiene in vita il problema. Infatti, molto spesso, si tende ad aiutare gli altri per essere utili e per fare qualcosa di buono, ma anche per non sentirsi eventualmente in colpa. Attenzione, però, a non confondere l’altruismo con l’essere impegnati costantemente e, soprattutto, a proprio discapito, in costanti “salvataggi”.
Come fare per dire di no senza sensi di colpa?
Ecco i primi 3 passi:
1. “Scusa, vorrei tanto, ma non posso”
Da oggi, una volta al giorno per due settimane, mettiti in una situazione in cui qualcuno ha una richiesta da farti: può essere una chiacchierata con un amico che ti chiede un prestito, con un collega che ti chiede un cambio turno oppure una richiesta di un membro della tua famiglia e prova a rispondere “Scusa, vorrei tanto, ma non posso”. Con questa frase puoi permetterti di dire di no alla richiesta che ti viene fatta puntando sul fatto che il rifiuto non dipende da te, ma dai tuoi impegni. Evita di far seguire delle spiegazioni, e se proprio l’altro è insistente accampa una scusa vaga – e se insiste mostrati pure infastidito.
È chiaro che non sempre sarà possibile ogni giorno trovare una situazione in cui qualcuno ti fa una richiesta. L’importante, però, è che ti metti in gioco: se lo fai solo per 2 o 3 volte non serve a nulla.
2. “Scusa, potrei farlo, ma in questo momento ho cose più importanti di cui occuparmi”
Quando ti sentirai sicuro di aver fatto tuo il primo passo e ti sentirai più sciolto nel non assecondare ogni richiesta, potrai passare ad un gradino più in alto rispondendo “Scusa, potrei farlo, ma in questo momento ho cose più importanti di cui occuparmi”. Rimane sempre l’idea che ci sia un impegno che ti impedisce di accogliere la richiesta dell’altro, ma in più c’è anche un elemento di scelta, perché stai dando una priorità alle tue cose da fare piuttosto che alle sue.
Anche qui, esercitati per due settimane e fai tuo questo nuovo modo di fare.
3. “Potrei aiutarti, ma non mi va”
Adesso è giunto per te il momento di mettere in pratica il terzo passo, rispondendo “Potrei aiutarti, ma non mi va”, mettendo la museruola al Cane San Bernardo che è in te.
Con l’esercizio costante ti renderai conto che ti verrà molto più facile dire di no quando non puoi, non vuoi o semplicemente non ti va, facendo di conseguenza anche cambiare la prospettiva che gli altri hanno di te e, chissà, magari si mostreranno anche più sensibili rispetto a quelle che sono le tue richieste ed esigenze.
E ricorda: se dici di no, non sei una persona cattiva!
Se ti rendi conto di aver bisogno di un aiuto in più con l’apprendimento del dire “no”, puoi sempre contattare uno Psicologo formato in Terapia a Seduta Singola che può aiutarti già dopo un unico incontro.
Cerca sul nostro sito https://www.onesession.it/il terapeuta più vicino a te (o anche online) e più adatto alle tue esigenze.
Se vuoi rimanere aggiornato iscriviti alla nostra Pagina Facebook.
Bibliografia
Sellin, R. (2015). Le persone sensibili sanno dire no. Milano: Feltrinelli.
Sono una Psicologa, specializzata in Dipendenze da sostanze, comportamentali (gioco d’azzardo, shopping, ecc) e relazionali (dipendenza affettiva). Sono formata all’utilizzo della Terapia a Seduta Singola (TSS) e della Terapia Centrata sulla Soluzione, per aiutare le persone a risolvere i loro problemi e tornare al benessere nel più breve tempo possibile, imparando a scoprire e sfruttare al meglio tutte le loro risorse.
Decisione difficile? La terapia a seduta singola può aiutarti a scegliere
Sei una persona indecisa? Devi prendere una decisione importante e non sai proprio che pesci prendere?
Forse qui puoi trovare una soluzione efficace per te.
Prima di continuare, è importante sottolineare un aspetto che in questo momento, forse, stai sottovalutando: noi decidiamo ogni giorno, continuamente.
Alcune scelte sono semplici, e le adottiamo in modo automatico, basandoci sulle nostre esperienze pregresse (che strada fare per andare a scuola o a lavoro) o sulle nostre preferenze (con che cosa fare colazione).
Quello che però vale la pena ricordare è che dalla scelta più banale a quella più difficile, il processo decisionale che adottiamo è pressoché lo stesso.
Che sia il pranzo o la carriera accademica, noi scegliamo attraverso processi di “selezione”, che scartando differenti opzioni, ci conducono a definire quale sia, per noi, la soluzione ideale.
Perché allora, se il processo è lo stesso, in alcuni casi è così difficile decidere?
I motivi possono essere tantissimi: perché non abbiamo le idee chiare, perché la decisione che “sentiamo” di dover prendere può avere delle conseguenze che possono ferire qualcuno a cui teniamo, perché entrambe le opzioni che abbiamo di fronte ci sembrano allettanti, o al contrario perché ci troviamo a dover scegliere il “male minore”.
In generale, quando ci troviamo di fronte ad una scelta “difficile”, può entrare in gioco la paura. Studi sui processi decisionali hanno individuato alcune categorie generali di paure che insorgono quando dobbiamo prendere una decisione.
Tra queste, particolarmente rilevanti sono la paura di esporsi, paura di sbagliare, di non essere all’altezza o del giudizio negativo degli altri.
Queste paure incidono sulle nostre capacità di scelta alimentando la nostra indecisione e, a volte, i nostri dubbi.
Malgrado sia spesso visto con sospetto, il dubbio ha in realtà una funzione estremamente positiva: ci permette di incrementare la nostra visione, prendere in considerazione altre prospettive, altre possibili scelte e valutare con attenzione le conseguenze delle nostre decisioni.
A volte, tuttavia, può capitare che il dubbio comporti un blocco della nostra facoltà decisionale andando ad incidere negativamente sulla nostra qualità della vita, sul nostro benessere e sulla nostra autoefficacia, soprattutto nei frequenti casi in cui il dubbio “contagia” anche scelte che, in altre occasioni, avremmo preso senza troppe preoccupazioni, come se ogni risposta generasse un nuovo dubbio, trascinandoci in una sorta di circolo vizioso.
Cosa fare in questi casi?
Con la terapia a seduta singola ci sono molti modi per aiutare la persona ad individuare il metodo di scelta più adatto alle proprie esigenze.
L’efficacia della terapia a seduta singola è data dal fatto che si basa sull’unicità della persona, sulle sue risorse e sui suoi valori.
Anche quando la problematica può essere generalizzata (in questo caso la difficoltà di prendere una decisione), ogni persona affronta il problema in modo diverso, e ogni situazione è pressoché unica, quindi non c’è una ricetta uguale per tutti.
Se vuoi provare ad arrivare alla decisione autonomamente ma stai avendo difficoltà sappi che la scrittura ti può aiutare.
Se hai già provato a fare la lista dei pro e dei contro o ad attribuire un valore numerico alle varie opzioni e non è servito a nulla, continua a leggere perché quello che ti suggerisco è un po’ diverso.
Conversazioni con…uno sconosciuto
Una soluzione efficace può essere infatti quella di scrivere i tuoi pensieri, immaginando di avere una conversazione con uno sconosciuto.
Questo ti porterà ad essere quanto più chiaro possibile: quando parliamo con una persona che non ci conosce dobbiamo cercare di spiegare bene, in modo sintetico, non solo “il dubbio” e la scelta che dobbiamo prendere, ma anche le condizioni da cui partiamo e quali conseguenze immaginiamo che la scelta possa avere sulla nostra vita.
Il potere della scrittura è veramente forte e questa soluzione può essere veramente efficace se adottata nelle giuste modalità.
Attenzione ai dettagli
Scegli un “momento” da dedicare a questa soluzione: può volerci del tempo, e quindi è necessario che tu definisca con anticipo un preciso giorno ed una precisa ora da dedicare a quest’attività.
Scegli un luogo: è un momento che dedichi a te, e in quanto tale, dev’essere tuo, privo di distrazioni ed interferenze.
Scrivere ti permetterà di avere una visione molto più chiara sia delle tue emozioni sia dei dati oggettivi che stai valutando. Soprattutto, ti permetterà di stabilire se sei d’accordo con quanto hai affermato in quello che hai scritto e guardare la tua condizione da una nuova prospettiva.
Se neanche questa modalità funziona e “il blocco decisionale” invade le tue giornate generandoti ansia e preoccupazione, puoi rivolgerti ad uno psicologo formato in terapia a seduta singola con il quale potrai individuare la soluzione più adatta per la tua persona e per la tua concreta necessità, già a partire dal primo e, in molti casi, unico incontro.
Roberta Miele
Bibliografia
Nardone, G. (2014). La paura delle decisioni. Come costruire il coraggio di scegliere per sé e per gli altri. Milano: Ponte alle Grazie
Cannistrà F., Piccirilli F. (2018). Terapia a seduta singola. Principi e pratiche. Giunti Psychometrics
Psicologa e picoterapeuta in formazione. Utilizzo la terapia a seduta singola per permettere alla persone di raggiungere i propri obiettivi e massimizzare l’efficacia di ogni singolo incontro.
Ricevo a Caserta e On-line (Skype).
Problemi di coppia?? 5 consigli utili per migliorare il vostro benessere e quello della vostra coppia
Si sa, non sempre la vita di coppia è tutta “rose e fiori”. Ci sono momenti in cui tutto sembra essere perfetto, e altri, invece, in cui ogni cosa sembra irrimediabilmente sbagliata.
Questa alternanza è del tutto normale. In psicologia sono state identificate delle vere e proprie “fasi” che, più o meno tutti conosciamo: dalla fase iniziale di “simbiosi” in cui il partner è visto in modo idealizzato, si passa ad un momento in cui il partner si percepisce nella propria realtà.
Questo è un momento delicato, che può portare sia al termine della coppia sia in una fase della relazione più matura in cui si riconosce il partner nella sua totalità e si è pronti alla collaborazione.
In ognuna di queste fasi ci sono momenti problematici “fisiologici” che possono instillare il dubbio che la relazione stia volgendo al termine. Non sempre è così!
Quali sono i problemi più comuni?
I problemi più comuni possono essere ricondotti a differenti aree. Una di queste è rappresentata dalla comunicazione: quando anche uno solo dei partner adotta modalità di comunicazione ostili o provocatorie, si può innescare un clima di conflitto o un atteggiamento di disinteresse con conseguente maggior distacco all’interno della coppia.
Un’altra insidia, nella vita di coppia (ma anche nella vita personale) è legata alla routine. Fare sempre le stesse cose, e con le stesse modalità, può innescare automatismi, che se coinvolgono anche il partner, possono comportare una sensazione di insoddisfazione e noia.
Vivendo la coppia con continuità, può anche capitare di avere un calo nella curiosità verso il partner, nello scoprire insieme cose nuove e nel vivere insieme esperienze piacevoli fino a perdere la gioia di condividere i propri interessi.
Routine, calo della curiosità e problemi di comunicazione possono spesso essere associati anche ad una riduzione dell’attrazione e della sessualità. Oltre al naturale calo del desiderio, i problemi legati all’intimità possono essere molteplici, e spesso coinvolgono un più generale benessere all’interno della relazione.
Cosa fare per migliorare la vita di Coppia? Per una volta la risposta è semplice e piacevole: andate in Vacanza
Ecco cinque semplici consigli che potrebbero migliorare il benessere della coppia e della tua vita:
1. Rompi la routine: mandala in vacanza!
Sia a livello individuale che di coppia cambia le abitudini. Basta veramente poco: scendere al bar a fare colazione; scoprire un posto nuovo dove andare a pranzo; fare una passeggiata o andare in zone che non si conoscono può stimolare la curiosità e il confronto.
2. Scopri nuovi interessi
In vacanza si ha più tempo da poter dedicare ai propri interessi: trova gli eventi o le iniziative a cui ti farebbe piacere partecipare e confrontati con il partner. Scegliete insieme cosa fare, e ricorda che trovare un equilibrio (e un compromesso) è importante. Prova a interessarti a ciò che piace fare al tuo partner e cerca di coinvolgerlo nelle tue passioni.
3. Presta al tuo partner maggiore attenzione
Con l’abitudine, si ha l’impressione di sapere già cosa il nostro partner ci vorrà dire. Ma siamo sicuri sia sempre così? Prova a prestare attenzione a come si muove, a cosa dice, a cosa vuole comunicare. Prestare attenzione può aiutare a (ri)scoprire aspetti del partner ormai dimenticati. E se c’è qualcosa che non va, parlane con calma e con chiarezza.
4. Vivi con positività ed energia
Non dimenticare che sei in vacanza. Sii felice o almeno prova ad esserlo. La vita di coppia può causare infelicità e malumore, ma ricorda, entrambi i partner spesso, non vogliono altro che stare bene con sé stessi e con l’altro. Inizia da te. Divertiti. E cerca di coinvolgere il partner.
5. Riscopri la sessualità
La sessualità è importante. È un momento intimo che può riavvicinare molto due persone. Prova ad inventare giochi (sia dentro che fuori le lenzuola) che possano divertire e insieme stuzzicare il partner. Cerca di capire cosa il tuo partner vorrebbe e prova ad accontentarlo.
Sembra semplice, vero? Forse sembra anche “troppo” semplice, ma pensaci: cosa ti costa tentare?
Può darsi che la tua coppia viva oggi delle problematicità “fisiologiche” e attuare queste piccole strategie può essere utile per migliorare la tua condizione.
Non sempre, però, questi consigli sono sufficienti; sono tante le coppie che vivono situazioni problematiche, più o meno difficili, che hanno bisogno di una guida esterna, che permetta loro di vedere le cose in una giusta prospettiva.
Forse non lo sai, ma a volte, basta anche un singolo incontro con un professionista. Se non sei ancora andato in vacanza, e temi che questi piccoli consigli possano migliorare “poco” la situazione, allora prova ad incontrare un professionista “prima”. In vacanza avrai più tempo per ragionare da solo e con il partner.
Non sai a chi rivolgerti? Prova a dare uno sguardo al nostro sito www.onesession.it. e trova lo Psicologo più vicino a te
Psicologa e picoterapeuta in formazione. Utilizzo la terapia a seduta singola per permettere alla persone di raggiungere i propri obiettivi e massimizzare l’efficacia di ogni singolo incontro.
Ricevo a Caserta e On-line (Skype).
Relazione di coppia: un viaggio insieme
Arriva sul primo binario il treno dell’amore
Il viaggio può essere una utile metafora della relazione di coppia. Si sta avvicinando, sul binario di una stazione, la lunga teoria di vagoni del treno dell’amore. Due persone, fino ad allora individui, si stringono la mano e salgono, desiderando all’unisono di arrivare a destinazione “insieme”.
Nel cielo azzurro splende un magnifico sole (anche se fa freddo e magari è un nebbioso pomeriggio invernale). I raggi ri-scaldano il cuore, offrendo speranza e fiducia, tutto è chiaro e scintillante: sarà proprio un bel viaggio.
Ma poi, presto oppure un po’ più tardi, lo scenario cambia: arrivano la pioggia, il gelo, la nebbia, il vento. Tempeste improvvise. Schiarite. Nuove perturbazioni.
E le mani cominciano ad allontanarsi fino a smarrire il senso del cercarsi ancora. Fino a decidere di scendere dal treno e magari aspettare un nuovo treno, magari su un diverso binario, con la speranza che il cielo si mantenga terso. Con la consapevolezza di quanto le “variazioni atmosferiche”, legate alla intrinseca mutevolezza di ciò che è vivente, siano imprevedibili.
Possiamo continuare ad abbracciarci ancora, magari per sempre? E’ la domanda che, più o meno consapevolmente, ogni innamorato si pone, sullo scomodo crinale tra la spinta a trascendere sé per arrivare all’altro e la frammentarietà incerta che il nostro contesto post-moderno propone.
Bader e P.Pearson nel loro “In Quest of the Mithycal Mate” (1988) presentano un interessante accostamento tra le fasi che una relazione di coppia attraversa e lo sviluppo del bambino. Seguendo il lavoro di Margaret Mahaler, descrivono la relazione affettiva di coppia come realtà dinamica in continua evoluzione.
Attraverso i cinque stadi del ciclo evolutivo dello sviluppo psicoaffettivo individuati dalla psicoanalista ungherese: simbiosi – differenziazione – sperimentazione – riavvicinamento – interdipendenza, osserviamo lo snodarsi del treno dell’amore di coppia.
dall’Innamoramento…
Si parte con l’esperienza vulcanica dell’innamoramento. In questo stadio l’energia erotica spinge gli individui ad uscire fuori da sé e a stabilire il legame di coppia. In seguito esso potrà continuare ad esistere grazie alle trasformazioni di quella stessa energia attrattiva.
I due individui sperimentano l’unità fusionale simile alla simbiosi che il neonato vive con la propria madre, proiettando sull’altro tutto il proprio desiderio.
“L’innamoramento non è solo illusione, è anche conoscenza. Noi conosciamo il nostro io più profondo solo attraverso un altro essere umano. Lo facciamo con i genitori nell’infanzia, poi nell’amicizia, ma soprattutto nell’innamoramento. Allora si vuole sapere tutto dell’amato, fino a voler essere stati al suo fianco, averlo amato ed essere stati ricambiati da sempre” (Alberoni, 2010).
alla Crisi…
Il viaggio prosegue nel tempo e nello spazio: come nel bambino maturano competenze e abilità che gli permettono di emanciparsi dalla figura materna, nella coppia cominciano progressivamente ad emergere risorse e limiti.
Nella familiarità si smarrisce il fascino del mistero. Si nota che l’altro è diverso da come era sembrato. Le sensazioni sono mutate. La reciproca comprensione diventa più difficile fino a trasformare il dialogo in litigio.
Arriva la crisi, il delicato momento di passaggio da un vagone all’altro del treno dell’amore. Passaggio fondamentale per scongiurare l’arresto alla fase fusionale della coppia, proprio come il sano sviluppo vede il bambino separarsi dalla madre e diventare sempre più autonomo.
all’Amore…
Riavvicinandosi dopo le fasi di differenziazione e sperimentazione, la coppia ha l’occasione di trasformare il legame e generare nuove possibilità esperienziali. Perché ciò avvenga occorre che i valori e le risorse personali di entrambi i componenti siano in grado di reggere la fatica (anche dolorosa) del cambiamento, del passaggio da un certo equilibrio ad un altro.
A questo punto la relazione di coppia si è arricchita di volontà, costanza e creatività inedite nelle fasi precedenti. I due sperimentano la costanza dell’oggetto amato (Mahaler, 1986) rintracciando in se la presenza profonda dell’altro.
Cercare l’altro, voler chiarire ed esprimersi anche quando non ci si sente più come all’inizio, quando la delusione o il dolore porterebbero alla chiusura: questo è l’esercizio che trasforma un IO e un TU in un NOI.
La coppia ora è giunta all’interdipendenza, cioè alla libera decisione di condividere la propria esperienza unica e irripetibile. Ognuno diventa testimone al e per il viaggio esistenziale dell’altro.
Un percorso affascinante che porta a conoscersi, fondersi, individuarsi e separarsi, a ritrovarsi non più gli stessi dell’inizio. Infatti introiettando l’altro si giunge in una dimensione che trascende l’identità originaria.
e oltre!
Non tutti i viaggi di coppia però seguono necessariamente questo itinerario. Molti possono già dalla prima stazione, oppure un po’ più in là, decidere di smettere di investire su quella destinazione o non avere più interesse a quella compagnia o trovare il mezzo di trasporto insoddisfacente o … ogni altra possibile variante delle infinite esperienze di coppia.
Coppie che scoppiano, che si trascinano, che esauriscono la linfa vitale dell’interesse, coppie che resistono stringendo i denti, coppie che muoiono, coppie che vanno avanti trasformandosi.
Prendersi cura del proprio rapporto di coppia può essere un modo di determinarne in maniera attiva la traiettoria. Può suonare strano nella logica consumistica sempre più diffusa dell’usa e getta.
Ma considerando la coppia come una realtà vivente alla stessa stregua di piante, animali e bambini, è facile intuire come essa abbia bisogno di cura per svilupparsi, crescere ed esprimere fino in fondo ciò che è e che promette sin dal suo sorgere: un bel viaggio verso il destino.
- Se le tue strategie non sembrano bastare più a vivere in modo soddisfacente le dinamiche della tua coppia
- Se leggendo hai intuito che si può uscire dall’empasse del muro contro muro
- Se ritieni che fare un “tagliando” alla relazione di coppia sia un buon modo per garantire affidabilità e durata alla tua serenità
potrebbe esserti utile parlare con degli psicologi qualificati. Ad esempio attraverso la Terapia a Seduta Singola è possibile intervenire ed ottenere benefici in tempi brevi, ricavando il massimo anche da un singolo incontro.
Sul sito www.onesession.it. è presente un elenco di professionisti formati in Terapia a Seduta Singola che potranno aiutarti a raggiungere i risultati sperati.
Bibliografia
Alberoni, F.(2010, September 27), Innamorarsi è l’occasione per conoscersi nel profondo, Corriere della sera
Bader, E., Pearson, P. (1988). In quest of the mytical mate:a developmental approach to diagnosis and treatment in couples therapy. New York: Brunner Mazel.
Ventriglia, S., Della Valle, R. (2011). Comunicare nella coppia. Roma: Città Nuova
Mi sono laureata in Psicologia ad indirizzo Applicativo nel 1990 presso la facoltà di Psicologia dell’Università “La Sapienza” di Roma. Ho maturato esperienza oltre che nello studio libero professionale, anche nell’ambito dei Consultori Familiari, acquisendo competenze nel sostegno psicologico, sostegno genitoriale, percorsi di educazione affettiva e sessuale.