L’arrivo di un figlio: mantenere gli equilibri
L’arrivo di un figlio è uno degli eventi più trasformativi nella vita di una persona, di una coppia e della famiglia in generale. Ogni nascita porta con sé un cambiamento profondo negli equilibri, nelle dinamiche relazionali e nei ruoli. Il nuovo assetto familiare infatti deve necessariamente adattarsi alle esigenze primarie del neonato e anche queste si modificano nel giro di pochi mesi e nei primi anni di vita. La coppia deve imparare a conoscere il bambino, i suoi bisogni e il modo in cui li esprime. Allo stesso tempo ciascuno dei due genitori deve ri-conoscere se stesso nel suo nuovo ruolo di caregiver ed educativo, il più delle volte senza avere già le competenze nel suo bagaglio di esperienze.
I genitori di oggi infatti arrivano all’evento della nascita molto spesso preparati su ogni dettaglio del parto, dell’allattamento e dello svezzamento. Seguono corsi preparto e leggono libri su come riconoscere il pianto del neonato. Si informano sulle tipologie di culla e di seggiolini e acquistano accessori per la preparazione di pappe naturali e per rendere il bagnetto un’esperienza rilassante per il bambino.
Tuttavia ben presto si scontreranno con una realtà ben più complessa di quella che avevano immaginato. La giornata sarà scandita dai ritmi di sonno-veglia del bambino, la mancanza di sonno e la stanchezza spesso comportano sbalzi di umore e l’imprevisto sarà all’ordine del giorno nell’organizzazione delle attività che una volta erano gestite con estrema facilità. Questi e altri cambiamenti concreti nella vita familiare impattano molto non solo sull’organizzazione di questa ma anche a un livello più profondo. A livello psicologico entrano in gioco aspetti emotivi e affettivi ma anche una riorganizzazione dei significati che genitori e coppie attribuiscono alla loro vita, al concetto di famiglia e ai ruoli genitoriali.
La nascita come riorganizzazione di significati
Secondo la prospettiva costruttivista, ogni genitore sviluppa una propria “griglia” di significati con cui interpreta il mondo. Quando nasce un figlio, queste griglie vengono messe alla prova. Per esempio, un padre o una madre possono trovarsi a rivedere ciò che pensavano su cosa significhi essere un genitore o su come dovrebbero comportarsi nel loro nuovo ruolo. In questo entrano in gioco anche le aspettative culturali e sociali e molte delle credenze con cui il genitore arriva al suo nuovo ruolo possono cozzare con la realtà con cui si scontra. È importante affrontare questi cambiamenti con apertura e flessibilità, evitando di irrigidirsi su schemi di pensiero che potrebbero non essere più funzionali.
Il mantenimento dell’equilibrio passa attraverso il dialogo aperto, la flessibilità e l’adattamento. Entrambi i partner devono essere pronti a ridefinire le proprie aspettative e a negoziare nuove modalità di interazione che riflettano la presenza del figlio. Questo processo non è solo individuale, ma anche collettivo: la coppia costruisce insieme nuovi significati e nuove narrazioni della loro vita condivisa e ciascuno deve imparare anche a conoscere il partner nel nuovo ruolo di genitore.
Il ruolo della famiglia allargata
Un altro punto importante da tenere in considerazione è che l’arrivo di un figlio non impatta solo sui genitori, ma sull’intero sistema familiare. D’improvviso le famiglie d’origine della coppia
genitoriale rivestono un ruolo diverso per loro e nella crescita dei figli. A volte si acuiscono delle dinamiche conflittuali che erano latenti, altre volte l’arrivo del bambino fa sì che si appianino le divergenze. La nascita di un bambino crea nuove dinamiche tra i membri della famiglia, e queste dinamiche devono essere osservate e comprese per mantenere l’equilibrio.
Una delle idee centrali dell’approccio sistemico è che ogni cambiamento in un membro del sistema influenzi l’intero sistema. Per esempio, le interferenze degli altri nell’educazione dei bambini possono influire sulla vita di coppia. E’ importante che i genitori mantengano i confini e i ruoli ben definiti. E’ fondamentale che i genitori affermino il proprio ruolo e la propria autorità genitoriale in modo chiaro e rispettoso. Dovranno stabilire limiti sani con le figure esterne, come i nonni, per proteggere l’equilibrio familiare. Sebbene il supporto dei nonni possa essere prezioso, è essenziale che i genitori restino i principali decisori riguardo l’educazione e la gestione del bambino. Questa protezione dei confini non riguarda tanto l’esclusione, quanto la creazione di uno spazio sicuro in cui i genitori possano sviluppare il proprio stile educativo senza interferenze o pressioni.
Strategie efficaci per gestire il cambiamento
La terapia strategica suggerisce che la chiave per mantenere l’equilibrio non sia evitare il cambiamento, ma gestirlo con soluzioni concrete e funzionali. Uno degli strumenti della terapia strategica è la capacità di individuare i “tentativi di soluzione disfunzionali”. Sono strategie che, pur essendo messe in atto per risolvere un problema, finiscono per mantenerlo o peggiorarlo. Ad esempio, uno dei problemi più comuni dopo la nascita di un figlio è lo sbilanciamento dei ruoli all’interno della coppia, dove uno dei due partner si sente sovraccaricato mentre l’altro potrebbe sentirsi escluso.
In questi casi, è bene incoraggiare l’individuazione di soluzioni alternative che interrompano il ciclo disfunzionale. Una soluzione può essere il delegare le responsabilità, creare momenti di condivisione della genitorialità. Ancora, ridefinire i ruoli all’interno della coppia in modo più equilibrato. L’importante è che la coppia non si fermi su schemi che non funzionano, ma sperimenti nuove modalità di interazione.
Come mantenere l’equilibrio
Mantenere gli equilibri con l’arrivo di un figlio richiede una combinazione di flessibilità, comunicazione aperta e collaborazione. I genitori devono essere pronti a rinegoziare continuamente i loro ruoli, a comunicare i propri bisogni in modo chiaro e a collaborare per trovare soluzioni che funzionino per tutti.
In definitiva, il segreto per mantenere gli equilibri di fronte a un evento così trasformativo sta nella capacità di adattarsi al cambiamento, senza temerlo. Sta nella volontà di costruire insieme una nuova realtà familiare, fatta di collaborazione, dialogo e comprensione reciproca.
Se anche tu stai affrontando la nascita di un figlio e pensi di non riuscire a gestire da solo questo cambiamento i professionisti di One Session sono pronti ad affiancarti in questa fase (clicca qui)
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Nardone, G. (2012). Aiutare i genitori ad aiutare i figli. Ponte alle Grazie.
Nardone, G., Giannotti, E., & Rocchi, R. (2012). Modelli di famiglia. Ponte alle Grazie.
Roth Ledley, D. (2012). Il mio primo anno da mamma. Italia: Erickson.
Thomas, G. (1994). Genitori efficaci. Ed. La Meridiana.
Psicologa clinica, mi occupo in particolare di età evolutiva e sostegno alla genitorialità.
Esperienze traumatiche: primi passi per uscirne
Le esperienze traumatiche possono avere un impatto devastante sulla vita di una persona, lasciandola vulnerabile e talvolta incapace di vedere una via d’uscita. Che si tratti di incidenti, disastri naturali o episodi di violenza, il trauma può mettere in discussione le nostre convinzioni, i nostri sentimenti di sicurezza e la nostra fiducia nelle relazioni, cambiando radicalmente il modo in cui vediamo noi stessi e il mondo attorno a noi. Le ferite invisibili lasciate da eventi traumatici possono manifestarsi in una vasta gamma di sintomi, e ogni persona reagisce in modo diverso, influenzata da fattori come il supporto ricevuto e le risorse personali.
Tuttavia, uscire dal tunnel del trauma è possibile. In questo articolo, esploreremo i primi passi fondamentali per iniziare il percorso di guarigione.
Riconoscere il dolore
Il riconoscimento del dolore è il primo passo fondamentale per uscire da esperienze traumatiche. Troppo spesso ci troviamo a negare, minimizzare o addirittura a cercare di cancellare quello che abbiamo vissuto, sperando che possa semplicemente svanire nel nulla.
Il trauma, tuttavia, lascia un’impronta profonda in noi, continuando a condizionare i nostri pensieri, emozioni e comportamenti anche quando cerchiamo di ignorarlo. Fingere che non sia mai accaduto, rischia solo di farci sentire ancora più soli e disconnessi dagli altri.
Accettare la realtà dell’esperienza traumatica, significa guardare in faccia ciò che abbiamo vissuto, senza cercare di nascondere o sminuire le nostre esperienze. Significa riconoscere il dolore e la sofferenza che abbiamo provato, senza giudizio o vergogna. È un processo doloroso e spaventoso, poiché ci chiede di confrontarci con eventi che abbiamo cercato di evitare, reprimere, dimenticare.
Ma solo accettando la verità di ciò che ci è successo possiamo cominciare a superarlo. Il riconoscimento del dolore è il primo passo verso la guarigione, perché ci permette di dare valore alle nostre esperienze e iniziare a elaborarle in modo sano e costruttivo.
Routine e cura di sé
Prendersi cura di sé stessi è fondamentale durante il percorso di guarigione da un’esperienza traumatica. Concedersi dei momenti di piacere e relax ci permette di rigenerare le energie, lenire le ferite e riprendere gradualmente fiducia in sé stessi.
Ci sono molte possibilità: ci si può rilassare leggendo un libro, fare una camminata nella natura o semplicemente godersi una tazza di tè caldo. L’auto-cura non è un lusso ma una necessità, soprattutto per chi è stato travolto da un’esperienza traumatica.
È inoltre importante stabilire delle routine nella propria vita quotidiana, che possono essere un faro di sicurezza e stabilità in mezzo alla tempesta del trauma. Sapere cosa ci si aspetta durante il giorno e avere dei moment fissi per svolgere determinate attività può ridurre l’ansia dell’incertezza e fornire un senso di controllo della propria vita. Le routine possono diventare una roccia preziosa, dando una struttura alla giornata e ricostruendo un senso d normalità.
La riscoperta e il potenziamento delle proprie risorse
Il terzo, fondamentale, passo per iniziare il processo di guarigione da un’esperienza traumatica è la riscoperta e il potenziamento delle proprie risorse interne. È come fare un viaggio dentro noi stessi per individuare le forze che possono guidarci verso la guarigione.
Spesso, dopo un’esperienza traumatica, ci si sente sopraffatti, distrutti, incapaci d far fronte alle sfide che la vita quotidiana ci presenta. Tuttavia, anche nei momenti più bui, ci sono risorse dentro di noi alle quali possiamo attingere e che possono aiutarci ad affrontare le difficoltà e la nostra sofferenza.
Riscoprire queste risorse, significa guardare dentro di noi con onestà, gentilezza e compassione, accettando ed onorando le nostre esperienze passate. E significa anche riconoscere che siamo stati in grado di affrontare situazioni difficili in passato e che abbiamo la capacità di farlo ancora una volta.
Una volta identificate, queste risorse possono essere potenziate e rafforzate. Questo ci darà la forza necessaria per affrontare le sfide che incontriamo lungo il percorso di guarigione. Ci permette di vedere oltre al trauma e di costruire una vita significativa e appagante, nella quale possiamo crescere e prosperare nonostante le nostre esperienze passate.
Affrontare un’esperienza traumatica richiede una grande dose di coraggio. Accettare il dolore, concedersi del tempo per sé stessi e riscoprire le proprie risorse sono passaggi cruciali verso la guarigione.
Anche se può sembrare un viaggio difficile, è possibile superare il trauma e ritrovare il proprio equilibrio.
Se senti il bisogno di un aiuto professionale, chiedi aiuto a One Session: puoi inviare una e-mail a info@onesession.it oppure compilare il form (clicca qui)
Riferienti bibliografici
Cagnoni F., Milanese R., (2009). Cambiare il passato. Superare le esperienze traumatiche con la terapia strategica. Ponte delle Grazie.
Calogero I. (Curatore) (2016). Dall’emergenza alla normalità. Strategie e modelli di intervento nella psicologia dell’emergenza. Franco Angeli.
Calogero I. (Curatore) (2018). Il trauma psicologico. Nuove frontiere di ricerca. Franco Angeli.
Ciao! Sono una Psicologa e Psicoterapeuta in formazione presso l’istituto ICNOS, sono iscritta all’Albo delle Psicologhe e degli Psicologi del Veneto (n.12680) e coordino una comunità per persone disabili.
Sentirsi sbagliati: tutti sembrano realizzati e io no!
Ti è mai capitato che attorno a te tutti sembrano realizzati, al punto da sentirti sbagliato/a?
“Cosa farai da grande?” è la domanda che ciascuno di noi si è sentito rivolgere almeno una volta nella vita.
A questa domanda, molto spesso, ci siamo sentiti in dovere di rispondere perché il non avere una risposta chiara e definitiva avrebbe significato avere qualcosa che non andava, perché tutti devono sapere cosa fare della propria vita, almeno da un certo momento in poi.
I percorsi formativi, d’altro canto, sono organizzati in modo tale da mettere una sorta di “data di scadenza” rispetto a quello che le persone possono diventare e realizzare arrivati ad un certo punto della propria vita. Ti vengono illustrate le possibili scelte, le possibili opzioni, e sta a quel punto a te decidere che strada prendere.
Il tempo in cui decidere cosa realizzare della propria vita non è uguale per tutti
La verità è che non tutti arrivano ad elaborare queste risposte nello stesso momento, con la spiacevole conseguenze che potremmo trovarci a fare delle scelte forzate che non “sentiamo nostre” .
Scelte che non tengono conto dei nostri valori e delle nostre vere motivazioni, e che con il tempo potrebbero farci sentire sbagliati, non al nostro posto.
Queste scelte possono portarci a viverci come costantemente indietro rispetto a chi intorno a noi prosegue dritto e spedito sul proprio percorso di realizzazione personale e professionale.
Per la propria realizzazione personale e professionale è indispensabile svolgere attività che abbiano per noi un significato
Per realizzare delle scelte che ci facciano davvero sentire bene e realizzati, è indispensabile conoscere noi stessi e le forze che guidano le nostre azioni. Non si tratta solo di capire cosa per noi è importante ma anche perché lo è, perché quell’attività ci fa stare bene e ci genera gratificazione.
Ovviamente non è scontato conoscere i propri perché o ciò che per noi ha un significato. Solo sperimentando è possibile capire se un ambito o una professione ci trasmettono quel senso, quel significato che cerchiamo e, allo stesso tempo, conoscere già i nostri perché può aiutarci a capire da dove cominciare a sperimentare.
Va benissimo avere solo un perché, ovvero solo una forza trainante che guida tutte le nostre azioni, va anche bene averne molteplici. Non dobbiamo obbligatoriamente ostinarci a ricondurre necessariamente tutta la nostra esistenza ad un unico perché, non c’è una regola (questo, per sfatare anche il mito “dell’unica vera vocazione” – una persona, infatti, potrebbe trarre soddisfazione dallo svolgere diverse attività o cambiare nel corso della vita).
Come individuare i tuoi perché?
Per aiutarti ad individuare i tuoi perché, e quindi tutte quelle attività che hanno per te un significato, un esercizio da cui partire potrebbe essere il seguente (tratto e riadattato dal testo di Wapnick “Diventa chi sei”):
- Ripensa ad una occasione in cui ti sei sentito/a veramente vivo, felice ed entusiasta. Cosa stavi facendo in quell’occasione? Cerca di trovare più dettagli possibili dedicando qualche minuto a questa attività
- Dopo aver risposto a questa prima domanda, prova a chiederti ora perché amavi fare quella cosa, cosa ti spingeva a farla.
- Ripeti questo esercizio per tutte quelle occasioni in cui ti sei sentito vivo ed appagato, non deve essere necessariamente una.
Un altro strumento indispensabile per la propria realizzazione professionale sono le àncore di carriera di Edgar Schein
Cosa sono le àncore di carriera e perché è cosi importante conoscerle per la propria realizzazione?
Perché esse rappresentano l’insieme delle nostre competenze, delle nostre motivazioni e valori: Schein, il padre di questo importante costrutto, le definisce come una sorta di immagine che si sviluppa dentro ognuno di noi e che ci aiuta, ci guida nel compiere scelte, nel prendere decisioni, che sono nel nostro interesse e non nell’interesse di altri.
Non conoscere le proprie àncore rischia di esporci a scelte, a soluzioni che con il tempo potrebbero rivelarsi insoddisfacenti, semplicemente perché non ci rappresentano.
Schein ha individuato 8 àncore di carriera supportate da un questionario di autovalutazione, che non vuole rappresentare un test diagnostico quanto piuttosto un modo efficace per descrivere se stessi in un determinato momento di vita, per aiutare a capire e conoscere le proprie priorità e quindi compiere delle scelte professionali quanto più soddisfacenti possibile.
- Prima àncora: la competenza tecnico-funzionale
Le persone ancorate a questa competenza sono più attratte dalla specializzazione tecnica che dai contenuti gestionali del lavoro.
- Seconda àncora: la competenza manageriale generale
Quest’àncora motiva le persone che cercano la responsabilità, la possibilità di influire mediante decisioni, l’ascesa nella struttura aziendale. Vogliono essere responsabili, nel bene e nel male, dei risultati e identificano il proprio lavoro con il successo dell’organizzazione per la quale lavorano.
- Terza àncora: l’autonomia/indipendenza
Questa àncora caratterizza le persone che non possono rinunciare alla possibilità di definire il proprio lavoro in modo autonomo. Nonostante esistano alcune posizioni all’interno delle organizzazioni che permettono in una certa misura questa libertà, la maggior parte delle persone con quest’àncora sceglie lavori autonomi.
- Quarta àncora: la sicurezza/stabilità
Le persone motivate da quest’àncora non possono rinunciare alla sicurezza di un impiego e alla relativa posizione all’interno dell’organizzazione. In altre parole, sono alla ricerca del cosiddetto “posto fisso”.
- Quinta àncora: la creatività imprenditoriale
Le persone che ottengono il punteggio più elevato a questa àncora generalmente non riescono a rinunciare all’idea di poter creare un’impresa, un progetto proprio, costruito con le proprie forze e risorse, accettando di assumersi anche tutti i rischi del caso.
- Sesta àncora: il servizio/dedizione alla causa
Le persone che raggiungono il punteggio più alto a quest’àncora non possono rinunciare a servire/dedicarsi ad una buona causa attraverso il lavoro che svolgono.
- Settima àncora: la sfida/paura
Le persone motivate da quest’àncora non possono rinunciare alla possibilità di misurarsi con sfide impossibili, situazioni avverse che sembrano insuperabili. Generalmente queste persone quando accettano una posizione è perché in questa vedono la possibilità di misurarsi con problemi e sfide complesse, sia di natura intellettuale che fisica.
- Ottava àncora: lo stile di vita
Le persone che ottengono il punteggio più alto a questa àncora non possono rinunciare a trovare un equilibrio tra bisogni personali, famigliari e di carriera. Generalmente sono orientate verso opportunità professionali che offrano una certa flessibilità cosi da poter trovare più facilmente questo equilibrio e questa integrazione tra i diversi ambiti di vita.
Il ruolo dell’orientamento professionale: una risorsa indispensabile
Negli ultimi anni, soprattutto di fronte ai repentini cambiamenti nel mondo del lavoro, l’orientamento sta diventando sempre di più un supporto indispensabile per accompagnare le persone nei momenti di scelta, di cambiamento, tanto in ambito formativo che lavorativo.
L’orientamento si configura come un vero e proprio percorso di conoscenza e scoperta individuale, in grado di guidare la persona verso scelte consapevoli e quanto più soddisfacenti, prestando particolare attenzione:
- all’individuazione e all’attivazione delle capacità e potenzialità personali;
- all’analisi delle motivazioni, desideri e aspirazioni personali e professionali;
- all’analisi dell’ esperienza formativa e professionale;
- per finire con l’elaborazione di un vero e proprio progetto di vita personale e professionale.
Se senti il bisogno di un aiuto in più per capire quale strada personale e professionale intraprendere, gli psicologi di OneSession.it ti offrono la possibilità di prenotare un primo colloquio gratuito. Per prenotare il tuo incontro, puoi inviare una e-mail a info@onesession.it oppure compilare il form (clicca qui)
Riferimenti bibliografici
Schein, E.H., Van Maanen,J. (2019, trad.it.), Le àncore di carriera, Giorgio Pozzi Editore.
Wapnick, Emilie, (2018, trad.it.), Diventa di chi sei, MGMT Edizioni.
Psicologa- specializzanda in psicoterapie brevi sistemico-strategiche. Grazie alle terapie brevi e alla mia formazione nell’ambito dell’orientamento professionale e dello sviluppo delle soft skills, riesco ad aiutare le persone che si rivolgono a me a superare momenti di difficoltà e disagio, sia in ambito personale che lavorativo, riattivando le risorse e abilità personali e aiutandole a realizzare i propri obiettivi e riconquistare una percezione generale di benessere nel più breve tempo possibile
Quando rivolgersi ad uno psicologo?
Quando è giusto rivolgersi ad uno psicologo?
Quando si pensa allo psicologo è un pensiero molto diffuso che generalmente si ricorra a questa figura professionale solo in presenza di sintomi e disagi che comprometto la qualità della vita della persona.
Situazioni di perdita, difficoltà nel superare efficacemente determinate fasi del ciclo vitale, difficoltà personali e relazionali che non consentono alla persona di vivere una vita soddisfacente e in linea con i propri obiettivi, sintomi specifici legati ad ansia, tristezza, fobie, stress, sono alcune tra le più diffuse problematiche che possono portare la persona a richiedere un intervento supportivo di natura psicologica.
L’obiettivo, in questi casi, è quello di ripristinare- nel più breve tempo possibile- una condizione di benessere psicologico e aiutare la persona ad uscire dallo stato di sofferenza in cui si trova.
Verranno mobilite le sue risorse interne ed esterne e la persona verrà aiutata a trovare strategie di superamento efficaci.
Se la presenza di un disturbo o di una difficoltà di natura psicologica rappresentano una condizione quasi d’obbligo per richiedere un supporto psicologico, non sono di certo le uniche.
Ma lo psicologo opera solo in condizioni di disagio psicologico?
Per rispondere a questo domanda è opportuno fare un breve riferimento alla Legge 56 del 18 febbraio 1989. Essa istituisce formalmente la figura professionale dello psicologo e nell’articolo 1 vengono definiti quelli che sono gli atti tipici della professione:
“La professione di psicologo comprende l’uso degli strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione-riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali e alle comunità. Comprende altresì le attività di sperimentazione, ricerca e didattica in tale ambito.”
Risulta sufficientemente chiaro come lo psicologo, lungi dal poter intervenire efficacemente solo in situazioni di disagio psicologico, possiede altresì le conoscenze e le competenze per poter intervenire anche in altri ambiti legati alla salute mentale.
Lo fa a partire da attività di prevenzione primaria volte ad impedire l’insorgenza di un disagio a attività di sostegno e promozione della salute psicologica, volte a migliorare ed accrescere una condizione di benessere già presente.
Lo psicologo è un promotore di benessere!
Sono infatti sempre di più le situazioni in cui l’intervento psicologico si inserisce all’interno di una situazione di empowerment e di promozione alla salute. L’obiettivo in questo caso è accompagnare la persona in un percorso di potenziamento delle proprie risorse, aumentando l’autoconsapevolezza rispetto alle proprie modalità di azione e reazione, alle proprie capacità e punti di forza. Ma anche alle proprie vulnerabilità, stimolando e facilitando l’emersione di nuove strategie e soluzioni, funzionali al ripristino o al potenziamento di una condizione di benessere.
Lo psicologo non ti da la risposta ma ti aiuta a costruire la tua strada
La figura dello psicologo è da sempre avvolta da una serie di pregiudizi, ancora oggi molto difficili da abbattere. “Lo psicologo è colui che cura i matti”. “Parlare con lo psicologo è come parlare con un amico”. “Siamo tutti un po’ psicologi in fondo”.
La realtà è che andare dallo psicologo aiuta, e molto! Sia in condizioni di disagio che nella condizione in cui ci si voglia prendere cura del proprio benessere e accrescerlo.
Questo perché alla base di ogni intervento psicologico, la persona è considerata come portatrice di risorse e soluzioni. Lo psicologo ha il compito di accompagnarla, supportarla verso il raggiungimento del benessere psicologico e il miglioramento della qualità della vita. Non darà risposte al posto della persona, ma la aiuterà a tracciare il proprio percorso attraverso un lavoro su obiettivi specifici che verrano condivisi insieme.
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Psicologa- specializzanda in psicoterapie brevi sistemico-strategiche. Grazie alle terapie brevi e alla mia formazione nell’ambito dell’orientamento professionale e dello sviluppo delle soft skills, riesco ad aiutare le persone che si rivolgono a me a superare momenti di difficoltà e disagio, sia in ambito personale che lavorativo, riattivando le risorse e abilità personali e aiutandole a realizzare i propri obiettivi e riconquistare una percezione generale di benessere nel più breve tempo possibile
Vuoi liberarti della depressione? Rompi questi 3 meccanismi
Liberarti dalla depressione è il tuo più grande desiderio.
Questo grande male ti ha ormai spento, portandoti a perdere gran parte della tua vita di “prima”.
Come una macchia d’olio si è insinuata nella tua vita e si è espansa in tutte le sfere: lavorativa, affettiva, relazionale.
Nell’articolo di oggi vedremo cos’è la depressione e quali meccanismi la mantengono, per cominciare, a piccoli passi, a liberarcene!
Cos’è la depressione?
Secondo il DSM 5, il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, ciò che caratterizza i disturbi depressivi è
“La presenza di umore triste, vuoto o irritabile, accompagnato da modificazioni somatiche e cognitive che incidono in modo significativo sulla capacità di funzionamento dell’individuo”.
Sempre secondo questo manuale, vi sono dei sintomi specifici caratteristici della depressione, che devono mantenersi per un certo periodo di tempo.
Alcuni di questi sintomi sono: astenia, insonnia, perdita di piacere, tristezza e senso di vuoto, agitazione, ridotta capacità di concentrazione, autosvalutazione, senso di colpa.
Tutti questi sintomi portano la persona a comportarsi con modalità che, invece che risolvere il problema, lo mantengono.
Dobbiamo partire proprio da questi comportamenti per spianarci la strada verso il superamento di questa condizione!
Rinunciare
Tutto sembra difficile, insormontabile. Al punto da pensare “se non ci riesco, ci rinuncio”.
Ci si pone nei confronti della vita in modo passivo, abbandonandosi agli eventi, convincendosi di non poter fare niente per cambiare le cose.
Come puoi rompere questo meccanismo?
Innanzitutto comincia a renderti conto che stai basando la tua vita sulla rinuncia, sulla non azione. E se non sei tu il protagonista della tua vita, chi potrà mai esserlo?
In secondo luogo, comincia a riprendere in mano il tuo senso di autoefficacia rendendoti conto di tutte le più piccole azioni che, senza che tu te ne renda conto, sono sotto il tuo controllo!
Tieni un diario giornaliero dove ogni sera annoti 3 azioni che hai volontariamente deciso di fare durante la giornata: più piccole sono, meglio è!
Questo esercizio va bene anche per combattere la seconda trappola tipica della depressione, che vediamo di seguito.
Delegare
Delegare è di fatto una rinuncia. Contare sull’aiuto degli altri da una parte sembra di tenga in piedi e ci permetta di non sprofondare del tutto nel male che stiamo provando.
Dall’altra sta, ancora di più, rendendoci spettatori della nostra vita!
Per uscire dalla depressione non servono grandi imprese, basta iniziare dal riprendere in mano le più piccole cose della quotidianità!
Lamentarsi
Questo è il terzo meccanismo che dovremo andare a rompere.
Sfogarsi ci fa sentire più leggeri. Per il depresso è la valvola di sfogo quotidiana.
Ma c’è il lato oscuro della medaglia. Continuando a lamentarti, la tua attenzione sarà focalizzata sempre e solo su ciò che non sta funzionando! E continuando su questa strada il problema non farà altro che autoalimentarsi e ingigantirsi.
Cosa puoi fare per rompere questo meccanismo?
Sul diario dove annoti le azioni quotidiane di cui ti sei reso protagonista, prendi l’abitudine di annotare 3 piccole cose di cui sei grato.
Ogni sera chiediti “Della giornata di oggi, cos’è che posso ricordare positivamente?”. Anche per questo esercizio, ciò che dovrai annotare saranno aspetti della tua quotidianità piccoli e concreti.
Prova per qualche settimana, e facci sapere come ti senti!
Se senti il bisogno di un aiuto professionale per questo momento delicato, contatta OneSession!
Ogni Martedì dalle 18:00 alle 20:00 gli psicologi del team “One session” sono a tua disposizione per una sessione gratuita di consulenza psicologica a seduta singola di 30 minuti.
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Riferimenti bibliografici
Nardone G. (2013), Psicotrappole. Ponte alle Grazie, Milano.
Yapko, M. (1998). Rompere gli schemi della depressione. Milano: Ponte alle Grazie, 2002
Il mio lavoro è orientato al futuro e alla valorizzazione delle risorse delle persone che si rivolgono a me, in ottica di totale collaborazione.
5 strategie di comunicazione che danneggiano la tua relazione di coppia
La Comunicazione di coppia è uno degli ingredienti fondamentali per fare in modo che la coppia funzioni.
A volte pensiamo, erroneamente, che debbano accadere sempre grandi eventi – tradimenti, bugie, problemi nell’educare i figli – perché all’interno di una coppia si creino attriti, incomprensioni e litigi.
In realtà dimentichiamo uno degli aspetti fondamentali di una relazione, del vivere l’uno accanto all’altra: mi riferisco al fatto che la coppia, interagendo, prima di qualsiasi altra cosa comunica, dialoga, potremmo dire ‘vive nella comunicazione’.
Proprio per questo motivo è importante riconoscere quali errori comunicativi sono presenti nella comunicazione di coppia per modificarli ed eliminarli.
Vediamo in questo articolo quali sono.
1. Puntualizzare
Come scriveva Oscar Wilde, ‘con le migliori intenzioni si ottengono gli effetti peggiori’. Ed è quello che succede nel momento in cui puntualizzi costantemente qualcosa al partner.
Puntualizzare, significa chiarire, specificare e precisare, anche in modo eccessivo e pesante, le situazioni e le condizioni, le sensazioni e le emozioni nel rapporto con l’altro.
“Guarda che si fa così…”, “Mi raccomando…”, “Guarda che in realtà…”
Puntualizzare è un tipo di comunicazione che apparentemente può far pensare ad una strategia per evitare quegli equivoci e quelle incomprensioni che potrebbero trasformarsi in attriti e conflitti. In realtà avviene esattamente il contrario: è proprio il puntualizzare che prepara il terreno per i conflitti. È, infatti, fastidioso sentirsi sempre dire e spiegare come stanno i fatti o come dovrebbero essere per funzionare meglio.
2. Recriminare
È sicuramente un ingrediente altamente velenoso!
Recriminare fa leva sui sensi di colpa dell’altro, ponendo sul banco degli imputati in un processo infinito. E qualsiasi persona, quando si trova sotto processo, reagirà attaccando o fuggendo.
Le accuse sono facilmente riconoscibili: sono sempre alla seconda persona singolare “TU” e contengono parole come “sempre” e “mai”.
3. Rinfacciare
“Mi sono sacrificato per te!”, “Non sai quanto mi è costato venire a quella cena!”
Colui che rinfaccia si pone come vittima dell’altro e, da questa posizione di dolore, usa la propria sofferenza per indurre il partner a correggere quei comportamenti che l’hanno generata. Spesso con scarsi risultati.
4. Predicare
Questa strategia disfunzionale consiste nel proporre ciò che è giusto o sbagliato a livello morale e, sulla base di questo giudizio, esaminare e criticare il comportamento dell’altro. Ma si sa…l’effetto sermone non fa altro che aumentare la voglia di trasgredire alle regole.
5. Biasimare
Biasimare è una forma di comunicazione che non contiene una critica diretta, diversamente dalle altre forme di comunicazione che abbiamo visto sopra.
Chi biasima solitamente utilizza in un primo momento dei complimenti, ma subito dopo essersi complimentato aggiunge una seconda parte in cui afferma che avrebbe potuto fare di più o fare meglio o fare qualcosa di diverso.
Chi riceve questa comunicazione rimane interdetto perché riceve due messaggi contrastanti.
Biasimare è una strategia incredibilmente efficace per creare problemi quando non ce n’è nemmeno l’ombra!
Altri atti comunicativi fallimentari
“Te l’avevo detto!” una sentenza in grado di scatenare le furie anche della persona più mansueta.
“Lascia…faccio io” che appare come una gentilezza ma che in realtà nasconde una forma di sottile squalifica delle capacità dell’altro.
“Lo faccio solo per te” sacrificandosi per l’altro in modo unidirezionale, facendolo sentire in debito e inferiore poiché bisognoso di tale gesto di “generosità”.
In conclusione…
Parafrasando Wittgenstein: “le parole sono come pallottole”, dobbiamo quindi imparare a usarle accuratamente, per non creare danno a noi stessi e agli altri.
E tu quale tipo di comunicazione rintracci all’interno della tua coppia?
Se sentissi il bisogno di parlare con uno specialista, non esitare a chiedere aiuto: ogni Martedì dalle 18:00 alle 20:00 gli psicologi del team “One session” sono a tua disposizione per una sessione gratuita di consulenza psicologica a seduta singola di 30 minuti.
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Riferimenti bibliografici
Nardone, G. (2005). Correggimi se sbaglio. Milano: Ponte alle Grazie.
Zeig, J., Kulbatski, T. (2012). I dieci comandamenti della coppia. Milano: Ponte alle Grazie.
Sono una Psicologa, specializzata in Dipendenze da sostanze, comportamentali (gioco d’azzardo, shopping, ecc) e relazionali (dipendenza affettiva). Sono formata all’utilizzo della Terapia a Seduta Singola (TSS) e della Terapia Centrata sulla Soluzione, per aiutare le persone a risolvere i loro problemi e tornare al benessere nel più breve tempo possibile, imparando a scoprire e sfruttare al meglio tutte le loro risorse.
Andare avanti dopo un lutto
Che cos’è il lutto?
Il lutto è il processo di elaborazione di un evento da noi vissuto come drammatico e fortemente doloroso, in cui viviamo la perdita di qualcuno o qualcosa su cui contavamo nella nostra vita.
La scomparsa di una persona cara o del proprio animale domestico ma anche la perdita del proprio lavoro, la fine di una relazione importante o una diagnosi di una grave malattia, possono rappresentare per ognuno di noi la perdita di una nostra certezza.
Il lutto ci mette a confronto con il senso stesso della vita e con l’impossibilità da parte nostra di controllarne tutti gli eventi.
Questo ci chiama a dare nuovi significati alla nostra esistenza: il lutto rappresenta infatti un cambiamento inevitabile, una trasformazione verso qualcosa di diverso da quanto finora vissuto.
Come possiamo trovare la forza di andare avanti dopo un lutto?
1. Prendersi il proprio tempo
Per prima cosa, concediamoci il nostro tempo per elaborare quanto ci è accaduto.
Se provi sofferenza e difficoltà a riprendere la tua vita di prima a poche settimane di distanza da quanto successo, non c’è nulla di anormale in te. Il lutto è come una profonda ferita: la cicatrizzazione è un processo lungo e soffrire purtroppo è inevitabile.
Quello che possiamo fare però, è cercare di incanalare questo dolore in modo che non sia distruttivo per noi.
2. Esprimere le emozioni
Quando viviamo un lutto, concederci di esprimere quanto proviamo verso chi o cosa abbiamo perduto può essere funzionale per accettare il cambiamento.
Anche qui, ognuno ha la sua modalità. Alcune persone sentono il bisogno di piangere, altre ancora trovano conforto nella scrittura o nel parlare con qualcuno di quanto accaduto.
Qualsiasi sia il tuo modo per vivere la sofferenza, concediti uno spazio ogni giorno per “sentire” il dolore, accogliendolo in te.
3. Accettare il qui ed ora
Nell’importanza di esprimere tutto il dolore che provi, ti suggerisco però di non perdere il contatto con il “qui ed ora”: si intende la nuova condizione di vita in cui ti trovi nel momento presente.
Nel lutto infatti, potrebbe accadere di voler rifiutare quanto è accaduto e di venir travolti dalla rabbia, dal senso di colpa o dalla paura.
Alcune persone si rinchiudono nel ricordo di quello che è stato, coltivando l’idea irrealistica che quello che hanno perduto possa magicamente tornare.
Sarebbe bello se avessimo questo potere, ma sfortunatamente di fronte a certi accadimenti non c’è nulla che possiamo fare per ripristinare lo stato precedente. Fa male dirlo eppure l’accettazione di quanto accaduto è un passo importante da compiere per poter andare avanti.
Piuttosto che rifiutare la nostra nuova vita possiamo cercare di guardarla con occhi nuovi, provando a concentrarci su quanto ci può comunque offrire.
4. Fare ciò che ci fa stare meglio
A questo scopo, puoi provare ogni giorno a coltivare anche un piccolo spazio di tempo da dedicare a ciò che ti fa stare bene nel presente.
Non pensare a qualcosa di grandioso: scegli invece piccole azioni che possono darti sensazioni ed emozioni positive in cambio di uno sforzo minimo.
Concediti un bagno caldo, abbraccia una persona cara, ascolta la tua canzone preferita.
Anche qui, trova il tuo modo per fare esperienza di emozioni positive, da poter affiancare a quelle negative che provi. Facendo un piccolo passo dopo l’altro, potrà essere meno ripida la salita verso il superamento del tuo lutto.
5. Creare una nuova routine
Provare da subito a dare un ritmo regolare alle giornate può essere d’aiuto per superare un lutto.
Per quanto difficile, cerca di curare il tuo sonno, l’igiene personale e l’alimentazione.
Per invogliarti, puoi provare ad utilizzare i tuoi prodotti preferiti, come se fossero delle piccole coccole che ti concedi.
L’importanza di questi comportamenti apparentemente semplici, sta nel condurti gradualmente a ritrovare delle abitudini positive in grado di ancorarti al momento presente.
6. Nuotare nei ricordi senza affogarci dentro
Prova a pensare che quello che stai provando sia come un mare in tempesta: non puoi negare che ci siano le onde, puoi però imparare a nuotarci dentro senza affogare.
I ricordi possono aiutarti ad accettare che a tutto quello che succede possiamo dare un senso nuovo.
Cerca di stringere forte a te questi ricordi e pensare che niente e nessuno potrà mai portarteli via.
Puoi cercare di aiutarti con semplici azioni concrete: ad esempio, puoi provare a raccogliere le fotografie della persona cara che hai perduto e riorganizzarle in un album da tenere con te, che potrai guardare ogni sera.
Oppure potresti scrivere ogni giorno una o più pagine di un diario sulla tua perdita, per esprimere quello che provi ogni volta che ne sentirai la necessità.
Ad alcune persone aiuta, dopo aver vissuto una perdita, cercare “una nuova alba”: ad esempio impegnarsi per trovare un nuovo lavoro o iniziare a fare volontariato per dedicarsi agli altri.
Ognuno di noi ha i suoi modi e i suoi tempi per superare un lutto e ritrovare il proprio equilibrio.
Se non dovessi riuscire ad andare avanti dopo un lutto o sentissi il bisogno di parlare con uno specialista, non esitare a chiedere aiuto: ogni Martedì dalle 18:00 alle 20:00 gli psicologi del team “One session” sono a tua disposizione per una sessione gratuita di consulenza psicologica a seduta singola di 30 Minuti.
Per maggiori informazioni, puoi inviare una email a info@onesession.it o visitare la nostra pagina FB OneSession.it
BIBLIOGRAFIA
Aragno, B., e Maggi, M. (2020). Parole e gesti per dire addio. Strategie e strumenti operativi per sostenere bambini, adolescenti e adulti di fronte a una perdita o un lutto. Milano: Franco Angeli Edizioni.
Oliverio Ferraris, A. (2003). La forza d’animo. Milano: Rizzoli.
Nardone, G., e Selekman, M. D. (2011). Uscire dalla trappola. Milano: Ponte delle Grazie.
Sono una Psicologa iscritta all’Albo A degli Psicologi del Lazio e all’Istituto ICNOS: Scuola di Psicoterapie Brevi Sistemico-Strategiche.
Nel mio lavoro integro le mie competenze multidisciplinari per offrire ai miei clienti soluzioni personalizzate ed aiutarli a raggiungere i propri obiettivi in tempi brevi. Utilizzo la TSS per ottenere il massimo da ogni singolo incontro.
Terapia a Seduta Singola: Terapia al Bisogno
Nuovi bisogni nel nostro tempo
Cercando nel vocabolario il significato della parola bisogno, possiamo notare che viene dal termine germanico bisundhi che significa lavoro, cura.
Non solo necessità di procurarsi qualcosa che manca, ma impegno e capacità di fare e costruire.
L’idea che fare un percorso di psicoterapia comporti un enorme dispendio di tempo e di denaro si discosta molto dalle nostre vite così smart e rapide.
Il nostro tempo, infatti, è caratterizzato dalla velocità, dall’accelerazione della Storia che pone nuove emergenze, nuove condizioni, nuove scelte da compiere.
Il rischio nel non stare a passo con questo rapido andare è di sentirsi smarriti, senza riferimenti sicuri, e di rinunciare a dare il proprio contributo costruttivo.
Questa velocità ci vede desiderosi di raggiungere traguardi, sogni, oggetti in maniera semplice e immediata. In questo desiderio rientra anche l’attenzione alla salute mentale.
La sfida di poter dare risposta ad un disagio in maniera istantanea è di certo allettante.
Questa sfida impone oggi allo psicologo la ricerca di nuovi strumenti per aiutare le persone nel momento in cui ne hanno bisogno, accompagnandole nel raggiungimento dell’obiettivo di cui hanno bisogno, nel tempo in cui ne hanno bisogno.
L’emergenza pandemica ci ha prepotentemente insegnato che qualsiasi certezza può sgretolarsi. Abbiamo accettato un cambiamento epocale in tempi molto brevi.
Il digitale e la socialità on line si sono rivelati strumenti potenti e alla portata di tutti.
Cena, spesa, acquisti, tutto direttamente sul pianerottolo di casa.
Anche lo psicologo è entrato nelle nostre case, attraverso le sedute on-line ed è più vicino alle nostre necessità.
Il tempo ha rallentato la sua corsa ma il vivere si è accelerato.
Il coronavirus ha ridisegnato una nuova normalità.
Nuovi bisogni, anche nella salute mentale.
Una risposta efficace a queste nuove necessità è data dalla Terapia a Seduta Singola.
Una risposta al bisogno nel momento del bisogno.
Cosa è la Terapia al Bisogno
La Terapia a Seduta Singola mette a disposizione delle persone la possibilità di un numero limitato di incontri. Concentrando il lavoro su ciò di cui hanno bisogno in quel momento.
Talvolta il numero degli incontri può anche essere uno soltanto.
Ciascuno di noi ha dei bisogni.
La possibilità di soddisfarli in un tempo breve, può diventare una grande conquista sia temporale che materiale.
La Terapia a Seduta Singola affonda le sue radici teoriche nel costruttivismo, dando alla persona la possibilità di cercare e costruire nuove realtà e di innescare un cambiamento consequenziale.
Un cambiamento nella percezione di se stessi, degli altri e del mondo.
Un terapeuta al bisogno offre un aiuto immediato ed efficace.
Massimizza tempi e risultati di ogni singolo incontro e lo fa non perdendo mai di vista la persona e le sue necessità.
La persona viene coinvolta in un processo fatto su misura per lei.
Penso alla realizzazione di un abito sartoriale. L’abito sarà cucito sulla persona, seguendo le linee del suo corpo.
Sarà pertanto unico nel taglio e nello stile. Quello stesso abito non potrà calzare a pennello su nessun altro.
Questo farà sentire chi indossa quell’abito, a proprio agio. Comodità e senso di appartenenza, oltre alla soddisfazione di aver partecipato alla realizzazione di un capo fatto su misura.
La partecipazione farà sentire la persona parte attiva di un processo al quale si sentirà profondamente legata.
Costruire insieme rappresenta un elemento di distinzione per il terapeuta nella enorme offerta di professionisti presenti nel mercato della salute mentale.
Per la persona invece costituisce una linea guida nella scelta tra i tanti servizi offerti.
Un servizio psicologico al bisogno che si adegua ad una società profondamente cambiata.
Una società in cui i bisogni delle persone e le persone stesse sono in continua evoluzione. Non possiamo, come operatori sanitari, restare fermi a guardare.
Pensare che il nostro metodo sia universale e che siano i fruitori dei nostri servizi a doversi adeguare, altro non farà che allontanare da noi i clienti o i potenziali clienti.
Perché scegliere una Terapia a Seduta Singola?
I motivi possono essere molteplici:
- lo psicologo ha un ruolo diverso rispetto a quello che culturalmente hanno in mente le persone.
Non è colui che risolve i problemi.
Non ha nessun superpotere o pozione magica.
Semplicemente aiuta a risolvere un problema, tenendo conto di diversi obiettivi e proponendo al cliente diverse possibilità.
Tra queste verrà poi individuata, in un processo di co costruzione, quella più calzante sulla persona.
Il tutto all’interno di un servizio capace di sposare le logiche e le nuove tendenze del nostro tempo, per andare incontro alle esigenze di costi e di tempi di ciascuno.
- uno psicologo può sbloccare la persona, avviando un processo di cambiamento.
Tale processo avrà il potere di innescare un meccanismo a catena.
Un piccolo passo, richiamerà a sè altri passi fino a raggiungere la meta finale.
La richiesta è quella che lo psicologo aiuti a premere il tasto di avvio, dia la spinta giusta affinchè la persona continui da sola il percorso e diventi artefice del proprio cambiamento.
- Rivolgendoti ad uno psicologo puoi dare una nuova chiave di lettura del problema.
Questo permetterà un cambio di prospettiva e la possibilità di intravedere nuove soluzioni.
Il parere dell’esperto viene ricercato per comprendere meglio e tranquillizzarsi rispetto ad una determinata situazione.
- lo psicologo offre uno spazio all’interno del quale sentirsi liberi di esprimersi. Senza critica o giudizio.
La ricerca di un momento per liberarsi di pensieri, emozioni, preoccupazioni.
L’idea di una terapia al bisogno può sembrare forte e rivoluzionaria ma in realtà la applichiamo in tanti ambiti della nostra vita.
Lo facciamo senza accorgercene.
Andiamo dall’oculista perché ci dia una nuova prescrizione di lenti, dal momento che notiamo di non vedere bene da lontano.
Oppure dal gommista per sostituire la ruota bucata.
O ancora dal dentista per curare una carie.
Funziona così anche per i bisogni psicologici.
Certo ci saranno situazioni che necessiteranno di tempi maggiori, ma allo stesso tempo ci saranno problemi risolvibili in tempi brevi.
A fare la differenza sono sia la persona con le sue risorse che lo psicoterapeuta con la sua capacità di porre al centro la persona.
E se dovessi aver bisogno “al bisogno” di un professionista formato in Terapia a Seduta Singola, ogni Martedì dalle 18:00 alle 20:00 gli psicologi del team “One session” sono a tua disposizione per una sessione gratuita di consulenza psicologica a seduta singola di 30 Minuti.
Per maggiori informazioni, puoi inviare una email a info@onesession.it o visitare la nostra pagina FB OneSession.it
Riferimenti bibliografici
Cannistrà F., Piccirilli F. (2021). Terapia Breve Centrata sulla Soluzione. Roma: EPC Editore
Psicologa, Mediatrice Familiare, Esperta in Scienze Forensi
Coppia e primo figlio: quando l’amore (si) trasforma
La nascita del primo figlio costituisce un punto di non ritorno nella traiettoria esistenziale sia delle persone che della coppia stessa.
L’identità delle persone viene arricchita dal ruolo genitoriale ed anche la coppia cambia, assumendo connotazioni di famiglia macroscopicamente più rilevanti.
Il passaggio da due a tre può essere tra i più desiderati da entrambi i componenti della coppia, ma costituisce una transizione impegnativa che richiede un alto livello di investimento, un giro di boa che scopre alle persone e alla coppia stessa scenari che saranno definitivamente differenti da tutto ciò che si è vissuto fino a quel momento.
“Un figlio è una granata”
Così affermava Nora Ephron, la regina della commedia romantica, nella sceneggiatura del film Heartburn.
E continuava “Questa è la verità che nessuno ti dice.
Quando hai un figlio, inneschi un’esplosione nel tuo matrimonio.
Quando finalmente la polvere si placa, la tua coppia non è più quella di prima.
Non peggiore, necessariamente.
Non migliore, necessariamente. Ma diversa, per sempre”.
Come il passaggio al cinema, dal bianco e nero al colore, o in musica, dal canto gregoriano alla polifonia, l’arrivo del primo figlio è una svolta epocale per la relazione di coppia che deve modificare i precedenti equilibri. L’armonia originale deve essere ripristina adeguandola alle nuove dimensioni di accudimento e cura.
Lo psicologo americano Jay Belsky già nel 1984 rilevò come le tre dimensioni portanti della relazione di coppia venissero trasformate in maniera sostanziale dall’arrivo del primo figlio.
Negli anni seguenti ha continuato a documentare con ricerche longitudinali che hanno seguito le coppie poi divenute famiglie, come la qualità percepita del rapporto di coppia fosse notevolmente influenzata dall’evento “diventare genitori”.
L’arrivo di un figlio amplifica le dimensioni di solidarietà e comune impegno a scapito della dimensione romantico-erotica e di quella amicale che subiscono un brusco ridimensionamento. E che potrebbe risultare fatale.
Ma l’amore?
Potrebbe venire a crearsi così il paradosso che il frutto dell’amore, quel figlio desiderato e accolto con tanto entusiasmo e disponibilità dalla coppia, si ritrovi a crescere senza più la linfa vitale dell’albero che lo ha generato.
Perché magari i neo genitori, sopraffatti dalle nottate insonni, i budget ridimensionati, le nuove responsabilità, sperimentano un’insoddisfazione crescente e potenzialmente usurante del rapporto di coppia.
Per evitare questo inaridimento e contribuire ad una equilibrata ridistribuzione delle energie, possono essere messe in atto alcune semplici strategie per custodire ed avere cura del rapporto di cui il figlio generato è espressione carnale.
(Continuate a) Fare l’amore non la guerra
La prima attenzione deve essere portata alla componente romantico-erotica.
All’inizio della fase di “transizione a genitori”, spesso si registra una specie di asfissia erotica: tutte le attenzioni sono concentrate verso l’accudimento e non si trovano più il tempo ed le energie per i rapporti.
Quello che si può fare è ripristinare già da subito un confine spazio temporale per la coppia: individuare un momento quotidiano o almeno settimanale in cui ci si possa ritrovare senza avere l’incombenza dell’accudimento del figlio ma si possano curare l’intimità e la confidenza reciproca.
Per riuscire occorrerà attivare una serie di risorse di rete quali eventuali nonni, amici, persone di fiducia che sono essenziali alla coppia per poter continuare ad individuarsi come tale.
Il secondo aspetto da curare è la dimensione dell’amicalità.
I due partner devono continuare a poter esercitare quella curiosità benevolente, quell’interessamento particolare che avevano portato alla formazione della coppia stessa quando ci si era scelti e preferiti.
Guardarsi negli occhi e chiedersi con sincerità almeno una volta al giorno “Come stai?” aspettando il tempo della risposta dell’altro è una strategia necessaria perché la familiarità di coppia non venga meno ma si possa approfondire ed arricchire di tutte le nuove esperienze in corso.
Tante più energie si riuscirà a convogliare in queste direzioni, tanto maggiore sarà la possibilità che l’asse della coppia non si sbilanci eccessivamente sulle dimensioni genitoriali e rimanga invece ben equilibrato sulla caratura di intima reciprocità che le è propria.
In conclusione…
Passare da coppia a famiglia è una fase impegnativa della vita.
Se desideri un confronto con uno psicologo che possa fornirti indicazioni più mirate alla tua situazione, sulla pagina Facebook di OneSession puoi trovare ogni martedì psicologi qualificati in Terapia a Seduta Singola per un servizio di Consulenze online gratuite.
Anche in una sola seduta si possono sbloccare situazioni ferme da tempo o individuare bacini di risorse che sembravano non esistere.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Belsky J., (1984). The Determinant of Parenting: A process Model, in “Child Development, 55, pp.83-96.
Mi sono laureata in Psicologia ad indirizzo Applicativo nel 1990 presso la facoltà di Psicologia dell’Università “La Sapienza” di Roma. Ho maturato esperienza oltre che nello studio libero professionale, anche nell’ambito dei Consultori Familiari, acquisendo competenze nel sostegno psicologico, sostegno genitoriale, percorsi di educazione affettiva e sessuale.
Superare la paura di guidare con la Terapia a Seduta Singola
Che cos’è e come si manifesta la paura di guidare?
La paura di guidare l’automobile è una problematica molto più comune di quanto si potrebbe pensare. Definita in gergo tecnico amaxofobia, dal greco amaxos (“carro”), fa riferimento alla forte ansia al pensiero di mettersi alla guida.
L’amaxofobia colpisce sia uomini che donne, anche se sembrerebbe essere più frequente in queste ultime.
La paura di guidare, oltre ad essere fastidiosa, può diventare invalidante per chi ne soffre, causando disagio e rinunce.
A causa della forte ansia, infatti, alcune persone finiscono per rinunciare a partecipare ad eventi sociali o limitare le proprie possibilità lavorative.
Non esiste un solo tipo di amaxofobia.
Al contrario, la paura di guidare può presentarsi in svariati modi. Alcune persone possono sperimentare solo una lieve ansia prima di mettersi al volante, altre invece possono essere colpite da un’ansia così forte da sfociare in attacchi di panico.
Chi presenta amaxofobia può sperimentare reazioni sia psicologiche sia fisiche, che da un fastidio sporadico possono diventare sempre più invalidanti. Inoltre, la paura di guidare potrebbe manifestarsi sempre, oppure solo in alcune circostanze.
Guidare in autostrada, guidare di notte o con particolari condizioni metereologiche, attraversare gallerie, sono alcune delle situazioni che possono provocare l’amaxofobia.
Può anche capitare, se la problematica viene sottovalutata, che possa generalizzarsi, passando da una situazione specifica ad altre sempre più numerose.
Cosa facciamo solitamente per combatterla e perché questo non aiuta realmente?
Spesso, quando qualcosa ci spaventa, la prima cosa che facciamo per controllare e far diminuire l’ansia è evitarla.
Nel caso della paura di guidare, evitare di salire in macchina e girare la chiave potrebbe sembrare la soluzione.
Magari dicendo a sé stessi che non è così importante raggiungere quel luogo, e che andrà meglio la prossima volta.
Ma è davvero una strategia efficace?
La risposta, purtroppo, è no.
Evitare di mettersi alla guida, oltre ad esporre al rischio reale dell’isolamento sociale, non fa altro che ritardare l’ansia e farla tornare più forte la volta successiva.
Un’altra strategia spesso usata per controllare l’ansia della guida è chiedere a qualcuno di fare da accompagnatore durante i tragitti.
L’accompagnatore può essere una persona specifica, che ispiri sicurezza, oppure un accompagnatore generico.
L’importante, in questa logica, è non avventurarsi da soli ed avere qualcuno che aiuti a gestire la paura.
Anche in questo caso, purtroppo, questa strategia non è realmente utile ad affrontare efficacemente la paura.
Infatti, chiedendo costantemente ad un’altra persona di accompagnarci, non facciamo altro che rimandare il momento in cui poter dimostrare a noi stessi di essere capaci di viaggiare da soli.
Come può aiutare la Terapia a Seduta Singola?
La Terapia a Seduta Singola può rappresentare un valido aiuto per affrontare efficacemente la paura di guidare.
In che modo?
Un primo motivo per scegliere la Terapia a Seduta Singola è che sarai tu a scegliere il tuo obiettivo.
Nessun terapeuta cercherà di proporti la sua visione sulla risoluzione della problematica.
Dopo averti attentamente ascoltato, tu e il terapeuta deciderete quali obiettivo porvi e come cercare di raggiungerli.
Inoltre, durante l’incontro, avrai modo di riflettere sulle tue risorse e farne emergere di nuove.
Utilizzando il terapeuta come uno strumento a tua disposizione, potrai scoprire risorse inaspettate e valutare come poterle utilizzarle.
La Terapia a Seduta Singola potrà anche aiutarti nel cercare momenti in cui il problema non si è manifestato nel passato.
In questo modo, potrai esaminare la situazione da un punto di vista più ampio.
A questo punto, con nuova consapevolezza, potrai trovare e sperimentare nuovi modi per affrontare efficacemente la paura di guidare.
Sei curioso di provare?
Ogni martedì dalle 18.00 alle 20.00, i terapeuti del nostro team One Session si rendono disponibili per degli incontri online gratuiti utilizzando la Terapia a Seduta Singola. Contattaci per maggiori inviando una email a info@onesession.it oppure visita la nostra pagina Fb OneSession.it
Riferimenti bibliografici
Cannistrà F., Piccirilli F. (2018), Terapia a Seduta Singola. Principi e pratiche. Giunti Psychometrics
Nardone G. (2007), Non c’è notte che non veda il giorno. La terapia in tempi brevi per gli attacchi di panico. Milano: TEA Pratica
Nardone G. (1993), Paura, panico, fobie. La terapia in tempi brevi. Firenze: Ponte delle Grazie
Sono una psicologa, mi occupo di sostegno psicologico attraverso l’uso della Terapia a Seduta Singola per poter aiutare le persone a risolvere i propri problemi in tempi brevi. Ricevo a Cosenza e On Line (Skype).
Scrivere per superare la fine di una relazione
Perché le relazioni finiscono? Perché ad un certo punto la persona che credevamo sarebbe stata al nostro fianco per tutta la vita esce di scena?
Le motivazioni per cui una relazione finisce sono molteplici. Talvolta le cause possono essere degli eventi esterni che portano la coppia a separarsi, forzatamente. Altre volte invece ci si accorge di non condividere più gli stessi valori, perché si è cambiati. Altre volte ancora i partner non riescono più a fidarsi l’uno dell’altro, dopo tradimenti o bugie.
Qualsiasi sia la causa della rottura, entrambi i partner saranno invasi da una serie di vissuti ed emozioni, talvolta difficili da gestire.
Le fasi della fine di una relazione
La fine di una relazione porta con sé la perdita di una persona molto cara. Proprio per questo motivo questo evento può essere paragonato ad un lutto.
E come nel lutto, si passa attraverso una serie di fasi che, dopo rabbia e sofferenza, permetteranno ai protagonisti di riprendere in mano la loro vita. Vediamo quali:
- La relazione è finita, ma si fa fatica a crederlo. I protagonisti si rifiutano di credere che la persona amata non condivida più con noi gran parte della nostra quotidianità.
- In questa fase si comincia a rendersi conto della fine della relazione. La rabbia può essere rivolta contro se stessi, per non aver fatto funzionare la storia, o contro il patner per averci lasciati. Spesso è rivolta anche contro tutti quelli che vediamo felici, pensando che al loro posto dovremmo esserci noi.
- È la fase dei “se”. “E se quella volta mi fossi comportato diversamente? E se potesse esserci un’ulteriore possibilità?” In questa fase si cercano dei modi di ricongiungersi con l’ex partner, rimanendo così ancorati al passato.
- Indietro non si può tornare, si prende consapevolezza della fine della relazione. Ci si rifugia così nei ricordi di un passato che è stato anche positivo, soffrendo incredibilmente.
- Dopo le prime quattro difficili fasi, ora si diventa consapevoli che indietro non si tornerà. Si custodiscono i momenti positivi della tua storia d’amore, ma è arrivato il momento di dedicarsi a se stessi. Ripensare alla storia finita non trascina più nello sconforto.
Ricominciare a vivere dopo la fine di una relazione
Nella teoria sembra tutto facile, ma a volte il dolore è così insopportabile da non riuscire a credere che prima o poi si supererà. I ricordi della relazione passata tengono costantemente compagnia, al punto da credere che non si sarà mai più felici.
Ecco quindi un piccolo, semplice ma potentissimo esercizio che puoi fare in autonomia per dare spazio al tuo dolore e pian piano farlo defluire.
In una semplice parola: scrivi.
Ogni sera, prima di coricarti, prenditi del tempo (almeno 15 minuti) per mettere nero su bianco i tuoi pensieri, i tuoi ricordi, il tuo dolore. Dev’essere un momento solo per te, il foglio e la penna. Non importa la forma, quanto il contenuto. Lasciati andare, esprimi sul foglio tutto ciò che ti tormenta, i pensieri che durante il giorno ti attanagliano e che cerchi di evitare. Una volta finito, è importante che tu non rilegga quanto hai scritto!
Se ti accorgi che il dolore persiste, prova ad affidarti ad un terapeuta. Anche un solo incontro può bastare!
Ogni martedì dalle 18:00 alle 20:00, gli psicologi del nostro team One Session si rendono disponibili per degli incontri online gratuiti utilizzando la Terapia a Seduta Singola. Per avere maggiori informazioni e prenotare il tuo incontro, puoi contattarci inviando una e-mail a info@onesession.it oppure visitala nostra pagina Fb OneSession.it.
Riferimenti Bibliografici
Pennebaker, J. W. (2017). Il potere della scrittura. Tecniche nuove edizioni.
https://www.psychologytoday.com/us/blog/in-flux/201911/5-tips-respectfully-end-intimate-relationship
Il mio lavoro è orientato al futuro e alla valorizzazione delle risorse delle persone che si rivolgono a me, in ottica di totale collaborazione.
Come sradicare le cattive abitudini con la Terapia a Seduta Singola
“Se continui a fare quello che hai sempre fatto, continuerai ad ottenere ciò che hai sempre avuto.”
WARREN G. BENNIS
Che cosa si intende per cattive abitudini?
Per “abitudine” si intende la tendenza a ripetere in modo continuativo e frequente un’azione o un’esperienza in determinate situazioni.
Si tratta di comportamenti che mettiamo in atto con un minimo sforzo cognitivo.
Con il tempo, queste azioni diventano automatiche. Le mettiamo in atto senza rendercene conto.
Ognuno di noi riflettendo sulla propria vita, potrebbe facilmente individuare le sue personali “cattive abitudini”. Sono quelle azioni che inizialmente ci sembrano positive per affrontare la quotidianeità. Nel lungo periodo, invece, risultano dannose per noi.
Mangiare in modo sregolato, rimuginare sul passato e fumare sono alcuni esempi di “cattive abitudini” per molte persone.
Quali sono le conseguenze delle cattive abitudini?
Il problema delle cattive abitudini consiste nel fatto che con il tempo diventano per noi automatiche. Talmente tanto da non renderci più conto dei loro effetti negativi per noi.
Questo rende molto difficile sradicarle una volta che sono diventate parte della nostra vita.
Facciamo un esempio.
Proviamo ad immaginare un bel fiore in un vaso pieno di terra.
Cosa accadrebbe se mettessimo il seme di una pianta infestante nello stesso vaso?
Se nessuno interverrà, quel seme inizierà a crescere fino a quando le sue radici non soffocheranno il fiore.
La stessa cosa può accadere alla nostra vita quando viene invasa dalle cattive abitudini.
Come uscirne?
La Terapia a Seduta Singola è un metodo che può aiutarti a sradicare le tue cattive abitudini in un solo incontro.
In che modo?
1. Diventa consapevole delle tue cattive abitudini
Il primo passo per cambiare le proprie cattive abitudini è…renderti conto di avere delle cattive abitudini!
Prova a scrivere un diario delle tue giornate e a sottolineare le azioni che tendi a ripetere. Potresti notare se ci sono alcuni comportamenti che non ti fanno stare bene e che potresti provare a modificare.
2. Rifletti sulle circostanze in cui metti in atto le cattive abitudini
Prendi un foglio bianco e prova a riflettere:
QUANDO: in quale momento della giornata metti in atto le tue cattive abitudini?
QUANTO: da quanto tempo hai queste cattive abitudini?
DOVE: in quale luogo, situazione o contesto le metti in atto?
Potresti renderti conto che le tue cattive abitudini (ad es. fumare) aumentano o diminuiscono in base alla situazione in cui ti trovi.
CHI: queste cattive abitudini tendi a metterle in pratica quando sei in compagnia oppure no? c’è qualcuno che potrebbe aiutarti a sradicare le tue cattive abitudini?
3. Prova a fare qualcosa di diverso
Chiediti se ti è mai successo nelle stesse circostanze di fare qualcosa di differente che ha funzionato.
Concentrati sulle emozioni positive che hai provato in quel momento.
Potresti scoprire di avere già in te delle risorse e delle soluzioni nuove da provare per sradicare le tue cattive abitudini.
4. Comincia da un piccolo passo positivo
Non commettere l’errore di focalizzarti subito sull’obiettivo finale da raggiungere.
Piuttosto, prova a procedere per piccole azioni positive che ti facciano sentire bene nell’immediato.
Ad esempio se vuoi smettere di avere uno stile di vita sedentario, non porti come obiettivo quello di correre oggi una sfiancante maratona di 40 km.
Prova invece ogni giorno ad uscire per fare una piacevole passeggiata a piedi di 10 minuti.
Così facendo, inizierai delle nuove abitudini positive per te.
Se queste indicazioni ti sono state utili, lasciaci un tuo commento per farci sapere come è andata!
Cosa fare se invece senti di non farcela?
Non preoccuparti: le cattive abitudini, come abbiamo detto, possono essere davvero difficili da sradicare da soli.
Per questo, ogni martedì dalle 18:00 alle 20:00, per un periodo di tempo limitato, gli psicologi del nostro One Session Center sono disponibili per un incontro gratuito online utilizzando la terapia a seduta singola.
Il tuo primo passo per sradicare le tue cattive abitudini potrebbe essere questo.
Per avere maggiori informazioni e prenotare il tuo incontro, puoi inviare una e-mail a info@onesession.it oppure visitare la nostra pagina Fb OneSession.it.
Bibliografia
Schwartz, M. J. & Gladding, R. (2011). You Are Not Your Brain: The 4-Step Solution for Changing Bad Habits, Ending Unhealthy Thinking, and Taking Control of Your Life. New York: Avery.
Jager, W. (2003). Breaking ‘Bad Habits’: A Dynamical Perspective on Habit Formation and In L. Hendrickx, W. Jager, & L. Steg (Eds.), Human decision making and environmental perception: Understanding and assisting human decision making in real-life settings: liber amicorum for Charles Vlek. University of Groningen.
Mazzucchelli, L. (2019). Fattore 1%. Piccole abitudini per grandi risultati. Giunti Psychometrics.
Sono una Psicologa iscritta all’Albo A degli Psicologi del Lazio e all’Istituto ICNOS: Scuola di Psicoterapie Brevi Sistemico-Strategiche.
Nel mio lavoro integro le mie competenze multidisciplinari per offrire ai miei clienti soluzioni personalizzate ed aiutarli a raggiungere i propri obiettivi in tempi brevi. Utilizzo la TSS per ottenere il massimo da ogni singolo incontro.
I tre meccanismi della depressione: lamentela, rinuncia, delega
Come già abbiamo visto nel precedente articolo lo stato depressivo appare di frequente caratterizzato da alcuni fattori che hanno la peculiarità di mantenere vivo il nostro disagio.
Potremmo pertanto parlare delle tre soluzioni disfunzionali “regine” della depressione.
Lamentela, rinuncia e delega.
Ma cosa sono le tentate soluzioni disfunzionali?
Sono la chiave di volta del problema. La chiave di volta, sistema inventato dagli antichi Etruschi, è la pietra che posta al vertice dell’arco mantiene tutte le altre pietre, senza bisogno di alcun collante ma soltanto sfruttando la forza di gravità. Senza quella piccola pietra, l’intero arco crollerebbe.
L’espressione tentata soluzione è stata introdotta dai ricercatori del Mental Research Institute di Palo Alto che fondarono il Brief Therapy Center che aveva l’intento di avviare un progetto di studio focalizzato sulla possibilità di produrre significativi cambiamenti clinici, in soggetti interessati da alterazioni psicologiche, in un massimo di dieci sedute.
Si tratta di quanto mettiamo in atto per affrontare il problema che ci riguarda e che viviamo con difficoltà. Comportamenti, emozioni, cognizioni, risposte somatiche.
Le soluzioni disfunzionali sono il cuore pulsante della psicoterapia strategica che non si focalizza sulle cause del problema bensì sulle soluzioni agite per risolverlo. I problemi, secondo la logica strategica, sono meccanismi complessi il cui funzionamento non presenta un nesso di causalità scontato con ciò che li ha generati.
Il bersaglio del lavoro psicoterapico sarà quella pietra, in apparenza piccola ma che mantiene in equilibrio l’intero sistema. Uno dei compiti del terapeuta strategico sarà quello di individuare la pietra e accompagnare la persona nel percorso di riconoscimento e smantellamento del meccanismo.
Henry Ford, imprenditore americano, tra i fondatori del celebre marchio Ford, affermava “ Non trovare la colpa. Trova il rimedio”. Un mantra da tenere a mente perché capace di rovesciare completamente la visione classica che abbiamo di un problema.
Come funzionano?
Le tentate soluzioni disfunzionali sono il modo attraverso cui il soggetto costruisce la propria realtà. Rispondere cioè a un disagio, a un problema con agiti o pensieri che si ripetono e che però non allontanano quel problema bensì lo mantengono.
Pensiamo ad un uccellino che inavvertitamente entra in casa (vivo in campagna e questa situazione l’ho vissuta molte volte!). Quell’uccellino cercherà di uscire dirigendosi sempre verso il punto da cui è entrato, magari una finestra. Tenterà più e più volte, ferendosi ma ostinatamente continuando a puntare a quella finestra. Potrai aprirgli la porta o un’altra via d’uscita ma invano. Solitamente l’avventura finisce accompagnando l’uccellino verso il punto che gli permetterà di riprendere il suo volo in libertà.
Perché l’uccellino punta sempre a quella finestra?
Perché noi valutiamo sempre e solo quell’unica possibilità?
Forse quelle sono le situazioni che ci danno sicurezza, le uniche che conosciamo. Quelle che abbiamo già sperimentato e ci hanno portato alla soluzione, ma sappiamo bene che una stessa chiave non può aprire tutte le serrature.
La psicoterapia punterà all’acquisizione di nuovi strumenti che consentiranno di aprire nuovi scenari e valutare nuove possibilità.
Lamentarsi
Significa trasferire ad altri ciò che ci fa stare male, cercando in chi ci ascolta accoglienza e comprensione. Ravviviamo in questo modo tutte le sensazioni legate al nostro disagio, nutrendole e arricchendole di nuovi punti di forza. In più inneschiamo un meccanismo secondo cui il sostegno altrui è presente perché non siamo in grado di fare da soli e questo aumenterà il nostro senso di frustrazione.
Il contrario della lamentela è il tacere, il tenersi dentro le emozioni e le sensazioni ma poiché in medio stat virtus, si lavorerà per cercare di rendere questa tentata soluzione non più un eccesso dietro cui si cela un difetto.
Rinunciare
Significa alzare bandiera bianca quando la battaglia è stata solo annunciata. Parafrasando Nelson Mandela, rinunciando non saremo più quei sognatori che non si sono arresi. La rinuncia può apparire come una strada semplice da percorrere ma in realtà è la più irta di ostacoli perché comporta l’astensione da tutto quanto rappresenta un piacere o uno svago. La rinuncia è l’ombrello che ci tiene al riparo dall’acquazzone, facendoci perdere il gusto di imparare a ballare sotto la pioggia.
Delegare
Significa rinunciare a fare e chiedere ad altri di farlo per noi. Questa soluzione racchiude in sé sia la lamentela che la rinuncia ed è un modo per sentirci tranquilli e protetti nel nostro nido mentre gli altri si espongono al nostro posto. Il messaggio è non sono capace!
Come può esserti d’aiuto la Terapia Breve?
Ti sei riconosciuto in uno dei tre meccanismi descritti?
Pensi di aver appeso le scarpette al chiodo e di aver chiuso con il gioco per paura di perdere la partita?
Innanzitutto vorrei precisare che lamentarsi, rinunciare e delegare sono meccanismi che si innescano in modo quasi automatico nel momento in cui viviamo una situazione di malessere e di abbattimento.
Poter contare sugli altri ci rassicura e ci tiene al riparo dall’investire su noi stessi e sulle nostre capacità.
A parole sembra facile, ma nei fatti?
Potresti cominciare a riconoscere la presenza di uno di questi tre fattori nella tua storia, perché avere la consapevolezza significa iniziare a tracciare un percorso che non deve essere fatto di mete lontane ma di luoghi vicini da visitare.
La logica dei piccoli passi può accompagnare la consapevolezza e guidarti verso piccoli obiettivi da fissare e raggiungere ogni giorno.
“Abbandona le grandi strade, prendi i sentieri”, diceva Aristotele.
Se ti rendi conto di aver bisogno di rivolgerti ad un professionista, non esitare a farlo così costruirai un nuovo arco scegliendo con cura la tua pietra portante!
Ogni martedì dalle 18.00 alle 20.00, i terapeuti del nostro team One Session si rendono disponibili per degli incontri online gratuiti utilizzando la Terapia a Seduta Singola. Contattaci per maggiori inviando una email a info@onesession.it oppure visita la nostra pagina Fb OneSession.it
Bibliografia
Lowen A. (1980) – La depressione e il corpo – Roma: Astrolabio Ubaldini
Leonardi F. (2018) – La psicoterapia tra miti e realtà–Roma: Armando Editore
Psicologa, Mediatrice Familiare, Esperta in Scienze Forensi
Insonnia: quando addormentarsi diventa un incubo
Se hai provato a contare le pecore e sei arrivato ad una cifra astronomica. Se hai provato con la camomilla e poi sei passato alle tisane dai gusti più improponibili. Se hai provato con la musica rilassante e per disperazione hai messo in pausa alla melodia che riproduceva il suono degli uccellini del bosco.
Se hai provato con tutti i prodotti che il tuo farmacista ti ha consigliato, ma invano.
Forse ciò che ti crea malessere è un disturbo del sonno e si chiama insonnia.
L’insonnia può essere occasionale, persistente o associata a concomitanti condizioni mediche o ad abuso di sostanze o alla presenza di disturbi mentali.
Le cause dell’insonnia occasionale, di cui ci occuperemo in questo articolo, possono essere legate ad un momento di stress, di preoccupazione o crisi che stiamo attraversando o anche ad un cambio di stagione o al jetleg.
Può dunque trattarsi di una fase transitoria che scompare all’improvviso così come è comparsa ma che comunque può creare dei fastidi a livello sia funzionale che emotivo.
A tutti noi sarà certamente capitata una notte insonne magari precedente ad un evento importante della nostra vita familiare, lavorativa o di studio che provocava eccitazione o ansia.
L’insonnia può interessare:
- difficoltà ad addormentarsi;
- risvegli frequenti con difficoltà a riaddormentarsi;
- risveglio precoce al mattino con problema a riaddormentarsi.
Quali conseguenze?
L’insonnia è di certo un disturbo le cui conseguenze e difficoltà hanno ripercussioni non solo nella fase notturna ma anche in quella diurna.
La mancanza di riposo e di sonno che ristora comportano conseguenze sul corpo e sulla mente.
Il non dormire in modo soddisfacente non consente la messa in carica e la messa in movimento delle energie necessarie ad affrontare le numerose ore di veglia.
Ore fatte di studio, lavoro, impegni e attività che richiedono un’attivazione corpo/mente profonda.
A prevalere saranno il senso di sonnolenza, la mancanza di concentrazione, l’irritabilità, il calo del tono dell’umore, la difficoltà di rendimento in ambito sociale, professionale, relazionale.
Differenti saranno poi anche i disagi fisici, quali emicrania, disturbi gastrointestinali, stati di tensione e agitazione motoria, senso di spossatezza, mancanza di forze.
Questi disturbi, seppure transitori, creano nella persona un disagio che condiziona in modo significativo le relazioni.
Come uscirne?
L’operatività e l’efficacia della terapia breve possono essere di grande aiuto per questo problema ma necessitano di un’attenta valutazione operativa.
Alcuni comportamenti e fattori possono mantenere l’insonnia, provocandola addirittura (a che ora si va a dormire, uso di caffeina o farmaci prima di andare a dormire etc.) .
Solitamente l’ansia di voler dormire e l’angoscia provocata dalla incapacità di farlo, già sperimentate nelle notti precedenti, creano uno stato di profonda frustrazione che va ad alimentare una sequenza di azioni e pensieri.
Sequenza che rafforza e mantiene il nostro problema.
Una profezia autoavverantesi, insomma. Non vi è dubbio infatti che negli esseri umani è presente una tendenza a cercare di confermare le proprie ipotesi. Questo fa si che la credenza crei la realtà.
Saresti pronto a rompere il meccanismo che ti porta a rimuginare su come e quando dovrai addormentarti?
La tua profezia può cambiare in positivo.
Potresti provare questa semplice tecnica che consiste nel trascrivere, prima di addormentarti o durante il risveglio, su un taccuino che accuratamente avrai scelto prima (forma, colore…) tutti quei pensieri che si presentano nella tua mente e che si inseguono senza fermarsi.
Scriverli per liberartene e alleggerire così la tua mente, trasformando la tua profezia in un rilassante “se vuoi, puoi”!
Riferimenti bibliografici
Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi mentali, quinta edizione (DSM-5°) –Milano: Raffaello Cortina Editore
Attili G. (2002) – Introduzione alla psicologia sociale – Roma: Edizioni Seam
Psicologa, Mediatrice Familiare, Esperta in Scienze Forensi
Abuso Sessuale: come superarlo?
Che cosa si intende con “abuso sessuale”?
Per abuso sessuale si intende nello specifico “il coinvolgimento di soggetti immaturi in attività sessuali, in assenza di consapevolezza e possibilità di scelta, in violazione dei tabù sociali o delle differenze generazionali. Le attività sessuali possono includere sia rapporti sessuali veri e propri, sia forme di contatto erotico, sia atti che non prevedono un contatto diretto” (Montecchi, 1994).
Il termine abuso sessuale viene usato in modo più generico nel linguaggio quotidiano, per descrivere ogni tipo di contatto sessuale non consensuale, inclusi ad esempio
- l’uso di parole dispregiative da parte del partner o di una persona intima,
- il rifiuto di utilizzare metodi contraccettivi,
- il provocare deliberatamente dolore fisico al partner durante i rapporti sessuali,
- contagiare deliberatamente il partner con malattie infettive o infezioni di tipo sessuale,
- utilizzare oggetti, giochi o altre cose che causano dolore o umiliazione senza il consenso del partner.
Si parla di abuso sessuale anche nei casi in cui la persona non viene fisicamente toccata, ma viene esposta alla visione o all’ascolto di vicende a contenuto sessuale non pertinenti all’età o alla relazione con l’abusante
La forma di abuso sessuale può variare fortemente a seconda del grado di invasività, della relazione che intercorre tra vittima e autore dell’abuso, della presenza di consapevolezza della vittima rispetto a quanto accade, dalla frequenza con cui l’abuso si verifica.
L’aspetto fondamentale, invece, è quello che riguarda la condizione della vittima: impossibilitata a scegliere o a comprendere correttamente quello che sta accadendo o che viene proposto.
Abuso sessuale e Disturbo da Stress Post-Traumatico
L’abuso sessuale rappresenta una esperienza traumatica a tutti gli effetti: i sintomi presentati dalla persona abusata possono essere collocati all’interno del Disturbo Post-Traumatico da Stress.
L’esperienza subita può tornare frequentemente alla mente sotto forma di immagini, emozioni, sensazioni fisiche, parole, suoni, odori, sapori, incubi notturni.
Nei bambini i ricordi tendono a ripresentarsi sotto forma di incubi popolati da mostri e nel ripetere attraverso il gioco o il disegno qualche elemento significativo dei fatti accaduti.
L’abuso sessuale può produrre inoltre diversi problemi psicologici e per tale ragione rappresenta un “fattore di rischio non specifico” nello sviluppare altri disturbi.
Fra le vittime di abusi sessuali sono relativamente frequenti problemi psicosomatici, disturbi del comportamento alimentare, abuso di alcool, farmaci e di sostanze stupefacenti.
La sfiducia, le difficoltà sessuali, insieme a difficoltà nella gestione della rabbia e delle distanza fra le persone comportano frequentemente problemi nella gestione delle relazioni interpersonali.
Abuso sessuale e psicoterapia
La risposta soggettiva all’evento varia a seconda dell’età al momento dell’abuso, della durata dell’evento, se è avvenuta o meno penetrazione, la possibilità di condividere con qualcuno l’accaduto, il sostegno emotivo ricevuto in seguito.
Tipicamente la persona che ha subito un abuso sessuale cerca di mantenere a distanza i ricordi traumatici. In alcuni casi, addirittura, è possibile che, almeno in determinati periodi della vita, la persona abusata abbia amnesie più o meno parziali per gli eventi accaduti o ricordi estremamente confusi.
In una quantità rilevante di casi i ricordi dell’abuso progressivamente perdono in parte l’aspetto drammatico che li contraddistingue, divenendo più facilmente gestibili da parte dell’individuo.
Se questo è certamente un vantaggio, d’altra parte può anche comportare un pericolo potenziale, in quanto la persona si può abituare a convivere con i problemi generati dall’abuso, a non condividerli con nessuno e, in generale, a non affrontarli adeguatamente.
La psicoterapia per le persone che hanno subito abuso sessuale è dunque fortemente consigliata.
Sono relativamente frequenti, infatti, le situazioni in cui il trauma non viene realmente superato, ma più semplicemente la persona abusata impara a convivere con esso, a costo di grandi sofferenze e di limitazioni nella propria possibilità di vivere la vita pienamente.
Il terapeuta aiuterà a trovare le strategie più efficaci per far fronte all’evento traumatico subito e i sintomi psicologici ad esso associati.
Se sei interessato alla Terapia a Seduta Singola e vuoi chiedere una consulenza, ricordati che ogni martedì, per un periodo limitato, dalle ore 18 alle ore 20, gli psicologi e gli psicoterapeuti del nostro team One Session sono disponibili per degli incontri gratuiti aperti a tutti.
Contattaci per maggiori informazioni inviando una email a info@onesession.it oppure visita la nostra pagina Facebook OneSession.it.
Bibliografia
Cartei, F. Grosso, (2016), Come elaborare e superare il trauma dell’abuso sessuale subito nell’infanzia, Franco Angeli.
Montecchi, Gli abusi all’infanzia, (1994), La Nuova Italia Scientifica.
Psicologa, laureata all’Università “La Sapienza” di Roma, mi sto formando come psicoterapeuta ad approccio Breve Sistemico-Strategico.
Lavoro da anni in Servizi rivolti a persone con disabilità e con disturbi psichiatrici, occupandomi di sostegno psicologico individuale, di coppia e alle famiglie, favorendo processi di crescita personale e la costruzione di percorsi volti a migliorare la qualità di vita.
Come migliorare il rapporto con il tuo capo
Perché è importante avere relazioni serene nell’ambiente di lavoro?
Riuscire ad instaurare un rapporto soddisfacente con il proprio capo, e con i colleghi, è il desiderio di tantissime persone. Sul luogo di lavoro, infatti, è indispensabile poter contare su un ambiente tranquillo in cui poter lavorare con serenità. E’ ormai da diversi anni noto che, quando le persone si sentono tranquille e senza troppe pressioni addosso, il rendimento lavorativo e la soddisfazione personale aumentano!
Viceversa, un rapporto altalenante o scadente con il proprio superiore, può spesso essere collegato ad una soddisfazione minore verso il proprio lavoro, che può andare a ripercuotersi negativamente anche su altri ambiti di vita.
Qualche dritta per migliorare la situazione
Ottenere una relazione distesa con il capo può non essere un processo immediato, ma ecco qualche suggerimento per riuscire al meglio nella costruzione di rapporto nuovo e più sereno:
1. Sii proattivo
Se pensi di avere la soluzione per un problema, esponila! I suggerimenti, se dati con educazione e rispetto, faranno capire al tuo capo quanto tu sia dedito al lavoro e competente.
2. Presta attenzione alle scadenze
Anche se può essere difficile, soprattutto quando si è sommersi di lavoro, è molto importante rispettare le scadenze, perché sarà una prova formidabile della tua affidabilità.
3. Chiedi feedback
Quando te ne capita l’occasione, chiedere al capo dei feedback sul lavoro svolto ti farà apparire come una persona desiderosa di migliorarsi e fare bene il proprio lavoro. Non avere paura di eventuali riscontri negativi, se dovessero esserci saranno uno spunto per migliorare le tue prestazioni!
4. Ricorda che, oltre ad essere il tuo superiore, è una persona
Come tutti, anche il tuo capo avrà una vita fuori dall’ambiente lavorativo. Cercare di conoscerlo, mostrandoti autentico e rispettoso, potrebbe migliorare notevolmente il vostro rapporto!
Presta attenzione alla comunicazione
Un ultimo suggerimento per rendere il rapporto con il capo più sereno è quello di prestare molta attenzione alla comunicazione.
Il nostro modo di comunicare con gli altri è davvero importante, perché può influenzare direttamente la relazione con la persona che abbiamo davanti.
Quando si tratta di un superiore, è fondamentale adattarsi al suo stile comunicativo e al suo registro linguistico.
Cerca di mantenere questo stile anche nella comunicazione via e-mail, soprattutto se usate spesso questo strumento.
Inoltre, se possibile, cerca di prediligere gli scambi dal vivo a quelli telefonici o via e-mail, perché questi danno una possibilità maggiore di comprendersi e approfondire l’argomento di conversazione.
Riuscire a costruire un rapporto sereno con il proprio capo è possibile, anche se può richiedere qualche sforzo.
Tuttavia, l’impegno iniziale sarà ricompensato da un ambiente lavorativo più disteso, nel quale fare emergere le proprie competenze professionali.
E se credi di avere bisogno di un po’ di aiuto, la soluzione potrebbe essere chiedere aiuto ad un professionista, che ti aiuterà con un incontro di Terapia a Seduta Singola a trovare le risorse e comprendere come usarle per affrontare il problema.
Se sei interessato alla Terapia a Seduta Singola ogni martedì per un periodo limitato, dalle 18:00 alle 20:00 gli Psicologi e gli Psicoterapeuti del nostro team One Session si rendono disponibili per degli incontri gratuiti aperti a tutti.
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Bibliografia
Cannistrà F., Piccirilli F. (2018), Terapia a Seduta Singola. Principi e pratiche. Giunti Psychometrics
Sono una psicologa, mi occupo di sostegno psicologico attraverso l’uso della Terapia a Seduta Singola per poter aiutare le persone a risolvere i propri problemi in tempi brevi. Ricevo a Cosenza e On Line (Skype).
La depressione post partum: vergognarsi di non essere felici
Cos’è la depressione post partum?
La depressione post partum esordisce genericamente tra la 6° e la 12° settimana dopo la nascita del figlio. La neomamma comincia, immotivatamente, a sentirsi giù di morale, irritabile, facile al pianto. Per tutti questi motivi sente di non essere all’altezza del suo nuovo ruolo di mamma, vergognandosi per non provare la gioia di aver messo al mondo un bambino; gioia che nelle altre mamme che conosce sembra essere scontata.
E così è molto frequente che chi soffre di depressione post partum lo faccia in silenzio, per non mostrarsi debole. Queste mamme non sono inclini a chiedere aiuto, proprio per evitare un giudizio negativo nei loro confronti e sentirsi dei genitori incapaci.
La depressione post partum non è in realtà così rara: si stima che colpisca dal 7 al 12% delle neomamme. I sintomi principali sono quelli della depressione, nello specifico:
- Umore depresso per la maggior parte del tempo
- Disinteresse per le varie attività
- Difficoltà del sonno
- Fatica e perdita di energie
- Diminuita attenzione e concentrazione
- Sensi di colpa
a cui si aggiunge una mancata connessione emotiva con il bambino. La mamma interagirà poco con lui e di conseguenza non darà il via allo sviluppo di un buon legame di attaccamento.
Depressione post partum e baby blues: quali differenze?
La depressione post partum non è da confondere con un’altra condizione, il cosiddetto baby blues, un disturbo di lieve entità che colpisce fino il 70% delle neomamme.
Il baby blues è caratterizzato da una sensazione di malinconia, tristezza, inquietudine, che generalmente si manifesta nei primi 3 -4 giorni dopo il parto e si protrae per circa 15 giorni. L’insorgere di queste sensazioni è di tipo fisiologico, da attribuire al drastico cambiamento ormonale successivo al parto e alla stanchezza fisica e mentale derivate dal travaglio.
I miti della maternità
La paura di sviluppare una depressione post partum può spaventare molto le future madri e una serie di false credenze sulla maternità e sull’essere genitori può contribuire ad aggravare il senso di inadeguatezza di chi vive questa situazione.
Queste credenze riguardano l’istinto materno e la naturalezza di essere genitori. È sì vero che alcuni processi legati alla gravidanza avvengono in modo spontaneo e naturale, ma questo non vale per tutti i comportamenti legati alla maternità.
Diventare genitori dà e toglie, ed è normale che a volte ci si possa sentire limitati dalla maternità o che alcuni comportamenti non avvengano spontaneamente.
Superare la depressione post partum in tempi brevi
Il primo passo per uscire dalla depressione post partum è quello di prendere la situazione in mano e chiedere aiuto, senza la paura di venire giudicata come una cattiva madre; abbiamo visto che questa problematica è più frequente di quanto si pensi e che genitori non si nasce, ma si diventa.
Grazie all’aiuto di professionisti formati in Terapia a Seduta Singola, già dal primo incontro si potranno indagare e sbloccare le risorse della neomamma, indirizzandole verso il raggiungimento di un maggior benessere, per lei e per il figlio.
Se sei interessata alla Terapia a Seduta Singola, puoi rivolgerti ai nostri psicologi e psicoterapeuti, disponibili ogni martedì, per un periodo limitato, dalle 18.00 alle 20.00, per una consulenza gratuita online.
Bibliografia
Cannistrà, F. Piccirilli (2018), Terapia a Seduta Singola. Principi e pratiche. Giunti Psychometrics
https://www.psychologytoday.com/us/blog/tech-support/201502/mothers-love-myths-misconceptions-and-truths
Il mio lavoro è orientato al futuro e alla valorizzazione delle risorse delle persone che si rivolgono a me, in ottica di totale collaborazione.
Christmas Blues ovvero la Depressione Natalizia: come superarla?
Natale: che stress!
Happy days. Ma anche no.
5 consigli per superare le feste in leggerezza
Di seguito alcuni semplici consigli:
Psicologa, laureata all’Università “La Sapienza” di Roma, mi sto formando come psicoterapeuta ad approccio Breve Sistemico-Strategico.
Lavoro da anni in Servizi rivolti a persone con disabilità e con disturbi psichiatrici, occupandomi di sostegno psicologico individuale, di coppia e alle famiglie, favorendo processi di crescita personale e la costruzione di percorsi volti a migliorare la qualità di vita.
Tu e il tuo corpo siete in una relazione complicata?
Il corpo è lo strumento con cui comunichiamo e interagiamo con il mondo esterno.
Prendersene cura, significa migliorare il rapporto con gli altri, la percezione che abbiamo di noi stessi e costruire una solida identità personale.
Ognuno custodisce un immagine di sé che spesso è in disaccordo con l’immagine riflessa nello specchio.
L’accettazione del proprio corpo è un processo lungo che per alcuni di noi non ha fine, per altri si soddisfa con la realizzazione di un obiettivo.
E’ nella libertà di ciascuno di noi modellarlo e modificarlo a proprio piacimento, investire su di esso, progettarlo per ottenere ciò che vorremmo: tuttavia, dobbiamo anche imparare ad amarlo, senza pretendere che diventi ciò che non può assolutamente essere.
Avere cura del proprio aspetto, si ripercuote positivamente sulla fiducia e sull’autostima personale, apportando modifiche positive sull’umore e sulla disposizione favorevole verso l’esterno.
Sentirci belli, cambia il nostro atteggiamento, la percezione che abbiamo di noi stessi e delle nostre capacità.
Sappiamo bene che al di là di aspetti meramente genetici, tutto ciò su cui possiamo lavorare per ottenere benefici concreti sono l’attività fisica e una buona alimentazione.
Lo sport aiuta il corpo a mantenersi giovane e forte, a contrastare eventuali patologie fisiche, a migliorare la concentrazione e la memoria oltre ad ottenere un fondoschiena perfetto.
Mangiare bene stabilizza l’umore, fornisce al corpo il carburante giusto, migliora la pelle, contrasta la cellulite e ti mantiene in forma.
Cibo e sport sono due condizioni imprescindibili per stare bene. Non sto parlando necessariamente di stare a dieta, ma di prendersi cura di sé.
Cosa ti impedisce di farlo?
Spesso utilizziamo delle scorciatoie che pensiamo saranno risolutive:
- Digiunare
- Vomitare
- Fare attività fisica esagerata
- Usare condotte compensative come i lassativi
- Restringere l’alimentazione
Non è così.
Al contrario mantengono il nostro rapporto complicato con il cibo senza farci raggiungere i risultati sperati.
Per esempio, se vomitiamo, pensiamo di aver trovato la strategia giusta per mangiare e al contempo non prendere peso: crea in realtà un circolo vizioso dal quale sarà difficile uscire.
Quali sono le tentate soluzioni più comuni nella ricerca di un equilibrio alimentare?
1. La trasgressione:
«Niente è piu’ irresistibile di un divieto da trasgredire» O. Wilde
Spesso ci imponiamo divieti assoluti verso alcuni cibi. Più ce li vietiamo però, più in realtà li desideriamo. Finiamo per cedere alla tentazione, eccedendo.
2. Una lotta continua:
Facciamo sport a livelli estremi per consumare più di quanto mangiamo. Questa errata convinzione fa si che si sviluppi una vera e propria ossessione che ci porta a risultati contrari: più incrementiamo l’attività fisica e più abbiamo fame; di conseguenza per smaltire dovremmo ulteriormente incrementare l’attività fisica. E’ un tunnel da cui non usciamo se non smettendo e ingrassando.
3. Scorciatoie:
Stare a dieta è stancante, così cerchiamo degli escamotage.
Pensiamo di non essere in grado di stare a dieta oppure che sia troppo lungo come percorso e poco sostenibile e finiamo per affidarci a “metodi alternativi” come farmaci, sostanze miracolose e coì via. Deleghiamo ad altro il nostro successo.
Non esiste “pillola magica” in grado di sostituirsi a noi e alla nostra forza d’animo.
Primi piccoli passi
1. Ritagliati del tempo:
La vita di tutti i giorni lascia poco tempo per dedicarci a noi stessi.
Ritagliati dei momenti tutti i giorni in cui decidi di compiere un gesto d’amore nei tuoi confronti, una piccola coccola per te stesso, che sia un buon libro, una passeggiata o una maschera per il viso.
2. Lasciati andare alla fantasia:
Soffermati volontariamente sul piacere che deriva dal cibo, accarezzandolo prima con la mente e poi con il corpo. L’immaginazione è un mezzo potentissimo da cui spesso dimentichiamo di attingere.
Per cinque lunghi minuti, immergiti e immagina cosa vorresti mangiare in quella giornata.
3. Impara a controllarti, lasciandoti andare:
Mangia ciò che vuoi, senza pretendere alcuna forma di controllo sul cibo. Impara a concedertelo, all’interno dei tre pasti principali.
Se pensi di aver bisogno di un supporto in più, puoi rivolgerti a un professionista.
La Terapia a Seduta Singola può aiutarti anche in un solo incontro con lo psicologo perché ti permette di eliminare i comportamenti che mantengono in vita il problema e ottenere concreti benefici.
Sei interessato alla Terapia a Seduta Singola? Puoi rivolgerti ai nostri psicologi e psicoterapeuti, disponibili ogni martedì dalle 18.00 alle 20.00, per una consulenza gratuita online.
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Dott.ssa Beatrice Pavoni
Bibliografia:
Nardone, G (2007) La Dieta Paradossale: sciogliere i blocchi psicologici che impediscono di dimagrire e mantenersi in forma, Ponte delle Grazie
Sono una psicologa che si occupa di consulenze brevi e di TSS: il mio obiettivo è ridurre i tempi della terapia e massimizzare l’efficacia della seduta, offrendo un sostegno focalizzato e concreto per affrontare sia le piccole che le grandi difficoltà della vita
Il buio dell’anima: la depressione
Molto spesso utilizziamo il termine depressione per definire tutto ciò che ci fa sentire tristi, giù di tono, col morale a pezzi, malinconici. Sia che si tratti di comportamenti che di pensieri. Dimentichiamo però che per poter parlare di depressione bisogna seguire determinati criteri diagnostici.
“Male oscuro”, mostro, “male del secolo”, questi sono alcuni dei termini popolari utilizzati per riassumere e definire ciò che accade:
- Malessere diffuso;
- Evitamento di situazioni di socialità;
- Apatia;
- Insonnia;
- Inappetenza;
- Incapacità a provare piacere.
Sintomi che possiamo riconoscere in molte situazioni che ci vedono impegnati in momenti di sofferenza o forte stress.
“La depressione è un’epidemia di portata mondiale. Nel 2020, secondo le stime dell’O.M.S., la depressione sarà la più diffusa malattia del pianeta. Personalmente credo che la maggior parte delle depressioni abbia le sue radici nella solitudine, ma la comunità medica preferisce parlare di depressione piuttosto che di solitudine. È più facile liberarci del problema dando una diagnosi e una scatola di farmaci”.
Questo pensiero di Patch Adams, medico attivista e scrittore statunitense fondatore della clownterapia ospedaliera, racchiude l’abuso e la leggerezza con i quali viene utilizzato il termine depressione e soprattutto la trascuratezza nel prevedere le conseguenze che si determinano nella società in quanto si insinua il pensiero, pericoloso e falso, che la depressione può portare a commettere i gravi fatti spesso riportati dalla cronaca.
Ne consegue così diffidenza verso i soggetti realmente afflitti da tale patologia.
Paura e pregiudizio sono infatti i principali nemici di questa malattia. Anche la medicina può rivelarsi nemica nel momento in cui cerca di inibire la sofferenza, trascurando che essa fa parte della nostra natura.
Come funziona?
La depressione appare sempre più frequentemente come conseguenza di eventi madre (lutto, separazione, perdita del lavoro, tradimento etc.), che si sceglie di curare chiudendosi in se stessi e attivando un sistema di difesa e allarme dal mondo esterno cui non deve essere dato sapere del nostro fallimento.
Talvolta il momento di calo serve a raccogliere le idee e a trovare nuove strategie per fronteggiare il cambiamento che consegue la situazione di perdita, lutto o altro.
Un ricaricare le batterie per ripartire e vivere. Una primavera dell’anima che prepara corpo e mente ad una nuova stagione.
Quando però ciò non accade, il momento di calo può fortificarsi e cristallizzare lo stato d’animo in una condizione di:
- Abbattimento;
- Prostrazione fisica e psichica;
- Pessimismo;
- Distacco dagli interessi abituali;
- Svalutazione delle proprie capacità e abilità;
- Immobilità fisica, psichica e sociale.
Tali condizioni possono divenire invalidanti e condurre la persona ad uno stato di depressione grave.
Laddove poi è carente la capacità di costruire e coltivare sane relazioni interpersonali e col mondo esterno, l’isolamento altro non farà che acutizzare una situazione già precaria e sofferente.
Non si riuscirà a utilizzare lenti nuove per leggere la realtà e questo porterà a demoralizzarsi e a sentirsi vittime di ingiustizia e ingratitudine da parte del mondo e degli altri.
Lo stato depressivo appare dunque caratterizzato da quattro ingredienti fondamentali: la rinuncia, la rabbia, il vittimismo e l’affidare ad altri o ad altro le nostre responsabilità.
L’evento madre non sempre si riferisce però ad un trauma psichico ma può anche riguardare la impossibilità di raggiungere un obiettivo prefissato, l’incapacità di risolvere un problema o la delusione rispetto ad aspettative su persone o fatti che sono in relazione con noi.
Come può essere d’aiuto la terapia breve?
Cosa stai facendo? Che strategia stai mettendo in atto?
Il primo passo è quello di aiutare la persona a individuare i comportamenti che sta agendo per affrontare il problema, in modo da comprendere se si tratta di un comportamento che peggiora invece di migliorare la situazione. Si lavora pertanto su ciò che lo stato depressivo comporta, manifestandosi attraverso atteggiamenti, comportamenti, agiti e pensieri.
Se la persona sta mettendo in atto una rinuncia o un affidare ad altri le proprie responsabilità, si cercherà in maniera graduale di riabituarla a prendere in mano la situazione, lasciando andare la paura di non farcela. Un pezzo alla volta per ricomporre il puzzle della propria vita.
Se a prevalere sono la rabbia o il vittimismo, si lavorerà per guidare la persona ad accogliere queste emozioni e canalizzarle in maniera funzionale, affinchè diventino risorse costruttive.
Gli obiettivi sono:
- riattivare la persona, utilizzando e puntando i riflettori su tutto quanto è dentro la persona stessa o intorno a lei, comprese le persone (familiari, amici, partner…);
- de-vittimizzare la persona, mostrandole le rinunce messe in atto, come comportamento che rafforza lo stato depressivo.
Depressione ai tempi del COVID
Il momento storico che stiamo vivendo, l’era Covid, sta vedendo crescere i bisogni legati alla salute mentale. Si registra una crescita di disturbi legati a stress e depressione conseguenti alle solitudini generate dal lockdown e dal post lockdown:
- solitudine lavorativa;
- solitudine sociale;
- solitudine economica;
- solitudine relazionale.
Tutto ciò è una normale risposta umana ad una crisi così grave che ha generato disordine e angoscia. Una crisi che ci impone cambiamenti in molteplici aspetti della nostra vita. Una crisi che ci richiama alla flessibilità e all’adattamento che normalmente caratterizzano l’essere umano.
Nell’opera “I Guermantes” del 1920, Marcel Proust ci ricorda che: “La sofferenza è una specie di bisogno dell’organismo di prendere coscienza di uno stato nuovo”.
Bibliografia
Lowen A. (1980) – La depressione e il corpo – Astrolabio Ubaldini
Nardone G. (2013) – Psicotrappole – Ponte delle grazie
Osho (2017) – Ricominciare da sé – Mondadori
Psicologa, Mediatrice Familiare, Esperta in Scienze Forensi