Lui, lei e gli altri: come smettere di fare l’amante?
Il poeta e attore francese Jean Cocteau ci ha lasciato un bellissimo pensiero sull’amore:
“Il verbo amare è uno dei più difficili da coniugare: il suo passato non è semplice, il suo presente non è indicativo e il suo futuro non è che un condizionale”.
L’amore può essere coniugato in tanti modi differenti, ognuno dei quali ha le sue ragioni.
Ci sono coppie che condividono un progetto di vita insieme da diverso tempo, che gestiscono una vita coniugale ed una vita di coppia segreta, persone che si innamorano e intrattengono una relazione con un uomo o una donna non liberi, persone che soffrono per un tradimento subito.
Insomma un panorama vastissimo che ha come unico protagonista l’amore col suo tempo scandito da gioia e dolore, passione e gelosia, solitudine e condivisione.
Ma cosa accade a chi abbandona la ragione e il senso di morale comune e dà ascolto solo alla passione travolgente e al puro sentimento?
Non sta a noi di certo giudicare la scelta di vivere una vita in cui si è terzo rispetto ad una coppia e ad un progetto di vita altrui ma possiamo provare a pensare a come possa essere possibile e realizzabile l’interruzione di un meccanismo di ripetizione che vede una persona ricadere sempre in una relazione ambigua e in cui manca la concretezza dello stare insieme totalmente.
La storia di Barbara
Barbara ha 37 anni e da quando ne aveva 25 ha iniziato a collezionare una serie di storie “clandestine” con uomini impegnati e più grandi di lei.
È passata da una storia all’altra, in un crescendo di complicazioni e problemi da cui pare non riuscire a staccarsi.
Ha avuto solo due storie con persone coetanee e libere; la prima è stata la fugace avventura di una notte, la seconda un rapporto più duraturo: “un anno di noia” a suo dire.
Il lavoro con Barbara è appena cominciato e sta dando spunto a queste riflessioni.
Ma proviamo a capire cosa accade a chi sceglie di vivere, tra segreti e compromessi, nella veste dell’amante.
Un vero amore, che come tutti i grandi amori della letteratura, del cinema, dell’arte, della mitologia classica è ostacolato e quindi bisogna lottare e soffrire per tenerlo in vita. Una storia che diventa privilegio dunque, in quanto unica e speciale ma che vede il partner che vive nell’ombra reso fragile dall’attesa e dall’accettazione dei tempi e modi dell’altro. In pratica i classici amanti delle storie più belle e romantiche.
C’è poi chi ama vivere nell’ombra perché ne guadagna in termini di eccitazione e adrenalina che fanno da leitmotive ad un tempo sospeso tra ragione ed emozione. Ecco che la storia può diventare un rapporto duraturo nel tempo oppure un passare da una storia all’altra, alimentato dal desiderio, dalla speranza di rivivere le sensazioni che eccitano corpo e mente.
Paura dunque di investire in una storia importante? Un costume, un modo di essere o fare? Una consapevole rinuncia? Una fame di affetto e attenzioni? Un triste destino?
Chi è l’amante?
Una persona che sceglie di vivere nell’ombra accontentandosi di briciole di un amore che sembrano saziare una fame di attenzione e cura, perché crede di non poter ambire ad altro.
Un inconsapevole “terapeuta” della coppia in crisi, che con la sua presenza dà alla coppia, paradossalmente, nutrimento e nuova linfa in quanto fa da contenitore e riequilibratore.
Una persona che con leggerezza sceglie di vivere consapevolmente o inconsapevolmente una meravigliosa esperienza, a termine ma ricca di felicità e brio. Un modo quasi di tenersi lontano dal tempo che avanza e dal comune percorso del ciclo di vita.
Una realtà costante e parallela alla coppia ufficiale con la quale l’elemento tradito dovrà paradossalmente imparare a convivere per il bene della coppia stessa e il suo equilibrio.
Torniamo a Barbara…
Il suo racconto lascia intravedere una persona che preferisce vivere nell’ombra e accontentarsi pur di non dare voce ai suoi desideri e alle sue paure.
E’ stata ad oggi fatta una sola seduta che è iniziata con un lavoro di valorizzazione delle sue risorse e competenze in quanto appare forte in lei un senso di scarsa autostima che la porta a svalutare se stessa.
La terapia a seduta singola è venuta in soccorso a questo primo intervento in quanto, col suo approccio costruttivo minimalista, parte dal presupposto che la responsabilizzazione e l’incoraggiamento sono capaci di produrre nella persona un piccolo cambiamento positivo che può poi portare a cambiamenti più grandi.
Barbara mi consegna poi un’immagine molto bella che mi permette di avere in mano una chiave di lettura del suo vissuto. Insegna arte in un liceo. Pertanto utilizza un dipinto per descrivere la storia che attualmente sta vivendo e che l’ha portata qui perché ha riempito e fatto strabordare quel vaso già mezzo pieno di acqua.
Mi mostra lo screensaver del suo cellulare che ha come immagine “Il bacio” di Gustav Klimt, un dipinto sospeso nel tempo che ricordo di aver visto molti anni fa a Vienna. Una coppia stretta in un abbraccio molto appassionato in cui si vede l’uomo chinarsi sulla donna che riceve il suo bacio.
Per Barbara quel dipinto rappresenta il trionfo dell’eros e il suo grande potere di dare armonia ai conflitti tra uomo e donna; quel bisogno d’amore che la porta a mettere da parte gli aspetti negativi e a tenersi stretto un qualcosa a cui la sua insicurezza attribuisce un grande valore.
La storia di Barbara ha come obiettivo quello di interrompere un circuito di incertezza per puntare a nuove consapevolezze e nuovi obiettivi.
Barbara ha scelto di non procastinare più il suo cambiamento, di essere scelta e non alternativa.
Barbara ha scelto di coniugare il suo tempo al futuro.
Bibliografia
P.Watzlawick & G.Nardone – Terapia breve strategica
M.Recalcati – Mantieni il bacio
Psicologa, Mediatrice Familiare, Esperta in Scienze Forensi
Come affrontare la dipendenza da cocaina ed uscirne in tempi brevi?
A., è un uomo di 37 anni che vive con una compagna da cui ha avuto una figlia che oggi ha 4 anni. La loro relazione è buona e stabile. A. lavora come cuoco in un noto ristorante della sua città. In passato aveva provato ad aprire una propria attività sempre nell’ambito della ristorazione, ma ci sono state numerose complicazioni ed ora si trova con molti debiti da pagare ai fornitori e alle banche.
La chiusura dell’attività è stata per A. un durissimo colpo ed ha iniziato ad avvicinarsi alla cocaina proprio in seguito a quell’evento. Mi dice che quando fa uso di cocaina ha la sensazione di dedicarsi effettivamente a se stesso, di essere “immune” agli eventi circostanti. La cocaina per lui è un modo di interrompere il flusso dei pensieri, le emozioni, gli stati d’animo negativi e mollare tutto il resto.
Vorrebbe smettere perché si rende conto di quanto il suo consumo sia inutile, sbagliato e di quanto stia facendo soffrire la sua compagna…ma tutti i tentativi che ha fatto sono andati in fumo perché ogni volta ci è ricascato, perdendo fiducia in se stesso e nella possibilità di smettere.
Mi dice che è come se la cocaina gli servisse sia per “staccare la spina”, sia per mantenere la sua performance lavorativa. Afferma di non aver mai perso il controllo rispetto all’uso della sostanza e che non si sente un “tossico” come chi consuma eroina o altre droghe.
Prima di dirti come ho aiutato A….
…Facciamo una premessa
La cocaina è usata e diffusa nelle più varie fasce sociali e di età. Se ne fa spesso un uso pubblico e disinvolto, incontrando una valutazione “positiva” nei più diversi ambienti e contesti socioculturali.
I consumatori di cocaina, spesso, hanno la percezione che non solo la sostanza sia compatibile con la loro normale quotidianità, ma anche che essa sia una opportunità per migliorare se stessi e le proprie capacità, soprattutto a livello lavorativo. Inoltre, la cocaina può anche essere considerata come una non-droga da chi la consuma, tanto da non ritenersi un dipendente e differenziandosi nettamente da chi consuma altre sostanze.
Quindi, nell’aiutare A. ho dovuto tenere in considerazione queste premesse, che si riflettevano in lui come convinzioni (erronee) rispetto all’uso della sostanza.
4 linee guida per l’intervento in terapia
Tutte le dipendenze oltre ad avere in comune gli aspetti di tolleranza, astinenza e perdita di controllo rispetto alle aree della propria vita, sono accomunate da un unico grande fattore che spinge il consumatore ad iniziare e mantenere un comportamento di consumo: il piacere.
Il piacere è una delle sensazioni base nell’uomo, ma può anche diventare il trampolino di lancio per un disturbo e, in questo caso, una dipendenza.
Dal mio punto di vista, reputo efficaci 4 strategie per l’intervento con una persona che ha una dipendenza:
- diminuire il valore gratificante della sostanza e sostituire quell’esperienza di piacere (effimero) ad un’altra esperienza sana;
- indebolire i comportamenti che danno il calcio di avvio al consumo;
- potenziare il controllo sulle proprie azioni;
- immaginare uno scenario oltre il problema, procedendo a piccoli passi
In che modo ho aiutato A.?
Sulla base del lavoro fatto in seduta sui 4 punti appena elencati, ho inviato A. ad eseguire alcuni semplici compiti fino all’incontro successivo.
“Fino al nostro prossimo incontro vorrei che tu facessi attenzione e notassi tutti i segnali della tua vita, a casa, a lavoro, nel tempo libero, che ti fanno dire che sei un gradino più in su nei prossimi giorni. Tutti quelli che noterai e che ti ricorderai, me li racconterai e questo sarà ciò che ti chiederò la prossima volta.
Oltre a questo ti chiedo di comprare un quadernino che userai nel momento in cui ti sta salendo la voglia di consumare, né prima né dopo, ma nel momento stesso in cui ti sta venendo. È molto importante per me che tu lo compili in questo modo, scrivendo data e ora, luogo, situazione specifica, persone presenti, pensieri, sintomi e reazioni. Ci servirà per capire la frequenza e l’intensità della tua voglia di consumare. Per questo ti chiedo di portarlo sempre con te ed utilizzarlo ogni volta che avrai voglia di cocaina.”
Se anche tu hai un problema di dipendenza, puoi provare a fare questi semplici compiti per due settimane e dirmi come sta andando.
Se, invece, ti rendi conto di aver bisogno di un aiuto in più, puoi sempre contattare uno Psicologo formato in Terapia a Seduta Singola che può aiutarti già dopo un unico incontro.
Cerca sul nostro sito https://www.onesession.it/ il terapeuta più vicino a te (o anche online) e più adatto alle tue esigenze.
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Bibliografia
Nardone G., De Santis G. (2011). Cogito Ergo soffro. Milano: Ponte alle Grazie
Rigliano P. (2004). Piaceri drogati. Psicologia del consumo di droghe. Milano: Feltrinelli
Sono una Psicologa, specializzata in Dipendenze da sostanze, comportamentali (gioco d’azzardo, shopping, ecc) e relazionali (dipendenza affettiva). Sono formata all’utilizzo della Terapia a Seduta Singola (TSS) e della Terapia Centrata sulla Soluzione, per aiutare le persone a risolvere i loro problemi e tornare al benessere nel più breve tempo possibile, imparando a scoprire e sfruttare al meglio tutte le loro risorse.
Scusate il ritardo!
“A verità è che a te non ti smuovono nemmeno i miracoli!”
Questa la frase che la madre di Vincenzo il protagonista del film di Massimo Troisi “Scusate il ritardo” dice al figlio e forse questa è la frase che chi ritarda potrebbe sentirsi dire da chi aspetta 10 minuti, mezz’ora o addirittura anche un’ora o più.
È capitato a tutti noi un amico/a, un fidanzato/a o un membro della famiglia che è sempre in ritardo. O magari i ritardatari siamo proprio noi!
Il ritardo potrebbe diventare un tratto caratteristico della personalità. Questo potrebbe aumentare le probabilità di perdere parecchie opportunità come offerte di lavoro, attività divertenti, amicizie e molto altro.
Marylin Monroe ha detto una volta in una sua intervista: “Agli appuntamenti sono immancabilmente in ritardo, a volte anche di due ore. Ho provato a cambiare questi miei modi, ma i motivi che mi fanno ritardare sono troppo forti e troppo piacevoli”.
Quali sono i motivi, le situazioni che fanno andare in black out il tempo del ritardatario?
Non lasciarsi travolgere dall’ansia di far presto, di arrivare ad un appuntamento importante in tempo, non farsi prendere dallo stress di raggiungere quella situazione o quella persona ad un orario preciso e stabilito…insomma vivere in modo easy e slow il proprio tempo magari decidendo addirittura di non indossare l’orologio.
Una gran bella strategia…ma gli altri? Quelli che aspettano? Come si sentono? Cosa provano dinanzi ad una mancanza di rispetto e attenzione così evidente?
La pigrizia poi, un altro freno al tempo del ritardatario. Alzarsi dal letto al mattino all’ultimo minuto, arrivare in aereoporto o in stazione poco prima che chiuda il ceck-in o che il treno parta solo perché la forza di volontà non riesce a dominare il piacere di restare a poltrire. Una pigrizia rischiosa, adrenalinica fatta di corse, fiatone ed eccitazione.
Cosa dire poi degli eterni ottimisti; quelli che: “mica trovo traffico!”, “sicuramente mi aspetteranno…”, “certo che non chiudono in orario!”, “ma cosa potrebbe mai capitarmi?”.
Gli eterni ottimisti non considerano per nulla la possibilità di un imprevisto. Seguono il proprio e altrui tempo in maniera molto serena.
L’indecisione è un altro grande ostacolo…questa situazione ci riporta immediatamente agli occhi la scena di una donna in sottoveste o in biancheria intima dinanzi all’armadio aperto e stracolmo di abiti che disperata dice: “non so cosa mettermi!” e poi c’è chi non sa se andare in macchina o in moto, chi torna indietro perché non ricorda se ha chiuso la porta o se ha preso le chiavi.
Il ritardatario sembra quasi un ribelle del tempo, un eterno ottimista che sposa uno stile di vita tranquillo e rilassato ma allo stesso tempo fatto di accelerazioni e sensi di colpa.
Uno di stile di vita molto spesso accompagnato dalla speranza o dalla promessa di non rifarlo la volta successiva. Promessa e speranza che nella maggior parte dei casi vengono tradite da situazioni esterne, stranamente sempre indipendenti dalla propria volontà.
Esistono delle strategie per “fregare” questo tempo post datato?
Sarebbe innanzitutto opportuno osservare se il ritardo è dovuto a comportamenti specifici (distrazione, pigrizia, paura di andare sotto pressione…etc.) o se magari si fa tardi sempre e solo in una circostanza ben definita o per andare in un certo luogo.
Osservare il ripetersi di un certo atteggiamento può essere utile e può aiutare a individuare le eccezioni, orientandosi così alle risorse e ai punti di forza.
Siamo sicuri che arrivare puntuali ci farebbe star meglio? Che valore e senso diamo al nostro ritardo? Cosa ci guadagniamo a far tardi? Arrivare in orario ci fa sentire in ansia o sperduti? È possibile addomesticare il nostro tempo? Ci si può chiedere spesso se è il ritardatario che ha bisogno di cambiare o se chi attende ha bisogno di rilassarsi?
Se arrivare in ritardo per te è uno stile di vita che è diventato un peso, impara a organizzarti, a dare la priorità ai vari impegni che scandiscono il tempo.
Se il tuo processo di cambiamento diventa complicato e ti accorgi di non farcela da solo/a, affidati a un professionista oppure alla visione di un buon film:
Virginia: Come faccio a sapere che ci sarai?
Mac: Se ti dico che ci sarò, ci sarò. E sono sempre puntuale.
Virginia: Sempre?
Mac: Sempre. Se ritardo, vuol dire che sono morto.
(Sean Connery e Catherine Zeta Jones nel film Entrapment, 1999)
Bibliografia
Alfonso Signorini – Marilyn. Vivere e morire d’amore – Ed. Mondadori, 2010
Diana DeLonzor – Never Be Late Again – Ed. Post Madison Pub,2002
Flavio Cannistrà, Federico Piccirilli – Terapia a seduta singola – Ed. Giunti, 2018
Psicologa, Mediatrice Familiare, Esperta in Scienze Forensi
Come superare la fine di una relazione d’amore
Quando ci innamoriamo, è probabile, si crei in noi la speranza che quella relazione possa durare per sempre.
Speriamo che sia la volta buona, che ci sia qualcosa di diverso. Immaginiamo che nulla possa mai succedere a quel rapporto. Solo che a volte le cose possono succedere e così le storie, anche quelle che sembravano essere molto solide, giungono al termine.
Una rottura porta alla rovina di una perfetta fusione di idee, ideali e convinzioni condivise, divenendo dolorosa da superare. I piani sono cambiati e il futuro all’improvviso ha spazi vuoti lì dove c’erano cose felici.
La fine di una favola
La maggior parte delle persone avrà sperimentato almeno una volta nella vita la speranza che quella relazione potesse durare per sempre e il conseguente dolore di un finale diverso da quello atteso.
A seguito di una tale delusione è normale chiedersi quando e se tutto quel dolore potrà mai sparire e come, eventualmente, superarlo.
La fase in cui le relazioni romantiche giungono al termine è stata collegata ad una serie di impatti psicologici e psicosociali negativi, che compromettono la salute fisica e mentale. Poche cose feriscono come la fine di una relazione.
Rabbia, sofferenza, bassa autostima, insonnia, isolamento, paura, impotenza nel guardare ad un nuovo futuro, sono solo alcune delle possibili sensazioni che possono essere provate a prescindere dalle dinamiche con le quali avviene una rottura.
Nuovi inizi per te stesso
Esiste sempre, però, un’altra faccia della medaglia, ed è a quella che voglio invitarvi a rivolgere lo sguardo.
La fine di una storia d’amore può offrirci, infatti, nuove possibilità, tra cui quella di imparare lezioni su noi stessi, sulle relazioni, sull’amore, sul compromesso, sulla comunicazione e sulla fiducia.
Diverse ricerche hanno infatti evidenziato che la fine di un legame può essere vissuta anche come un’opportunità di regolare emozioni, affrontare lo stress relazionale e perseguire in relazioni future in cui i bisogni vengano soddisfatti.
La delusione, può spingerci a porci delle “corrette” domande e ci aiuta a conoscerci meglio rispetto alle nostre esigenze, favorendo una crescita personale.
Inoltre, essa aumenta la consapevolezza, grazie la quale possiamo evolvere e rinnovarci, cogliendo l’occasione per ritrovare l’unica persona che conta davvero nella vita, noi stessi!
Del resto, bisogna pur ricordarsi che “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori”.
Per cui anche un’esperienza traumatica e dolorosa come quella che si vive con la fine di una relazione può portare a nuovi scenari inaspettati e, perché no, delle volte anche migliori.
Ricominciare? Si può!
Ricominciare significa ripartire, trovare soluzioni efficaci e utili per dare il giusto peso nel presente, all’esperienza del passato. Di seguito alcuni consigli pratici per superare la fine di una relazione:
– Esprimere emozioni: non importa che siano negative, le emozioni vanno espresse. Ritagliare del tempo per vivere le emozioni, per soffrire, per piangere, permette anche di attraversarle e superarle. Reprimere le lacrime, soffrire in silenzio potrebbe solo aumentare la percezione del disagio.
Attenzione però!
È preferibile che ci siano dei momenti in cui dedicarsi all’espressione di queste emozioni, senza che invadano l’intera giornata.
– Confidarsi: trovare un amico, un familiare, una persona con cui confidarsi, che ci faccia sentire compresi, aiuta ad esternalizzare pensieri e idee che si hanno all’interno.
Parlare dell’accaduto e di quello che si prova, può, talvolta offrire anche un cambio di prospettiva, permettendo di vedere in modo più chiaro aspetti della relazione e di valutare che, forse, non era cosi perfetta come si credeva.
Anche qui però va fatta una precisazione.
Se parlare porta maggiori sentimenti di ansia e non fa andare avanti in una prospettiva di crescita personale, ma bensì lascia imprigionati solo al passato relazionale, allora è meglio non socializzare troppo la sofferenza.
– Un passo per volta: è importante cercare nuove fonti di interesse. Creare obiettivi personali, professionali, relazionali e concentrarsi per raggiungerli aiuta a sentirsi meno persi.
Per facilitare la ricerca di nuovi obiettivi può essere utile riflettere su quale possa essere il primo piccolo passo da fare per ritrovare se stessi.
Questo permette di immaginare man mano le diverse azioni da compiere (e se possiamo immaginarlo, possiamo anche farlo!).
Quando, però, si avverte che la fine di una relazione provoca una sofferenza talmente invalidante da condizionare la propria quotidianità fino a limitarla e in alcuni casi a bloccarla, può diventare necessario chiedere aiuto ad uno psicologo.
Le terapie brevi sono senz’altro un mezzo importante che consente di riprendere in mano la propria vita il prima possibile. Diverse ricerche mostrano che anche una sola seduta può essere sufficiente.
Sul sito di Onesession troverai diversi psicologi formati in terapia a seduta singola.
Bibliografia
– Harvey, A. B., & Karpinski, A. (2016). The impact of social constraints on adjustment following a romantic breakup. Personal Relationships, 23(3), 396-408.
– Carter, K. R., Knox, D., & Hall, S. S. (2018). Romantic breakup: Difficult loss for some but not for others. Journal of Loss and Trauma, 23(8), 698-714.
– Wrape, E. R., Jenkins, S. R., Callahan, J. L., & Nowlin, R. B. (2016). Emotional and cognitive coping in relationship dissolution. Journal of College Counseling, 19(2), 110-123.
– Field, T. (2017). Romantic Breakup Distress, Betrayal and Heartbreak: A Review. Int J Behav Res Psychol, 5(2), 217-225.
– Kazan, D., Calear, A. L., & Batterham, P. J. (2017). A Systematic Review of Controlled Trials Evaluating Interventions Following Non-Marital Relationship Separation. Journal of Relationships Research, 8.
Sonno disturbato ai tempi del Coronavirus
Capita anche a te di fare sogni più strani del solito? Stai probabilmente sperimentando un nuovo fenomeno: i sogni pandemici da Coronavirus.
La pandemia da Covid-19, infatti, sta influenzando il modo in cui sogniamo a causa degli elevati livelli di stress a cui siamo sottoposti in questo periodo di isolamento forzato.
In questo periodo di auto-isolamento, per molte persone, il materiale onirico appare più inquietante, i risvegli sono frequenti e la qualità del sonno è ridotta.
Cosa sta succedendo?
Le emozioni esperite durante la giornata possono influenzare quello che sogniamo durante la notte. L’Associazione Italiana di Medicina del Sonno (AIMS), che sta studiando la qualità del sonno degli italiani in quarantena, ritiene che molti soggetti stiano facendo incubi in linea con i sintomi del Disturbo da Stress Post Traumatico.
I sogni cambiano perché, in questo periodo particolare, il cervello cerca di indurre la rielaborazione dell’esperienza traumatica attraverso il materiale onirico. Non a caso, alcune persone, rievocano durante la notte parti dell’evento traumatico. Sognano, ad esempio, di aver contratto il virus o di perdere la vita. Altri invece fanno sogni bizzarri ricchi di elementi simbolici. La paura del virus, in questo caso, viene sostituita da elementi metaforici come insetti, mostri, catastrofi naturali e così via.
<L’oggetto della nostra paura, il virus, è invisibile e necessita di essere visualizzato in qualcosa di concreto> Deirdre Barrett, Harvard University
Tuttavia i sogni non bastano. Potrebbero essere inoltre un campanello di allarme, se frequenti, disturbanti e protratti nel tempo, di stati di ansia e di stress che vanno affrontati direttamente.
Possiamo iniziare a prenderci cura dei nostri sogni (e di noi stessi) partendo dal benessere che sperimentiamo durante la veglia.
In questo articolo ti fornisco 4 indicazioni che ti permettano di affrontare meglio questo momento critico e gestire lo stress ad esso collegato:
1. Focalizzati su quello che fai durante le giornate
Introduci piccoli cambiamenti in positivo. Aggiungi piccoli momenti di piacere che possano rendere bella la tua giornata. Se preferisci puoi fare un programma quotidiano dei momenti di piacere e spuntare a fine giornata quelli che hai messo in atto
2. Prenditi 15 minuti al giorno per scrivere
Le tue preoccupazioni, le tue paure e i tuoi pensieri. Lo stesso tempo dovrebbe essere dedicato, e circoscritto, per la ricerca delle informazioni sulla situazione attuale. Non dedicarci più di 15 minuti. Decidi tu quando farlo e come farlo
3. Riduci lo stress per alleggerire la mente
Esercizi di rilassamento e/o mindfulness possono essere buoni alleati durante il giorno. Anche solo la respirazione diaframmatica può aiutarti a ri-centrarti e focalizzarti sul qui e ora. La respirazione 4-7-8 può invece aiutarti, prima di dormire, ad indurre un rilassamento profondo
4. Riscrivi il sogno e cambia il finale
Come avresti voluto che andasse? Se ci sono dei sogni che ti hanno particolarmente disturbato, riscrivili in positivo e inizia da qui la tua giornata
Se lo stress e l’ansia non passano ma iniziano ad essere invalidanti, lo psicologo può aiutarti a superare la tua momentanea difficoltà.
In particolare la Terapia a Seduta Singola condensa in un solo incontro efficacia e efficienza per permetterti di sperimentare benefici sin dal primo incontro. Contatta, cercandolo sul nostro sito www.onesession.it, il terapeuta formato in Terapia a Seduta Singola più vicino a te.
Bibliografia
Deirdre, Barrett, Creative Dreams that Change Our Lives, In Dreams that Change Our Lives, R. Hoss & R. Gongloff (Eds) Chiron Publications, Ashville, NC. 2017.
Deirdre, Barrett, The “Committee of Sleep”: A Study of Dream Incubation for Problem Solving, In Dreaming, Vol. 3, No. 2, 1993
Ellemarije Altena , Chiara Baglioni, Colin A. Espie, Jason Ellis, Dimitri Gavriloff, Brigitte Holzinger, Angelika Schlarb, Lukas Frase, Susanna Jernelöv, and Dieter Riemann, Dealing with sleep problems during home confinement due to the COVID-19 outbreak: practical recommendations from a task force of the European CBT-I Academy, Journal of Sleep Research, 10.1111/jsr.13052.
Rebecca Renner, (April 15, 2020), The pandemic is giving people vivid, unusual dreams. Here’s why. Researchers explain why withdrawal from our usual environments -due to social distancing- has left dreamers with a dearth of “inspiration.”, Science, National Geographic.
Smettere di procrastinare: alcuni consigli
Quante volte ti è capitato di dire “Lo faccio dopo, tanto c’è tempo” e poi trovarti all’ultimo con una serie di compiti da portare a termine ancora da iniziare?
Cos’è la procrastinazione?
La procrastinazione è la tendenza a rimandare continuamente i propri doveri, trovandosi ad affrontarli all’ultimo minuto, con una serie di conseguenze negative sia per la performance che per la propria autostima (Dewitte e Schouwenburg, 2002). Anche se la credenza dei procrastinatori è del tipo “Lavoro meglio sotto pressione”, in realtà le loro performance “dell’ultimo minuto” sono qualitativamente minori rispetto a chi si prende per tempo. Questo inficia anche sull’umore, potendo portare a fare emergere sintomi ansiosi e depressivi.
A tutti capita di rimandare di tanto in tanto, ma per qualcuno può essere una vera e propria abitudine difficile da eliminare.
Ecco alcuni suggerimenti che ti possono aiutare a smettere di procrastinare
1. Fai chiarezza
Spesso avere in mente i compiti da portare a termine può non bastare e creare confusione.
Un buon modo di fare chiarezza è quello di mettere nero su bianco ciò che devi fare: fai una lista dei tuoi doveri annotando anche entro quando li devi compiere.
Mano a mano che li porti a termine, cancellali dalla lista; questo ti aiuterà a vedere i tuoi successi e aumenterà la motivazione e il senso di autoefficacia (Tracy, 2008)
2. Priorizza
Non c’è da illudersi: se pensi di cominciare a dedicarti alle tue scadenze a lungo termine “non appena avrai finito di dedicarti a tutto il resto” non comincerai mai.
Le cose da fare saranno sempre più del tempo a disposizione per farle, quindi la prima chiave è priorizzare.
Nella tua “to do list” identifica le attività molto importanti, quelle mediamente importanti, quelle carine da fare ma non necessarie, quelle delegabili e infine quelle eliminabili. Parti dalle prime e via via prosegui verso le successive.
3. Un passo alla volta
Limita l’investimento che stai chiedendo a te stesso, cominciando a piccoli passi. La guru dell’economia domestica Marla Cilley suggerisce questo semplice metodo per affrontare compiti spiacevoli, come pulire casa: imposta un timer a 5 minuti e datti al riordino finché non suona.
Non sembra pesante, giusto?
Certo, in 5 minuti non riuscirai a pulire tutta casa, ma avrai dato inizio al cambiamento! E cominciare è molto più difficile che continuare.
Questo metodo può essere utilizzato in tutte le attività che fatichi ad intraprendere. (Heat, 2010)
4. Prepara l’ambiente
Sarà più difficile procrastinare se avrai tutto ciò che ti serve a tua disposizione.
Prepara la tua postazione con il necessario per portare a compimento i tuoi doveri, senza la necessità di alzarti per prendere materiale mancante.
Cerca di creare il tuo spazio di lavoro in modo che sia confortevole ma anche attrattivo, che ti invogli a lavorarci.
5. Agganciati ad azioni che farai con certezza
Lo psicologo Gollwitzer le chiama “action-trigger” (in italiano, letteralmente “azioni-innesco”): sono eventi che sicuramente avverranno, in seguito alle quali viene suggerito di immaginare un compito che tendi a procrastinare.
Facciamo un esempio: continui a rimandare l’iscrizione in palestra. Potresti dirti “domattina, dopo che ho portato fuori il cane, mi iscriverò in palestra”.
L’azione “portare fuori il cane” è certa e domattina ti farà da innesco per iscriverti in palestra.
Attenzione, però: questo non significa che semplicemente immaginare di fare un’azione ti porterà sicuramente a farla. Devi essere anche motivato.
Se questi consigli non dovessero bastare, puoi pensare di rivolgerti ad uno specialista. Sul sito www.onesession.it puoi trovare un elenco di professionisti formati in Terapia a Seduta Singola che possono aiutarti a raggiungere i risultati sperati!
Bibliografia:
Heat & Heat (2010), Switch, How to Change Things when Change is Hard
Tracy (2008), Eat that frog, 21 Great Ways to Stop Procrastinating and Get More Done in Less Time
Dewitte S., Schouwenburg H.C., (2002), Procrastination, Temptations, and Incentives:The Struggle between the Present and the Future in Procrastinators and the Punctual, European Journal of personality, 16: 469-489
Il mio lavoro è orientato al futuro e alla valorizzazione delle risorse delle persone che si rivolgono a me, in ottica di totale collaborazione.
Problemi di coppia?? 5 consigli utili per migliorare il vostro benessere e quello della vostra coppia
Si sa, non sempre la vita di coppia è tutta “rose e fiori”. Ci sono momenti in cui tutto sembra essere perfetto, e altri, invece, in cui ogni cosa sembra irrimediabilmente sbagliata.
Questa alternanza è del tutto normale. In psicologia sono state identificate delle vere e proprie “fasi” che, più o meno tutti conosciamo: dalla fase iniziale di “simbiosi” in cui il partner è visto in modo idealizzato, si passa ad un momento in cui il partner si percepisce nella propria realtà.
Questo è un momento delicato, che può portare sia al termine della coppia sia in una fase della relazione più matura in cui si riconosce il partner nella sua totalità e si è pronti alla collaborazione.
In ognuna di queste fasi ci sono momenti problematici “fisiologici” che possono instillare il dubbio che la relazione stia volgendo al termine. Non sempre è così!
Quali sono i problemi più comuni?
I problemi più comuni possono essere ricondotti a differenti aree. Una di queste è rappresentata dalla comunicazione: quando anche uno solo dei partner adotta modalità di comunicazione ostili o provocatorie, si può innescare un clima di conflitto o un atteggiamento di disinteresse con conseguente maggior distacco all’interno della coppia.
Un’altra insidia, nella vita di coppia (ma anche nella vita personale) è legata alla routine. Fare sempre le stesse cose, e con le stesse modalità, può innescare automatismi, che se coinvolgono anche il partner, possono comportare una sensazione di insoddisfazione e noia.
Vivendo la coppia con continuità, può anche capitare di avere un calo nella curiosità verso il partner, nello scoprire insieme cose nuove e nel vivere insieme esperienze piacevoli fino a perdere la gioia di condividere i propri interessi.
Routine, calo della curiosità e problemi di comunicazione possono spesso essere associati anche ad una riduzione dell’attrazione e della sessualità. Oltre al naturale calo del desiderio, i problemi legati all’intimità possono essere molteplici, e spesso coinvolgono un più generale benessere all’interno della relazione.
Cosa fare per migliorare la vita di Coppia? Per una volta la risposta è semplice e piacevole: andate in Vacanza
Ecco cinque semplici consigli che potrebbero migliorare il benessere della coppia e della tua vita:
1. Rompi la routine: mandala in vacanza!
Sia a livello individuale che di coppia cambia le abitudini. Basta veramente poco: scendere al bar a fare colazione; scoprire un posto nuovo dove andare a pranzo; fare una passeggiata o andare in zone che non si conoscono può stimolare la curiosità e il confronto.
2. Scopri nuovi interessi
In vacanza si ha più tempo da poter dedicare ai propri interessi: trova gli eventi o le iniziative a cui ti farebbe piacere partecipare e confrontati con il partner. Scegliete insieme cosa fare, e ricorda che trovare un equilibrio (e un compromesso) è importante. Prova a interessarti a ciò che piace fare al tuo partner e cerca di coinvolgerlo nelle tue passioni.
3. Presta al tuo partner maggiore attenzione
Con l’abitudine, si ha l’impressione di sapere già cosa il nostro partner ci vorrà dire. Ma siamo sicuri sia sempre così? Prova a prestare attenzione a come si muove, a cosa dice, a cosa vuole comunicare. Prestare attenzione può aiutare a (ri)scoprire aspetti del partner ormai dimenticati. E se c’è qualcosa che non va, parlane con calma e con chiarezza.
4. Vivi con positività ed energia
Non dimenticare che sei in vacanza. Sii felice o almeno prova ad esserlo. La vita di coppia può causare infelicità e malumore, ma ricorda, entrambi i partner spesso, non vogliono altro che stare bene con sé stessi e con l’altro. Inizia da te. Divertiti. E cerca di coinvolgere il partner.
5. Riscopri la sessualità
La sessualità è importante. È un momento intimo che può riavvicinare molto due persone. Prova ad inventare giochi (sia dentro che fuori le lenzuola) che possano divertire e insieme stuzzicare il partner. Cerca di capire cosa il tuo partner vorrebbe e prova ad accontentarlo.
Sembra semplice, vero? Forse sembra anche “troppo” semplice, ma pensaci: cosa ti costa tentare?
Può darsi che la tua coppia viva oggi delle problematicità “fisiologiche” e attuare queste piccole strategie può essere utile per migliorare la tua condizione.
Non sempre, però, questi consigli sono sufficienti; sono tante le coppie che vivono situazioni problematiche, più o meno difficili, che hanno bisogno di una guida esterna, che permetta loro di vedere le cose in una giusta prospettiva.
Forse non lo sai, ma a volte, basta anche un singolo incontro con un professionista. Se non sei ancora andato in vacanza, e temi che questi piccoli consigli possano migliorare “poco” la situazione, allora prova ad incontrare un professionista “prima”. In vacanza avrai più tempo per ragionare da solo e con il partner.
Non sai a chi rivolgerti? Prova a dare uno sguardo al nostro sito www.onesession.it. e trova lo Psicologo più vicino a te
Psicologa e picoterapeuta in formazione. Utilizzo la terapia a seduta singola per permettere alla persone di raggiungere i propri obiettivi e massimizzare l’efficacia di ogni singolo incontro.
Ricevo a Caserta e On-line (Skype).
5 consigli utili per migliorare la comunicazione genitore-figlio adolescente
L’importanza di una corretta comunicazione genitore-figlio
Capita spesso che i genitori abbiano difficoltà nell’avere un dialogo aperto con i propri figli, specialmente se adolescenti. Questo può capitare poiché durante il periodo adolescenziale i ragazzi affrontano diversi cambiamenti, anche sul versante psicologico, che può renderli diversi dal bambino che i genitori erano abituati a conoscere.
Proprio in virtù dei molti cambiamenti che i ragazzi si trovano a dover affrontare, un dialogo costruttivo ed aperto con i genitori può essere di grande aiuto, specialmente nei momenti in cui ci si sente spaventati o insicuri.
Infatti, il periodo giovanile, per alcuni individui, può essere costellato di insicurezze; poterne parlare in modo sereno in famiglia potrebbe costituire il primo passo per diventare adulti più sicuri di sè.
Nonostante sia molto importante poter avere un dialogo aperto e sereno, è altrettanto importante che i genitori comprendano che in questo periodo i figli iniziano a sentire il bisogno di avere una propria autonomia; potrebbero quindi iniziare a preferire come interlocutori gli amici, piuttosto che la mamma o il papà.
Secondo una ricerca condotta presso l’Università di Chandigarh (India), l’età e il genere dell’adolescente e del genitore influiscono sugli argomenti di conversazione preferiti dai ragazzi. Emerse che le ragazze avevano, mediamente, un dialogo più aperto, soprattutto con le madri; inoltre le madri venivano considerate dai ragazzi più aperte al dialogo e all’accettare le loro opinioni.
La comunicazione non verbale
“Comunicare” non fa riferimento soltanto a ciò che viene detto con le parole; i messaggi verbali sono sempre corredati da una serie di indizi che trasmettiamo con il corpo e con le nostre espressioni, che trasmettono la parte “non verbale” del nostro messaggio comunicativo.
Affinché un messaggio arrivi chiaro all’interlocutore, è importante che la parte verbale e quella non verbale siano coerenti, per non generare confusione. Questo è particolarmente importante nella comunicazione con i figli, specialmente quando vengono impartite regole o si fanno delle lodi.
Gli studi hanno riportato delle differenze, tra padri e madri, rispetto a come essi gestiscono la comunicazione non verbale con i propri figli. In particolare è emerso che, generalmente, le madri prestano maggiore attenzione alle proprie espressioni e a quelle dei figli, e che sono più accurate nell’interpretarle. Inoltre sembrerebbe che l’uso della comunicazione non verbale vari in relazione alla situazione: quando si ha difficoltà ad esprimere a parole un concetto, gli indici non verbali aumentano.
Come migliorare il dialogo?
Lo psicologo ed educatore americano Gordon, ha individuato alcuni comportamenti che possono essere di ostacolo alla comunicazione e alle relazioni positive. Vediamo alcuni dei comportamenti che questo autore consiglia di non mettere in atto:
- ordinare,comandare,esigere, è normale che il figlio debba ascoltare ciò che il genitore gli dice, ma spesso fare attenzione a come ci rivolgiamo ai nostri figli può fare la differenza;
- dare soluzioni e suggerimenti non richiesti, a volte potrebbe essere opportuno, invece che fornire una soluzione già pronta, chiedere prima cosa il ragazzo/a ritiene sia utile fare, e aprire da li una riflessione;
- giudicare, disapprovare e criticare, quando i ragazzi sbagliano bisogna senz’altro farglielo notare, ma bisogna ricordare che critiche e giudizi negativi frequenti possono andare a minare l’autostima del ragazzo, specialmente in un periodo in cui la personalità si sta ancora formando.
Questi piccoli, ma molto importanti, consigli potrebbero essere utili nel migliorare la comunicazione in famiglia; tuttavia se la situazione non migliora, prestando attenzione alla comunicazione non verbale e facendo attenzione a non usare le barriere alla comunicazione individuate da Gordon, si può richiedere l’aiuto di professionisti qualificati che sapranno individuare i nodi dei conflitti e portarli alla luce.
Sul sito www.onesession.it potrai trovare un elenco di psicologi formati in Terapia a Seduta Singola, che già in un incontro potranno aiutarti a trovare la soluzione.
Sono una psicologa, mi occupo di sostegno psicologico attraverso l’uso della Terapia a Seduta Singola per poter aiutare le persone a risolvere i propri problemi in tempi brevi. Ricevo a Cosenza e On Line (Skype).
Relazione di coppia: un viaggio insieme
Arriva sul primo binario il treno dell’amore
Il viaggio può essere una utile metafora della relazione di coppia. Si sta avvicinando, sul binario di una stazione, la lunga teoria di vagoni del treno dell’amore. Due persone, fino ad allora individui, si stringono la mano e salgono, desiderando all’unisono di arrivare a destinazione “insieme”.
Nel cielo azzurro splende un magnifico sole (anche se fa freddo e magari è un nebbioso pomeriggio invernale). I raggi ri-scaldano il cuore, offrendo speranza e fiducia, tutto è chiaro e scintillante: sarà proprio un bel viaggio.
Ma poi, presto oppure un po’ più tardi, lo scenario cambia: arrivano la pioggia, il gelo, la nebbia, il vento. Tempeste improvvise. Schiarite. Nuove perturbazioni.
E le mani cominciano ad allontanarsi fino a smarrire il senso del cercarsi ancora. Fino a decidere di scendere dal treno e magari aspettare un nuovo treno, magari su un diverso binario, con la speranza che il cielo si mantenga terso. Con la consapevolezza di quanto le “variazioni atmosferiche”, legate alla intrinseca mutevolezza di ciò che è vivente, siano imprevedibili.
Possiamo continuare ad abbracciarci ancora, magari per sempre? E’ la domanda che, più o meno consapevolmente, ogni innamorato si pone, sullo scomodo crinale tra la spinta a trascendere sé per arrivare all’altro e la frammentarietà incerta che il nostro contesto post-moderno propone.
Bader e P.Pearson nel loro “In Quest of the Mithycal Mate” (1988) presentano un interessante accostamento tra le fasi che una relazione di coppia attraversa e lo sviluppo del bambino. Seguendo il lavoro di Margaret Mahaler, descrivono la relazione affettiva di coppia come realtà dinamica in continua evoluzione.
Attraverso i cinque stadi del ciclo evolutivo dello sviluppo psicoaffettivo individuati dalla psicoanalista ungherese: simbiosi – differenziazione – sperimentazione – riavvicinamento – interdipendenza, osserviamo lo snodarsi del treno dell’amore di coppia.
dall’Innamoramento…
Si parte con l’esperienza vulcanica dell’innamoramento. In questo stadio l’energia erotica spinge gli individui ad uscire fuori da sé e a stabilire il legame di coppia. In seguito esso potrà continuare ad esistere grazie alle trasformazioni di quella stessa energia attrattiva.
I due individui sperimentano l’unità fusionale simile alla simbiosi che il neonato vive con la propria madre, proiettando sull’altro tutto il proprio desiderio.
“L’innamoramento non è solo illusione, è anche conoscenza. Noi conosciamo il nostro io più profondo solo attraverso un altro essere umano. Lo facciamo con i genitori nell’infanzia, poi nell’amicizia, ma soprattutto nell’innamoramento. Allora si vuole sapere tutto dell’amato, fino a voler essere stati al suo fianco, averlo amato ed essere stati ricambiati da sempre” (Alberoni, 2010).
alla Crisi…
Il viaggio prosegue nel tempo e nello spazio: come nel bambino maturano competenze e abilità che gli permettono di emanciparsi dalla figura materna, nella coppia cominciano progressivamente ad emergere risorse e limiti.
Nella familiarità si smarrisce il fascino del mistero. Si nota che l’altro è diverso da come era sembrato. Le sensazioni sono mutate. La reciproca comprensione diventa più difficile fino a trasformare il dialogo in litigio.
Arriva la crisi, il delicato momento di passaggio da un vagone all’altro del treno dell’amore. Passaggio fondamentale per scongiurare l’arresto alla fase fusionale della coppia, proprio come il sano sviluppo vede il bambino separarsi dalla madre e diventare sempre più autonomo.
all’Amore…
Riavvicinandosi dopo le fasi di differenziazione e sperimentazione, la coppia ha l’occasione di trasformare il legame e generare nuove possibilità esperienziali. Perché ciò avvenga occorre che i valori e le risorse personali di entrambi i componenti siano in grado di reggere la fatica (anche dolorosa) del cambiamento, del passaggio da un certo equilibrio ad un altro.
A questo punto la relazione di coppia si è arricchita di volontà, costanza e creatività inedite nelle fasi precedenti. I due sperimentano la costanza dell’oggetto amato (Mahaler, 1986) rintracciando in se la presenza profonda dell’altro.
Cercare l’altro, voler chiarire ed esprimersi anche quando non ci si sente più come all’inizio, quando la delusione o il dolore porterebbero alla chiusura: questo è l’esercizio che trasforma un IO e un TU in un NOI.
La coppia ora è giunta all’interdipendenza, cioè alla libera decisione di condividere la propria esperienza unica e irripetibile. Ognuno diventa testimone al e per il viaggio esistenziale dell’altro.
Un percorso affascinante che porta a conoscersi, fondersi, individuarsi e separarsi, a ritrovarsi non più gli stessi dell’inizio. Infatti introiettando l’altro si giunge in una dimensione che trascende l’identità originaria.
e oltre!
Non tutti i viaggi di coppia però seguono necessariamente questo itinerario. Molti possono già dalla prima stazione, oppure un po’ più in là, decidere di smettere di investire su quella destinazione o non avere più interesse a quella compagnia o trovare il mezzo di trasporto insoddisfacente o … ogni altra possibile variante delle infinite esperienze di coppia.
Coppie che scoppiano, che si trascinano, che esauriscono la linfa vitale dell’interesse, coppie che resistono stringendo i denti, coppie che muoiono, coppie che vanno avanti trasformandosi.
Prendersi cura del proprio rapporto di coppia può essere un modo di determinarne in maniera attiva la traiettoria. Può suonare strano nella logica consumistica sempre più diffusa dell’usa e getta.
Ma considerando la coppia come una realtà vivente alla stessa stregua di piante, animali e bambini, è facile intuire come essa abbia bisogno di cura per svilupparsi, crescere ed esprimere fino in fondo ciò che è e che promette sin dal suo sorgere: un bel viaggio verso il destino.
- Se le tue strategie non sembrano bastare più a vivere in modo soddisfacente le dinamiche della tua coppia
- Se leggendo hai intuito che si può uscire dall’empasse del muro contro muro
- Se ritieni che fare un “tagliando” alla relazione di coppia sia un buon modo per garantire affidabilità e durata alla tua serenità
potrebbe esserti utile parlare con degli psicologi qualificati. Ad esempio attraverso la Terapia a Seduta Singola è possibile intervenire ed ottenere benefici in tempi brevi, ricavando il massimo anche da un singolo incontro.
Sul sito www.onesession.it. è presente un elenco di professionisti formati in Terapia a Seduta Singola che potranno aiutarti a raggiungere i risultati sperati.
Bibliografia
Alberoni, F.(2010, September 27), Innamorarsi è l’occasione per conoscersi nel profondo, Corriere della sera
Bader, E., Pearson, P. (1988). In quest of the mytical mate:a developmental approach to diagnosis and treatment in couples therapy. New York: Brunner Mazel.
Ventriglia, S., Della Valle, R. (2011). Comunicare nella coppia. Roma: Città Nuova
Mi sono laureata in Psicologia ad indirizzo Applicativo nel 1990 presso la facoltà di Psicologia dell’Università “La Sapienza” di Roma. Ho maturato esperienza oltre che nello studio libero professionale, anche nell’ambito dei Consultori Familiari, acquisendo competenze nel sostegno psicologico, sostegno genitoriale, percorsi di educazione affettiva e sessuale.
Genitori si nasce o si diventa? Come adattarsi all’arrivo in famiglia di un bambino!
L’emozione di diventare genitore
Diventare genitori è uno degli eventi più carichi a livello emotivo che un individuo possa vivere. Sia per gli uomini che per le donne, scoprire di essere in attesa di un bambino può far sperimentare emozioni diverse.
In particolare, è molto comune sperimentare emozioni quali gioia, sollievo, ma anche ansia ed in alcuni casi paura per le nuove responsabilità.
Secondo uno studio condotto nel reparto maternità di un ospedale portoghese, le emozioni più comuni verso il bambino nei primi due giorni dopo il parto erano positive; emozioni negative, come la paura, erano meno frequenti, ma presenti, e tendevano ad attenuarsi dopo i primi due giorni. Inoltre emerse che erano le neo mamme ad essere maggiormente spaventate per i cambiamenti.
La gravidanza e la successiva genitorialità vengono considerate dagli psicologi eventi “critici” , poichè richiedono ai neo genitori di rivedere le proprie abitudini e il proprio stile di vita. Questa consapevolezza potrebbe essere fonte di disagio o di stress, in quanto potrebbe essere necessario modificare profondamente gli equilibri precedenti.
Nonostante questo, l’opportunità di diventare genitore può favorire un profondo processo di crescita, sia personale che di coppia.
Cosa cambia nella coppia genitoriale?
Prima degli anni ’80 la ricerca psicologica tendeva ad escludere il padre, focalizzandosi sul rapporto madre-figlio; oggi si tende a riconoscere l’importanza di una sana relazione tra i genitori rispetto all’accudimento del bambino. L’esperienza della genitorialità permette alla coppia di evolversi, e alla relazione di maturare.
Spesso l’esperienza della nascita del primo figlio può comportare sostanziali cambiamenti nelle abitudini della famiglia, ripercuotendosi inevitabilmente sulla relazione tra mamma e papà. Ad esempio, avere gli orari scanditi dai bisogni e dai ritmi del bambino potrebbe richiedere di sacrificare il tempo prima destinato agli interessi.
Non tutti i genitori riescono a trovare subito un nuovo equilibrio; a volte questo processo può richiedere un periodo più lungo, ma questo non deve scoraggiare la coppia. Inoltre potrebbe succedere che la mamma dedichi molto del proprio tempo al bambino, facendo sentire il papà escluso dalla vita familiare, ed un po’ geloso dell’intensa relazione madre-figlio.
Oppure la mamma potrebbe sentirsi sommersa di responsabilità, bisognosa di maggiori attenzioni e supporto da parte del partner nella gestione del neonato. Per questi motivi, una relazione solida e orientata al dialogo tra i neo genitori rende più facile l’adattamento al ruolo genitoriale e ne accresce le competenze.
Parlare con il proprio partner delle difficoltà che si sperimentano e renderlo partecipe delle proprie preoccupazioni potrebbe aiutare la coppia a ritrovare l’agognata sintonia.
Le difficoltà di adattarsi alla nuova routine familiare
Prendersi cura di un neonato è sicuramente stancante, per via del grosso impiego di risorse che un bambino richiede. Potrebbe quindi essere frequente che i genitori si sentano stanchi e scoraggiati, magari non adatti rispetto al nuovo ruolo genitoriale.
Questi sentimenti potrebbero essere del tutto normali, e non devono far sentire i genitori inadeguati. Soprattutto per le madri è frequente sentirsi poco competenti ed avere paura a svolgere le azioni che riguardano la cura del bambino.
Avere paura o voler chiedere aiuto non rende una madre una cattiva mamma. In questi casi può essere utile rivolgersi al pediatra di fiducia per avere rassicurazioni in merito. In alternativa potrebbe essere utile richiedere un supporto psicologico per ricevere aiuto da parte di professionisti qualificati. A volte anche un singolo incontro può bastare per riuscire a gestire meglio lo stress e i cambiamenti.
Sul sito www.onesession.it potrai trovare un elenco di professionisti formati in Terapia a Seduta Singola che potranno aiutarti a raggiungere i risultati sperati ed uscire in tempi brevi dalla situazione di disagio.
Dott.ssa Fulvia Mariagrazia Messina
Bibliografia
Benvenuti P. (2008), Psicopatologia nell’arco della vita. Seid Editori
Cannistrà F., Piccirilli F. (2018), Terapia a seduta singola. Principi e pratiche. Giunti Psychometrics
Figueiredoa B., Costaa R., Pachecoa, A. & Paisb A. (2007).
Mother-to-infant and father- to-infant initial emotional involvement. Early Child Development and Care, 5, 521-532.
Piccoli trucchi per riconoscere il gioco d’azzardo patologico
Il gioco d’azzardo esiste da sempre…
Già nel 4500 a.C. in Egitto si giocava a Senet, una sorta di moderna scacchiera con cui interpretare il volere degli dei.
Negli ultimi anni, le forme di gioco d’azzardo si sono moltiplicate: gratta e vinci, scommesse sportive, slot, fino ai giochi telematici come il 10 e lotto e le scommesse virtuali. Parallelamente, si sono moltiplicate anche le “occasioni” di gioco, che hanno esteso la “categoria” di giocatore a uomini e donne di ogni età, istruzione ed estrazione sociale.
Di fatto, oggi tutti possono aver accesso ai giochi d’azzardo: giocare costa poco, non occorre essere in più persone per farlo, è molto semplice ed è soprattutto rapido e lo si può fare senza nemmeno uscire di casa, semplicemente dal Pc o dal proprio smartphone.
Pensiamo ad una giornata tipo: quanti di voi entrano almeno una volta in un bar o in una tabaccheria? Chi, alla vista delle luci e degli effetti sonori che promettono facili vincite, non ha mai pensato di tentare la sorte inserendo una monetina, barrando i propri numeri fortunati o acquistando un gratta e vinci?
Giocare qualche volta non è certo un problema, ma se “il tentare la fortuna” diviene costante e il pensiero del gioco inizia ad essere sempre più frequente fino a condizionare la nostra vita quotidiana, è forse il caso di porci qualche domanda. Il pericolo più grande è iniziare a pensare che un evento casuale divenga più o meno probabile in base ai risultati pregressi.
Sembra irrazionale, ma è questo quello che succede ogni volta che ci diciamo “ieri non è andata, magari oggi si”. Questo meccanismo non è fondato sui fatti: la probabilità che esca un numero al lotto è sempre 1 su 90. E ogni volta si riparte da zero. Ne siamo tutti consapevoli, eppure questo è uno tra i meccanismi psicologici che maggiormente incidono sul “vizio” del gioco, che, in Italia, si sta diffondendo sempre più.
Nel Libro Blu dell’Agenzia Dogane e Monopoli, si legge che nel 2017 i giocatori italiani hanno speso 18.990.000.000 di euro con un aumento di circa il 10% rispetto al 2015. Tale aumento è dovuto dall’incremento dei soldi spesi nel gioco e dall’aumento del numero di giocatori e di conseguenza, dall’aumento dei soggetti a rischio di sviluppare quello che oggi chiamiamo gioco d’azzardo patologico o più comunemente ludopatia.
Facciamo un gioco…
Ti piace giocare d’azzardo ma non sai se questo può essere un problema? Esistono differenti modi per capire quando la semplice “monetina” si trasforma in qualcosa di più. Al riguardo, è fondamentale ricordare che il gioco d’azzardo patologico è una forma di dipendenza che, differentemente dalle altre, non comporta l’assunzione di una specifica sostanza (come nel caso della droga o dell’alcool) e che questo può rendere più difficile percepirla sia per te che per chi ti circonda.
Ciononostante, esistono sicuramente “segnali” che ti possono aiutare a comprendere la tua situazione.
Prova a rispondere a queste domande:
1. Nel corso del tempo hai percepito l’esigenza di giocare con più frequenza e investire sempre più denaro? Giocare, ti crea uno stato di euforia ed eccitazione?
2. Ti capita di non avere la possibilità di giocare e vivere quel momento come fastidioso? Diventi nervoso, irrequieto, irritabile?
3. Ti capita di dire a te stesso “da domani smetto” o “smetto quando voglio” senza poi riuscirci?
4. Nel corso del tempo hai notato che pensi sempre più spesso al gioco? Questo pensiero ti risuona in mente anche in momenti in cui sei concentrato su altro?
5. Se perdi al tuo gioco preferito decidi di riprovarci? Ti capita di tornare nello stesso luogo per poter “ritentare la fortuna”?
Houston, abbiamo un problema. Ma niente paura… Attenzione. Questi sono campanelli di allarme che possono suggerirti che, prima che si instauri una vera e propria dipendenza, potrebbe essere il caso di chiedere aiuto.
Come faccio a smettere di giocare?
Il divenire giocatore d’azzardo patologico segue un processo graduale, quindi se ti è venuto anche un piccolo dubbio rivolgiti ad un professionista. Le metodologie di intervento possibili sono numerose e differenti tra loro. A prescindere dalla strada che ti sembra più efficace, quel che conta è non aspettare e, soprattutto, non credere a quello “smetto quando voglio” se già più volte si è rivelato fallimentare.
Non è detto che la tua condizione sia grave: a volte il solo esporre a qualcuno la tua problematica può aiutarti ad inquadrarla meglio.
Se non sai a chi rivolgerti puoi far riferimento ai molteplici servizi di aiuto che vengono messi a disposizione dallo Stato o puoi consultare il sito www.onesession.it. Qui troverai un elenco di professionisti formati in terapia a seduta singola che già dal primo (e forse unico) incontro, ti potranno fornire strumenti concreti grazie ai quali avviare il tuo processo di cambiamento.
Dott.ssa Roberta Miele
Bibliografia
Agenzia Dogane e Monopoli. (2017). Libro Blu 2017. Organizzazione, statistiche e attività. Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.
Tani, F., & Ilari, A. (2016). La spirale del gioco. Il gioco d’azzardo da attività ludica a patologia. Firenze: Firenze University Press.
Tradimento: cosa, come e perché
Il tradimento ieri e oggi
La società e la cultura in cui viviamo definiscono che cosa s’intende per tradimento e l’accettazione nel praticarlo. Per un lungo periodo di tempo, il tradimento è stato una prerogativa dell’uomo, poiché banalmente ne aveva l’opportunità.
L’appartenenza alla comunità era definita dal matrimonio mentre l’amore costituiva un aspetto secondario. Oggi l’amore è invece l’aspetto predominante, in quanto rispecchia la scelta consapevole di due persone.
L’uomo era considerato cacciatore e libero di agire secondo il proprio volere e per questo più facilmente infedele; la donna, seppur volente, non poteva rinunciare alla stabilità e alla sicurezza di cui godeva, o alla possibilità di rischiare la vita.
Il tradimento di è evoluto nel corso del tempo, cambiando il significato e il valore all’interno della società. Tradire, non significa solamente essere infedeli fisicamente al proprio partner, ma anche escluderlo da una parte della propria vita, o rimanere coinvolti emotivamente per una particolare situazione.
Questo a sottolineare come ogni persona ha una propria idea di tradimento, seppure quello carnale rimane il più frequente oltre che il meno accettato. Oggi, si tradisce di più e con più frequenza. Uomini e donne hanno le stesse opportunità di tradire e per le medesime ragione, fisiche o emotive che siano.
La società odierna fornisce poi una serie di strumenti che facilitano il tradimento: Internet offre numerose chat che “legalizzano” l’infedeltà, assicurando anche la privacy del partner che può agire in un ambiente sicuro; i numerosi programmi televisivi sdrammatizzano l’atto, ridefinendone le caratteristiche, spogliato degli aspetti etici e morali.
Perché si tradisce?
E perché, nonostante una coppia funzioni, si tradisce ugualmente? Le cause del tradimento sono complesse e non riconducibili a una sola motivazione. Il tradimento è un momento di crisi, che crea caos all’interno della coppia; nella maggior parte dei casi la spiegazione risiede nell’insoddisfazione del partner, nella sensazione di solitudine o nella difficoltà di una relazione che non funziona più.
Non sempre però il tradimento avviene all’interno di coppie disfunzionali, al contrario accade nelle coppie che funzionano.
Come mai?
La psicoterapeuta Perel sostiene che spesso costituisce una via di fuga verso le possibilità, gli obiettivi, i deisderi a cui abbiamo rinunciato nel corso del tempo. L’amante si trasforma nell’occasione di assecondare per un lasso di tempo più o meno breve una parte di noi abbandonata, un sogno distrutto, una strada alternativa che non abbiamo percorso. Ad ogni modo, il tradimento costituisce un campanello d’allarme per la coppia.
Come agisco o reagisco?
Cosa accade dopo il tradimento? E’meglio confessare o non dire niente?
Ad ogni azione corrisponde una reazione e il partner dovrà fare i conti con la relazione parallela. Confessare significa coinvolgere l’altro e chiedergli di prendere una decisione riguardo a un evento che probabilmente non aveva considerato; questo oltre a generare dolore, può generare confusione nella persona che, per quanto possa apprezzare la verità, non saprà che fare di fronte alla scelta di accettare o lasciare il proprio partner.
Al contrario, liberarsi del proprio peccato, può essere risolutivo; è possibile che si riappianino le disuguaglianze all’interno di una coppia, che costituisca uno spunto per una nuova comunicazione e la rinegoziazione della coppia stessa.
Non esiste, in ogni caso, un consiglio assoluto, ma è bene valutare e riflettere prima di agire e soprattutto cogliere quelli che sono i segnali che qualcosa non funziona come dovrebbe all’interno della coppia.
Talvolta è utile pensare di rivolgersi a uno psicologo professionista. Anche una singola seduta dallo psicologo può essere sufficiente per capire qual è il primo piccolo passo da compiere verso l’obiettivo. Grazie alla Terapia a Seduta Singola si possono raggiungere risultati in tempi brevi, individuare le risorse e risolvere situazioni che si pensava avessero una soluzione.
Bibliografia
Cicerone.P.M. Non per amore, ma…, Mind, mente & cervello, 159, 64-71
Cannistrà F., Piccirilli F. (2018), Terapia a seduta singola. Principi e pratiche. Giunti Psychometrics.
Sono una psicologa che si occupa di consulenze brevi e di TSS: il mio obiettivo è ridurre i tempi della terapia e massimizzare l’efficacia della seduta, offrendo un sostegno focalizzato e concreto per affrontare sia le piccole che le grandi difficoltà della vita
Gestire lo stress e tornare a stare bene sul posto di lavoro: come si fa? Ecco alcuni suggerimenti e strategie per fronteggiarlo!
Contrariamente a quanto si pensa di solito, non dobbiamo ed in realtà non possiamo evitare lo stress. Quello che possiamo fare, però, è riconoscerlo e gestirlo in modo efficace, cercando di trarne vantaggio, imparando i suoi meccanismi di funzionamento e adattando la propria filosofia di vita ad esso.
Ma procediamo con ordine.
Innanzitutto, che cos’è lo stress lavoro-correlato?
Sicuramente la maggior parte di voi potrà darne una definizione soprattutto in termini di sintomi: mal di testa, cattivo umore, difficoltà a concentrarsi, stanchezza cronica…
In letteratura, si definisce stress lavoro-correlato quella condizione che si verifica “nel momento in cui le richieste provenienti dall’ambiente lavorativo superano le capacità dell’individuo nel fronteggiare le richieste stesse”.
In Europa questa condizione sembra riguardare almeno un lavoratore su quattro e una delle conseguenze più negative per le aziende è l’assenteismo che provoca ritardi nello svolgimento quotidiano delle mansioni e ovviamente perdite economiche importanti.
Uno studio dell’Università Bocconi di Milano ha messo in risalto come per le donne, lo stress sia anche maggiore rispetto agli uomini: infatti, lo stress viene intensificato dall’esigenza di dover gestire la propria professione e la famiglia.
Quali sono i sintomi dello stress lavoro-correlato?
I sintomi possono essere di varia natura, ma per semplicità possiamo suddividerli in 4 grandi categorie:
- Fisici: mal di pancia, mal di testa, problemi dermatologici, difficoltà a prendere sonno e/o dormire, disturbi nella sfera sessuale, crisi respiratorie.
- Comportamentali: insicurezza, pressione, abbassamento dell’autostima, impazienza, impulsività, insicurezza, isolamento, aumento del consumo di sigarette o caffè durante il giorno.
- Lavorativi: assenteismo, infortuni, conflitti nelle relazioni lavorative, scarso rendimento nelle attività, problemi disciplinari.
- Psicologici: ansia, difficoltà di concentrazione, scarsa attenzione, umore depresso, attacchi di panico, crisi di pianto, stanchezza cronica, sensazione di avere la testa pensante o vuota.
Sicuramente una persona che soffre di stress lavoro-correlato avrà sperimentato o sta sperimentando questi sintomi, arrivando a pensare di essere inadeguata, sbagliata e pensare di dover lasciare il lavoro perché incapace.
Cosa fare per fronteggiarlo?
Per cominciare, potresti riflettere su questi punti:
Quali sono le cose che ti fanno più arrabbiare o agitare? Che cosa ti rende ansioso/a?
Rispondere a queste due domande ti può aiutare a focalizzare il problema e permetterti di restringere il campo rispetto a ciò che temi o che ti innervosisce.
Quando esci dall’ufficio sei in grado di lasciare lì i problemi?
Molto spesso, se non si riescono a lasciare le difficoltà lavorative fuori dalla porta di casa, può crearsi un corridoio pericoloso che fa circolare i problemi da lavoro a casa e viceversa, andando ad inquinare tutti e due gli ambienti. Un suggerimento è quello di trovare un gesto, un rituale, un’abitudine da fare prima di entrare in macchina dopo il lavoro o prima di entrare a casa, che ti permetta di percepire un distacco fra un ambiente e l’altro; come un segnale che ti faccia capire che stai chiudendo con la giornata lavorativa e stai passando ad altro. Come ogni buon training, deve essere ripetuto per un po’ prima che funzioni.
È davvero il luogo di lavoro a renderti nervoso/a?
Oppure scarichi in quell’ambiente la tensione che accumulo nella tua vita personale? Se così fosse, il problema non sarebbe collegato al lavoro, ma piuttosto a problematiche private.
Se ti rendi conto che il lavoro ti sta creando uno stress intollerabile e delle problematiche eccessive e, da solo, non riesci ad uscire da questa situazione, ti consiglio di consultare uno Psicologo.
Infatti, soprattutto con il metodo della Terapia a Seduta Singola (TSS), anche dopo il primo incontro potrai sperimentare concreti benefici ed essere un passo più vicino alla soluzione del problema ed al benessere.
Il segreto è ampliare la consapevolezza, riconoscere i comportamenti disfunzionali e dannosi ed agire con più ampie possibilità di scelta, così da poter trasformare i momenti difficili e critici in occasioni di crescita individuale, relazionale e lavorativa.
Non esitare quindi a contattare uno dei terapeuti formati in Terapia a Seduta Singola cercando sul nostro sito www.onesession.it, il terapeuta più vicino a te e più adatto alle tue esigenze.
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Sono una Psicologa, specializzata in Dipendenze da sostanze, comportamentali (gioco d’azzardo, shopping, ecc) e relazionali (dipendenza affettiva). Sono formata all’utilizzo della Terapia a Seduta Singola (TSS) e della Terapia Centrata sulla Soluzione, per aiutare le persone a risolvere i loro problemi e tornare al benessere nel più breve tempo possibile, imparando a scoprire e sfruttare al meglio tutte le loro risorse.
Emozioni: nella teoria le conosci, ma nella pratica sei sicuro di saperle riconoscere?
Cosa proveresti se ricevessi una bella notizia? E se dovessi affrontare un’operazione al cuore? E invece quando litighi con un tuo amico, mangi un cibo che non ti piace, ricevi una brutta notizia o un regalo inaspettato, che emozioni proveresti in tutte queste situazioni?
La tua risposta a queste domande forse potrebbe essere gioia, paura, rabbia, disgusto, tristezza e sorpresa. Dico “potrebbe” perché ovviamente come ben saprai, la stessa situazione o evento può provocare emozioni diverse a seconda della persona che la sperimenta.
Queste emozioni sono innate e sono riscontrabili in qualsiasi popolazione, per questo sono definite primarie ovvero universali. Leemozioni secondarie, invece, sono quelle che hanno origine dalla combinazione delle diverse emozioni primarie e si sviluppano con la crescita di una persona e dalla sua interazione sociale.
Tra le emozioni secondarie troviamo: l’allegria, la vergogna, l’ansia, la rassegnazione, l’invidia, la gelosia, l’offesa, il rimorso, la speranza, il perdono, la nostalgia e la delusione. Queste emozioni sono più complesse delle primarie poiché hanno bisogno di più elementi esterni o pensieri eterogenei per essere attivate.
Ma te già le sai queste cose vero? Sicuramente nella teoria, sarai molto preparato relativamente il tema delle emozioni ma sei sicuro di essere capace a riconoscerle? Te lo chiedo perché sono molte le persone che hanno difficoltà a riconoscere le emozioni, e anche a esprimerle ed elaborarle correttamente.
Certo, sarebbe bello se a scuola oltre ad insegnare a scrivere, a leggere e a contare ci insegnassero anche cosa sono le emozioni e come si gestiscono, oppure sarebbe bello avere un manuale per interpretare le proprie emozioni, ma purtroppo non è così, nonostante giocano un ruolo fondamentale nella nostra vita.
Se impari a dedicare più tempo e attenzione alle tue emozioni, se ti alleni a riconoscerle non solo in te stesso ma anche negli altri, se impari a gestirle per orientare bene i tuoi comportamenti, puoi migliorare la qualità della tua vita, l’efficacia delle tue azioni e le relazioni sociali che coltivi ogni giorno e imparare, inoltre, a estrarre le migliori risorse non solo da te stesso ma anche dalle persone con cui ti relazioni.
Ti piacerebbe vero?
Si! Sarebbe grandioso imparare a vivere un’esistenza al pieno delle tue potenzialità e in maggiore sintonia con chi hai intorno.
Pensa che per fare questo, è necessaria solo una cosa… che tu sappia riconoscere le emozioni e dargli un nome. Si proprio così, devi solo riconoscere le tue emozioni.
Pensi di essere capace? Lo so, non è semplice. Questo perché il modo in cui percepisci il mondo, lo interpreti, lo valuti e lo immagini, modella le tue emozioni. Il rapporto che esiste tra i tuoi pensieri e le tue emozioni, il modo in cui interpreti la realtà e attribuisci un significato agli eventi influenza enormemente i tuoi stati d’animo e quindi i tuoi comportamenti.
E’ importante che tu sia consapevole delle tue emozioni e che tu sappia dargli un nome per impararle a gestire e per comunicarle anche agli altri, ma effettivamente non è sempre facile utilizzare il termine adeguato per indicare lo stato d’animo che proviamo in un determinato momento.
E’ proprio per questo che chi fa difficoltà a riconoscere le proprie emozioni, non solo non può gestirle e rischia quindi di mettere in atto comportamenti inappropriati e di relazionarsi con difficoltà con gli altri, ma potrebbe anche sviluppare sintomi somatici.
Se ti sei accorto di avere difficoltà nel riconoscere le emozioni e quindi a gestirle e questo ti sei accorto crea dei problemi nella tua vita, rivolgiti ad un terapeuta che possa aiutarti a farlo. Pensa, in alcuni casi, si è visto che già dopo una Singola Seduta puoi ottenere dei risultati inaspettati.
Cosa aspetti quindi a contattare uno dei terapeuti formati in Terapia a Seduta Singola cercando sul nostro sito www.onesession.it , il terapeuta più vicino a te e più adatto alle tue esigenze.
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